martedì 18 settembre 2012

Il Dizionario del principe di Canosa



Abbrutimento. 
 
Se, negli antri filosofici, i perversi illuminati e tutti i settari si congratulano fra loro per essere finalmente giunti a diroccare in gran parte gli eterni cancelli che dividevano il male dal bene morale, il giusto dall’ingiusto, l’onesto dall’indecoroso, ravviserà bene l’uomo saggio e il vero filosofo che è precisamente questo lo stato del vero abbrutimento, stato miserabile in cui sempre vissero le sole bestie e che positivamente costituisce la morte della città. (Sulla corruzione del secolo, p. 18)
 
Ateismo e insubordinazione.
 
Che l’ateismo filosofico e l’insubordinazione siano un’antica infermità dello spirito umano non credo vi sia uomo che osi contrastarlo. Il mal talento della indipendenza, e quindi il non voler essere sottoposto nemmeno al Sommo Iddio Creatore, si manifestò apertamente nei nostri progenitori fin dai primordi del genere umano, nello stesso giardino delizioso dell’Eden. Che questa infermità spirituale unita alla miscredenza sia passata dal primo padre Adamo nelle successive generazioni ce lo insegna la storia di ogni età e nazione. Il voler sostenere che la miscredenza, l’ateismo, la ribellione, l’anarchia, siano per gli uomini infermità tutte nuove e proprie dei secoli a noi più vicini è una vera e positiva stoltezza. (Sulla corruzione del secolo, p. 4)
 
Cambiamento dei vocaboli.
 
Se i giudizi si formano dal confronto delle idee, e queste vengono suscitate negli uomini dai vocaboli, quando questi vocaboli vengono fraudolentemente cangiati, nulla diviene più agevole per la moltitudine che il formare dalle false idee giudizi falsissimi. Che ci presenta, infatti, la storia contemporanea? Un fenomeno tutto nuovo, quello di volere certe cose e poi mutarne il nome, sperando che non vengano riconosciute… Se comprenderete bene che il cambiamento dei vocaboli, il dare ai vizi e ai delitti il nome delle virtù, il pervertire così le idee e il raziocinio, ha sempre formato la base delle rivoluzioni, dovrete convincervi che i gerofanti e tutto il più infimo volgo settario e ribelle non vivono, né possono vivere, se non di menzogne e di una perenne maschera d’ipocrisia, che difficilmente tolgono dal volto. (Sulla corruzione del secolo, pp. 19 e 45)
 
Cattolicesimo (carattere essenziale del).
 
Il primo essenziale carattere della cattolica apostolica fede è quello di aver costantemente conservato, tanto nel dogma che nella morale, la stessa dottrina primitiva. Ond’è che la S. Romana Chiesa dei nostri giornicrede e insegna quei dogmi e quelle massime stesse che Cristo S. N. insegnò agli apostoli. (Sull’Utilità della Religione, p. 105)
 
Disordini (causa dei).
 
E’ facile avvedersi che ogni male morale che turba e sconvolge la città non ha origine se non dall’ingiusta violazione dei diritti altrui e dal non fare agli altri ciò che brameremmo fosse fatto a noi medesimi. Tutti i disordini, dunque, dipendono dall’allontanarsi dal precetto fondamentale del Vangelo che consiste nella carità! (Sull’Utilità della Religione, p. 64)
 
Dispotismo.
 
Non v’è dispotismo più mostruoso di quello che si cela sotto il manto della libertà. (Ricordo all’Italia, p. 24)
 
Dovere.
 
Il dovere che si deve adempiere è più nobile della vita; anzi, non si vive che per adempiere ai doveri né Iddio ci ha creato per altro oggetto. (Miracoli della paura, p. 51)
 
Empietà.
 
E’ stato sempre lacrimevole costume dell’umanità contrastare, o almeno mettere in forse, le verità più inconcusse che il lume della retta ragione oppure la bocca stessa di Dio ci ha fatto conoscere. Tale caparbietà, o piuttosto tale astuta malizia, ha fatto nascere gravi e grandi sconcerti nella società civile. Iddio volesse che tale perversa prerogativa fosse restata propria dei soli antichi e che i nuovi lumi avuti dal Vangelo ci avessero allontanato tale sconcerto. (Aliqui ex Luciani, nota 10, p. 198)
 
Eresie.
 
 In quei secoli felici, che la rivoluzionaria canaglia e i maliziosi miscredenti chiamano barbari e oscuri, quando un accordo saggio e di buona fede passava tra il sacerdozio e l’imperio, massima era la vigilanza dei romani pontefici a soffocare nella culla le eresie che, in fondo, non sono che ribellioni al legittimo potere, e a comprimere ogni slancio di superbia e insubordinazione. Saviissimi erano gli espedienti che si adoperavano. Venivano separati, sull’istante, gli individui infetti dai sani e venivano adottati tanti preziosi altri mezzi perché il contagioso malore non ricomparisse più nella società cristiana. (Sulla corruzione del secolo, p. 5)
 
Da: Antonio Capece Minutolo Principe di Canosa, Ideario. Massime, opinioni e
improperi (a cura di S. Vitale), Il Cinabro, 1997.