martedì 4 settembre 2012

La Civiltà cattolica anno XXXIX serie XIII vol. X fasc. 909 23 aprile 1888. pagg. 257-278 SOLUZIONE DELLA QUESTIONE ROSMINIANA

 
Rosmini Rovereto 02.jpg
Antonio Francesco Davide Ambrogio Rosmini Serbati
 
 
I.
Stadio primo della questione Rosminiana.

Un gran fatto fu compiuto nel 14 decembre in Roma dalla Suprema Congregazione del Santo Uffizio: Alludiamo alla condanna di 40 proposizioni di Antonio Rosmini Serbati di Rovereto. Uomo celebrato per alta fama di acuto ingegno e dì pietà cristiana e fondatore di un ordine religioso che fu detto della Carità. I massoni menarono alto rumore nei loro giornali, quasi che avessero toccata una gravissima sconfitta, mentre l'Episcopato cattolico e il Clero cattolico, compresine quelli che erano stati seguaci del Roveretano, mostrarono di accogliere la condanna con quelle disposizioni d'animo che sono proprie dei cattolici e dei figli obbedienti del Papa, che è il maestro e capo di tutta la Chiesa. Nel precedente quaderno abbiamo recata la condanna e il testo delle 40 proposizioni. Ora conviene che ci fermiamo alquanto a discorrere storicamente sopra tal fatto.
Anzitutto è bene metterci innanzi e considerare quella parte del Decreto che precede l'elenco delle proposizioni condannate. Adoperiamo la versione da noi fatta e recata nel penultimo quaderno in cui si potrà leggere il testo latino.
« Dopo la morte di Antonio Rosmini Serbati uscirono alla luce, sotto il nome di lui, alcuni scritti, nei quali vengono più chiaramente svolti e spiegati parecchi capi di dottrina, i cui germi erano contenuti nei libri antecedenti di questo autore. Le quali cose mossero a fare studii più accurati non solo uomini prestanti nelle filosofiche e teologiche discipline, ma anche i sacri pastori della Chiesa. » In queste poche parole si accenna a due stadii della questione rosminiana. Il primo corre dalla pubblicazione delle opere del Rosmini fatta lui vivente, fino alla pubblicazione della Teosofia e delle altre opere postume: il secondo, da questa pubblicazione fino al decreto di condanna.
Nelle opere che appartengono al primo stadio si contenevano in germegli errori che poi si svolsero nelle opere postume. Per la qual cosa tutti gli errori che spettano all'ontologismo e potissimamente al panteismo, non erano esplicitamente esposti nelle prime opere. Laonde in queste il sistema filosofico del Rosmini non appariva ben chiaro.
Di vero non può negarsi che fin dal Gioberti, dall'Avogadro della Motta e da altri più vecchi impugnatori del Rosmini, si sospettavache il Rosmini fosse ontologo e il suo sistema menasse al panteismo, ma non veniva da filosofi con certezza giudicato così. Quindi possiamo dire in generale, che i filosofi cattolici, nei loro Corsiordinati all'insegnamento, non collocavano mai il Rosmini tra i panteisti, e quando trattavano della, così detta, origine delle idee, non annoveravano tra i seguaci dell'ontologismo il Rosmini, ma lo mettevano tra' seguaci del sistema delle idee innate, osservando che Kant e Cartesio ammettevano più forme od idee innate, e il Rosmini si contentava di una sola, cioè della idea dell'ente, ed affermava che da essa tutte le altre si potevano derivare. I due libridelle cinque piaghe della Chiesae della Costituzione furono proscritti, e la condanna della Congregazione dell'Indice diede occasione a ciò che ritrasse Pio IX dall'ornare il filosofo della porpora cardinalizia. Ma in questi libri proibiti non si trattava del sistema suo filosofico.
Tuttavia le ambiguità che stavano nelle sue opere, gli errori filosofici e teologici che erano in germe, e che si sospettavano gravi, sollevarono acerbe questioni. Lo stato in cui si ritrovavano gli studii filosofici di quei giorni, (ci si permetta di parlar francamente) non si porgeva a formar filosofi di gran valore, capaci di giudicare, con la dovuta sicurezza, le questioni filosofiche che trattava il Roveretano. Nelle scuole anche cattoliche v'erano tot capita quot sententiæ, e si propugnavano alcune teoriche, le quali mal si accordavano con certe verità cattoliche. Diamone un esempio. In certe scuole, trattandosi della unione dell'anima umana col corpo umano, si additavano tre sistemi nei quali dividevansi i filosofi contemporanei, cioè dell'armonia prestabilita, dell'influsso fisico e del l'occasionalismo, tutti e tre falsi; nè si diceva parola dell'unico vero, cioè dell'esser l'anima forma sostanziale del corpo, sicchè dell'una coll'altro risultasse una sola sostanza e natura compiuta e una sola persona o supposto, l'uomo. Eziandio nelle scuole cattoliche circa la origine delle idee, v'era una discrepanza infinita; e doveva essere tale, mercecchè ove è discrepanza nel concetto della natura dell'uomo, evvi di necessità discrepanza circa le facoltà che derivano dalla essenza, e discrepanza circa le operazioni che derivano dalle facoltà. Per non essere prolissi, basti notare che quando pochi sì ma valorosi ed instancabili uomini in Europa diedersi a ristorare la filosofia di San Tommaso, le più gagliarde e ostinate opposizioni vennero da filosofi cattolici e da professori di scuole cattoliche, e non da eterodossi che poco curavansi di qualsivoglia filosofia. E se Leone XIII non avesse pubblicata la Enciclica Aeterni Patrìs, che sola basta a immortalare il suo nome, le fatiche di que'valorosi, che dicevamo, sarebbero state sterili, o assai poco feconde.
Se cotesto era lo stato allora generale della filosofia nel primo stadio della questione rosminiana, non è punto a meravigliare che a que'giorni ci fossero dispareri grandissimi, e chi innalzasse al cielo il Rosmini e chi lo gittasse agli abissi. Gli uni avrebbero voluto le opere sue approvatedalla Chiesa, gli altri avrebbonle volute proibite: e questi e quelli, forse, con rettissima intenzione.
In tale tramestio di sentenze, la opposizione delle menti (cosa di per sè naturale) passò ad essere opposizione dei cuori.
Di regola ordinaria, come la Congregazione dell'Indice non condanna verun libro se non le è denunciato, così la Congregazione del Santo Ufficio non si fa, ad esaminare, per condannarla, una dottrina rea se non le è presentata come rea. La controversia sopra le opere del Rosmini fu devoluta alla Congregazione dell'Indice. Il Rosmini le era presentato qual reo. È chiaro che, se egli fosse stato con certezza dimostrato colpevole doveva condannarsi; se non fosse stato dimostrato colpevole dovea essere dimesso, cioè rilasciato libero. Mettiamo questi due soli membri, perchè la Congregazione dell'Indice non ha altro ufficio, di per sé, che di porre all'Indice le opere o di non porle, come il giudice non ha altro ufficio che di mettere o di non mettere in carcere chi è tradotto al suo tribunale. A cotesto tribunale dell'Indice non ispetta, per sè, definire che la dottrina di uno scrittore sia tutta vera o tutta buona, ma conosciuta con certezza la reità della dottrina stessa, deve dannare l'opera, non avuta certezza della stessa reità, deve dimettere l'opera. La sentenza di proibizione donec corrigatur si riduce al primo caso, cioè alla condanna. La predetta certezza per la condanna è necessaria, perché è canone di diritto, che nemo praesumitur reus nisi legitime probetur; ciò vale per qualsivoglia tribunale. Già si sa che i giudici delle Congregazioni non solo debbono avere sott'occhio le opere tradotte al loro tribunale; ma eziandio debbono studiarne il pro e il contra e quindi pesare le ragioni dei delatori e degli scrittori, i quali ragionarono sopra quell'opere.
Se non che nel primo stadio della questione rosminiana, essendo tale lo stato della filosofia, quale lo abbiamo sopra presentato, si poteva vaticinare agevolmente che tale sarebbe stata la sentenza della Congregazione dell'Indice, quale fu. Non si potè avere per dimostrato con certezza il panteismo del Rosmini nelle opere presentate: e quantunque non fosse sentenza di San Tommaso il darsi innata l'idea dell'ente e il derivarsi da essa tutte le idee (ammettendo allora generalmente i filosofi che tale idea rosminiana fosse come in soggetto nell'anima, quale sua modificazione, come consideravansi le idee innate di Cartesio e le forme di Kant), non ci era di che i giudici s'impensierissero tanto da venire ad una formale condanna di tutto il sistema filosofico o di tutte le opere del Rosmini. Imperocchè la Chiesa deve essere gelosa custode del deposito della fede, e se condanna filosofici errori, li condanna in quanto le è certo che contrastano coi dogmi di fede. Qualora questo contrasto non è evidentemente dimostrato, non viene a condanne. Gli altri errori poi che specialmente si attenevano alla morale e dei quali veniva accusato il Rosmini, o non erano assai gravi, o non erano dimostrati con vera certezza. Laonde le opere del Rosmini non furono allora messe all'Indice, ma furono dimesse.Dimittantur opera Antonii Rosmini.
Se non che tra i seguaci delle dottrine del Rosmini e i loro avversarii si sollevò una forte opposizione intorno al senso della parola dimittantur. Questi pretendevano che significasse soltanto non prohiberi; quelli che significasse che nulla vi poteva essere nelle opere dimesse contra fidem et mores, e perciò dicevano temerarii coloro che osavano intaccare le opere stesse di errori dogmatici o morali.
A sedare tale dissidio, la stessa Congregazione che diede fuora il dimittantur[1] la prima volta sotto Pio IX, definì poscia al 21 Giugno 1880 che ciò non significava altro che una non proibizione: «Sacra Indicis Congregatio declaravit quod formula dimittantur hoc tantum significat: Opus quod dimittitur non prohiberi.
Il dissidio non cessò, mercecchè i seguaci del Rosmini intesero quel non prohiberi così, che a cagione del loro merito certamente conosciuto, e della conosciuta loro ortodossianon potevansi proibire, e che quindi nulla in esse potevano i filosofi e teologi censurare filosoficamente o teologicamente. Per contrario i non seguaci del Rosmini non vedevano nel non prohiberi un non posse prohiberi pro merito, ma un semplice non essere proibite, e perciò potersene dai dotti esaminare e combattere tutte quelle dottrine che loro parevano non solo filosoficamente, ma ancora teologicamente degne di riprensione. Nella lotta, i seguaci del Rosmini aspramente trattavano gli avversarii, quasi questi dispregiassero non solo l'autorità del Rosmini, ma ancora disobbedissero alla sentenza di Pio IX e della Congregazione dell'Indice. Laonde di nuovo si fece ricorso a cotesta Congregazione proponendole i seguenti dubbii [2]:
1.° « Se i libri denunziati alla Sacra Congregazione dell'Indice e da questa dimessi, debbano ritenersi immuni da ogni errore contro la fede ed i costumi.
2.° E, nel caso negativo, se i libri dimessi, ossia non proibiti dalla Sacra Congregazione dell'Indice, possano, sia filosoficamente, sia teologicamente, essere impugnati senza incorrere la nota di temerità. » E la S. Congregazione il 5 Decembre del 1881 rispose al primo dubbio: Negative; ed al secondo:affirmative. `
Non intendiamo qui fare veruna polemica, nè biasimare le contrarie parti, parliamo storicamente e contentiamoci di avere veduto come e perché si progredì nel chiarire il significato della sentenza: DimittanturOpera Antonii Rosmini.

II.

Stadio secondo della questione Rosminiana.

Avvisiamo che la condanna delle dottrine rosminiane non sarebbe giammai o assai tardi avvenuta, se laTeosofia non fosse stata pubblicata. Il Rosmini non volle pubblicarla perché non ancora finita; ma i suoi seguaci la pubblicarono parte a Torino, parte ad Intra. Giuseppe Buroni, sacerdote della Missione, fu il primo a divulgarne francamente le dottrine, con un libro da lui dato alla luce, col titolo di Nozioni di Ontologia del M. R. G. Buroni P. d. M. Questi fu la vera cagione per cui la controversia cangiò di aspetto. Imperocché tosto dopo cotesta pubblicazione del Buroni, nella Scienza Italiana, (Bologna, 1878, fascicolo di febbraio) fu scritto contro leNozioni di Ontologia del Buroni. Il titolo era questo: Il Panteismo Ontologico e le Nozioni di Ontologia del M. R. G. Buroni, e tale scritto fu subito estratto dal Periodico e divulgato a guisa di Opuscolo. In esso l'Autore si studiava di dimostrare che la dottrina esposta dal Buroni altro non era che Ontologismo e Panteismo (di qua la ragione del titolo Panteismo Ontologico). Ma il Buroni non altro faceva nelle sue Nozioni che esporre ciò che si diceva nella Teosofia, per lo che cotesto Opuscolo combatteva non altro che la Teosofia del Rosmini. In que' giorni i più forti filosofi non aveano ancora avuta contezza veruna della Teosofia, e diedersi parecchi a procacciarsela e a meditarla.
Intanto il Buroni, di penna scorrevole e sofista quant'altri mai, satirico pungentissimo, rispose all'Autore dell'Opuscolo predetto, difendendo il Rosmini con una serie di libri e di articoli che pubblicavansi nella Sapienza, la quale stampavasi in Torino a servizio della causa rosminiana. La.lotta s'ingaggiò e divenne sempre più forte, col crescere il numero dei combattenti.
Tre giorni dopo la celebre risposta della Congregazione ai due dubbii sopra riferiti, datasi nel Decembre 1881, nel giorno dell'Immacolata, cioè all'8 dello stesso mese, si pubblicò in Roma, coll'approvazione del Maestro del sacro palazzo, un'opera che nel suo stesso titolo esprimeva l'indole teologicamente rea del sistema rosminiano, dicendosi il Rosminianismo sintesi del Panteismo e dell'Ontologismo. Non s'impugnò più il Rosminianismo, come fosse un sistema fondato sopra un'idea innata dell'ente, ma dall'una parte si combatteva nel Rosmini l'Ontologismo e il Panteismo e una moltitudine di errori che vi si connettono, dall'altra con ardore, degno di miglior causa, si voleva difendere il Roveretano dalle gravi accuse. Di tanto incendio, ripetiamo, fu causa la scintilla gittatavi dal Buroni colle sue Nozioni di Ontologia! Nello scrivere si passò la temperanza dei modi; disgraziatamente i liberali e i massoni si gittarono alla difesa dei rosminiani e ne peggiorarono la causa. Ridotta la battaglia a tali condizioni, la Sede Apostolica non poteva stare indifferente e decise di terminare con sua propria sentenza la lunga controversia. Perciò Leone XIII inviò una lettera ai tre Arcivescovi di Milano, di Torino e di Vercelli, colla quale indisse silenzio ai fogli giornalieri, il vezzo dei quali è spesso trattare le questioni con più calore che profondità; di più, promise che la Sede Apostolica prenderebbe essa, siccome suole, la disamina della questione Rosminiana; e finalmente che qualunque fosse per essere il giudizio della Sede Apostolica, nulla verrebbe, per sé, di danno allo Istituto della Carità fondato dal Rosmini. Ecco la lettera dì Papa Leone [3]:
Lettera del Santissimo Nostro Signore Leone per Divina Provvidenza Papa XIII ai Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi delle Province Ecclesiastiche di Milano, Torino e Vercelli.

Venerabili Fratelli salute e apostolica benedizione.
« Ci è nota la Vostra saviezza e lo zelo che ponete in ogni opera di ministero, non che il particolare ossequio verso questa Sede Apostolica, del quale anche nel passato anno, come sovente in altre occasioni, e in persona e con lettere piene di affetto, Ci deste nuove testimonianze. Ed è gran conforto per Noi, che le Vostre episcopali fatiche rendano, coll'aiuto di Dio, copiosi frutti. Laonde siamo ben lieti di porgerne pubblicamente a ciascuno di Voi le Nostre gratulazioni e i meritati encomii.
Se non che in coteste medesime provincie, Venerabili Fratelli; v'ha pur qualche cosa che non lascia di tenerci in pensiero. Imperocchè vi si scorgono qua e colà germi di dispareri, che potrebbero per avventura riuscire funesti, quando non venissero spenti a tempo. Ci piace adunque, che pigliate a considerarli attentamente e indirizziate la prudente opera Vostra a far sì che tolta di mezzo qualsiasi causa di dissidio, rimanga salda la concordia delle menti e de' cuori, la quale come in ogni umano consorzio, così in particolar modo nella Chiesa è sommo e poderoso vincolo d'incolumità. Ora tale concordia di animi corre pericolo, per fatto degli opposti partiti, che tolgono materia di contrasti da una delle effemeridi di Lombardia o dalla dottrina di un chiaro filosofo, assai rinomato fra i moderni.
« In ordine alla prima cagione, in coteste Vostre provincie non mancano giornali, che sostengono i principii del vero e del giusto, e valorosamente difendono le sacrosante ragioni della Chiesa, la maestà della Santa Sede e del Romano Pontefice. Siffatti son ben meritevoli di maggiori incoraggiamenti; e vuolsi fare il possibile perchè tali scrittori non solamente abbiano appoggio e favore, ma trovino altresì da per tutto molti della stessa loro tempra, che tengano fronte ai giornalieri assalti dei malvagi, e mercè il patrocinio dell'onestà e della religione, si sforzino di riparare alla impunita sfrenatezza di tanta parte della stampa. Di che più di una volta Ci accadde di approvare il loro buon volere, e di esortarli calorosamente di continuare a sostener cogli scritti la verità e la giustizia, non lasciandosi mai in verun conto distogliere dall'impresa.
« Ma una causa di tanto rilievo e così nobile vuol esser difesa in modo egualmente nobile e degno, di là dal quale non conviene trascorrere. Certo, in quei che tutto il giorno propugnano con la penna la causa della Chiesa Cattolica, è bello il franco e intrepido amore della verità; ma è pur mestieri che essi medesimi si guardino da qualunque cosa possa ragionevolmente spiacere ad uomo onesto, e non si scordino giammai della moderazione, che deve andar compagna a tutte le virtù. Al qual proposito nessun uomo savio vorrà approvare o la soverchia veemenza dello stile, o il muovere con troppa leggerezza sospetti a carico altrui, od altro che si allontani dalla giusta riverenza e dai riguardi dovuti alle persone.
« Ma innanzi tutto la stampa cattolica abbia come sacrosanto il nome dei Vescovi, i quali, posti in alto, come sono, negli ordini gerarchici, vanno rispettati in ragione del grado loro. E in ordine alle risoluzioni prese dai sacri pastori in virtù del proprio ministero, non si creda esser lecito alle persone private farsene giudici, dal che nascerebbero senza dubbio gravi disordini e confusione insopportabile. E cotesto rispetto, doveroso in ognuno, deve essere nella stampa cattolica, meglio che in altri, visibilmente scolpito ed esemplare. Imperocchè i giornali, fatti appunto per essere largamente diffusi, corrono ogni giorno per le mani di tutti, e non è piccola l'influenza ch'essi hanno sulle opinioni e sui costumi delle moltitudini.
« Quanto all'altro capo, Noi abbiamo già dichiarato da qual modello vogliamo che ritraggano le filosofiche discipline. Nella Nostra Enciclica del dì 4 Agosto 1879 a tutti i Vescovi cattolici, è detto apertamente, esser Nostro vivo desiderio, che la gioventù studiosa venga addottrinata alla scuola di San Tommaso d'Aquino, la quale ebbe sempre maravigliosa efficacia nel formare a sapienza gli umani ingegni, ed è sommamente atta a confutare quelle ree dottrine, dietro le quali vanno già traviati tanti e tanti con grandissimo rischio della propria salute e danno della società. Questo tenore della Nostra Enciclica poteva di leggieri mantener concordi gli animi di tutti, esclusa una troppo sottile interpretazione, e mantenuta la debita moderazione in quei punti, intorno a .cui, per la brama d'indagare la verità, sogliono dall'una e dall'altra parte disputare gli eruditi, senza pregiudizio della fede e carità cristiana.
« Ma dacché vediamo non senza pena dell'animo Nostro, che le parti si sono nel discutere accalorate più che non convenga, ragione di pubblico interesse vuole che si temperi siffatto ardore di animi. Laonde, siccome in cose, che si vanno scrivendo giorno per giorno, manca per lo più e profondità di riflessione e tranquilla serenità di giudizio, è a desiderare che gli scrittori di giornali cattolici quotidiani si rimangano dal trattare simili questioni. Intanto la Santa Sede sollecita sempre per debito di officio, delle cose di maggior gravità, specialmente se riguardano l'integrità delle dottrine, non omette di rivolgere alle ridestate e inasprite controversie le vigilanti e provvide sue cure, e ciò con quella maturità di giudizio, nella quale è ben giusto che ogni cattolico pienamente si affidi.
« Ma non vogliamo con questo che abbia a patir detrimento il religioso sodalizio della Carità: il quale come per lo innanzi spese utilmente le sue fatiche a benefizio del prossimo, secondo lo spirito dell'Istituto, così é desiderabile che fiorisca in avvenire, e prosegua a rendere ognora più abbondanti frutti.
« Intanto è compito Vostro, Venerabili fratelli, veder modo di dare effetto a queste nostre intenzioni, e non omettere cosa che valga ad avvalorare la concordia. La quale, come ben comprendete, è tanto maggiormente necessaria, quanto più numerosi e più fieri sono i nemici, che incalzano la Chiesa Cattolica, contro i quali fa bisogno mettere in opera tutte le forze, e queste non affievolite dalla discordia, ma ingagliardite dall'unione.
« Confidando adunque moltissimo nella prudenza, virtù e autorità Vostra, a Voi tutti, Venerabili Fratelli, ed ai fedeli al Vostro zelo affidati, auspice dei doni celesti e come pegno della Nostra particolare benevolenza, impartiamo di tutto cuore l'Apostolica Benedizione.
« Dato a Roma presso S. Pietro il dì 25 gennaio 1882. Anno quarto del nostro Pontificato.
LEONE PP. XIII. »

Com'erano in dovere di fare, le Effemeridi quotidiane lasciarono di trattare la controversia rosminiana, ma la continuarono i gravi periodici e gli scrittori dell'una e dell'altra parte; e così somministravasi a quelli ch'erano designati dalla Sede Apostolica ad esaminare la questione, le convenienti ragioni in pro e in contra.
Comechè abbiamo fatto già proposito di non far qui veruna polemica, né mostrarci punto avversi a quelli coi quali abbiamo dovuto più fiate disputare, perché dopo la decisione della Sede Apostolica gli crediamo con noi uniti fraternamente nella stessa dottrina (e ciò dichiararono parecchi pubblicamente con belle sottomissioni al Papa), tuttavia non possiamo non avvertire un fatto che, a nostro credere, fu causa potissima, che la Sede Apostolica sollecitasse la decisione della controversia. Questo fatto si è il non attendere che fecero i seguaci del Rosmini alla decisione intorno al valore del dimittantur presa dalla Congregazione dell'Indice nel di 5 decembre 1881. Come sopra abbiamo detto, qui si definiva che i libri dimessi potevano avere errori in fide et moribus e che, senza taccia dì temerità, poteano questi errori esser notati e impugnati dai dotti, o si trattasse di errori teologici o di filosofici. Per contrario si continuò a dare al dimittanturuna significazione che non aveva, e a bistrattare con acerbezza soverchia quelli che giudicavano essere reo il sistema rosminiano e in opposizione a quello dell'Aquinate.
Però il prudentissimo Papa Leone, nella discussione di sì alta controversia, volle che si adoperasse tanta diligenza e tanto studio, quanta se ne adoperò, a costo ancora che s'impiegassero anni parecchi. Tutto ciò è accennato nelle seguenti parole che seguono le altre in principio di questo articolo, citate e tolte dal Decreto di condanna.
« Questi (cioè uomini prestanti nella filosofia e nella teologia, ed ancora sacri pastori) estrassero dai libri di lui, specialmente postumi, non poche proposizioni, le quali non sembravano conformi alla verità cattolica, e le sottoposero al giudizio della Santa Sede. Quindi il SSmo S. N. Leone per divina provvidenza Papa XIII, a cui sopra tutto è a cuore che il deposito della dottrina cattolica si conservi immune e puro da errori, diè incarico di esaminare le denunziate proposizioni al Sacro Consiglio degli Emi. Cardinali, Inquisitori Generali in tutta la repubblica Cristiana.
« Pertanto, com'è costume della Suprema Congregazione, impreso un esame diligentissimo, e fatto il confronto di quelle proposizioni, con le altre dottrine dell'autore, massimamente secondo che risultano chiare dai libri postumi; giudicò doversi riprovare, condannare, nel proprio senso dell'autore, come di fatto con questo generale Decreto riprova, condanna e proscrive le seguenti proposizioni: senza che, per questo, sia lecito a chicchessia di inferire, che le altre dottrine del medesimo autore, che non vengono condannate con questo decreto, sìeno per veruna guisa approvate.
« Fatta dipoi di tutto ciò accurata relazione A1 S.Smo S. N. Leone XIII, la S. S. approvò, confermò il Decreto degli Emi Padri, ed ingiunse che fosse da tutti osservato. »
Ecco il processo di questo altissimo giudizio della Sede Apostolica. Ogni parola delle citate merita speciale considerazione.
1.° Questi prestanti filosofi e teologi. Adunque la sacra Congregazione afferma che uomini eruditi e valorosi nella scienza intorno alle dottrine sopra le quali cadeva la controversia fecero accurati studii: e certamente furono accurati per profondità e per continuità di lavoro. Non accade nominare veruno: sono noti.
2.° Anche i sacri pastori della Chiesa. Ai primi si aggiunsero eziandio i Vescovi, ai quali deve stare sommamente a cuore la purità della fede e dei costumi del proprio gregge. Anche questi studiarono la questione.
3.° Non poche proposizioni... Ecco il frutto di tanto studio fatto precipuamente (non esclusivamente) sulle opere postume del Rosmini. Questi uomini prestanti e questi Vescovi vi trovarono dottrine che essi giudicavano ree.
4.° Cotesti colsero dalle opere del Rosmini, specialmente dalla Teosofia, molte proposizioni e le sottomisero al giudizio supremo della Santa Sede. Si osservi bene questo punto, non presentarono le molte proposizioni immediatamente al giudizio della Congregazione, ma a quello del Papa.
5.° Il Papa poi Leone XIII, del quale massimo ufficio è far sì che nella Chiesa si conservi intemerato il tesoro della cattolica dottrina, le proposizioni a sè presentate diede ad esaminare ai Cardinali che formano quel Consiglio che si dice della Suprema Inquisizione Romana.
6.° Questo supremo Consiglio afferma che ne ha fatto diligentissimo esame, ed ha studiato la portata delle predette proposizioni, considerando anche le opere uscite alla luce durante la vita dell'autore, ma potissimamente le postume.
7.° Il medesimo consiglio afferma che conobbe il senso in cui il Rosmini adoperò le predette proposizioni, e giudicò che esse si dovevano riprovare, condannare e proscrivere in questo stesso senso adoperato dall'autore; e in questo senso le riprova, le condanna e le proscrive, propositiones quae sequuntur, in proprio auctoris sensu reprobandas, damnandas, ac proscribendas esse iudicavit, prout hoc generali decreto reprobat, damnat, proscribit.
8°. Protesta finalmente il Consiglio dei Cardinali inquisitori che in virtù della condanna di esse proposizioni nessuno deve credersi lecito lo affermare essere approvate le altre dottrine del Rosmini, le quali nelle medesime proposizioni non sono contenute.
9°. Compiuta l'opera del supremo Consiglio dei Cardinali, questo Consiglio fece al Papa Leone XIII accurata relazione del fatto, e Papa Leone XIII approvò e con la Sua Apostolica Autorità confermò il Decreto di condanna e comandò che da tutti venisse osservato.
Ora ben si vede da ognuno l'altissima prudenza adoperata in questa grave questione dalla Sede Apostolica. Molti tra cattolici dicono: e come mai la Santa Sede potè permettere che si lasciasse correre, colla stampa, propugnar dalle cattedre un sistema di filosofia che è ora giudicato meritevole di condanna, e con esso tanti errori sesquipedali quanti sono quelli che nelle opere del Rosmini si ritrovano? Ma la Santa Sede superiore a tutto il gridio del volgo per tanti anni si astenne dal condannare ciò che non era ancoraevidentemente dimostrato contrario a quella fede di cui essa è gelosissima custode. Quando venne a temersi per la stessa fede, allora chiamò uomini, che essa stessa credeva acconci all'uopo, dotti insieme e fedeli, per anni parecchi fece studiare ed esaminare la controversia con una rettitudine, pari alla quale non v'è in alcun tribunale civile; finalmente, non tratta da influenza di veruno, ma tratta soltanto dalla giustizia e dalla verità, proferì la sua sentenza di condanna.

III.

Dopo la condanna.

In sul principio di quest'anno 1888 la questione Rosminiana pareva dimenticata. Quelli che combatterono le dottrine rosminiane stavano in silenzio, e forti delle dimostrazioni già fatte dicevano, che nel campo della scienza la questione era ogni finita. Morta la Sapienza, periodico dei rosminiani in Torino, si studiò farla rivivere dalle sue ceneri il Rosmini di Milano, ma la vita di questo nuovo periodico non pareva vita: pochi ne sapevano la esistenza, gli avversarii del Rosmini non lo curavano. Agli occhi di quelli che poco riflettono, pareva sonno o pace, quand'ecco scoppiare improvviso, e come si disse, quasi fulmine a ciel sereno, il Decreto della Sacra Inquisizione. Ma Leone XIII aveva promesso ai Vescovi dei tre Arcivescovati, che al proprio esame avrebbe richiamata la questione, e promessa di Papa Leone, in cosa che si attiene all'altissimo suo ufficio di Supremo Pastore, non può esser fatta ludibrio del vento. Promise di dare l'ultima sentenza e l'ha data: il ritardo ne dimostrò la rilevanza e la necessità degli studii e dei consigli preparatorii e la posatezza con cui suol procedere la Santa Sede.
Nella Chiesa di Dio, base della quale è la fede e l'obbedienza al Vicario di Gesù Cristo, quando Roma loquuta est, causa finita est.
Gli avversarii diventano amici, giacché Roma unisce non divide. Il Decreto da tutta la Cristianità fu accolto, come doveva essere accolto o con piena sommessione o eziandio con gaudio. Coloro che per sacro dovere di vocazione debbono adoperare la loro dottrina per la Chiesa combattendo gli errori, che come zizania vengono seminati nel campo fecondo di lei, godettero certamente di posare alquanto da un dovere faticoso e spesso pieno di amarezze. Coloro, che in buona fede professarono le dottrine dannate, godettero anch'essi nel sacrificare a Dio il proprio giudizio e nell'essere tratti fuora da un periglioso sentiero, in cui senz'addarsene erano entrati. E' vittoria del vinto, quando si lascia vincere dalla verità. Ci si aprì il cuore a grande consolazione nel vedere la sottomissione al Vicario di Gesù Cristo di quelli che ci combatterono a lungo.
Fin qui siamo tra fratelli. Ma ecco che una schiera di settarii presero in questa condanna la palla al balzo per iscagliarsi come vipere contro la Sede Apostolica, e nei loro giornali passarono dalle ingiurie e villanie alle più sozze bestemmie. Nulla di serio, di prudente, di civile, di giusto e di saggio. Che importa loro la dottrina del Rosmini, cui non solo non pregiano, ma nemmeno conoscono? E per operare costoro a sicurtà, si danno a fingere di mirare non al Papa come a bersaglio delle loro penne, ma ad altri e specialmente alla Compagnia di Gesù, quasi che anche i gonzi non sapessero che, nelle battaglie, si combattono i fantaccini non per odio che si ha contro loro ma per odio che si ha al loro duce e sovrano, la cui causa i fantaccini difendono. Non nomineremo nè i codardi aggressori, nè ci occuperemo degli aggrediti, e solo avviseremo a qualche dardo lanciato, perchè i lettori si facciano ragione della ignoranza e del basso e vile procedere degli avversarii della Chiesa.
Anzi tutto fanno gran fracasso perchè si è scritto da un pezzo contro gli errori reietti, e perchè la Sede Apostolica con tale condanna mostra di accettare le critiche fatte già prima. Che meraviglia di ciò? Doveva essere proprio così, se le critiche erano giuste, e se le proposizioni combattute erano fedelmente citate. Torna qui al proposito recare un tratto di una recente circolare con la quale Mons. Scalabrini comunica al clero e popolo della sua diocesi di Piacenza il Decreto e tutti esorta alla sommessione. «Ultro concedimus scriptores quosdam iudicio suo Ecclesiae damnationi quodammodo praeivisse, pericula doctrinae damnatae praenuntiasse; sed in hoc quid mirum? Numquid non videmus quid simile contingere in iis etiam, quae spectant dogmaticas definitiones? Deus aliquando veritatem abscondit sapientibus et prudentibus, parvulis autem revelat. Quisquis hac in re scandalum patitur, spiritum Christi induat, et cum ipso exclamet: Ita, Pater, quoniam sic fuit placitum ante te. Quam ob rem nemo etiam turbari debet vel offendi, si forte verba Decreti ex alicuius scriptoris opere mutuata videantur. Hac enim in re tantum spectanda est auctoritas, quae veritatem nobis proponit ac singulos docet. »
Il Popolo Romano giornale che si mostrò generalmente in questi ultimi tempi più temperato degli altri fogli liberali, accolse nelle sue colonne un articolo quanto virulento, altrettanto folle. Le fiabe che in esso si dicono sono proprio da narrare a' bimbi, le sentenze che pronunzia sono a dirittura senza senno. La Compagnia di Gesù, si dice: « una compagnia che avida di lucri sterminati e disponendo di relazioni mondiali, sola potea preparare ed allestire la esposizione del giubileo, che ora é aperta al Vaticano: » e si afferma che di fatto la preparò ed allestì, per circondare di gloria il Papato e cosi solleticare l'orgoglio del Pontefice e trarlo ad approvare il Decreto. « La esposizione è il trionfo della influenza dei gesuiti nel mondo a prestigio e profitto del Papato. E i gesuiti ne furono ricompensati col Decreto contro Rosmini. » Ben possiamo pensare quali siano i biechi fini che si propongono costoro, i quali danno una favolosa potenza e ricchezza ai gesuiti, ma il proferire tali sciocchezze è più da ottentoti che da italiani, più da tempi barbari che da secolo incivilito. È vero chestultorum infinitus est numerus, cioè che i bacelloni i quali vogliono essere menati pel naso, sono molti; ma i giornali che hanno fior di pudore non devono buttar fuori simili insensataaCrini.
Una sentenza poi nello stesso articolo è proferita contro Leone XIII, sopra la quale si può fare questo dilemma: o è scritta da un ignorante dei fatti e dell'ufficio del Pontefice, o è dettata da cieco odio e in vituperevolissima mala fede. Eccola: « Ora Leone XIII dopo 10 anni di Pontificato le dichiara (le proposizioni) eretiche. È impossibile dopo questo non riflettere alla contradizione di due infallibili. » Quindi dichiarasi che nell'episcopato tedesco v'è un movimento gravissimo contro Leone Papa e tale da rendere necessaria una decisione che il Papa presente sia deposto. Può darsi stupidita maggiore?
Se il lettore richiami a memoria le tre spiegazioni successivamente date dalla Congregazione dell'Indice sopra la parola dimittanturproferita sotto Pio IX, con tutta evidenza vede che sotto Pio IX si definì che nelle opere anche dimesse del Rosmini ci potevano essere proposizioni condannabili, perché contrarie a fede e a costumi, e che sotto Leone XIII si definì che ci erano di fatto. Quale contradizione v'è se altri dice può piovere e poscia dice piove di fatto? L'esistenza d'una cosa non si oppone alla sua possibilità, ma l'inchiude. E sappia l'articolista che se Leone XIII ritardò per anni parecchi a proferire la dannazione delle proposizioni, non n'ebbe altro motivo fuori di quella prudenza infinita che sempre adopera la Sede Apostolica nel profferire gravi sentenze, che hanno rispetto alla fede ed alla morale.
Il chiamare poi in iscena l'Episcopato Tedesco è un volere gabbare gl'ignoranti con una ingiuriosa calunnia. Già sapevamo che l'Episcopato Tedesco è unitissimo al Papa, e non ci cadde nemmeno in mente il sospetto che la rea accusa avesse verun fondamento. Tuttavia abbiamo ricevuta dalla Germania e dall'eccellentissimo Vescovo di Ratisbona copia di una sua lettera, che dopo aver letto l'articolo del Popolo Romano (come ci ha scritto) egli inviò ad un eminentissimo porporato che sta qui in Roma. La calunnia del Popolo Romano è compiutamente smentita. Crediamo avere piena facoltà di pubblicare questa lettera nella lingua in cui fu scritta.
« Eminentissime ac Reverendissime Domine.
« Permittat Eminentia tua Rvma me ad rem nuper a S. Officio discussam et decisam pauca proferre.
« Pervenit enim ad me folium italico idiomate conscriptum et die 31.° Martii a. c. in Urbe evulgatum, quod audeat blaterare: per Decretum diei 14 Decembris a. 1887, quo damnantur et proscribuntur plures propositiones ex operibus sub nomine Antonii Rosmini Serbati editis desumptae, magnam in Alemania seu Germania excitatam fuisse neque gratam commotionem tum apud laicos tum apud catholicum clerum; extare litteras de hac re conscriptas a viris catholicis qui vel auctoritate in educando et dirigendo clero vel nomine in theologicis studiis et scientiis praestent; porro conqueri plurimos in Germania viros, quod in re eadem duo Pontifices Summi infallibiles in rebus fidei et morum tantopere dissenserint et contraria decreverint; imo inter ipsos Sacrorum Antistites per Germaniam oppositionem quamdam contra praefatum Decretum et SS. Dominum Nostrum Leonem XIII commoveri.
« Equidem haud magni facere soleo quae gravibus verbis in folio satis noto adversus legitimam vel summam in Ecclesia auctoritatem publicantur; sed calumnia, quae, in praetensis epistolis, viris catholicis, imo sacerdotibus et theologis atque ipsis episcopis Germaniae infertur, maior est, quam ut ferri silentio queat.
« Proferat folium istud, Populi Romani titulo glorians, saltem unam talem epistolam e Germania acceptam addito auctoris nomine et domicilio!
« Vix dubium, quin catholici nominis inimici et Apostolicae Sedis osores etiam propositiones Rosminii damnatas suo favore prosequantur, licet ipsi vix unum alterumve dogma fidei christianae admittere videantur.
« At catholici in Germania viri, sacerdotes et Episcopi tantum abest ut de damnatione errorum Ontologismi conquerantur, ut potius gaudeant, plena subiectione consentiant gratiasque sincere agant, quod Apostolica Sedes, in tanta colluvie errorum praesentis aevi, claro et supremo iudicio proscripserit quadraginta propositiones, quae, licet sint contentae in operibus catholici viri, cum catholica veritate pugnant neque unquam approbatae sunt, quamvis libri eas continentes quavis de causa dimissi prius fuerint declarati.
« Eminentiam tuam Revmam enixe rogo, ut hanc meam Epistolam tamquam verum e Germania testimonium benigne excipere et si opportunum videatur, SSmo Domino Nostro Leoni in signum filialis obedientiae et plenae adhaesionis exhibere velit.
« Interim sacram purpuram osculans sincera aestimatione et obsequio permaneo
« Eminentiae Tuae Rvmae
« Ratisbonae die 6 Aprilis 1888.
(Sign.) Addictissimus Servus
† IGNATIUS Epps Ratisbonensis. »

Il Popolo Romano o, meglio, colui che scrisse quell'impudentissimo articolo è oggimai servito di barba e di parrucca,
Non gittiamo il tempo, nè lordiamo le nostre pagine nel riferire tutte le ingiurie, tutte le bestemmie, tutti gli strafalcioni scritti dai settarii in moltissimi altri giornali, contro il Papa, contro la Sede Apostolica, contro il clero devoto al S. Padre. Mettiam fine al presente articolo tirando da tutti questi ululati di lupi arrabbiati, alcune conclusioni.
1. Dalle loro proposte evidentemente si deduce che essi vorrebbono approvata nella Chiesa quella libertà di pensiero che vogliono idolatrata in questi giorni nel frate apostata Giordano Bruno. Ora, fondamento della Chiesa è l'immutabilità della fede; quindi, volendo cotesta libertà, vogliono la distruzione della Chiesa.
2. Affermano altri che la Sede Apostolica non ha diritto dì condannare veruna proposizione, se non ne dimostra filosoficamente la reità. Ciò è contrario alla essenza della Chiesa, la quale deve proporre la fede e procedere per via di comando;qui crediderit salvus erit, qui non crediderit condemnabitur. Perciò costoro vogliono cangiata la Chiesa in una scuola filosofica; e così vogliono distruggerla.
3. Quasi tutti cotesti scribacchiatori che per quattro giorni si sono messa la maschera di filosofi e di teologi, senza che abbiano studiate le opere del Rosmini nè compreso un iota, di vera filosofia, si fanno giudici del Papa e vogliono sottomettere il giudizio del Vicario di Gesù Cristo alla così detta pubblica opinione, promossa artificialmente da un pugno di frammassoni ed increduli. Se ciò si facesse, scrollerebbesi e rovinerebbe la Chiesa. Per la qual cosa tendono anch'essi alla distruzione della medesima.
4. Costoro colle contumelie, colle ingiurie, colle minacce, colle sordide calunnie ricusano di concedere a quegli scrittori, che combattono per la fede e per la Sede Apostolica, quella libertà di stampa che vogliono intatta pei liberi pensatori. Un giornale di Roma dice: « Condannare la verità e proteggere l'errore, aggredire le opinioni degli altri ed imporne le proprie, biasimare la morale severa ed incoraggiare il rilassamento ascetico dei costumi, non è forse da secoli il programma del Vaticano? La pornografia individuale è colpita con giustissima severità. Ma l'eccitamento alla corruzione diventa cosa rispettabile e santa se viene esercitata per conto del Vaticano. Nulla di più scandaloso e di più turpe, per esempio, della pretesa divozione al Sacro cuore di Gesù. Genitori prudenti e costumati si guarderebbero bene dal lasciar cadere nelle mani delle loro figliuole le aberrazioni pornografiche di Maria Alacoque, l'allucinata, di cui i gesuiti si servirono per creare il culto del Sacro cuore. Oggi il Vaticano diseppellisce la pornografia e l'incoraggia. » Quindi eccita il Governo a sopprimere i tribunali ecclesiastici, a torre ogni libertà alla Chiesa e chiude dicendo: « Gli stolti sono i ministri che rispettano questa libertà. » E' chiaro che da costoro in Roma stessa si vuol distrutta la Chiesa e incatenato il Papa. Il Governo vede, ode e tace e lascia che in Roma venga così bistrattata la religione dello Stato e si ecciti l'odio contro i cattolici. E poi si faranno le meraviglie se il Papa si lamenta della condizione a cui è ridotto, se afferma che la Chiesa in Roma stessa è vituperata e priva di quella libertà che di natura sua le compete.
Coteste ire furibonde mostrano che Leone XIII condannando le 40 proposizioni ha messo il piede sulla testa dell'idra, e oggimai ogni uomo che non abbia perduto il senso comune, veggendo dall'un de' lati chi sono quelli che si adirano contro il Papa per la condanna delle medesime, e dall'altro quelli che stanno col Papa, non può dubitare sul partito da prendere. Il Bonghi nel suo giornale, od almeno il giornale che si dice del Bonghi, vogliam dire laPerseveranza (Mercoledí 4 Aprile 1888) nel tempo stesso che adopera arti non rette per accattar odio a' gesuiti, fa loro il più alto elogio che si possa e di cui solo essi si pregiano, affermando che i gesuiti stanno col Papa e con Gesù e che le due schiere combattentisi sono i gesuiti col Papa e i framassoni. Ciò serva a consolazione di quelli che per dispregio vengono detti gesuiti, e a rimprovero di quelli che per fuggire tal nome, che da.' settarii è dato a tutti i seguaci di Gesù Cristo, abbandonano il sentiero della virtù e si cessano dalla sequela del Redentore. Terminiamo riportando alcune parole del detto articolo: E questo fia suggel ch'ogni uomo sganni.
« Par destinato che Gesuiti e Massoni si dividano il campo della società umana; e, a chi non voglia essere con gli uni né cogli altri, a chi sdegni di farsi complice degli uni o degli altri, non resti che piegarsi le braccia e guardar la battaglia.... La società italiana si trova tra Papi e Gesuiti da una parte, e Presidenti del Consiglio massoni dall'altra. Essa stessa non è nè gesuitica, nè massonica; ma le due sette la irretiscono e la stringono. Questo duplice abbraccio la rende cosi moralmente e intellettualmente e politicamente infeconda e sterile com'è. Chi la svincola dalle braccia delle due meretrici, che l'affaticano? Quello sarebbe il benedetto dalle genti. Ma dov'é egli? Nessuno l'aspetta e lo prevede. Intanto tutto piega; tutti agli uni o agli altri humiliter se subiecerunt. E chi non s'assoggetta, gli è riso, come a uom semplice, sul viso, o è lasciato da parte, come inutile. E i settarii passano contenti e trionfanti. » Bravo davvero il sig. Bonghi ! Chi vuol vedere meglio espresso questo pensiero faccia un pò gli esercizii spirituali di S. Ignazio, e profondamente s'interni nella meditazione di due stendardi; quello di Gesù dall'un lato, e quello di Lucifero dall'altro. La battaglia dura da secoli con armi ed arte opposte. Siamo certi che chi va con quello avrà la vita eterna, chi con questo la morte. La Chiesa senza dubbio vincerà: Portae inferi non prævalebunt. Lucifero con tutti i massoni e tutti i governi che vogliono distrutta la Chiesa saranno sconfitti, e la Chiesa avrà certa e, speriamo, non lontana vittoria. Dio le ha dato un vessillo, su cui sta scritto: In hoc signo vinces; ed ora questo vessillo è portato in alto coraggiosamente dall'immortale Leone XIII.
 
 

NOTE:

[1] Giova qui alla chiarezza mettere una dopo l'altra le date significazioni del dimittantur, sebbene le ultime appartengano al secondo stadio.
[2] I. Utrum libri ad Sacram Indicis Congregationem delati et ab eadem dimissi seu non prohibiti, censeri debeant immuines ab omni errore contra fidem et mores.
II. Et quatenus negative, utrum libri dimissi seu non prohibiti a Sacra Indicis Congregatione, possint tum philosophice tum theologice citra temeritatis notam impugnari.
Eadem Sacra Congregatio respondit:
Ad primum: Negative.
Ad secundum: Affirmative.
[3] L'abbiamo portata al suo proprio luogo (Serie XI. Volume IX, pag. 385) anche nel testo latino.