giovedì 6 settembre 2012

Del carlismo tardosocialista al neocarlismo parrocchiale


Carlos Javier y su hoy esposa posan para una revista frívola
 
 
Esiste un'organizzazione che si chiama Comunión Tradicionalista Carlista la cui ossessione per ingiuriare, direttamente o indirettamente, la Comunión Tradicionalista è un segno evidente di una coscienza sgradevole. Finora la Comunión Tradicionalista è stata sorda alle invettive contro lei e contro SAR Don Sixto Enrique de Borbón, che la logorrea internautica del protagonista principale della denominata CTC lancia in rete un giorno sì e uno no. Ma oggi, quando questa organizzazione ha tentato di unificare coloro che, in un modo o nell'altro, si ritengono carlisti; oggi, che il suo «Consiglio Generale» tratta «con grande interesse la crescente presenza di D. Carlos Xavier di Borbone-Parma in Spagna», non è più il momento di tacere, ma di chiarire.

Non sono mai andate bene al Carlismo le collaborazioni con le forze esterne. Non giunse a niente la Comunión al tempo della Guerra di Cuba, anche se per patriottismo abbandonò transitoriamente la sua attività parlamentare di opposizione al governo liberale. Gli andò male la sua collaborazione con la Sommossa e la sua decisione di rimanere in essa nonostante il Decreto di Unificazione. Neppure ottenne per sé alcun bene per la sua fattiva collaborazione con altri gruppi per fermare la transizione verso la democrazia, momento drammatico in cui non solo si oppose al nuovo regime ed alla legalizzazione dei partiti di sinistra e separatisti, ma anche a coloro che fino a poco prima facevano parte del Carlismo. Ma i carlisti non si pentono di nessuna di queste collaborazioni in tempo di guerra o di cambiamenti rivoluzionari. Furono dettate dalla urgenza e dalla necessità di difendere la Chiesa e la Patria, anche se dovettero mettere da parte, per un attimo, una parte importante dei loro principi. In annali storici irraggiungibili di ciò che fu, è registrata l'influenza decisiva di tale sacrificio disinteressato.

Queste collaborazioni dettate da circostanze belliche e, quindi, immensamente lontane dagli impegni che il Carlismo volle fare in tempi di pace. Nato da un imprudente desiderio di potere, il tempo ha sempre dimostrato la sua inopportunità. I tentativi di collaborazione con Franco negli anni sessanta, che causarono molto sgomento tra carlisti, furono fatti fuori tempo, poi quand’anche questo accordo fosse stato accettabile, avrebbe dovuto essere fatto con l’Unificazione e non con un franchismo in pieno declino. Gli accordi con tutta la sinistra che intraprese Carlos Hugo, non solo furono radicalmente distruttivi,Hugo Carlos si è impegnata non solo erano radicalmente distruttivo, ma decisamente prematuri. Se a questo si voleva giungere, l'occasione fu data al Carlismo di prendere posizione durante la Sommossa. Il «carlismo» paleosocialista alla Tito, fu un tradimento dei principi ed inoltre fu ridicolo perché si aggiunse, tardi e male, al blocco dell’Est.

Col suo improvvisato «Partido Carlista», Carlos Hugo volle farsi un posto nella nascente democrazia e fece solo un’opera distruttiva. La CTC, molto lodevolmente, denuncia questa defezione, ma fin dalla sua nascita è dominata dalla stessa ossessione di vedersi concesso un posto. Si conformano ad un minimo di dottrina per cercare l’associazione, a volte, con qualsiasi gruppo o partito, siano essi democratici o fascisti, che voglia mantenere i cosiddetti Conforme con la dottrina minimo a cercare l'associazione a volte con qualsiasi gruppo o partito, siano essi democratici o fascista, che vuole mantenere i cosiddetti «principi non negoziabili»; altre volte cerca di unirsi ad un carlismo storicista, sentimentale e folclorico con la speranza di ampliare delle basi legate ad una dottrina depauperata e scheletrica. Niente di più inopportuno in questi tempi in cui la democrazia liberale e il capitalismo, di comune accordo, fanno acqua da tutte le parti e dove ciò che bisogna cercare, in primo luogo, è di trasmettere in tutta serietà l’intera dottrina.

La ispirazione finale è stata da sempre una ideologia vagamente carlista sottomessa alle linee guida ecclesiali proprie di una chiesa parrocchiale conciliare. Un buon numero dei suoi membri, ne sono certo, non hanno dimenticato la regalità di Cristo e tengono per sé la confessionalità dello Stato e il divieto della libertà religiosa. Ma sia nelle loro dichiarazioni che nelle loro azioni sono costretti a difendere la sfera privata che è la religiosità personale e familiare. Come i sacerdoti nelle loro parrocchie, sembrano disposti ad accogliere con benevolenza quasi l'intero spettro politico, ma non quello che loro chiamano il fondamentalismo. Qui ne perdono tutta la compostezza. In uno scritto recente, uno dei suoi intellettuali inserisce, a proposito di niente, come uscita dell'anima, la seguente frase: «il fondamentalismo è una parodia grottesca della proposta integrale del carlismo. Non si può dare a Dio quel che è di Cesare come non si può dare a Cesare ciò che è di Dio». A Dio, il suo, ciò che è di Cesare al Cesare stesso. Qui si converte la Comunión Tradicionalista nell’oggetto delle loro ire e la definiscono come braccio secolare del «lefebvrismo» o simili falsità. Perché la Comunione, quella vera, rispetta e molto la Fratellanza di San Pio X, ma niente le deve, né nella pratica né nella teoria politica. Difesa dal carlismo allo stesso modo che lei la difese ben prima che fosse conosciuta in Spagna.

In sintesi, l'ideologia politica mantenuta pubblicamente dalla CTC è quella di un neocarlismo parrocchiale soddisfatto nel rifiutare parzialmente il laicismo del governo ed a presentare come scelta rispettabile i principi carlisti. Proprio come gli ecclesiastici moderni si conformano a denunciare l’aborto e le altre leggi contro la famiglia o contro la «vita»  (come dicono) e chiedendo «vivere» il cattolicesimo post-conciliare tra le altre opzioni. Si chiami questo neocarlismo parrocchiale, o in qualunque altro modo si voglia, questa CTC che difende principi irrinunciabili (come se li si potesse rinunciare) e tenta di formare «leghe tradicionaliste» per mezzo di convivenze familiari (come se in quello consistesse l’azione politica), non è nient’altro che una rappresentazione democraticamente ripulita del Carlismo. Il suo Carlismo evirato serve solo a rassicurare le coscienze deboli con giochi floreali e racconti del passato.

Non resta che vedere cosa adducono per far valere il loro diritto a chiamarsi Comunión Tradicionalista. Sebbene ci sarebbe molto da dire al riguardo, ammettiamo che si siano fatti col potere della Comunión a partire dal 1987 e che, oltre ad essersi impadroniti dell’iscrizione che aveva nel registro dei partiti, ricorsero anche ad iscrivere il nome della Comunión Tradicionalista. Sì, «sono» la CTC e la CT secondo la legislazione vigente, vale a dire secondo le leggi della democrazia partitocratica. Neppure passa loro per la mente che la Comunión  non è un partito, bensì l’unione degli spagnoli che mantengono tutti i principi del tradizionalismo e della legittimità dinastica secondo le leggi della successione spagnola. Un giorno si spingeranno a denunciare al governo l’uso del nome di Comunión. Un giorno chiederanno a Juan Carlos che li aiuti a risolvere la questione della successione.

Questione della successione in cui la posizione della CTC raggiunge il colmo dell’assurdo. Dopo la defezione di Carlos Hugo, riconosciuta come tale dalla sedicente Comunión e intanto che i suoi figli non erano maggiorenni, secondo le leggi successorie la responsabilità della corona ricadeva, come reggente, su S.A.R. Don Sixto Enrique de Borbón, unico maschio rimanente, figlio del Re Don Javier. Responsabilità accettata senza che possa essergli imputata nessuna dichiarazione contraria ai principi della tradizione. Ah! Ma ai personaggi di questo gruppo non piace questo reggente. È forse perché questo gruppo non è privo di accenni di pacifismo (un carlismo pacifista!) e biasimano l’atto eroico di Montejurra, in cui Don Sixto Enrique si giocò personalmente la sua integrità fisica. Sarà perché Don Sixto, come gli autentici monarchi, ha i propri criteri e non ha adottato la politica da loro voluta. Qualunque cosa sia, «non credono in lui». Come se il monarca dovesse fare campagna elettorale; come se dovesse sottomettersi a questioni di fiducia. Errore o riuscita nei limiti della sua responsabilità, il monarca lo è fintanto che non abbandona i principi o li superi diventando un tiranno. In questo, quelli di questa CTC confondono la monarchia con la democrazia e il re col presidente del governo. E, quando si dice che, in un certo senso, «sono alla ricerca del re» e credono che la corona possa restare vacante, finché non ci sarà un re che gli vada a genio, o commettano la stessa confusione, o si lascino guidare da qualche strana concezione caudillista.

L’ultima è che guardino con occhi speranzosi a Carlos Javier, figlio maggiore di Carlos Hugo. A partire da Don Sixto Enrique, nessuno nega a Carlos Javier la legittimità di origine, dal momento che la defezione di suo padre non invalida il trasferimento dei diritti successori. Ma non può succedere al padre, che smise di essere principe quaranta anni fa, ma al Re Don Javier. E potrebbe succedergli se ricevesse la corona dalle mani del reggente, Don Sixto Enrique, nel caso soddisfi le altre condizioni di legittimità. Senza la figura di Don Sixto, come reggente, qualsiasi diritto di successione, in mancanza di legittimi richiedenti, sarebbe scomparso nel corso degli ultimi decenni. Il Consiglio di Amministrazione della CTC dice di fare voti «affinché un giorno, quando Dio vorrà, sia possibile un re tradizionale». Credono forse che i re nascano miracolosamente o spontaneamente? Chi vuole sapere chi è il re dovrà ricorrere alla trasmissione del potere monarchico secondo le leggi di successione. Se non compri il biglietto, per quanto tu possa pregare non vincerai la lotteria. L’idea assurda dell’orfanezza dinastica, o di una prolungata assenza di trono, rende solo evidente che questa CTC non prende seriamente né la monarchia né, tantomeno, il carlismo.

Allo stesso modo hanno fatto mostra di mancanza di serietà quando hanno voluto trovare nella dichiarazione di Carlos Javier dell’aprile del 2011 « alcuni aspetti positivi come:  … la sua promessa di fedeltà alle tradizioni e in primo luogo quella religiosa, come chiave di uno schema di recupero degli standard morali». Perché ciò che Carlos Javier dice sulle tradizioni è quanto segue: «Come mio padre, sarò fedele alle nostre tradizioni», che non è ovviamente lo stesso. E quello che dice rispetto alla religione non è riferito solo a quella cattolica, bensì comprende qualsiasi forma di religione: «Anche le nostre radici di cultura cristiana e umanista, in cui hanno lasciato traccia altre spiritualità, ci spingono a lottare contro il terribile deficit etico … ecc.». Vedere in questo qualcosa di positivo non è mancanza di radizioni è: " Come mio padre , io sarò fedelerietà, ma accettazione della tesi, prima kantiana e poi modernista, della priorità dell’etica sulle religioni istituzionalizzate (inclusa quella cattolica) che sono manifestazioni diverse da quella. Preferisco lasciare buona parte di questi scivoloni dottrinali e pensare che, nonostante la loro estrema gravità, siano forse passati inosservati agli uni e agli altri. Questo è il contatto esclusivo con i nuovi parroci.

In ogni caso, che cosa può aspettarsi il Carlismo da un principe democrata che dice: « Credo che dalla nostra secolare identità, originale, impegnata e con la legittimità democratica, che ci dà la nostra viva partecipazione nella transizione democratica e la nostra marcia verso una Spagna plurale, possiamo essere attori storici del cambiamento ... »? Quanto chi lo stesso giorno giura (o qualcosa del genere) i fueros della Navarra e mette fiori sulla tomba di comunisti? Quanto chi permette consegnare l’ Orden de la Legitimidad Proscrita anche a un socialista, come Raúl Morodo, e agli anziani patriarchi del carlismo? Quanto chi promette rispettare «i doveri e i sacrifici che mi impone essere oggi il rappresentante dinastico del Carlismo», e ha iniziato contraendo un matrimonio disuguale che priva la sua discendenza di diritti successori? È possibile che questa CTC e Carlos Javier de Borbón Parma arrivino a comprendersi. L’una e l’altro vogliono farsi un posto. Ma sarà un’alleanza transitoria. Poiché la CTC vuole un posto nel sistema ecclesiale e politico per il suo neocarlismo parrocchiale. Ha già avuto eco in Infocatólica e, sicuramente, spera risuonare in Alfa y Omega. Tuttavia, assicurazione, dovrebbe risuonare in Alfa e Omega . Tuttavia, mi fa pensare che tutto questo sia solo perché l’aspirazione di Carlos Javier è che ¡Hola! lo annoveri tra i suoi famosi, assieme alla Duchessa di Alba.

 Fonte:

Tradotto , adattato e scritto da:

Redazione A.L.T.A.