mercoledì 12 settembre 2012

Juan Vázquez de Mella y Fanjul : la tradizione in azione

Juan Vázquez de Mella
Juan Vázquez de Mella y Fanjul (Cangas de Onís, 8 Giugo 1861Madrid, 26 Febbrai 1928, Madrid)
 


Juan Vázquez de Mella y Fanjul nasce a Cangas de Onis (Asturias) l'8 luglio 1861, da un padre progressista — anche se non repubblicano — e da una madre virtuosa. Rimasto presto orfano di padre, si trasferisce a Santiago di Compostela, dove frequenta la locale Università — si laureerà in Giurisprudenza — e soprattutto la biblioteca della stessa e quella del seminario.

Inizia la vita pubblica affiliandosi al partito carlista, il movimento politico tradizionalista che sostiene il pretendente al trono Don Carlos VII (1848-1909), ormai ridotto allo stremo dal disastroso esito della Terza Guerra Carlista (1872-1876). I suoi primi scritti politici appaiono nel 1887 sul periodico El Pensamiento Galaico di Santiago de Compostela, che passa presto a dirigere e col quale terminerà la collaborazione nel 1890. Il successo del periodico è tale che Mella viene notato ed introdotto nell'ambiente della Corte dissidente. Così, a soli 29 anni, Vázquez de Mella passa così alla redazione de El Correo Español, a Madrid — organo ufficiale della Comunione Tradizionalista Carlista — del quale pure diverrà direttore. Qualche mese dopo viene eletto deputato alle Cortes per la Navarra e, da allora, sviluppa un'intensa attività parlamentare, mettendosi in luce la profondità del pensiero e per le incredibili doti oratorie: in occasione di una campagna contro i liberali pronuncerà 120 discorsi in un mese, con un record di nove ore in un giorno. Mella sarà ininterrottamente deputato dal 1893 al 1919 — eccetto il periodo dal 1900 al 1905 nel quale deve fuggire (2) in Portogallo e si dedica allo studio — per Navarra, Estella, Aoíz e Pamplona.
Il 21 maggio 1907 Vázquez de Mella viene eletto all'unanimità membro dell'Accademia Spagnola, incarico che tuttavia egli non riuscirà ad onorare per i troppi impegni.
Durante la Prima Guerra Mondiale — in un discorso pronunciato il 31 maggio 1915 al Teatro de la Zarzuela di Madrid, la cui pubblicazione ebbe larghissima diffusione —, prende posizione a favore della neutralità, contribuendo così ad equilibrare le tesi contrarie e favorendo indirettamente l'Impero Austro-Ungarico. Don Jaime III (1870-1931), successore di Don Carlos VII, dissente da questa posizione ed è a favore degli Alleati: Mella gli si oppone provocando uno scisma nel movimento carlista e fondando l'11 agosto 1918 il Partito Tradizionalista e il quotidiano El pensamiento Español.
Una delle sue ultime prese di posizione è quella favorevole alla dittatura di Miguel Primo de Rivera ((1870-1930), espressa sin dal 5 giugno 1921 in un discorso al Teatro Goya di Barcellona.
Muore a Madrid, il 26 febbraio 1928.


Lo stile di vita di Mella è sempre molto modesto — il suo nome non figura in alcuna operazione economica e due volte rifiuterà incarichi ministeriali —, bastandogli la rendita di seimila pesetas provenienti dal suo esiguo patrimonio: quando nel 1925 soffre l'amputazione di una gamba, che sopporta con cristiana rassegnazione e senza che il fatto faccia venire meno il suo consueto buon umore, riceve la visita dello statista Antonio Maura y Montaner (1853-1925) il quale, notando l'umiltà della sua casa, commenta: "Questo è il vostro più bel discorso. Voi avreste potuto vivere come un grande, ma la vostra coerenza politica ve l'ha impedito. La vostra lezione è esemplare" (3). A causa dei pesanti impegni politici — nonché di sfortunate incomprensioni — resta celibe nonostante in due occasioni si sia innamorato.

Tutti gli studiosi del movimento tradizionalista spagnolo indicano in Vázquez de Mella il maggior pensatore e uomo politico mai espresso dal carlismo. Grazie a lui il carlismo — in quel periodo dilaniato da una strisciante ostilità verso la sua componente culturalmente più cospicua, ossia quella cattolica "integrale" — torna alle sue posizioni originarie: non si concepisce più solo come un partito politico, ma anche come sistema che rispecchia una precisa visione del mondo e del retaggio politico della nazione. Salvo un'eccezione di cui si dirà, la dottrina di Mella non è esposta in opere librarie, ma solo nei suoi discorsi parlamentari e pubbliche conferenze. Tra i discorsi parlamentari vanno ricordati almeno quelli sul Programa Tradicionalista, del 30 e 31 maggio 1893; sulla sovranità, la costituzione interna degli Stati e la monarchia democratica, del 5 dicembre 1894; sulle cause della guerra di Cuba — cioè sull'immoralità amministrativa nelle colonie d'oltremare — e in previsione di quella con gli Stati Uniti d'America, dell'8 luglio 1896; in difesa della libertà contro il liberalismo, del 12 pronunciato maggio 1898; sulla separazione tra Chiesa e Stato, del 12 novembre 1906; sul regionalismo e lo statalismo centralizzatore, del 18 giugno 1907; sui valori fondamentali della nazione, del 28 maggio 1914; sulla critica alla falsa democrazia, del 17 giugno del medesimo anno.
La raccolta postuma dei suoi scritti e discorsi verrà elogiata dalla Segreteria di Stato della Santa Sede il 6 aprile 1935, con una lettera firmata dal cardinale Eugenio Pacelli, il futuro Pio XII (1939-1958).
In Italia, le sue opere sono reperibili solamente presso la Biblioteca della Fondazione Istituto Gramsci, segno forse di una particolare attenzione verso uno dei più cospicui avversari del socialismo.




Secondo autorevoli commentatori (4), la dottrina del politico asturiano verte principalmente sui quattro punti che seguono.
Il primo di questi è sintetizzato dalla sua frase più celebre: "La tradizione è il progresso ereditario, e il progresso, se non è ereditario, non è progresso sociale" (5), che va sempre accompagnata dal corollario secondo cui "[…] il più tradizionalista non è colui che conserva e basta, né quegli che inoltre corregge, ma quello che aggiunge ed accresce perché meglio segue l'esempio dei fondatori: produrre e prolungare con lo sforzo delle proprie opere" (6). Una prima contraddizione a questo concetto è costituito dalla Costituzione diffusa dalla Rivoluzione francese in poi: "[…] si è inserita nella vita della Patria quella diga artificiale rappresentata da una Costituzione esotica che ha rotto tutte le tradizioni nazionali. E, quando una creazione artificiale si sovrappone a una creazione organica; quando si rompe il corso di una storia, la sua corrente, di colpo trattenuta dalla diga, perde il proprio corso, invade le foreste e le pianure e diviene un pantano, dal quale non escono se non miasmi che avvelenano l'atmosfera […]" (7). La Costituzione storica di un popolo, infatti, "[…] non si è formata coi decreti né con le decisioni dei re, ma è sorta dalle viscere della società stessa. Come tutte le antiche istituzioni, non ha una data fissa di apparizione: quando la si conosce ufficialmente esiste già da secoli" (8). Una Costituzione, insomma, "[…] è l'organismo tradizionale innalzato dalle passate generazioni sul suolo della Patria. Poggia sulla tradizione, che è il suffragio universale dei secoli. Si fonda sul diritto cristiano e sulla volontà nazionale, che non è quella volubile e arbitraria di un giorno, ma il voto unanime delle generazioni unite e animate dalle stesse convinzioni e identiche aspirazioni" (9).


Il secondo cardine del pensiero politico di Mella — il "processo federativo" — è collegato al precedente perché "L'unità nazionale è un'unità storica superiore, che si forma attraverso i secoli, per la comunione di convinzioni e sentimenti che generano tradizioni e costumi comuni e, quindi, interessi, aspirazioni e speranze che possono giungere […] ad essere una causa che influisce sull'opera collettiva nello scorrere delle generazioni di una popolazione di diversa origine e raccolta su uno stesso territorio geografico" (10). Perciò, "[…] le unità storiche che hanno formato il tutto nazionale detengono il diritto di conservare e perfezionare la propria legislazione civile, ad amministrarsi liberamente attraverso i municipi — dotati di vita propria e riconosciuta — e le Giunte e Deputazioni nell'orbita regionale indipendente; a dirimere i litigi peculiari del proprio territorio e a mantenere la propria lingua e letteratura" (11).

Segue la distinzione tra la sovranità "sociale" e quella politica: "Di fronte alla sovranità politica anteponiamo la vera autonomia sociale […] che la limita con libertà e diritti che hanno inizio in ambito personale, si affermano nella famiglia e si prolungano nell'Università, nella corporazione, nel municipio, nella regione, formando una gerarchia di persone collettive che circonda di ostacoli la sovranità dello Stato centrale e lo accerchia con una serie crescente di baluardi che costituiscono attorno ad essa come un cerchio sacro, il quale non può essere oltrepassato dal potere sovrano senza che con ciò divenga tirannico" (12). Infatti, la mancata "limitazione giuridica al debordare del potere, che invade o strappa le prerogative delle persone individuali o collettive […], poggia sull'errore giuridico di credere che le facoltà legislativa, giudiziaria ed esecutiva siano legate allo Stato, mentre, in qualche modo, tali facoltà esistono in tutti gradi della gerarchia sociale" (13). Pertanto, "E' necessario ritagliare, diminuire, ridurre lo Stato e aumentare le società e i corpi intermedi, perché lo Stato vive con tutto il sangue e tutte le prerogative che ha sottratto al corpo sociale" (14).

Il quarto e ultimo punto — non per importanza — è costituito dal "principio vivificante della religione": "Gesù Cristo ha voluto affermare la monarchia nel mondo e lasciarci una testimonianza visibile della sua grandezza con la monarchia divina della Chiesa e quella domestica del padre. Ha creato la Chiesa ed innalzato la famiglia, e tra queste due auguste monarchie — di diritto divino positivo l'una e di diritto naturale l'altra — ha fatto mettere radici al potere pubblico nella sua forma più genuina e perfetta, la monarchia cristiana. […] La Croce ha brillato sulla corona dei re, il petto dei crociati e gli altari delle cattedrali: alla sua ombra benefica hanno prosperato i popoli e si è forgiata l'Europa" (15).
Sbaglierebbe chi attribuisse a Mella l'intenzione di "usare" il cattolicesimo a fini politici; egli si limita invece a constatarne l'influenza sulla società: "Se la tradizione lega con vincoli comuni le generazioni rendendole solidali nelle stesse idee e negli stessi amori; se le unisce in un abbraccio fraterno attorno alle stesse istituzioni consacrate dai secoli, è perché poggia sull'unità della fede che, assegnando un obiettivo stabile alla ragione e alla volontà, produce l'unione morale delle anime che è la base sulla quale deve essere innalzata ogni comunità sociale" (16).
Perciò nella Patria — "che è un insieme di nazioni che hanno confuso una parte della loro vita in un'unità superiore […]" (17) -, il vincolo nazionale non è costituito "dalla geografia…, né dalla lingua…, né dalla razza…, e nemmeno dalle etnie storiche…" (18), bensì da "una causa spirituale, superiore e direttiva, che lega gli uomini attraverso la ragione e la volontà: è qualcosa che stabilisce una pratica comune di vita, la quale diviene successivamente generatrice d'una unità morale che, trasmettendosi di generazione in generazione, costituirà […] quell'unità spirituale che si riflettente — per non citare che questo carattere — nell'unità di una storia generale e indipendente" (19).


Poco prima di morire dà alle stampe il suo unico libro, Filosofía de la Eucaristía, corredato da Imprimatur del vescovo di Barcellona, che chiude con questa invocazione:
"
A Cristo Sacramentato.
Signore, Tu che — per aver unito nella tua persona divina il finito all'infinito senza confusione — sei il fuoco dell'amore e il centro dell'unità, infiammaci con fiamme di carità tanto ardenti da farci amare per Te persino l'odio che ci portano i nostri nemici, e comunicaci uno zelo tanto costante che ci porti ad attirare i nostri fratelli separati e farli tornare alla tua Chiesa, perché ci abbraccino ai piedi del tuo altare, affinché proclamiamo assieme la tua Regalità Suprema.
Che essa imperi su questa società che si disunisce e decade nella misura in cui ti abbandona! Che le tue braccia stese dalla misericordia la stringano al tuo cuore, perché beva nei torrenti di una vita che non muore! Amen
" (20).


David Botti

16 agosto 2000 - S. Stefano d'Ungheria


Per approfondire: Juan Vázquez de Mella y Fanjul, Obras completas. Trenta volúmenes. Junta del Homenaje a Mella, Madrid 1931-1947; Idem, Textos, selección de Rafael Gambra Ciudad, Madrid 1953. Rafael Gambra Ciudad, La monarquía social y representativa en el pensamiento tradicional, Sala editorial, Madrid 1973.




NOTE


(1) Dati biografici tratti da D. Negro Pavón, Gran Enciclopedía Rialp, Vol. XXIII, Ediciones Rialp, Madrid, 1989; Enciclopedía Universal Ilustrada Europeo-Americana, Vol. LXVII, Espasa-Calpe, Madrid-Barcelona, s.d.; José F. Acedo Castilla, En el LXX aniversario de Mella, in Razón Española, n. 88, marzo-aprile 2000; Luis Aguirre Prado, Vázquez de Mella, Publicaciones españolas, Madrid 1959; Gabriel Alférez Callejón, Historia del carlismo, Editorial Actas, Madrid 1995, con una breve biografia alle pagg. 211-217; Miguel Ayuso, Vázquez de Mella, 70 años después, in Diario ABC de Madrid, 27 febbraio 1998 (nella sezione Tribuna Abierta); Victor Eduardo Ordoñez, Esbozo de Juan Vázquez de Mella, pro-manuscripto, Buenos Aires 1998; Roman Oyarzún, Historia del carlismo, Ediciones Falange Española, Madrid 1939, p. 297.

(2) Gabriel Alférez Callejón, op.cit., p. 193.

(3) Cit. in L. Aguirre Prado, op. cit., p. 27.

(4) L'esiguità dello spazio mi costringe ad adottare la telegrafica sintesi fatta da Miguel Ayuso, Vázquez de Mella, 70 años después, op. cit., p. 62: a) La temporalidad creadora; b) El proceso federativo; c) Las soberanías social y política; d) El principio vivificador de la religión. Le citazioni che seguono sono invece tolte solo — per la serietà dell'autore e per facilitare il raffronto della traduzione — da Rafael Gambra Ciudad, La monarquía social y representativa en el pensamiento tradicional, Sala editorial, Madrid 1973.

(5) Vázquez de Mella, Discurso en el Parque de la Salud de Barcelona, el 17-5-1893, cit. in R. Gambra, op. cit., p. 57.

(6) Idem, Discurso en el Parque de la Salud de Barcelona, el 17-5-1893, cit. in R. Gambra, op. cit., p. 57.

(7) Idem, Crítica del liberalismo (Discurso en el Parlamento el 3-3-1906), cit. in R. Gambra, op. cit., p. 59.

(8) Idem, De un viaje por Cataluña (Conferenza al Teatro Goya di Barcellona del 5-6-1921), cit. in R. Gambra, op. cit., p. 84.

(9) Idem, La monarquía Carlista (in El Correo Español del 20-12-1889), cit. in R. Gambra, op. cit., p. 107.

(10) Idem, El Regionalismo, Filipinas e la dinastia inglesa (Discurso en el Parlamento el 29-11-1905), cit. in R. Gambra, op. cit., p. 110.

(11) Idem, Los tradicionalistas y el regionalismo (in El Correo Español del 14-6-1893), cit. in R. Gambra, op. cit., p. 94.

(12) Idem, Discurso en el Parque de la Salud de Barcelona, el 17-5-1893, cit. in R. Gambra, op. cit., p. 49.

(13) Idem, El tradicionalismo, Discurso en el Parlamento el 31-5-1893, cit. in R. Gambra, op. cit., p. 48.

(14) Idem, El sufragio universal (Discurso en el Parlamento el 27-2-1908), cit. in R. Gambra, op. cit., p. 115.

(15) Idem, Articolo in El Correo Español del 6-1-1913, cit. in R. Gambra, op. cit., p. 80-81.

(16) Idem, La monarquía tradicional (Discurso en el Parlamento el 30-6-1916), cit. in R. Gambra, op. cit., p. 71-72.

(17) Idem, Afirmaciones patrióticas (Discurso en el Parlamento el 30-6-1916), cit. in R. Gambra, op. cit., p. 111.

(18) Idem, Filosofía del Regionalismo (Discurso en el Parlamento el 18-6-1907), cit. in R. Gambra, op. cit., p. 111.

(19) Idem, Filosofía del Regionalismo (Discurso en el Parlamento el 18-6-1907), cit. in R. Gambra, op. cit., p. 111.

(20) Il testo apparve nel 1928 per i tipi di Eugenio Subirana Editore Pontificio, La chiusa è riportata in L. Aguirre Prado, op. cit., p. 26.