Antonio Rosmini
SEGUE L'ESAME CRITICO
DOTTRINA DEL ROSMINI INTORNO ALL'ANIMA UMANA.
Come nell'uovo materno appare in sulle prime il feto informe, e solo a poco a poco, fatto embrione, prende sue proprie e specifiche fattezze, di guisa che, nel principio, l'occhio armato penerà assai a discernere l'embrione di un bruto dall'embrione dell'uomo; ma appresso la discrepanza sarà manifesta ed evidente: così la dottrina filosofica del Rosmini non mostrò nelle prime opere espressamente le sue forme, cotalchè da taluno era confusa con la dottrina de' saggi filosofi, od almeno non se ne vedeva una essenziale diversità. Ma a poco a poco apparve veramente qual era nella sua realità. Di qui venne che dalla lettura del Saggio sopra l'origine dell'idea non si giudicò cotesta dottrina qual dichiarato Ontologismo e Panteismo; se n'ebbero assai più gravi indizii poscia nel Rinnovamento della Filosofia contro Terenzio Mamiani e nelle altre opere filosofiche speculative del Rosmini. Ora con la Teosofia cadde ogni dubbiezza, e il lettore ne dev'essere persuaso e convinto.Fra le opinioni del Rosmini, le quali venivano con insistenza specialissima combattute, anco prima del divulgarsi della Teosofia, era quella del cangiarsi l'anima sensitiva in intellettiva per lo associarlesi l'essere ideale; ma anche questa opinione sotto un aspetto, quasi diremmo più assurdo, ci si manifesta da quello, che ei dettò nella Teosofia stessa. E perchè la è cosa d'alta rilevanza, ci conviene soffermarci in essa alquanto distesamente. Prima mostreremo come non ebbero torto fin qui gli avversarii del sistema rosminiano ed eziandio qualche caldo seguace del medesimo, quando attribuirono al Rosmini quella opinione: in secondo luogo come dev'essere corretta dopo l'esame della Teosofia.
Cominciando dal primo dei due punti accennati, qual cosa più manifesta di questa, che il Rosmini insegnasse un tempo che l'anima sensitiva, per lo solo intuire dell'essere ideale, divenisse intellettiva? E di vero egli confessa da prima che persino Aristotele insegnò che la mente viene dal di fuori ed è divina: «Aristotele stesso se ne accorse, poichè nell'opera che scrisse sulla generazione degli animali, dopo aver detto che le anime de' bruti non vengono loro dal di fuori, nè possono esistere senza corpo, poichè ogni loro operazione si fa coll'aiuto di organo corporale, soggiunge, parlando dell'intelligenza: Rimane adunque, che la sola mente s'aggiunga dal di fuori, ed ella sola sia divina, poichè l'azione corporale non ha niente di comune con l'azione di lei [1].»È chiaro che la dottrina qui accennata di Aristotele è proprio la dottrina dell'Angelico, il quale insegnò apertamente che in finedell'umana generazione viene creata, cioè prodotta ex nihilo sui et subiecti, l'anima intellettiva ch'èsostanza sussistente e divina appunto per ciò che in essa v'è una partecipata imagine della divinità e quel lume intellettuale che, sebbene non sia l'eterna verità, è simile tuttavia al lume della medesima. L'anima intellettiva, secondo lo Stagirita e l'Aquinate, è soggetto dell'intendere, perchè sostanza e perchè sussistente; laonde nella loro sentenza, quando dicono che l'anima intellettiva viene dal di fuori, intendono dirci che di fuori viene propriamente il soggetto. Al contrario il Rosmini distinguendo il soggetto dall'oggetto, quello, dic'egli, non viene dal di fuori bensì è generato dai parenti; questo viene dal di fuori perchè è l'essere ideale (appartenenza divina) universale, infinito, necessario. «Trovammo che nella stessa umana mente due cose si dovevan distinguere, che chiamammo il soggetto, e l'oggetto. Vedemmo quindi che il soggettonon potea dirsi in alcun modo divino, perchè limitato e contingente; e che al solo oggettospettava d'essere annoverato fra le cose divine, come quello ch'era veramente illimitato, eterno, necessario (ecco Dio! ed ecco l'ontologismo pure accennato dal Rosmini in opere pubblicate ben prima della Teosofia), e di altre qualità fornito al tutto divine. Poichè quest'oggetto che sta immobilmente dinanzi al soggetto umano è lo stesso essere in quant'è ideale [2].»Il Rosmini poi si fa una difficoltà e la scioglie in maniera da dichiarare apertamente che l'anima umana è ex traduce, cioè discesa per generazione seminale dai genitori. «Dopo di che svanisce una difficoltà che si potrebbe fare così. Nell'uomo v'ha un'anima sola razionale. Ma l'uomo è anche un animale e come tale ha un principio sensitivo. La natura dell'animale e del principio sensitivo è di nioltiplicarsi per via di generazione. Questa legge universale degli animali non può esser annullata per l'uomo. E di fatto l'uomo genera. Se dunque genera e così moltiplica l'individuo animale, forz'è che moltiplichi anche l'anima razionale ch'è una ed identica in lui all'anima sensitiva. –– Diciamo (risponde ora alla difficoltà) che così è appunto, ma solo presupposta la prima legge, per la quale fu decretato, che l'essere universale si unisca a tutti gl'individui dell'umana natura, legge stabilita da Dio nel momento che Iddio inspirò in Adamo lo spiracolo della vita [3].» Cotesta risposta del Rosmini è a vero dire sofistica, ma qui il sofisma non è a guisa di rete sottile, che appena appena si possa vedere, anzi è sì grossa che non v'incappa se non chi vuole.
Infatti non si nega da noi seguaci dell'Angelico, che l'anima sensitiva, in genere, derivi per generazione: ne che la generazione sia ragione del moltiplicarsi le anime intellettive per la legge prima, cui accenna il Rosmini. Con questa legge Dio, fin dal principio, ha disposto che quando l'embrione, per naturale generazione, a poco a poco acquistata avesse la vita vegetativa e la vita animale, l'anima intellettiva venisse creata, cioè prodotta ex nihilo sui et subiecti:e che questa, quale forma sostanziale del corpo condotto al debito organismo, sottentrasse al principio della vita sensitiva e della vegetativa, che prima informava la materia organizzata. Ognun vede che in questa dottrina si mantengono egregiamente tre punti dottrinali. Il primo che la moltiplicazione dell'anima intellettiva dipende dalla generazione: il secondo che vi sia un'anima sola quale forma sostanziale del corpo umano: il terzo che l'anima umana intellettiva in fine della generazione sia quest'unica anima, creata dal nulla e perciò sussistente ed immortale ab intrinseco. Chi non è filosofo, vedendo che il Rosmini accenna a quella legge primitiva, può essere dal sofisma gabbato, e credere che la sua sentenza, alla fin fine, non abbia affatto, od almeno non abbia notevole discrepanza dalla dottrina sincera dell'Aquinate.Ma essa è alla medesima diametralmente opposta. Conciossiachè la legge, cui accenna il Rosmini, non è già che, posta la generazione umana, vengano createimmediatamente da Dio le anime intellettive; bensì consiste in ciò che, generate o prodotte ex traducele anime sensitive, a queste si affacci l'ente ideale, come oggetto a soggetti; i quali, per questa presenza e per la conseguente intuizione, acquistino una diversa determinazione. –– Ecco come il Rosmini descrive cotesta legge: «Collo stesso soffio adunque, onde l'Onnipotente avvivò il primo uomo, pose in pari tempo ed effettuò questa legge, che ––l'essere ideale sia manifesto ad ogni nuovo individuo dell'umana specie. –– La moltiplicazione poi degli umani individui volle che avvenisse per opera dell'uomo stesso mediante la generazione. Così si avvera del tutto, che dopo i sei giorni requievit ab omni opere quod patrarat. (Gen. 2) [4].» Questa sentenza del Rosmini fu chiaramente preveduta ed egregiamente confutata dall'Aquinate in queste parole: «Dicono altri che quella stessa anima, la quale in sulle prime fu solamente vegetativa, e poi, per la virtù seminale, è ridotta ad essere sensitiva, diviene poscia essa medesima intellettiva, non già per la seminale virtù attiva, ma per la virtù di un agente superiore, ossia di Dio, che estrinsecamente la illustra: per virtutem superioris agentis, scilicet Dei deforis illustrantis [5].» Or ecco come l'Angelico combatte cotesta dottrina, ed insieme risponde a coloro che non finiscono di ripetere che l'affacciarsi dell'essere divino ideale non è disgiunto da una sua operazione che innalza l'anima sensitiva al grado di intellettiva: «O ciò che è causato dall'operazione di Dio, è qualche cosa di sussistente; e se lo è, è mestieri che sia per essenza diverso dalla forma preesistente, che non era sussistente, e così si tornerà all'opinione di coloro che ammettono esservi nel corpo più anime: o non è qualche cosa di sussistente, ma è una perfezione ulteriore data all'anima preesistente, e in tale ipotesi, per necessaria illazione, viene che l'anima intellettiva corrompasi alla corruzione del corpo, ciò ch'è impossibile [6].» Laonde a giusta ragione l'Aquinate condanna come eretica la sentenza che ammette generarsi l'anima intellettiva, perchè si genera l'anima sensitiva. «L'affermare adunque che l'anima intellettiva è causata dal generante, equivale al dirla non sussistente e, conseguentemente corruttibile col corpo. E quindi è eretico il dire, che l'anima intellettiva venga tradotta col seme [7].»
I rosminiani ebbero a sdegno e mostraronsi corrucciati quando la sentenza del Rosmini fu da un moderno filosofo detta rifiutodell'Aquinate; ma è proprio così. Essa è un rifiuto nè più nè meno; e per quanto si voglia ripetere che l'affacciarsi dell'ente ideale reca una creazione, a nulla approda; mercecchè cotesta creazione non può essere che metaforica, la quale consisterebbe in una mutazione di minore in maggiore perfezione. Ma oltre a ciò siffatta mutazione è assurda intrinsecamente. Conciossiachè l'anima intellettiva non può venire all'esistenza altrimenti, che per vera creazione, cioè per vera produzione ex nihilo sui et subiecti, essendo essa non solo semplice, ma immateriale e sussistente.
E poi se altri è vago di esaminare più accuratamente la dottrina del Rosmini, com'ei la spiegava una volta, troverà che anche l'affacciarsi dell'essere ideale devesi prendere metaforicamente. In vero, la sentenza del Rosmini è in realtà questa. Quanto più l'organismo è perfetto, tanto l'atto dell'anima sensitiva è più perfetto. Se non che l'atto più perfetto è l'intuizione dell'essere ideale, ch'è da per tutto, e nel quale si trova l'anima stessa; laonde l'anima sensitiva col suo stesso atto avrà questa intuizione. Non è dunque che l'essere ideale si affacci o si mostri: esso è da per tutto; ma bensì è l'anima sensitiva che per la perfezione dell'organismo corporeo è atta ad intuirlo, come l'occhio reso perfetto nel suo organismo può vedere e distinguere quegli oggetti minuti che prima non punto vedeva o non distingueva. Per certo vi sarà taluno il quale trasecolerà in leggere siffatte cose, e sarà tentato di dire che noi calunniamo il Rosmini. Eppure è così, e crediamo che il Rosmini stesso possa servirci di buon testimonio.
Solo qualche pagina dopo il passo sopra recato egli propone a sè stesso questo problema. «Ma qual è la condizione, alla quale il soggetto oltr'essere animale diventa intelligente? Noi abbiam detto, che a ciò si esige, che il sentimento animale acquisti la sua maggiore perfezione specifica, la maggiore unità, ed armonia, mediante opportunissima organizzazione [8].» Svolgendo poscia questa ragione così discorre. «Che un principio animale non possa intuire l'idea se non giunto alla maggior potenza di animalità, si può conghietturare supponendo, che ogni virtù del principio sensitivo, quando non sia giunto alla maggior potenza specifica, rimanga sposa ed assorbita nella tendenza a conseguire lo stato di perfezione organica che gli manca, e quindi non possa assurgere a riguardare l'essere ideale, per sè intelligibile essenzialmente ed ovunque presente –– poichè se non è veduto, è per difetto del soggetto a cui non resta virtù da volgere a lui. –– Infatti se si supponga che la virtù di un principio sensitivo tutta si esaurisca nell'organizzare la materia, niente più rimane di esso col quale possa attuarsi verso l'ente. Ma dopo che la perfezione specifica dell'organismo e del sentimento è a pien conseguita, il principio non adopera più quella virtù e forzache impiegava nella fatica dell'organizzazione, ed ella allora incontra l'essere presente per tutto, come dicevo, e prendendolo a termine del suo atto si rende intelligibile. Perocchè è da considerare, per dirlo di nuovo, che l'essere è dovunque (ha ragione il Rosmini, perchè quest'essere è Dio), ed è dovunque intelligibile, non potendo essere altro: tale è la sua propria essenza. Onde se poniamo esistere una virtù universalmente sensitiva–– un soggetto –– atta cioè a sentire ogni cosa che le sia presente, avverrà che questa virtù sentiràl'essere, il quale non manca mai, a sola condizione ch'essa non sia occupata ed esaurita in altro, e col solo sentirlo sarà resa intelligente; perchè la natura del principio senziente viene determinata dal sentito (però dovrebbesi dire applicando il discorso del Rosmini ad altro, che la luce non presuppone ma è causa della facoltà visiva: i seguaci di Darwin dicono presso a poco così) e questa è la natura dell'essere, che venendo sentito rende intelligente il senziente, appunto perchè egli è l'intelligibilità stessa dell'essere, e non può mescersi con altro, essendo oggettivo per essenza. A intendere questo fatto basta dunque supporre che la virtù o principio sensitivo, che chiamiamo soggetto, possa terminare il suo atto ad ogni cosa presente; ma che essendo quella virtù limitata, talora s'arresti nell'atto suo per esaurimento di forza, talora poi gli avanzi vigore da sentire l'essere intelligibile.»
Intenti, in questo articolo, allo scopo nostro principale, non ci tratterremo per far osservare al saggio lettore come qui il parlare del Rosmini sembra putire di marcio sensismo, accennando inoltre ad errore assai più pernicioso; nè a dimostrargli come, ammettendo esso che molte sono le specie de' bruti, e tutte differenti dalla specieumana, deve pur ammettere che da ciascun bruto la perfezione specificadell'organismo e del sentimento a pieno viene compita, e perciò, secondo i suoi principii, ogni ente sensitivo dovrebbe sentire l'essere ideale (cioè Dio) ch'è dovunque presente e dovunque intelligibile. Non ci perdiamo ora in siffatte considerazioni. Ma di grazia, se all'Aquinate si fosse presentato, non già il quesito del Rosmini, tal quale questi lo fece, perchè il santo dottore non ammetteva essere naturale la intuizione dell'essere ideale; ma bensì il quesito onde si chiede, la ragione per cui, quando è perfetto l'organismo, e non prima, il feto diventa uomo, cioè razionale, come egli avrebbe risposto? Forse avrebbe dato per ragione che l'anima sensitiva, tuttaassorbita nel formare l'organismo, non per anco avea virtù di concepire le prime nozioni universali o i primi principii? Chi dicesse così dell'Aquinate, mostrerebbe d'ignorare affatto la sua dottrina, e lo confonderebbe con un ignorante sensista. Più presto ti direbbe l'Angelico, che prima che la generazione umana sia compita (e lo è all'istante dell'animazione, cioè della creazione dell'anima razionale e della sua unione col corpo) ripugna intrinsecamente che il feto sia razionale, perchè in esso da prima v'è un'anima vegetativa soltanto, poscia un'anima vegetativa insieme e sensitiva, la quale dipende in tutte le sue operazioni dalla materia, ed è perciò essenzialmente materiale, nè può essa stessa, in nessun modo, dato ancora che fosse l'organismo perfetto, tramutarsi in razionale.
La ragione poi perchè non prima dell'organismo compiuto venga creata l'anima razionale e sostituita al principio vitale antecedente, può essere tolta e dall'ordine costante di tutta la natura, nella quale sempre si va dall'imperfetto al più perfetto, ed eziandio dalla dipendenza che ha la virtù intellettiva dalle sensazioni e da' fantasmi. Imperocchè dovendo essere, nell'ordine cronologico, la sensazione e il fantasma prima di ogni nozione intellettiva, comechè semplicissima, qual è quella dell'ente (tutte le specie intelligibili vengono astratte da' fantasmi); nè potendosi avere perfette sensazioni e fantasmi, se non dopo compiuto l'organismo; è del tutto conveniente che non prima l'anima intellettiva venga creata qual unica forma sostanziale del corpo umano, che questo abbia di già compiuta la dovuta perfezione nell'organismo. Ma il Rosmini è ben lontano dall'accettare così fatta ragione. Per lui è buona una ragione tutta sensismo, e però dice che sino a tanto che non è compiuto l'organismo specifico dell'animale, il principio sensitivo è troppo occupato nell'acconciarselo, e però non gli resta virtù a sentire l'essere ideale e, sentendolo, a diventare intellettivo. Perchè poi il solo principio sensitivo dell'animale uomo abbia sortito il privilegio disentire l'essere ideale, nè di questo senso sieno fatti partecipi i principii sensitivi degli altri, comechè il loro organismo specifico sia compiuto, non è da ricercare nel Rosmini una vera e intrinsecacagione, basta il beneplacito di Dio e un privilegio concesso all'umana famiglia. Ed è forse diversa questa dottrina del Rosmini da quella dei sensisti che t'insegnano non ripugnare all'anima sensitiva l'intendere? E, dopo che il Rosmini parlò sì chiaro, sono forse da rimproverare coloro che l'accusarono di traducianismo, di avere negata la creazioneex nihilo dell'anima intellettiva, e di averla per ciò fatta intrinsecamente eguale all'anima delle bestie, corruttibile e mortale?
Ma se noi consideriamo un altro passo della Psicologia, citato dal Rosmini nella Teosofia, c'è di che confondersi, e confessare o che il Rosmini non capiva ciò che dettava o che accennava, nella stessa psicologia, ad una dottrina peggiore del sensismo, vogliam dire al panteismo. «La condizione, alla quale l'anima dall'atto, con cui sente il corpo come sensibile, passa all'atto con cui sente il corpo come ente, e quindi intuisce prima l'ente, si è che il sentimento corporeo abbia conseguita la sua specificaperfezione. Ora collo sciogliersi l'organizzazione si scioglie il sentimento perfetto ed umano in più sentimenti imperfetti, nessuno de' quali può avere un principio idoneo a intuire l'ente. Cessa dunque a questi nuovi principii sensitivi nati dalla distruzione del corpo umano l'attitudine a veder l'ente; e perciò niuno di essi è l'anima umana; essi hanno perduta l'identità con quest'anima. All'incontro l'atto che intuisce l'ente, quando è già posto, non ha più bisogno del sentimento animale per sussistere, perchè egli è al tutto indipendente da lui; e questa è l'anima umana, che prima era identica col principio sensitivo [9].»
Che dice il saggio lettore di cotesta dottrina? Eccola nella sua crudezza. 1° L'organismo perfetto è necessario affinchè si faccia l'aggregazione di moltisentimenti in un sentimento solo. 2° Il principio senziente che è formato per cotale aggregazione incomincia a sentire o a vedere l'ente. 3° Per questo nuovo suo atto egli è mutato e divenuto intelligente. 4° Quando si scioglie l'organismo, il sentimento formato per sintesi, per analisi si discioglie in que' tanti sentimenti ond'era formato. 5° E poichè l'atto di sentire o vedere l'ente era l'atto di quel sentimento derivato dall'aggregazione dei sentimenti predetti, quest'atto non deriverà da nessuno dei nuovi principii senzienti e per l'analisi disciolti. 6° Ma l'atto una volta posto rimane sempre, però non cessa nello scioglimento del corpo e dei sentimenti. 7° Quest'atto che rimane è l'anima umana. 8° La quale prima era identicacol principio sensitivo, che derivava dall'aggregazione dei parziali principii, ma poscia di esso principio più, per esistere, non abbisogna.
Il lettore dirà per certo che questa dottrina è un vero pasticcio. Bene si può capire come, nel sistema dell'Angelico, l'anima umana intellettiva sia identica con la sensitiva e come possa intendere, ma non propriamente sentire, dopo morte, conciossiachè l'intendere non si fa dal composto, bensì dall'anima sola, e il sentire è del composto. Per lo che gli scolastici dicevano che l'anima separata è sensitiva in radice: nè si sono giammai sognati di spezzare, alla morte dell'uomo, in due l'anima umana, che durante la vita era in atto sensitiva insieme e intellettiva. Nè potevano dire altramente, mercecchè, per essi, l'anima umana è una sostanza semplice, immateriale, sussistente, da Dio creata, cioè prodotta ex nihilo sui et subiecti. Che se quoad sui substantiam v'è identità fra la intellettiva e la sensitiva, ripugna che tale identità non perduri in eterno e che l'anima stessa, quando che sia, possa essere divisa in due o in più anime. Allorché poi si dice ripugna, si dice cosa che implica contraddizione, alla quale non si può, perciò stesso, estendere nemmeno la onnipotenza divina. Il Rosmini, che muta a talento la significazione delle parole, dà alla parola identità una significazione strana ed impertinentissima: insegnando che alla morte l'anima ch'era prima identica, secondo lui, si divide in una intellettiva ed in innumerabili principii senzienti. Davvero che cotesta è una identità portentosa!
Ma ciò che ti farà inarcare le ciglia, saggio lettore, è che il Rosmini, in omaggio della identitàanzidetta, ti reca come possibile una ipotesi veramente inaudita. Eccola: che l'anima intellettivaidentica alla sensitiva, da questa si stacchi e la lasci com'era dianzi, cotalchè p. e. Pietro non più esista, come uomo, ma seguiti ad esistere come animale. No! dirai, non è possibile che il Rosmini cada in tale follia. E che? vogliam forse teco celiare? Apprendilo da lui stesso: «Non è certo impossibile il pensare, che dalla potenza divina possa esser da lui (cioè dal corpo)divisa l'anima intellettiva ed egli tuttavia rimanersi nella qualità di animale, rimanendo il principio animale, che prima esisteva come appendice, siccome base del nuovo ente, cioè del puro animale che rimarrebbe. Ma non crediamo che questo possa avvenire se non per miracolo [10].» Hai capito? è sua o non è sua cotesta ipotesi? La panacea del miracolo non conta un ette, perchè per miracolo non si possono giammai fare le cose che intrinsecamente ripugnano; ed intrinsecamente ripugna la ipotesi rosminiana.
A questo nostro discorso molti degli avversarii del Rosmini che riprovavano la sua dottrina, perchè manifestamenteinsegnava che l'anima intellettiva deriva ex traduce (e possiam dire che siffatta riprovazione era comune), saranno ora tentati a combatterlo per la sentenza diametralmente opposta; cioè perchè ammette nell'uomo due anime l'una sensitiva, (aggregato di moltissimi principii sensitivi) l'altra intellettiva, realmentedistinte e tra loro aggregate. E di vero se tale distinzione reale non si ammetta, ma invece si ammetta l'identità, quello scindersi di guisa che resti nel corpo l'animasensitiva, e quel non ripugnare che rimanga l'animale e muoia l'uomo, perchè l'anima intellettiva si distacca, tornerebbe affatto impossibile e contradittorio. Ma differiscano, di grazia, questo nuovo combattimento; perchè come la tattica da prima adoperata non era che apparentemente opportuna, così la seconda sarebbe fuori di proposito. Conciossiachè il Rosmini, in realtà, non ammette nè una nè due anime con essere proprio; ma ammette un essere solo increato ed eterno; l'essere divino.
Il conciliare tra loro le formole diverse, onde il Rosmini esprime la propria dottrina nelle differenti sue opere, torna non meno difficile che fare la quadratura del circolo. Se non che essendo oggimai a tutta evidenza dimostrato che la sua filosofia è vero panteismo, e che tale filosofia è stata da lui professata negli ultimi anni della sua vita, da cotesta filosofia è necessario prendere la norma per giudicare della dottrina esposta nelle opere da lui pubblicate, nelle quali si trova come abbozzata ed in germe. Ora nella Teosofia, in cui all'essere divino riduce l'essere di tutte le cose, mette una discrepanza tra il modo onde viene dall'intelligenza divina riferito l'essere alle intelligenze finite, e il modo onde viene riferito agli altri enti, e però agli animali tutti quanti. Subito dopo le testimonianze da noi sopra recate, nelle quali descrive in compendio la metaforica sua creazione, così prosegue: «Le quali cose ben ritenute, possiamo in qualche modo intendere come la sintesi divinapossa ottenere questi due ultimi effetti. Poichè coll'essere inizialeella informa quel reale finito che diviene così intelligenza e persona. Gli enti intellettivi hanno il reale come subietto proprio e l'essere iniziale come oggetto. Da questo quello riceve l'esistenza, e perciò sono enti subiettivi perfetti, benchè finiti. Gli enti all'incontro a cui manca l'intelligenza sono de' puri reali, ossia termini, ma gl'intellettivi percipiendoli e concependoli li apprendono nell'essere iniziale obiettivo ossia nelle essenze, e così quei termini acquistano l'essere iniziale, il primo elemento pel quale sono e si dicono enti, ed è di questi che sempre si parla, nè si può parlare d'altri; essendo impossibile parlare d'enti non concepiti, se non per via d'astrazione (Rinnov. 573 segg.). Onde si può dire in qualche modo, che la creazione degli enti privi d'intelligenza si continua e si compie non solo coll'atto dell'intelligenza divina, che veramente gli crea, ma auco con l'atto dell'intelligenza umana e d'ogni altra intelligenza: ciascuna di queste intelligenze compie la creazione di tali enti relativa a se stessa [11].»
Ma tu, lettore gentile, ci dai l'alto là, chè non vuoi più oltre essere sospinto in fra tenebre così spesse, come sono quelle in cui sono sempre vaghi di spaziare i panteisti tedeschi, e con questi il Rosmini. Che roba è questa dirai? Che significa questa sintesi divina che conl'essere iniziale informa il reale finito che per siffatta informazione diviene intelligenza e persona? Che vuol dire, che gli enti intellettivi hanno il reale per subietto proprio, ed hanno per oggetto l'essere iniziale, onde essi stessi, siccome reali finiti, sono informati dalla sintesi divina? E perchè a cagione di questo sono essi, benchè finiti, enti subiettivi perfetti? Come mai gli enti, cui manca l'intelligenza, sono puri reali ossia puri termini, quasi che ad essi non venga riferito l'essere iniziale dalla sintesi creatrice, come parlando della creazione disse di tutti il Rosmini? Ma e come cotesti acquistano l'essere iniziale, ch'è il primo elemento pel quale sono e si dicono enti, solo per ciò che sono appresi o concepiti dalla mentenell'essere iniziale? Sono essi forse soltanto concetti? E se non sono soltanto concetti, com'è che la mente umana, o qualunque altra mente finita, gli crea, e creandoli compie la creazione divina, dando loro una esistenza relativa a sè? Oh davvero che c'è qui da perdere la testa chi vuole esprimere, senza sofismi ma nettamente, il pensiero del Rosmini. Che razza di filosofia è questa? Il Rosmini intendeva sè stesso? Così dirà il nostro lettore, avvezzo forse a leggere le opere dell'Angelico, nelle quali la profondità insieme e la chiarezza si veggono accoppiate in bella e divina forma.
Senza dubbio la è cosa difficilissima dire chiaramente quale pensiero volesse esprimere il Rosmini nel predetto discorso, in cui pretende di fare rilevare la discrepanza che corre tra l'ente intellettivo e il non intellettivo. Sopra tutto torna impossibile dichiarare come, supposto ciò ch'ei dice, l'anima intellettiva umana sia identica con l'anima sensitiva, e tuttavia possa da questa separarsi, nè ripugni la esistenza di entrambe, dopo la mutua separazione. Ma che monta? Ci basti sapere che la sintesi divinainforma coll'essere iniziale quel reale finito, che diviene così intelligenza e persona: per la qual cosa l'essere formale dell'anima umana è quell'essere che dal Rosmini è detto divino, e ch'è la stessa divina essenza senza i suoi tre termini proprii, cioè presa come atto od inizio di tutti gli enti. Ci basti sapere che quest'essere iniziale non è l'essere che informa, e però non è l'essere formaledi ciò che non è intelligente; e che il non intelligente ha solo una esistenzaobiettiva, cioè relativa ad una mente che lo concepisce. Se non che la prefata informazione dell'essere divino è meramente ideale ed altro non vuole dire, come insegnò espressamente il Rosmini, che unriferimento intellettuale dell'intelligenza divina al termine concepito. «Riferito dall'intelligenza, per mezzo della sintesi divina, l'essere iniziale, non come intelligibile ma puramente come essenza, ai termini reali finiti, fa che esistano gli enti finitisubiettivamente e realmente [12].»
Per la qual cosa non perdiamo tempo in altre ricerche. Qualunque sia la discrepanza che, secondo il Rosmini, corre tra l'ente intellettivo e il non intellettivo, nè quello nè questoè fuori di Dio salvo se alla parola fuori non diamo la significazione rosminiana, altrove recata, in forza della quale il mio pensiero sarebbe fuori di me, ed ogni accidente sarebbe fuori di quella sostanza a cui appartiene. Quindi se gli avversarii del Rosmini debbonsi correggere e non più accusarlo di ammettere che l'anima intellettiva venga per generazione ex traduce, hanno da far ciò per accusarlo d'altro errore assai peggiore, qual è quello di identificare l'anima con Dio, a cagione della panteistica sua dottrina. Dell'anima umana abbiamo voluto trattare un po' alla distesa per l'alta rilevanza che ha questa questione nella filosofia Rosminiana. Ma con ciò vogliamo chiudere il critico esame della Teosofia.,
La quale Teosofia è un'opera postuma, i cui primi volumi (dai quali abbiam preso quasi tutti i passi del Rosmini) erano già dal Rosmini con accuratezza preparati per la stampa. Appunto per essere quest'opera posteriore alle già pubblicate da lui vivente, ci ammaestra meglio dell'altre intorno al suo sistema ideologico. In essa non si tratta nè di morale, nè di diritto naturale, nè di religione, nè di politica, ma solamente si tratta dei principii fondamentali della razionale filosofia. E questi principii fondamentali sono appunto l'Ontologismo e il Panteismo: per lo che è rea la dottrina che svolge, e affatto da rimuoversi dalle scuole. L'esame nostro si è ristretto sopra questi due principii soltanto, non perchè non vi fossero altre sentenze riprovevoli e false, ma perchè abbiamo voluto restringerci in ciò ch'è il principale dell'opera e di tutto il sistema, che sotto parole e modi lievemente diversi è trattato in tutti i cinque volumi ond'è composta l'opera stessa. Ed operando così non diamo altrui pretesto di entrare in controversie secondarie infinite, che portano seco grande iattura di tempo e che a' sofisti danno opportunità di cangiare lo stato della questione, e di trarre la lite in noiose lungaggini.
Due sole dimande noi facciamo a' seguaci del Rosmini. La prima è: la dottrina della Teosofia è Ontologismo sì o no? La seconda: è sì o no Panteismo? Se rispondete che sì: ripudiatela. Se rispondete che no, dimostrate che le prove da noi recate sono insufficienti: ma lasciate da lato i sofismi e que' modi che non valgono a sciogliere le questioni scientifiche e quasi sempre le inacerbiscono. Fu detto e si dice da' più nominati patrocinatori del Rosmini che la Teosofia contiene la identica dottrina che egli avea proposta nelle opere innanzi pubblicate. Dunque, ripigliamo noi, siccome egli è indubitato che la dottrina della Teosofia è tutta Ontologismo e Panteismo, tutte le anzidette opere saranno da riprovarsi egualmente che la Teosofia. Ed è per molti capi inutile il dire che le precedenti sono immuni da cotesti errori, e però devesi così dichiarare immune anche la Teosofia. In primo luogo, perchè contra factum non valet argumentum; e che la Teosofia sia tutta fondata sopra l'Ontologismo e sopra il Panteismo è un fatto provato e certo. In secondo luogo, perchè ogni autore è mutabile, e sopra un'opera si può proferire un giudizio assai severo senza essere necessitati per questo a proferirlo sopra tutte le opere dello stesso autore, quantunque trattino più o meno lo stesso soggetto. In terzo luogo, perchè sono le opere posteriori che chiariscono le opinioni delle precedenti, e non viceversa. In quarto luogo perchè molti di quelli, che già da molti anni hanno combattuto il sistema filosofico del Rosmini, vennero in grave sospetto che nelle opere pubblicate prima della Teosofia s'insegnasse non solo l'Ontologismo, ma eziandio il Panteismo; comechè confessassero che il Rosmini rassomigliava ad una voltabile sfinge, non attenendosi mai alle stesse definizioni e cangiando a suo talento le significazioni delle parole. Ond'è che le opere scritte dal Rosmini prima della Teosofia voglionsi ragguagliare alla Teosofia, per ricevere da questa la sincera esplicazione. Nè vale l'obbiettare che nella Teosofia vi sono di molte cose oscure e, per poco inesplicabili, e che quindi debbesi, per ciò stesso, sospendere ogni giudizio: mercecchè l'oscurità non cade sopra l'essenza del sistema, ch'è evidentemente Ontologismo e Panteismo; bensì cade nel modo di svolgerlo e di applicarlo in tutte le sue parti. Davvero che del Rosmini non sono più chiari i panteisti alemanni; eppure della reità della dottrina loro nessun vero filosofo può dubitaro. Nè poteva il Rosmini non essere oscuro; conciossiachè è affatto impossibile studiarsi di dare la tinta della verità ad un sistema filosofico affatto assurdo senza cadere assai spesso nell'oscurità del dettato. Se la trattazione de' misteri che non contraddicono alla ragione umana, ma solo la superano, deve naturalmente avere un qualche lato oscuro; che cosa si dovrà dire della Teosofia, la quale vuol rendere accetto non un sistema misterioso soltanto, ma il più assurdo che si possa mai concepire? Conciossiachè l'identificare coll'essere divino l'essere di tutte le cose contingenti immateriali e materiali, le proprietà delle quali sono in evidentissima opposizione cogli attributi di quello, è tale un'impresa che non può non apparire follia, quantunque colui che vì si accinge sia abilissimo ed acutissimo. Laonde la oscurità che necessariamente vi deve essere nella Teosofia, e che ciascuno vi trova, non punto deroga alla certezza che abbiamo intorno alla essenza del reo sistema.
Se non che non possiamo fare a meno di rispondere ad una accusa che ci vien mossa e in iscritto ed a voce, e la quale, non rade volte viene creduta giusta da uomini dabbene sì, ma poco accorti. Si fanno alte lagnanze, perchè ardendo una guerra sì fiera e universale a dì nostri contro la Chiesa, nel campo cattolico molti si combattono fra loro. E quando mai, (così viene opposto) è più necessaria l'unione tra cattolici e specialmente tra scienziati e filosofi, che nel tempo in cui i nemici da ogni parte ci assaltano? Se costoro ci troveranno divisi, danno immenso ne proverà la religione: per lo che non debbono disperdersi le forze impiegandolo in lotte fraterne, ma unirle contro ai nemici. L'accusa è giustissima; ma, anco qui, come nel resto, con astuto sofisma, si cangia il soggetto a cui essa deve applicarsi, e così sono tratti i semplici in inganno. Infatti il sapientissimo Pontefice, che in tempi cotanto procellosi regge con mano robusta e con incredibile fermezza il timone della mistica nave di Pietro, ha ben conosciuto che lo stato infelice dell'umana società non provenne dal caso, bensì è un effetto che debbe necessariamente avere non solo una precedente cagione, ma una cagione a sè proporzionata. E per certo diè nel segno, quando giudicò che questa cagione consiste specialmente nella perversità delle idee e dei principii, che sono naturalmente la forma esemplare delle operazioni umane. A pervertire le idee e i principii da tre secoli, cioè da Lutero fino a noi, travagliarono con incredibile costanza le sètte, e tanto fecero che guastarono le scienze razionali, ed incarnando la speculativa nella pratica giunsero finalmento ad organare le società civili alla norma di falsi ed empii principii. L'epicureismo speculativo e pratico, il materialismo panteistico, non sono oggimai più sistemi che soltanto da uomini perversi s'insegnino nelle scuole delle università e dei licei; ma sono il perno dei governi sociali; sono la base di quella sconfinata superbia, onde l'uomo è tratto a dispregiare ogni autorità civile, politica, religiosa, a decretare l'assoluta indipendenza da Dio dell'umana ragione, e (cosa contradittoria non che falsa) a riconoscere sè medesimo fonte prima di ogni legge e dì ogni diritto. Adunque Leone a fine di togliere od almeno di sminuire l'effetto, tutto si adoperò a togliere od almeno, non potendosi togliere, a menomare quella causa che dicevamo. Con l'Enciclica Aeterni Patris inalberò la bandiera della restaurazione filosofica; ad ottenerla diede a tutti, quale universale maestro, l'Angelico dottore San Tommaso d'Aquino, e chiamò i filosofi cattolici del laicato e del clero, ma specialmente di questo, a combattere sotto la sua bandiera tutti i moderni errori e a ricercare il sincero progresso umano, che ha per base la verità.
E chi non sa che chi diserta la bandiera del duce è reo di grave fellonia, la quale nel dì della battaglia è punita eziandio con l'estremo supplicio? Ora, a dir vero, siamo in dura battaglia, per difendere e propagare la verità: i nemici sono innumarabili, e, perl'abbondanza de' mezzi che hanno a combatterci, sono forti anzi formidabili. Chi diserta la bandiera inalzata da Leone XIII? Sono quelli che alla dottrina dell'Angelico oppongono contrarie dottrine. Nè solo cotesti sono disertori; ma unisconsi ai nostri avversarii, propugnando con molti scritti, ed anche con periodici, quegli errori, a sradicare i quali il nostro Duce supremo ci ha raunati e spinti. Che tali oggimai sieno i rosminiani, l'indole delle loro dottrine, encomiate assai spesso da tristissimi uomini, e l'opposizione che fanno a Leone XIII nella grand'opera della ristaurazione filosofica, n'è convincentissima prova. È ben vero che vorrebbono darci a credere che promovendo le dottrine del Rosmini promuovono quelle dell'Angelico, ma i saggi, che ne veggono evidentissima la discrepanza, non si lasciano uccellare da quest'arte poco avveduta, dalla quale restano arreticati appena gl'incauti.
Sì, è vero; in tempo di lotta è necessaria la concordia: ma appunto per questo motivo non si deve affatto tollerare che altri abbandoni la bandiera innalzata dal Papa: ed appunto perchè è tempo di lotta, si deve richiedere da tutti obedienza perfetta alla Sede Apostolica, alla quale gli ecclesiastici specialmente debbono mostrarsi unitissimi, da compierne non solo le rigorose ordinazioni, ma eziandio i desiderii. Conciossiachè il magistero supremo spetta al Papa, e questi ha pieno diritto di prescrivere a tutti i cattolici l'insegnamento di dottrine determinate. Quantunque in ciò non intervengano dogmatiche definizioni in fide et moribus, tuttavia v'è obbligo di obbedire; e se l'obbedienza a quelle sole definizioni si volesse ristretta, si dileguerebbe ben presto quell'ordine divino, onde la Chiesa è sempre formidabile, come esercito schierato in battaglia.
Sulla reità della dottrina della Teosofia non può correre ragionevole dubbio: ma, ad accettare l'illazione logica che scaturisce dalla nostra dimostrazione, due ostacoli peculiarmente si frappongono: l'amicizia e la vanagloria. Contro il primo valga il detto dell'Angelico: «Sanctum est honorare veritatem prae ceteris amicis, ut dicit Philosophus in I Ethic.; ideo virtuosi homines non dimittunt, propter veritatem, amicis displicere, ea, quae contraria reputant veritati, reprobando [13].» Contro il secondo valga la sentenza di Agostino. «Sunt et alia multa: sed interim de hoc uno cogita, deposito studio contentionis, ut habeas propitium Deum. Non enim bonum est hominem vincere; sed bonum est homini ut eum veritas vincat volentem; quia malum est homini ut eum veritas vincat invitum. Nam ipsa vincat necesse est, sive negantem sive confitentem [14].»
NOTE:
[1] Psic. III, cap. 23.[2] Loc. cit.
[3] Loc. cit.
[4] Antrop. L. IV, Capo 5.|
[5] Summa th. I. 118, art. 2. «Alii dicunt quod illa eadem anima quae primo fuit vegetativa tantum, postmodum per actionem virtutis quae est in semine, perducitur ad hoc ut ipsa eadem fiat sensitiva, et tandem ad hoc ut ipsa eadem fiat intellectiva, non quidem per virtutem activam seminis, sed per virtutem superioris agentis, scilicet Dei de foris illustrantis.»
[6] «Aut id, quod causatur ex actione Dei, est aliquid subsistens, et ita oportet quod sit aliud per essentiam a forma praeexistente, quae non erat subsistens; et sic redibit opinio ponentium plures animas in corpore: aut non est aliquid subsistens, sed quaedam perfectio animae praeexistentis, et sic ex necessitate sequitur quod anima intellectiva corrumpatur corrupto corpore; quod est impossibile.» l. c.
[7] «Ponere ergo animam intellectivam a generante causari, nihil est aliud quam ponere eam non subsistentem, et per consequens corrumpi eam cum corpore. Et ideo haereticum est dicere quod anima intellectiva traducatur cum semine.» l. c.
[8] Lib. V, cap. IV.
[9] Lib. V, cap. VIII.
[10] Teos. Vol. I, pag. 591.
[11] Teos. Vol. I, pag. 410.
[12] Loc. cit.
[13] Opusc. de plur. form.
[14] Epist. 238.