venerdì 28 settembre 2012

"Archivio Savoia - a cura di Salvatore Botta e Fulvio Cammarano"

 

I "Tre Baroni"


Stralci dal dossier "Archivio Savoia - a cura di Salvatore Botta e Fulvio Cammarano" che comprende - tra l'altro - una sterminata rassegna stampa sull'argomento. Vi consigliamo di leggerlo nella sua interezza alla URL: http://www.sissco.it
Leggendo questo dossier, ci siamo ancor più convinti che la responsabilità degli stessi meridionali nell'occultamento della verità storica riguardo alla unificazione dell'Italia è enorme, vergognosa.

Diamo alcuni stralci inerenti la decisione decretata da Crispi di sottrarre dall'Archivio dei Savoia alcune parti e di secretarle, sistemandole in altro luogo, ma sarebbe opportuno leggersi questo articolo per intero. Le evidenziazioni in rosso sono nostre.

L'archivio dei re d'Italia
depositato presso l'Archivio di Stato di Torino

Cheiron 1996 (n. 25-26)

1. Premessa

"Nihil de principe parum de Deo", con questo titolo il 22 luglio 1983 la "Gazzetta Letteraria" si inseriva nella polemica che da qualche mese vedeva impegnata la stampa nazionale, dalla "Perseveranza" al "Corriere nazionale", dalla "Riforma" alla "Tribuna", dalla "Gazzetta del Popolo" allí "Opinione liberale", fino alla "Nuova Antologia".
L'articolo della "Gazzetta Letteraria" proseguiva: "Nihil de principe parum de Deo"era una massima del buon tempo antico ed i nostri nonni se volevano scansar grattacapi e disturbi e star sicuri di morir di vecchiaia ne facevano il loro vangelo. Che direste lettori cortesi di adottarla voi pure, e di non metter più bocca d'ora innanzi in certi delicati discorsi del trono e dell'altare? Crollereste le spalle chiedendo se scherzo o se impazzisco? Considerato che di libertà ce níè tanta che a un permaloso potrebbe sembrar licenza".

[...]
L'appassionato tema sul quale si scontravano, in un polemico dibattito a distanza, le opposte posizioni politiche, proviamo a conoscerlo tramite uno dei giornali in questione, "La tribuna" del 25 luglio 1893. "La proposta di spogliare gli archivi di stato di una quantità di documenti per fare un archivio segreto di Corte - questa proposta strana di un indice di documenti proibiti - pare partita dal barone Manno, noto clericale (il che spiega la difesa della stampa pretina) e commissario del Re per la Consulta Araldica".

Di che cosa si trattava dunque? Il 5 marzo 1890 il Ministro Crispi aveva istituito una Commissione di tre membri (i Tre Baroni) Antonio Manno, presidente della Deputazione di Storia Patria, Domenico Carutti, direttore della Biblioteca Reale, Bollati di Saint Pierre, direttore dell'Archivio di Stato [2], perché essa procedesse, con un'attività certamente arbitraria, alla asportazione delle carte che costituivano l'Archivio di Corte di documenti di carattere riservato della famiglia reale.

La commissione, inteso in modo ampio il ruolo affidatole, nel corso di tre anni operò una forte censura degli atti separando e asportando dalle serie archivistiche parti importanti delle vicende storiche, che, private di importanti tasselli, perdevano in tal modo possibilità di essere comprese completamente.
Su tale decisione, probabilmente come si legge sulla stampa coeva aveva influito la pubblicazione di una "Vita di Carlo Alberto" ad opera del Costa di Beauregard, che si era giovato dell'aiuto del barone Manno.

I contenuti di tale biografia erano stati messi in dubbio tramite documenti dell'Archivio torinese da Domenico Persero da qui la reazione del potente barone Manno molto intrinseco alla corte, seguita dal decreto del Ministro Crispi per la sottrazione all'Archivio di Corte di preziosi documenti.

Dell'arbitrarietà della costituzione di un archivio segreto può essere prova il fatto che negli stessi anni in cui i "Tre Baroni" operavano in tal senso Leone XIII apriva gli Archivi Vaticani agevolando l'accesso alla ricerca, e la corte di Vienna dava alle stampe le lettere più riservate di Maria Teresa, Giuseppe II, Maria Antonietta.
L'ampiezza della sottrazione è attestata dai lunghi elenchi rimasti nell'Archivio di Stato di Torino.


Le carte sottratte vennero trasportate, come attestano i verbali delle operazioni, nella Biblioteca Reale e, tra promesse di restituzione del Ministero dell'Interno e rinvii, la polemica si trascinò fino a spegnersi come notizia ed il caso finì con l'essere dimenticato e con esso le carte, uscite da un contesto organico di comprensione e di studio, per diventare piccoli lacerti smembrati inseriti in un contesto ad esse totalmente estraneo come quello pur prestigioso ed aulico della Biblioteca Reale.
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Alla morte di Umberto di Savoia, il 18 marzo 1983, gli esecutori testamentari informarono lo Stato italiano della esistenza di un codicillo, che nell'ambito delle disposizioni testamentarie del sovrano i esilio, indicava alcuni lasciti a favore di istituzioni culturali attive sul territorio nazionale e tra esse e l'Archivio di Stato di Torino [3].

La disposizione testamentaria datata 24 luglio 1982 stabiliva che "i documenti dell'archivio storico conservati a Villa Italia a Cascais" venissero consegnati "in piena proprietà all'Archivio di Stato di Torino".

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La Commissione costituita per la consegna dell'archivio storico, convocata dagli esecutori testamentari [7] dovette però registrare già nella prima seduta a Cascais, il 19 maggio 1983, l'assenza di "documentazione storica riguardante il Regno di Sua Maestà Vittorio Emanuele III, la luogotenenza, il Regno e l'Esilio di Sua Maestà Umberto II" [8]. Il verbale di tale seduta informa come furono attivate nella residenza inutilmente ricerche per il reperimento di atti, di cui era ben nota l'esistenza, confermata pure dal testo della disposizione istitutiva della Commissione stessa.

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Gli eredi, con una decisione assunta al di fuori delle disposizioni testamentarie (esse ponevano, come si è visto, indicazioni chiare sulle modalità della consegna), provvidero a trasferire a Losanna il complesso documentario. Né l'amministrazione archivistica italiana, né l'Archivio di Stato di Torino, destinatario del legato, furono informati di quanto operato nei confronti delle carte oggetto del lascito.
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Una miscellanea di atti, nella loro quasi totalità relativi al secolo XIX, componevano il legato. La schedatura analitica ha fatto emergere con chiarezza la loro relazione con l'operazione compiuta negli anni 1890-93 dai "Tre Baroni" nelle sale degli archivi di corte di Torino per ritirare "dalla pubblica vista" carte relative alla dinastia.

Una gran parte di tali atti si riferivano ai primi anni della storia nazionale e in particolare al regno di Vittorio Emanuele II e anche in tale ambito di rilevava la frammentazione dei nessi originari dei documenti, conseguente all'arbitraria operazione di prelievo, dagli archivi di corte, e la loro successiva organizzazione, operata probabilmente dallo stesso re Vittorio Emanuele III. Una scrittura molto vicina a quella del re risulta infatti annotare l'ordinamento delle carte.

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Il legato di Umberto II ha dunque ricomposto nelle sale dell'Archivio di Corte in Torino in gran parte la documentazione relativa al regno di Vittorio Emanuele II asportate nel XIX secolo. Circa 50 cartelle sulle 88 consegnate nel febbraio 1993, contengono prevalentemente carteggi del primo re d'Italia con ministri, politici e, in generale, con i maggiori soggetti attivi nella vicenda politica della unificazione nazionale.
Si deve rilevare tuttavia la perdita di tutti i nessi archivistici tra le carte, organizzate nella forma del carteggio per mittenti e destinatari e pertanto estrapolate dal contesto burocratico amministrativo non più presente.


Non è possibile in tale ambito rilevare l'opera dei soggetti che interagiscono con il sovrano nella preparazione di quanto le lettere consentono di ricostruire. Tuttavia il fondo risulta di notevole interesse considerato il lungo periodo da esse coperto, 1848-1878, i grandi problemi da esse adombrati, e i corrispondenti (dagli esponenti delle maggiori dinastie europee ai protagonisti della politica nazionale tra il 1848 e il 1878).

Pare inutile aggiungere che dal compatto fondo di 50 cartelle, relative all'età di Vittorio Emanuele II, sedici sono costituite da telegrammi, prevalentemente cifrati e raramente interpretabili, limitando la quantità di informazioni utilizzabili.

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Diamo alcuni stralci dell'intervista al Conte Fausto Solaro del Borgo. L'intervista aiuta a inquadrare la vicenda della restituzione dell'Archivio dei Savoia alla Repubblica Italiana, in ottempereranza ad una disposizione testamentaria di Umberto II, ma sarebbe opportuno leggersela per intero.

Intervista al Conte Fausto Solaro del Borgo

(Consegnatario del Testamento di S.M. Umberto II di Savoia)realizzata il 21.12.2002 da Fulvio Cammarano e Salvatore Botta

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4) D. Perché il governo italiano non trasferì immediatamente l'archivio in Italia subito dopo la chiusura delle casse e prima che gli eredi Savoia le portassero in Svizzera?
R. Purtroppo non fu possibile portare in Italia immediatamente dopo la morte del Re l'archivio in quanto occorreva la formale accettazione da parte del Governo Italiano dei lasciti che fu perfezionata solo con un DPR del 21.9.1984, quando l'archivio era già stato trasferito sin dal mese di maggio.

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5) D. In che termini si svolse la trattativa che condusse al rientro in Italia nel 1993 dell'archivio?
R. Sin dal 1992 la Principessa Maria Gabriella, che aveva assunto la custodia dell'archivio, effettuò una prima consegna di alcuni 'faldoni', ma dal Governo Italiano fu immediatamente contestata la mancanza di ben 127 buste, risultante dalla verifica effettuata sulla base del verbale della Commissione del maggio 1983 in possesso della Presidenza del Consiglio.
Sull'intera questione si scatenò una violenta campagna sui 'media' alimentata anche da divergenze sorte all'interno della Famiglia Savoia, dove S.M. la Regina Maria José, che sempre si è adoperata perché fosse data piena esecuzione alle volontà espresse dal Re Umberto, insisteva per una restituzione senza riserve, per cui cercai, avvalendomi della preziosa collaborazione del prof. Damiano Nocilla, all'epoca Segretario Generale del Senato, di trovare un accordo con l'allora Ministro per i Beni e le Attività Culturali, on.le Alberto Ronchey, che ponesse una volta per tutte la parola fine all'annosa diatriba.
Fu di particolare utilità il fatto che alcuni membri della Commissione, da me inviati a Ginevra presso la principessa Maria Gabriella, poterono certificare in piena coscienza che le casse non erano mai state toccate e risultavano nello stesso identico stato in cui la Commissione le aveva lasciate a Cascais, per cui erano in grado di fornire 'sul loro onore' la formale assicurazione che nessun documento, di quelli a suo tempo trovati a Villa Italia, era stato sottratto dalla Famiglia Savoia.
Fu così possibile arrivare il 29 ottobre 1993 alla consegna dell'intero archivio ed all'accordo con il quale il Governo Italiano dichiarava chiusa ogni contesa relativa alla scomparsa di atti facenti parte del lascito di Umberto II.
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Lettera di Raffaele Romanelli al Presidente della Repubblica in relazione all'Archivio Storico Savoia, 8 Novembre 2002
Firenze, 8 novembre 2002
Al Presidente della Repubblica Italiana
Carlo Azeglio Ciampi
Palazzo del Quirinale
Roma
Signor Presidente,
La Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (SISSCO), facendosi interprete degli interessi del mondo della ricerca e dell'insegnamento universitario nel settore storico contemporaneo intende offrire il proprio contributo perché sia fatta luce sulla sorte delle carte d'archivio dei re d'Italia conservate dalla famiglia Savoia. Sull'intera vicenda, e sul mancato versamento delle carte all’Archivio di Stato di Torino, la SISSCO ha raccolto a tal fine un dossier di documenti che mette a disposizione di tutti [http://www.sissco.it].

Come cittadini prima ancora che come studiosi, ci rivolgiamo a Lei, signor Presidente, che ha sempre manifestato una sincera e fattiva sensibilità per la storia del nostro paese, nella convinzione che la mancata consegna dei documenti, e le modalità con cui essa avviene, siano quanto meno poco rispettose del diritto dei cittadini italiani di conoscere la propria storia, e che non fare chiarezza sulla vicenda possa rappresentare un segnale negativo nel difficile percorso di costruzione dell’identità nazionale.
Con la certezza del suo interessamento e del suo sostegno, Le rivolgiamo i nostri ossequi.
Prof. Raffaele Romanelli
Presidente della Sissco