martedì 4 settembre 2012

LA CIVILTÀ CATTOLICA anno XXXIX, serie XIII, vol. X (fasc. 907, 30 marzo 1888) Roma 1888 pag. 63-78.DECRETO DEL S. UFFIZIO CON CUI SONO CONDANNATE 40 PROPOSIZIONI DELLE OPERE DI ANTONIO ROSMINI [Testo latino e traduzione italiana]

File:Antonio Rosmini by Hayez.jpg
Antonio Francesco Davide Ambrogio Rosmini Serbati



Feria IV die 14 decembris 1887.

Post obitum Antonii Rosmini Serbati quaedam eius nomine in lucem prodierunt scripta, quibus plura doctrinae capita, quorum germina in prioribus huius Auctoris libris continebantur clarius evolvuntur atque explicantur. Quae res accuratiora studia non hominum tantum in theologicis ac philosophicis disciplinis praestantium, sed etiam Sacrorum in Ecclesia Antistitum excitarunt. Hi non paucas propositiones, quae catholicae veritati haud consonae videbantur, ex posthumis praesertim illius libris exscripserunt, et supremo S. Sedis indicio subiecerunt.
Porro SSmus D. N. Leo divina providentia Papa XIII, cui maxime curae est ut depositum catholicae doctrinae ab erroribus immune purumque servetur, delatas propositiones Sacro consilio E.morum Patrum Cardinalium in universa christiana republica Inquisitorum Generalium examinandas commisit.
Quare, uti mos est Supremae Congregationis, instituto diligentissimo examine, factaque earum propositionum collatione cum reliquis Auctoris doctrinis prout potissimum ex posthumis libris elucescunt, propositiones quae sequuntur, in proprio Auctoris sensu reprobandas, dainnandas ac proscribendas esse iudicavit, prout hoc generali decreto reprobat, damnat, proscribit; quin exinde cuiquam deducere liceat ceteras eiusdem Auctoris doctrinas quae per hoc decretum non damnantur ullo modo adprobari.
Facta autem de his omnibus SS.mo D. N. Leoni XIII accurata relatione, Sanctitas Sua decretum E.morum Patrum adprobavit, confirmavit, atque ab omnibus servari mandavit.
Feria 4° il dì 14 Decembre 1887.

Dopo la morte di Antonio Rosmini Serbati uscirono alla luce, sotto il nome di lui, alcuni scritti, nei quali vengono più chiaramente svolti e spiegati parecchi capi di dottrina, i cui germi erano contenuti nei libri precedenti di questo Autore. Le quali cose mossero a fare studii più accurati non solo uomini prestanti nelle filosofiche e teologiche discipline, ma anche i Sacri Pastori della Chiesa. Questi estrassero dai libri di lui, specialmente postumi, non poche proposizioni, le quali non sembravano conformi alla verità cattolica, e le sottoposero al supremo giudizio della Santa Sede.
Quindi il SS.mo S. N. Leone per divina provvidenza Papa XIII, a cui sopra tutto è a cuore, che il deposito della dottrina cattolica si conservi immune e puro da errori, diè incarico di esaminare le denunziate proposizioni al Sacro consiglio degli E.mi Cardinali, Inquisitori Generali in tutta la repubblica cristiana.
Pertanto, come è costume della Suprema Congregazione, impreso un esame diligentissimo, e fatto il confronto di quelle proposizioni con le altre dottrine dell'Autore, massimamente secondo che risultano chiare dai libri postumi; giudicò doversi riprovare, condannare, nel proprio senso dell'Autore, come di fatto con questo generale decreto riprova, condanna e proscrive le seguenti proposizioni: senza che, per questo, sia lecito a chicchessia di inferire, che le altre dottrine del medesimo Autore, che non vengono condannate per questo decreto, sieno per veruna guisa approvate. Fatta dipoi di tutto ciò accurata relazione al SS.mo S. N. Leone XIII, la S. S. approvò, confermò il decreto degli E.mi Padri, ed ingiunse che fosse da tutti osservato.
Ecco le proposizioni condannate:
I. In ordine rerum creatarum immediate manifestatur humano intellectui aliquid divini in se ipso, huiusmodi nempe quod ad divinam naturam pertineat.
1. Nella sfera del creato si manifesta immediatamente allo umano intelletto qualche cosa di divino in se stesso, cioè tale che alla divina natura appartenga - (Teosof. Vol. IV. n. 2, pag. 6).
II. Cum divinum dicimus in natura, vocabulum istud divinum non usurpamus ad significandum effectum non divinum causae divinae; neque mens nobis est loqui de divino quodam quod tale sit per participationem.
2. Dicendo il divino nella natura, non prendo questa parola divinoa significare un effetto non divino di una causa divina. Per la stessa ragione non è mia intenzione di palare di un divino che sia tale per partecipazione -(Ivi).

III. In natura igitur universi, idest in intelligentiis quæ in ipso sunt, aliquid est, cui convenit denominatio divini non sensu figurato sed proprio.
Est actualitas non distincta a reliquo actuelitatis divinæ.
3. Vi è dunque nella natura dell'universo, cioè nelle intelligenze che sono in esso, qualche cosa a cui conviene la denominazione di divino non in senso figurato, ma in un senso proprio - (Teosofia, vol. IV, Del divino nella natura, n. 15, p. 18.) - E' una... attualità indistinta dal resto dell'attualità divina, indivisibile in sè, divisibile per astrazione mentale -(Teosofia, Vol. III, n. 1423, p. 344).
IV. Esse indeterminatum, quod procul dubio notum est omnibus intelligentiis, est divinum illud quod homini in natura manifestatur.
4. L'essere indeterminato (essere ideale), il quale è indubitatamente palese a tutte le intelligenze (è quel divino che) si manifesta all'uomo nella natura - (Teosofia, Vol. IV, nn. 5 e 6, p. 8).
V. Esse quod homo intuetur necesse est ut sit aliquid entis necessarii et æterni, causæ creantis, determinantis ac finientis omnium entium contingentium: atque hoc est Deus.
5. L'essere intuito dall'uomo deve necessariamente essere qualche cosa di un ente necessario ed eterno, causa creante, determinante e finiente di tutti gli enti contingenti; e questo è Dio (Teosof. Vol. I, n. 298, p. 241).
VI. In esse quod præscindit a creaturis et a Deo quod est esse indeterminatum, atque in Deo, esse non indeterminato sed absoluto, eadem est essentia.
6. Nell'uno (essere che prescinde dalle creature e da Dio, e che è l'essere indeterminato) e nell'altro essere (che non è più indeterminato, ma Dio stesso, essere assoluto) c'è la stessa essenza – (Teos. Vol. II, n. 848, p. 150).
VII. Esse indeterminatum intuitionis, esse initiale, est aliquid Verbi, quod mens Patris distinguit non realiter sed secundum rationem a Verbo.
7. L'essere indeterminato della intuizione... l'essere iniziale... è qualche cosa del Verbo, che ella (la mente del Padre) distingue non realmente, ma secondo la ragione, dal Verbo (Teosof. Vol. II. n. 848, p. 150 ; Vol. I. n. 490, p. 445).
VIII. Entia finita quibus componitur mundus resultant ex duobus elementis, idest ex termino reali finito et ex esse initiali quod eidem termino tribuit formam entis.
8. Gli enti finiti che compongono il mondo risultano da due elementi, cioè dal termine reale finito e dall'essere iniziale che dà a questo termine la forma di ente - (Teosof. Vol. I n. 454, p. 396).

IX. Esse, obiectum intuitionis, est actus initialis omnium entium.
Esse initiale est initium tam cognoscibilium quam subsistentium: est pariter initium Dei, prout a nobis concipitur, et creaturarum.
9. L'essere, oggetto dell'intuito... è l'atto iniziale di tutti gli enti ( Teosof. Vol. III n.1235, p. 73). - L'essere iniziale dunque è inizio tanto dello scibile quanto del sussistente... è egualmente inizio di Dio, come da noi si concepisce, e delle creature - (Teosof. Vol. I n. 287 p. 229; n. 288, p. 230).
X. Esse virtuale et sine limitibus est prima ac simplicissima omnium entitatum, adeo ut quælibet alia entitas sit composita, et inter ipsius componentia semper et necessario sit esse virtuale. - Est pars essentialis omnium omnino entitatum, utut cogitatione dividantur.
10. L'essere virtuale e senza termini (Divino in sè stesso appartenenza di Dio) è la prima e la più semplice delle entità, per cosi fatto modo che qualunque altra entità è composta, e tra i suoi componenti c'è l'essere virtuale sempre e necessariamente. - L'essere virtuale è parte essenziale di tutte affatto le entità, per quantunque col pensiero si dividano -(Teosof. Vol. I p. 221; n. 281, p. 223).
XI. Quidditas (id quod res est) entis finiti non constituitur eo quod habet positivi, sed suis limitibus. Quidditas entis infiniti constituitur entitate, et est positiva; quidditas vero entis finiti constituitur limitibus entitatis, et est negativa.
11. La quiddità (cio che una cosa è) dell'ente finito non è costituita da cio che egli ha di positivo, ma dai suoi limiti... La quiddità dell'ente infinito è costituita dall'entità, ed è positiva, e la quiddità dell'ente finito è costituita dal limiti dell'entità, ed è negativa - (Teos. Vol. I n. 726, p. 708-709).
XII. Finita realitas non est, sed Deus facit eam esse addendo infintitæ realitati limitationem.
Esse initiale fit essentia omnis entis realis.
Esse quod actuat naturas finitas, ipsis coniunctum, est recisum a Deo.
12. La realtà finita non è, ma egli (Dio) la fa essere coll'aggiungere alla realità infinita la limitazione -(Teosof. Vol. I. n. 681, p. 658). - L'essere iniziale... diventa l'essenza di ogni ente reale - (Ivi Vol. I. n. 458, p. 399). - L'essere che attua le nature finite, a questo congiunto, essendo reciso da Dio... (Ivi Vol. III. n. 1425, p. 346).

XIII. Discrimen inter esse absolutum et esse relativum non illud est quod intercedit substantiam inter et substantiam, sed aliud multo maius; unum enim est absolute ens, alterum est absolute non-ens. At hoc alterum est relativum ens. Cum autem ponitur ens relativum, non multiplicatur absolute ens; hinc absolutum et relativum absolute non sunt unica substantia, sed unicum esse; atque hoc sensu nulla est diversitas esse, imo habetur unitas esse.
13. La differenza che passa tra l'essere assoluto e il relativo non è quella di sostanza a sostanza, ma una molto maggiore...; perocchè s'ha differenza di essere in questo senso che l'uno è assolutamente ente, l'altro è assolutamente non-ente. Ma questo secondo è relativamente ente. Ora col porre un ente relativo non si moltipica assolutamente l’ente; sicchè rimane, che assolutamente l'assoluto e il relativo sia non già una sostanza sola, ma bensì un essere solo,e in questo senso non v'abbia diversità di essere anzi unità di essere - (Teosof. Vol. V. cap. IV, pag. 9).
XIV. Divina abstractione producitur esse initiale, primum finitorum entium elementum; divina vero imaginatione producitur reale finitum, seu realitates omnes quibus mundus constat.
14. Coll'astrazione divina abbiamo veduto come sia siato prodotto l'essere iniziale, primo elemento degli enti finiti; coll'imaginazione divina, abbiamo pure veduto come sia stato prodotto il reale finito - tutte le realità di cui consta l'universo -(Teosof. Vol. I. n. 463, p. 408).
XV. Tertia operatio esse absoluti mundum creantis est divina synthesis, idest unio duorum elementorum: quæ sunt esse initiale, commune omnium finitorum entium initium, atque reale finitum, seu potius diversa realia finita, termini diversi eiusdem esse initialis. Qua unione creantur entia finita.
15. La terza operatione dell'essere assoluto creante il Mondo è la sintesi divina, cioè l'unione dei due elementi, l'essere iniziale inizio comune di tutti gli enti finiti, e il realefinito, o per dir meglio i diversi reali finiti, termini diversi dello stesso essere iniziale. Colla quale unione sono creati gli enti finiti – (Ivi).
XVI. Esse initiale per divinam sythesim ab intelligentia relatum, non ut intelligibile sed mere ut essentia, ad terminos finitos reales, efficit ut existant entia finita subiective et realiter.
16. Riferito dall'intelligenza per mezzo della sintesi divina, l'essere iniziale, non come intelligibile, ma puramente come essenza, ai termini reali finiti, fa che esistano gli enti finiti subiettivamente e realmente - (Teosof. Vol. I. n. 464, p. 410).
XVII. Id unum efficit Deus creando, quod totum actum esse creaturarum integre ponit: hic igitur actus proprie non est factus, sed positus.
17. Quello che fa Iddio (creando) è unicamente di porre tutto intero l'atto dell'essere nelle creature: dunque quest'atto non è propriamente fatto, ma è posto (Teos. Vol. I. n. 412, p. 350).
XVIII. Amor quo Deus se diligit etiam in creaturis, et qui est ratio qua se determinat ad creandum, moralem necessitatem constituit, quæ in ente perfectissimo semper inducit effectum: huiusmodi enim necessitas tantummodo in pluribus entibus imperfectis integram relinquit libertatem bilateralem.
18. Vi ha una ragione in Dio stesso per la quale ei si determina a creare; e questa ragione è di novo l'amore di se stesso, il quale si ama anche nelle creature. Quindi la divina sapienza, come meglio altrove esporremo, trova esser cosa conveniente la creazione, e questa semplice convenienza basta a far sì che l'Essere perfettissimo vi si determini. Ma non si deve confondere questa necessita di convenienza con quella necessità che nasce della forma reale dell'essere, e che necessita fisica si suol chiamare. La necessità di convenienza è una necessità morale, cioè veniente dall'Essere sotto la sua forma morale; e la necessità morale non sempre induce l'effetto che ella prescrive; ma lo induce solo nell'essere perfettissimo, e non negli esseri imperfetti (a molti de' quali rimane perciò la libertà bilaterale), perché l'Essere perfettissimo è insieme moralissimo, cioè ha compiuta in sè ogni esigenza morale (Teosof. Vol. I n. 51, p. 49-50).
XIX. Verbum est materia illa invisa ex qua, ut dicitur Sap. XI 18, creatæ fuerunt res omnes universi.
19. Il Verbo è quellamateria invisa da cui dice il libro della Sapienza (XI. 18) che furono create le cose tutte dell'universo (Introd. del Vangelo seconde Giov. lez. 37, pagina 109).
XX. Non repugnat ut anima humana generatione multiplicetur, ita ut concipiatur eam ab imperfecto, nempe a gradu sensitivo, ad perfectum, nempe ad gradum intellectivum, procedere.
20. Niente ripugna che il soggetto, di cui si parla si moltiplichi per via di generazione -(Psicolog. I. 4, n. 656). - Noi abbiamo già detto che la generazione dell'anima umana si può concepire per gradi progressivi dall'imperfetto al perfetto, e pero che prima ci sia il principio sensitivo, il quale, giunto alla sua perfezione colla perfezione dell'organismo, riceva l'intuizione dell'essere, e cosi si renda intellettivo e razionale - (Teosof. Vol. I. n. 646, pag. 619).
XXI. Cum sensitivo principio intuibile fit esse, hoc solo tactu, hac sui unione, principium illud antea solum sentiens, nunc simul intelligens, ad nobiliorem statum evehitur, naturam mutat, ac fit intelligens, subsistens atque immortale.
21. Rendendosi l'essere intuibile al detto principio (sensitivo), con questo solo toccamento, con questa unione di sè, il principio prima solo senziente, ora anco intelligente, si solleva a più alto stato, cangia natura, rendesi intellettivo, sussistente, immortale -(Antropol. I. 4. c. 5, n. 819). - Quindi si offre alla mente l'espressione che il principio sensitivo sia divenuto principio razionale, che si sia convertito in un altro, avendo subito veramente una tale permutazione - (Teosof. Vol. I. n. 646, p. 619).
XXII. Non est cogitatu impossibile divina potentia fieri posse ut a corpore animato dividatur anima intellectiva, et ipsum adhuc maneat animale: maneret nempe in ipso, tanquam basis puri animalis, principium animale, quod antea in eo erat veluti appendix.
22. Quanto poi alle appendici di cui parliamo, cioè al corpo animato, non è certo impossibile il pensare, che dalla potenza divina possa esser da lui divisa l'anima intellettiva, ed egli tuttavia rimanersi nella qualità di animale, rimanendo il principio animale, che prima esisteva come appendice, siccome base del novo ente, cioè del puro animale che rimarrebbe - (Teosof. Vol. I. n. 621, pag. 591).
XXIII. In statu naturali, anima defuncti existit perinde ac non existeret: cum non possit ullam super seipsam reflexionem exercere, aut ullam habere sui conscientiam, ipsius conditio similis dici potest statui tenebrarum perpetuarum et somni sempiterni.
23. Questa (l'anima del defunto) esiste certamente, ma e come se non esistesse - (Teodicea, Appendice, art. 10, p.638). - Nel quale stato (di natura) non essenda a lei (all'anima separata) possibile alcuna riflessione su di se stessa, nè alcuna coscienza, la sua condizione si potrebbe rassomigliare ad uno stato di perpetue tenebre, e di sempiterno sonno - (Introduz. del Vangelo secondo Giov. lez. 69, p. 217).

XXIV. Forma substantialis corporis est potius effectus animæ, atque interior terminus operationisipsius: propterea forma substantialis corporis non est ipsa anima.
Unio animæ et corporis proprie consistit in immanenti perceptione, qua subiectum intuens ideam affirmat sensibile, postquam in hac eius essentiam intuitum fuerit.
24. La forma sostanziale del corpo è piutosto un effetto dell'anima e il termine interno delle sue operazioni; e però non è l'anima stessa che sia la forma sostanziale del corpo (Psicol. Par. II, 1. I, c. II, n. 849). - L'unione dell'anima col corpo consiste propriamente in una percezione immanente, per la quale il soggetto intuente l'idea afferma il sensibile dopo averne in questa intuita l'essenza -(Teosof. Vol. V. c. LIII, art. II, § 5, V. 4°, p. 377)
XXV. Revelato mysterio SS. Trinitatis, potest ipsius existentia demonstrari argumentis mere speculativis, negativis quidem et indirectis, huiusmodi tamen ut per ipsa veritas illa ad philosophicas disciplinas revocetur, atque fiat propositio scientifica sicut ceteræ: si enim ipsa negaretur, doctrina theosophica puræ rationis non modo incompleta maneret, sed etiam omni ex parte absurditatibus scatens annihilaretur.
25. Il mistero della Triade... dope che fu rivelalo, esse rimane bensi incomprensibile nella sua propria natura... ma ben... si puo conoscere quella (l'esistenza) d'una Trinità in Dio in un modo almeno congetturale con ragioni positive e dirette, e dimostrativamente con ragioni negative ed indirette; e che, mediante queste prove puramente speculative dell'esistenza di un'augustissima Triade, questa misteriosa dottrina rientra nel campo della filosofia. - Questa esistenza (della SS.ma Trinità) diventa una proposizione scientifica come le altre. -Qualora si negasse quella Trinità, ne verrebbero da tutte le parti conseguenze assurde apertamente... O conviene ammettere la divina Triade, o lasciare la dottrina teosofica di pura ragione incompleta non solo, ma pugnante d'ogni parte seco medesima, e dagli assurdi inevitabili straziata a del tutto annullata - (Teos. Vol. I, nn. 191, 193, 194, pp.155-158.)
XXVI. Tres supremæ formæ esse nempe subiectivitas, obiectivitas, sanctitas, seu realitas, idealitas, moralitas, si transferantur ad esse absolutum, non possunt aliter concipi nisi ut personæ subsistentes et viventes.
Verbum, quatenus obiectum amatum, et non quatenus Verbum idest obiectum in se subsistens per se cognitum, est persona Spiritus Sancti.
26. L'essere nelle tre forme (subbiettività, obbiettività, santità, o per dirlo altramente: realità, idealità, moralità) è identico. - Le tre forme poi dell'essere, ove si trasportino nell'Essere assoluto, non si possono più concepire in altro modo, che come persone sussistenti e viventi (Vol. I, numeri 190, 196, pp. 154, 159).- Il Verbo in quanto è oggetto amato, e non in quanto è Verbo, cioè oggetto sussistente per sè cognito, è la persona dello Spirito Santo (Introduzione del Vangelo secondo Giov. Lez. 65, p. 200).
XXVII. In humanitate Christi humana voluntas fuit ita rapta a Sp. Sancto ad adhærendum Esse objectivo, idest Verbo, ut illa Ipsi integre tradiderit regimen hominis, et Verbum illud personaliter assumpserit, ita sibi uniens naturam humanam. Hinc voluntas humana desiit esse personalis in homine, et, cum sit persona in aliis hominibus, in Christo remansit natura.
27. Nella umanità di Cristo la volontà umana fu talmente rapita dallo Spirito Santo ad aderire all'essere oggettivo, cioè al Verbo, che ella cedette intieramente a lui il governo dell'uomo, e il Verbo personalmente ne prese il regime, cosi incarnandosi, rimanendo la volontà e le altre potenze subordinate alla volontà in potere del Verbo, che, come primo principio di quest'essere Teandrico, ogni cosa faceva, o si faceva dalle altre potenze col suo consenso. Onde la volontà umana cesso di essere personale nell'uomo, e da persona che è negli altri uomini rimase in Cristo natura... Il Verbo poi, incarnato cosi per opera dello Spirito Santo, estese la sua unione a tutte le potenze ed alla carne stessa -(Introduz. del Vangelo secondo Giov. lez. 85, pag. 281).

XXVIII. In christiana doctrina, Verbum, character et facies Dei, imprimitur in animo eorum qui cum fide suscipiunt baptismum Christi.
Verbum, idest character in anima impressum, in doctrina christiana est Esse reale (in finitum) per se manifestum, quod deinde novimus esse secundam personam SSmæ Trinitatis.
28. Insegno dunque il Cristianesimo che il Verbo, carattere e faccia di Dio, come viene anco sovente chiamato nelle Scritture, s'imprime nelle anime di quelli che colla fede ricevono il battesimo di Cristo (Introduz. alla Filosofia, n. 92). - Il Verbo dunque, ossia il carattere impresso nell'anima, secondo il cristiano insegnamento è l'essere reale (infinito) per sè manifesto, il quale dipoi sappiamo essere una persona, la seconda della divina Trinità. (Ivi nota).
XXIX. A catholica doctrina, quæ sola est veritas, minime alienam putamus hanc coniectu ram: In eucharistico Sacramento substantia panis et vini fit vera caro et verus sanguis Christi, quando Christus eam facit terminum sui principii sentientis, ipsamque sua vita vivificat: eo ferme modo quo panis et vinum vere transubstantiantur in nostram carnem et senguinem, quia fiunt terminus nostri principii sentientis.
29. Non crediamo aliena dalla dottrina catholica, che solo è verità, la seguente conghiettura (cioè che nell'Eucaristico Sacramento) la sostanza del pane e del vino ha cessato intieramente d'essere sostanza del pane e del vino, ed è divenuta vera carne e vero sangue di Cristo, quando Cristo la rese termine del suo principio senziente, e così l'avvivo della sua vita, a quel modo come accade nella nutrizione, che il pane che si mangia e il vino che si beve, quando è, nella sua parte nutritiva, assimilato alla nostra carne e al nostro sangue, egli è veramente transustanziato, e non è più come prima pane o vino, ma è veramente nostra carne e nostro sangue, perché è divenuto termine del nostro principio sensitivo. - (Introduzione del Vang. secondo Giov. lez. 87, pp. 285-286).
XXX. Peracta transubstantiatione, intelligi potest, corpori Christi glorioso partem aliquam adiungi in ipso incorporatam, indivisam pariterque gloriosam.
30. Avvenuta la transustanziazione, si può intendere che al corpo glorioso (di G. Cristo) si sia aggiunta qualche parte in esso incorporata ed indivisa e del pari gloriosa.- (Ivi).
XXXI. In Sacramento eucharistiæ, vi verborum corpus et sanguis Christi est tantum ea mensura quæ respondet quantitati (a quel tanto ) substantiæ panis et vini quæ transubstantiantur: reliquum corporis Christi ibi est per concomitantiam.
31. Appunto perché il corpo di Cristo è unico ed indiviso, egli è necessario che dove si trovi una parte si trovi tutto...; ma non tutto quel corpo diviene termine del suo principio senziente, ma unicamente quella parte che corrisponde a quel tanto che v'aveva di sostanza di pane e di sostanza di vino nella transustanziazione. Ancora ne verrebbe che in virtù delle parole divine questa sostanza del pane e del vino si transustanziasse in carne e sangue del Salvatore ; ma il rimanente del corpo e del sangue vi rimanesse unito per concomitanza; il che non par contrario alla doltrine cattolica - (Ivi, p. 286, seg.).

XXXII. Quoniam qui non manducat carnem Filii hominis et bibit eius senguinem, non habet vitam in se; et nihilominus qui moriuntur cum baptismate aquæ, sanguinis aut desiderii certo consequuntur vitam æternam: dicendum est, his, qui in hac vita non comederunt corpus et sanguinem Christi subministrari hunc coelestem cibum in futura vita, ipso mortis instanti.
Hinc etiam Sanctis V. T. potuit Christus descendens ad inferos seipsum communicare sub speciebus panis et vini, ut aptos eos redderet ad visionem Dei.
32. Se dunque chi non mangia la carne del Figliolo dell'uomo, e bee il suo sangue, non ha la vita in se stesso, e tuttavia chi muore col battesimo d'acqua, o di sangue o di desiderio, è certo che acquista la vita eterna; convien dire che quella comestione della carne e del sangue di Cristo, che non fece nella vita presente, gli verrà somministrata nella futura al punto della sua morte e cosi avra la vita in sè stesso... Anche a'Santi dell'antico Testamento, quando Cristo discese ai Limbo, potè Cristo communicare se stesso sotto la forma di pane e di vino, e cosi... renderli atti alla visione di Dio. - (Introd. del Vang. secondo Giovanni, lez. 74, p. 238).

XXXIII. Cum dæmones fructum possederint, putarunt se ingressuros in hominem si de illo ederet; converso enim cibo in corpus hominis animatum, ipsi poterant libere ingredi animalitatem, idest in vitam subiectivam huius entis, atque ita de eo disponere sicut proposuerant.
33. (I demonii) impossessatisi di un frutto pensarono che entrerebbero nell'uomo, quando egli, spiccatolo dall'albero, ne mangiasse; giacchè, il cibo convertendosi nel corpo animato dell'uomo, essi potevano entrare a man salva nell'animalità, ossia nella vita soggettiva di questo essere, e farne quel governo che si proponevano. -(Introduz. del Vang. secondo Giov. lez. 63, p. 191).
XXXIV. Ad præservandam B. V. Mariam a labe originis, satis erat ut incorruptum maneret minimum semen in homine, neglectum forte ab ipso dæmone; e quo incorrupto semine, de generatione in generationem transfuso, suo tempore oriretur Virgo Maria.
34. Preservò (Iddio) dal peccato originale una donzella...; alla quale preservazione dall'infezione originale bastava che rimanesse incorrotto un menomo seme nell'uomo, trascurato forse dal demonio stesso, dal quale seme incorrotto passato di generazione in generazione uscisse a suo tempo la Vergine - (Ivi, lez. 64, p. 193).
XXXV. Quo magis attenditur ordo iustifcationis in homine, eo aptior apparet modus dicendi scripturalis quod Deus peccata quædam tegit aut non imputat. - Juxta Psalmistam discrimen est inter iniquitates quæ remittuntur et peccata quæ teguntur: illæ, ut videtur, sunt culpæ actuales et liberæ, hæc vero sunt peccata non libera eorum qui pertinent ad populum Dei, quibus propterea nullum afferunt nocumentum.
35. Più che altri considera questo ordine della giustificazione dell'uomo, più troverà acconcia la maniera scritturale di dire che Dio cuopre certi peccati o non gl'imputa. Infatti col battesimo non si distrugge la mala volontà naturale, ma le se n'aggiunge una soprannaturale, che cuopre, per così dire, la naturale, e impedisce che quella perda l'uomo. Onde il Salmista dice: Beati, quelli le iniquità dei quali furono rimesse, e i peccati de'quali furono coperti; dove si fa la differenza fra le iniquità che si rimettono, e i peccati che si cuoprono, e sembra che per quelle si vogliano intendere le colpe attuali e libere, e per questi i peccati non liberi di quelli che appartengono al popolo di Dio, e che pero non ne ricevono più danno alcuno - (Trattato della coscienza morale, l. I, c. 6. a. 2).
XXXVI. Ordo supernaturalis constituitur manifestatione esse in plenitudine suæ formæ realis; cuius communicationis seu manifestationis effectus est sensus (sentimento) deiformis qui inchoatus in hac vita constituit lumen fidei et gratiæ, completus in altera vita constituit lumen gioriæ.
36. L'essere (essenziale) si comunica a noi nella sola forma ideale per natura, e questo costituiscel'ordine naturale; l'essere stesso si manifesta a noi altresi nella pienezza della sua forma reale per grazia, e questa è comunicazione e percezione vera di Dio, e costituisce l'ordine soprannaturale.... l'effetto della comunicazione soprannaturale è un sentimento deiforme, di cui non abbiamo a principio coscienza, come non l'abbiamo di ogni sentimento nostro sostanziale e fondamentale. Or poi il sentimento deiforme, di cui parliamo, è incipiente in questa vita, nella quale costituisce il lume della fede e della grazia; compiuto nell'altra, nella quale costituisce il lume della gloria - (Filosof. del Diritto, Part. II. nn. 674, 676, 677).
XXXVII. Primum lumen reddens animam intelligentem est esse ideale; alterum primum lumen est etiam esse, non tamen mere ideale sed subsistens ac vivens: illud abscondens suam personalitatem ostendit solum suam obiectivitatem; at qui videt alterum (quod est Verbum) etiamsi per speculum et in ænigmate, videt Deum.
37. Il primo lume che rende l'anima intelligente è l'essere ideale ed indeterminato ; l'altro primo lume è ancora l'essere, ma non puramente ideale, ma ben anche sussistenze e vivente.... L'idea adunque è l'essere intuìto dall'uomo, ma non è il Verbo; chè non quella ma questo è sussistenza: quello è l'essere che occulta la sua sussistenza e lascia solo trasparire la sua oggettività indeterminata ed impersonale: nella mente che intuisce l'idea non cade la personalità dell'essere... ma chi vede il Verbo ancorchè per ispecchio ed in enimma, vede Iddio - (Introd. alla Filosofia, n. 85).
XXXVIII. Deus est obiectum visionis beatificæ, in quantum est auctor operum ad extra.
38. Sebbene Iddio senza mezzo alcuno sia oggetto della visione beatificatrice, e forma dell'intelletto dei Beati; tuttavia egli è tale in quanto è autore delle opere ad extra, le quali in un modo ineffabile sono in lui - (Teodicea, num. 672).
XXXIX. Vestigia sapientiæ ac bonitatis quæ in creaturis relucent, sunt comprehensoribus necessaria; ipsa enim in æterno exemplari collecta sunt ea Ipsius pars quæ ab illis videri possit (che è loro accessibile), ipsaque argumentum præbent laudibus, quas in æternum Deo beati concinunt.
39. I vestigii della sapienza e della bontà del creato, lungi dal divenire loro (ai comprensori) inutili, anzi riescono necessarii; perocchè questi vestigii tutti raccolti nell'esemplare eterno sono appunto quella parte di esso che è loro accessibile, onde sono tuttavia quelli che danno argomento alle lodi che a Dio eternamente tributano -(Ivi, n. 674).
XL. Cum Deus non possit, nec per lumen gloriæ, totaliter se communicare entibus finitis, non potuit essentiam suam comprehensoribus revelare et communicare nisi eo modo qui finitis intelligentiis sit accommodatus: scilicet Deus se illis manifestat quatenus cum ipsis relationem habet ut eorum creator, provisor, redemptor, sanctificator.
40. Se dunque non potea (Dio) comunicare se stesso totalmente ad esseri finiti, neppure mediante il lume di gloria, rimane a cercare in che modo egli poteva rivelare loro e comunicare la propria essenza. Certo in quel modo che alla natura delle intelligenze create è conforme; e questo modo è quello pel quale Iddio ha con esso loro relazione, cioè come creatore loro, come provisore, come redentore, come santificatore -(Ivi, n. 677).

Ioseph Mancini S. Rom. et Univ. Inquisitionis Notarius.


Lettera con la quale l'E.mo Cardinale Segretario del S. Uffizio comunica il Decreto della. S. R. ed Universale Inquisizione e le quaranta proposizioni condannate, a ciascun membro dell'Episcopato cattolico.

Ill.me ac Rm.e Domine,
Hisce adiunctum litteris transmittitur ad Amplitudinem Tuam decretum generale quo Suprema Congregatio Em.orum Patrum una mecum Inquisitorum Generalium, adprobante et confirmante SS.mo Domino Nostro Leone XIII, plures propositiones ex operibus, quae sub nomine Antonii Rosmini Serbati edita sunt, damnantur et proscribuntur. Quapropter excitatur pastoralis cura et vigilantia Amplitudinis Tuae ut a damnatis huiusmodi doctrinis oves fidei tuae concreditas quam diligentissime custodias; ac si qui forte sint in ista dioecesi qui illis adhuc faveant, eos ad S. Sedis iudicium docili animo recipiendum inducere studeas. Praecipue vero eniteris ut mentes adolescentium, eorum praesertim qui in spem Ecclesiae in Seminario aluntur, germana catholicae Ecclesiae doctrina e puris fontibus Sanctorum Patrum, Ecclesiae Doctorum, probatorum auctorum, ac praecipue Angelici Doctoris S. Thomae Aquinatis, hausta imbuantur.
Tibi interim fausta omnia ac felicia precor a Domino.
Datum Romae, die 7 Martii 1888.
Addictissimus in Domino
R. Card. Monaco.



Ill.mo e R.mo Signore,
Insieme con questa lettera viene trasmesso a V. E. il Decreto generale con cui la Suprema Congregazione degli E.mi Padri, una con me Inquisitori Generali, approvando e confermando il SS.mo Signore Nostro Leone XIII, sono condannate e proscritte parecchie proposizioni estratte dalle opere, pubblicate sotto il nome di Antonio Rosmini Serbati. E' perciò sollecitata la cura e vigilanza Pastorale della Eccellenza Vostra, che colla massima diligenza tenga custodite da siffatte condannate dottrine le agnelle alla sua tutela commesse; e se per ventura si trovino in cotesta diocesi di quelli che tuttavia le caldeggino, si studii d'indurli ad accettare con docile animo il giudizio della S. Sede. Ma sopra tutto farà opera che lementi dei giovani, segnatamente di quelli che nel Seminario vengono educati a speranza della Chiesa, sieno imbevuti della germana dottrina della Chiesa cattolica, attinta dalle pure fonti dei SS. Padri, dei Dottori della Chiesa, degli approvati Autori e precipuamente dell'Angelico Dottore S. Tommaso d'Aquino.
Le prego intanto ogni prosperità e felicità dal Signore.
Dato in Roma il dì 7 Marzo 1888.
Devotissimo nel Signore
R. Card. MONACO.