martedì 4 settembre 2012

La Civiltà Cattolica, anno XXXII, serie XI, vol. VI (fasc. 744, 9 giu. 1881) Firenze 1881, pag. 676-697. R.P. Giovanni M. Cornoldi d.C.d.G. LA TEOSOFIA DEL ROSMINI PARTE PRIMA

 

ESPOSIZIONE


Di altissimo momento sono le dottrine che abbiamo fin qui pertrattate, filosofando sopra la intuizione di Dio, sopra il Panteismo ontologico e la creazione: voglionsi ora ragguagliare con le opinioni di filosofi celebri a nostri giorni. Fra questi, presso molti, ha nome chiaro il Rosmini e viene da altri considerato quale capo scuola, cotalchè il sistema filosofico da lui insegnato si dice filosofia Rosminiana; da altri quale espositore cristiano della filosofia idealistica e panteistica della protestante Germania; da altri quale corruttore della filosofia dell'Aquinate; e finalmente da altri quale seguace ed espositore della dottrina di questo medesimo santo Dottore. Molte opere egli ci lasciò: tra queste v'è la Teosofia opera grande in cinque volumi e tutta metafisica, la quale contiene il sistema filosofico del Roveretano.
Quantunque il ragguaglio delle dottrine del Rosmini a pieno diritto si possa fare [dal]l'esame di tutte le opere dello stesso; tuttavia ci piace trarlo dalla più importante di esse ch'è la Teosofia, la quale dà la chiave del conoscimento delle altre e da molti, anche de' rosminiani, è assai poco conosciuta. Se togliessimo ad esaminare, approvare o disapprovare di quest'opera varie staccate sentenze qua e là sparse, faremmo al tutto opera piena di tedio che lascerebbe l'addentellato a mille cavilli e dei seguaci e degli avversarii di lui. Per lo che abbiamo divisato di schierare prima innanzi al lettore come in un quadro le principali dottrine nelle quali è raccolto il sistema rosminiano, per quanto spetta a ciò che fu da noi esposto e dimostrato, e poscia disaminarle. La nostra sposizione dovrà essere sincera insieme e tranquilla, tutt'altro che battagliera; perchè ci sta a cuore grandemente che il lettore si faccia un giusto concetto, per quanto può, di cotesto sistema, affinchè sia dopo disposto a pesare le osservazioni intorno ad esso o le critiche. Non intendiamo già qui di fare una perfetta esposizione, perchè l'opera del Rosmini è di tali e di tante tenebre involta che talvolta è cosa difficilissima, quasi diremmo impossibile, cogliere il netto delle sue sentenze. Egli mille e mille volte ritorna sopra le stesse cose con frasi diverse, con intreccio differente da simigliare ad uomo che ami celarsi nella oscurità e desideri che il suo concetto sia piuttosto intraveduto che veduto. Per essere più fedeli espositori del Rosmini, recheremo le sue stesse testimonianze, preferendo, per quanto è possibile, le meno oscure tra le altre, e così speriamo che il lettore sarà alla portata di giudicare con sufficiente cognizione di causa. In questo articolo diamo l'indicata sposizione: appresso ne faremo l'esame.

I.

L' Essere e le sue tre forme o categorie.

Uno è l'Essere, al dire del Rosmini, ma tre sono i suoi modi ovvero le sue forme, le quali sono le sole categorie di tutte le cose (volume I, p. 112) [1]. «L'essere stesso, sebbene tutt'intero, è in modi diversi a lui essenziali. Ci sono adunque queste forme? l'essere, per la propria natura dell'essere, è egli in un modo solo, o in più? e se è in più modi, è egli in ciascun modo tutto l'essere?... Queste forme ci sono e sono tre, cioè che l'essere come tale è identico in tre modi diversi a lui essenziali. Noi denominiamo queste forme subiettiva, obiettiva e morale
E per dimostrare che queste forme sono le tre categorie così discorre (I, 115). «Le qualità che devono caratterizzare le categorie, sono: che esse sieno predicati primidell'essere, di maniera che non ne suppongano altri davanti a sè; sieno predicati fondamentali, sicchè tutti gli altri ad essi si riducano e di essi come più universali e anteriori si predichino gli altri; sieno predicati completi di modo che abbraccino tutte le entità, che possono essere dall'umana mente pensate; e finalmente sieno predicati perfettamente divisi, a segno che l'entità dell'uno non entri a costituire l'entità dell'altro. Ora questi quattro caratteri si riscontrano appunto nelle tre originali forme dell'essere che abbiamo indicate.» E cangiando i nomi delle tre forme in quelli di reale,ideale e morale o santitativa (e questi sono continuamente da lui adoperati) è da notare che dalla opposizionetrae la prova della loro divisione (I, 133). «Le accennate categorie sono perfettamentedivise tra loro. Infatti le parole ideale, reale e morale esprimono una reciproca opposizione, per la quale si escludono a vicenda.» Il morale è l'armonia o il vincolo tra il reale e l'ideale (I, 134).«Colle quali osservazioni il problema dell'Ontologia, che abbiam proposto, già fa un passo verso il suo scioglimento. Perocchè già siamo resi certi di questo, che l'Essere (il maiuscolo è dell'autore) [2], uno in sè stesso e semplicissimo, non può tuttavia ridursi ad unità di forma, ed il tentarlo è distruggerlo. Ma quella massima semplicità, di forme, a cui si può e si deve ridurre, è finalmente, e non può esser altro, che quella trinità che abbiamo accennata, di modo che egli sia sotto la forma obbiettiva, e sotto la reale e sotto la morale, nè possa essere sotto alcun'altra, che a queste non si riduca.» E poichè le tre forme sono essenziali all'essere (I, 138) e l'amore onde «l'essere soggettivo, sentimento (affetto) ed intelligenza ama l'essere reale ––sè stesso od altro, è l'atto morale:» stabilisce (I, 139) le seguenti tesi.
«Tesi I. Supponendo che ci avesse l'essere ideale, ma che non ci avesse nell'università delle cose niente affatto di reale, si farebbe il supposto di un assurdo, cioè d'un concetto contraddittorio.»
«Tesi II. Supponendo che ci avesse l'ente reale, ma che nell'università delle cose non si trovasse affatto l'essere ideale, il supposto sarebbe ugualmente assurdo.»
«Tesi III. Supponendo, che ci avesse l'ente ideale e reale, e che non ci avesse quel rapporto tra loro che costituisce la forma morale, ancora il supposto sarebbe assurdo. Dalle quali tesi deriva che l'essenza dell'essere suppone le tre forme nè più nè meno, e niuna di esse può stare senza l'altre due, nè le due senza la terza.»

II.

Insidenza reciproca delle tre forme.

Il Rosmini ha un capitolo cui dà questo titolo: «Delle ragione per la quale la trinità delle forme supreme non toglie l'unità dell'essere.» Questa ragione la ritrova in quella che scolasticamente sarebbe detta circuminsessioneo insidenza reciproca onde tutto l'essere è in una forma ed ogni forma in ogni altra (I, 153). «Il più importante corollario che deriva da questa insidenza reciproca delle tre forme, si è la conciliazione dell'antinomia fra il tre e l'uno che si trova nell'essere. Perocchè se ciascuna, delle tre forme non contenesse reciprocamente le altre due, esse non si potrebbero concepire se non come tre enti. Ma essendo l'une nell'altra reciprocamente inesistenti, si vedono inseparabili, e tutte e tre sempre costituenti il medesimo essere e il medesimo ente. L'insidenza dunque reciproca delle tre forme è la ragione per la quale la trinità delle forme non pregiudica punto alla perfetta unità dell'essere, il quale nella sua assoluta perfezione è sempre, nè più nè meno, le tre forme quasi direi organate in un trino ordine.» Nel leggere siffatte cose dell'essere uno e triforme il lettore è tratto da per sè a considerare la divina essenza, che tutta è in ciascuna delle tre ipostasi divine; perciò gli parrà che la trinità rosminiana dell'essere uno voglia rappresentare il domma cattolico delle Trinità delle divine persone nell'unità dell'essenza.

III.

L'essere in sè e l'essere dialettico.

(I, 257). «La parola essereha due fondamentali significati poichè si dice essere tanto quello che si concepisce, astrazion fatta dalle sue forme, quanto quello che si concepisce essente nelle tre sue forme o termini essenziali: ed è uno sì nel primo significato, come nell'altro. Ma in questo secondo significato, non è solamente uno, ma anche trino: nel primo al contrario è solamente uno... Chiamo essere o ente in sèquello, che si può concepire esistente, prescindendo da una mente a lui straniera che lo pensa. Quando dunque l'essere o l'ente che si pensa, si vede essere tale che non può esistere da sè solo, senza una mente a lui straniera che lo pensa, ma solo in questa mente si concepisce essente, allora non si dice: essere o ente in sè: ma essere o ente dialettico, o con altre appellazioni. L'essere dunque concepito come anteriore alle sue forme, non è che un ente dialettico, perchè egli non può esistere in sè, ma soltanto in una mente qualunque che lo pensi, sia col naturale intuito, sia colla riflessione o in qualunque altro modo. E tuttavia, come vedemmo, egli non è già nulla, ma è qualche cosa nella mente; e di più, l'essenza sua è qualche cosa dell'ente in sè, ma non è l'ente in sè, perchè non è tutto, quando l'ente in sè è tutto, e non può esistere in sè una sola parte di lui» (Psic. 1319 e seg.).

IV.

La dottrina della divina Trinità è base della filosofia.

Afferma il Rosmini che dopo la rivelazione di cotesto augusto mistero: (I, 155) «non solo si può dimostrare col raziocinio l'esistenza di Dio, ma ben anche si può conoscere quella d'una Trinità in Dio in modo almeno congetturale con ragioni positive e dirette, e direttamente, e dimostrativamente con ragioni positive e indirette; e che mediante queste prove puramente speculative dell'augustissima Triade, questa misteriosa dottrina rientra nel campo della Filosofia, intendendo noi sotto questa voce tutto ciò che per filo di raziocinio ci conduce all'invenzione e al conoscimento delle ultime ragioni delle cose.»E poco dopo (I, 158) «La dimostrazione che noi daremo della proposizione: che Dio sussiste in una Trinità di persone: sarà questa: qualora si negasse quella trinità, ne verrebbero da tutte le parti conseguenze assurde apertamente, e la dottrina dell'essere portata a' suoi ultimi risultati diverrebbe un caos di contraddizioni manifestissime.» Egli è vero, secondo il Rosmini, che dialetticamente preso l'oggetto dell'intuito naturale nostro è l'essere sotto l'aspetto d'indeterminato, ma in sè quell'essere è realmente indistinto dall'essenza divina e però in sè è Dio Uno, è Trino, e come tale dicesi assoluto. Perciò dice il Rosmini (I, 408):«L'essenza di Dio è l'essere, e non altro che l'essere» (I, 410).«L'essere assoluto nella sua forma subbiettiva dicesi il Padre. L'essere assoluto nella forma obiettiva dicesi il Verbo.»Conseguentemente l'essere assoluto nella forma morale è lo Spirito Santo. Ma di questo giova riferire ciò che dice altrove (II. vol. pag. 285): «La forma subbiettiva è la sussistenza. La forma obbiettiva è l'inteso come inteso. La forma morale è l'amato come amato». Di più (II, 373): «L'atto amoroso è atto volontario che in Dio non è già successivo all'atto intellettivo, con cui l'Essere subietto intende e intendendo pone (faccia attenzione il lettore a questa parola pone che adopera pure il Rosmini quando parla dell'essere dei finiti), ossia ha sempre inteso e sempre posto, sè stesso, ma è coesistente e contemporaneo: il che fa sì che abbracci nell'amore stesso anche il subbietto generante il Verbo, e che sia amorosa e volontaria per conseguente la stessa generazione del Verbo. Ed è da questo, che, per una specie di regresso, questa stessa generazione può dirsi volontaria e libera (notisi questa parola non adoperata qui dai teologi) e acquistare la nozione di appreziazione pratica e morale. Laonde non malamente possiamo dire che il divino Verbo procede non per modum voluntatis, ma voluntarie, come si dice che lo Spirito Santo procede non per modum naturae, ma naturaliter
Poichè l'essere è uno ed increato e il finito altro non è secondo Rosmini che i limiti (come vedremo) intesi ed affermati in esso, comeintegrando una parte di questo foglio per toglierne che fo i limiti concepiti in esso, ho il foglio intero, così integrando io il finito, ed affermando come concrete quelle tre forme, che concepisco dialetticamente come astratte, ho la divina trinità (II, 282). «Integrando l'ente finito, trova l'infinito, e applicando a questo le tre forme, vede come il suo concetto esige ch'egli non solo le abbia tutte e tre, ma che s'identifichi con ciascuna forma, e sia uno nelle tre forme. Allora conchiude, che quelle forme, da lui prima conosciute solo come astratti, (cioè dialetticamente) sono sussistenti nell'essere infinito.» Ma quando il Rosmini usa la parola astratto, avverta il saggio lettore che essa viene da lui presa in significazione diversa da quella onde noi la prendiamo. Fa ragione che l'intelletto creato potesse immediatamente intuire un attributo di Dio senza intuire immediatamente gli altri, anche questa cognizione dovrebbe dirsi, in senso rosminiano, astratta: perchè lo sguardo intuitivo si termina non a tutto Dio, ma ad una sola sua appartenenza. Così sebbene immediatamente l'intelletto umano intuisca l'essere ideale che è una appartenenza di Dio, e in Dio realmentenon si distingue dalla sua essenza, tuttavia è, nel senso rosminiano, astratta cotale cognizione, perchè non è essa eziandio immediata intuizione dell'essere reale, e dell'essere morale.
Or se la filosofia del Rosmini tutta si appoggia alla intuizione immediata dell'essere, è chiaro che per sè la dottrina della Trinità deve considerarsi quale fondamento di essa filosofia. Per la qual cosa in un articolo il cui titolo è: Postulati necessarii (si noti questa parola) alle ricerche filosofiche de' libri seguenti, così discorre (I, 158): «Sarebbe dunque impossibile inoltrarci nelle ricerche, che ci restano a fare intorno alla natura dell'essere, e molto più condurre la detta dottrina a quella perfezione di cui ella è suscettiva (limitata solo dal limite delle nostre facoltà individuali), se non assumessimo per conceduti due postulati, che dalle stesse dottrine, che con essi si rinvengono, ricevono poi compiutadimostrazione: e questi due postulati sono:
1° Che l'Essere assoluto, il quale dicesi Dio, sussista;
2° Che l'Essere assoluto sussista identico in tre persone distinte, ciascuna assoluta ed infinita.»
«L'essere nelle tre forme è identico. Se dunque quest'essere si concepisca infinito e assoluto, ci dà il concetto di Dio uno: e ben si può dimostrare, che ove non ci fosse quest'essere assoluto e infinito sussistente e intelligente, nè pure ci potrebbe avere l'essere universale, ch'è la verità che collustra le umane menti: la quale è quella dimostrazione della divina esistenza che noi già esponemmo nell'Ideologia. Onde questa prima proposizione, che noi chiamiamo –– postulato –– rispetto all'Ontologia, è ad un tempo così dimostrata che non ci può essere punto negata, specialmente se si avverte che l'Ideologia nostra non si può dividere dall'Ontologia.»Questa avvertenza è necessaria perchè l'idea intuìta immediatamente è, secondo il Rosmini, l'essere, e quest'essere è in sè il primo ente; è Dio.
«Le tre forme poi dell'essere, ove si trasportino nell'Essere assoluto, non si possono più concepire in altro modo, che come persone sussistenti e viventi. Essendo dunque quelle tre forme inconfusibili, perchè hanno una cotal relazione d'opposizione tra loro, e non potendo cadere nell'essere assoluto nessuna divisione reale, non c'è altra via d'intendere, come l'essere sussista in quelle tre forme, se non supponendo ch'egli sussista tutto intero in ciascuna. Ma se sussiste tutto intero in ciascuna, egli deve sussistere in ciascuna come vivente, come intelligente, come atto primo e puro, il che è quanto dire con que' caratteri appunto che sono i distintivi essenziali della personalità. Ed ecco già una forma della dimostrazione deontologica, la quale da sè stessa si manifesta... Questo sublime mistero dunque è il profondo e immobile fondamento, su cui si possa innalzare l'edificio non solo della dottrina soprannaturale, ma anche della Teosofia razionale. Dal che, essendo dimostrato, se ne avrà questa conseguenza importante, che alla divina rivelazione la stessa filosofia dovrà la sua perfezione, l'inconcussa sua base, e il suo inarrivabile fastigio.»

V.

L'anima sensitiva si trasfoma in razionale per la intuizione dell'essere.

Filosofando sopra l'unità dell'essere nota in sulle prime il Rosmini che le varie appellazioni che gli si danno sono al medesimo estrinseche e non altro vogliono indicare che una minore o maggiore perfezione con cui si intuisce e sopra esso si riflette. «L'essere, dice egli (I, 172) è presente all'intelligenza umana, che colla sua presenza la forma. Quest'essere ammette certamente la definizione da noi data: l'atto d'ogni ente e di ogni entità. Ma dov'è l'ente, dove sono l'entità in questo essere intuìto per natura? Niun ente, niuna entità è distinta e visibile in questo intuito, anzi l'uomo anteriormente ad ogni esperienza non rivolge alcun pensiero a tali entità in qualche modo determinato. Egli intuisce l'essere senzaaffermare ancor nulla, e senzanegar nulla di esso, senza conoscere esplicitamente la relazione di lui coi suoi termini, o con altra cosa qualunque. Questo è l'essere dell'intuito, essere indeterminato, che informa la facoltà conoscitiva.»
Nel sistema del Rosmini all'anima sensitiva si affaccia l'essere, ed essa intuendolo indeterminatodiventa hoc ipso anima razionale ed intellettiva. Non è qui creatoossia fatto ex nihilo sui et subiectiil soggetto della facoltà intellettiva, ma l'anima per sè sensitiva è fatta intellettiva per la intuizione dell'essere. Questo significano le parole la forma da noi messe in carattere maiuscoletto. La quale teorica è già esposta altrove, anche nella stessa Teosofia, come là dove dice (I, 619): «Noi abbiamo già detto, che la generazione dell'anima umana si può concepire per gradi progressivi dall'imperfetto al perfetto, e però che prima ci sia il principio sensitivo, il quale giunto alla sua perfezione colla perfezione dell'organismo, riceva l'intuizione dell'essere e così si renda intellettivo e razionale (Psicol. 672-675). È vero, e l'abbiam pure dimostrato, che il principio sensitivo, tosto che riceve la detta intuizione, perde la sua individualità, e l'ente che rimane non è più lui, ma un ente razionale (Ivi 676-680).» Conseguentemente a questa dottrina si dice (I, 591). «Non è certo impossibile il pensare, che dalla potenza divina possa essere da lui (cioè dal corpo animato) divisa l'anima intellettiva ed egli tuttavia rimanersi nella qualità di animale, rimanendo il principio animale.» Se non che afferma il Rosmini «che quando avvenisse questo miracolo di scomposizione, pel quale rimanesse da una parte l'anima intellettiva e dall'altra il corpo coll'organizzazione intatta e coll'animazione, si direbbe ancora con tutta verità e proprietà, l'uomo esser morto secondo il giusto concetto della morte dell'uomo da noi esposta (Psic. 670-700); e con egual verità si direbbe esser morto il corpo come corpo umano, poichè rimarrebbe privo della vita umana, benchè gli rimanesse la vita animale non più umana.»Ora nei numeri citati dal Rosmini v'è questa dottrina (Psic. L. V, c. 8). «La condizione alla quale l'anima dall'atto con cui sente il corpo come sensibile, passa all'atto con cui sente il corpo come ente, e quindi intuisce prima l'ente, si è che il sentimento corporeo abbia conseguìta la sua specifica perfezione. Ora collo sciogliersi l'organizzazione si scioglie il sentimento perfetto ed umano in più sentimenti imperfetti, nessuno de' quali può avere un principio idoneo a intuire l'ente. Cessa dunque a questi nuovi principii sensitivi nati dalla distruzione del corpo umano l'attitudine a veder l'ente; e perciò niun di essi è l'anima umana; essi hanno perduta l'identità con quest'anima. All'incontro l'atto che intuisce l'ente quando è già posto non ha più bisogno del sentimento animale per sussistere perchè egli è al tutto indipendente da lui; e questa è l'anima umana, che prima era identica col principio sensitivo.» Sopra questa dottrina è fondata la sentenza che cotesta anima, ch'è atto distinto, si possa (assolutamente parlando) separare, prima ancora della soluzione del principio sensitivo in più sensitivi principii.

VI.

Essere iniziale, virtuale, astratto.

L'essere intuìto immediatamente dall'intelletto per natura è(dialetticamente)indeterminato (I, 173). «L'essere virtuale, l'essere iniziale, e l'essere astratto preciso sono tre significati, che riceve il vocabolo essere.»L'essere è virtuale in quanto in sè virtualmente contiene tutti i termini che in esso può l'intelletto concepire ed affermare, come questo foglio di carta contiene virtualmente tutti i termini che in esso si possono pensare e dai quali vengono determinate molteplici figure. Iniziale è l'essere in quanto è l'inizio di ogni ente. Astratto se considerandolo si prescinde dalla sua indeterminazione, dal suo inizio, e dalla sua virtualità.
Ma affinchè non cada equivocazione sopra il significato di altre voci riferiamo eziandio questo passo (I, 358). «L'idea è lo stesso essere iniziale, il quale o si pensa senza determinazioni e senza limiti, e si dice idea dell'essere, o si pensa più o meno determinato con limiti, e si dice idea di qualche altra entità. L'essere iniziale sia che si consideri illimitato, sia che si consideri limitato, ha più rispetti, sebbene rimanga sempre uno e il medesimo, poichè o si pensa assolutamente e senza relazioni e allora si dice essere, o si pensa in quanto intelligibile per sè stesso, e si dice oggetto, o si estrae da lui questa intelligibilità, come una proprietà intrinseca dell'essere nella sua forma obbiettiva e si dice idea... Se si considera come atto di un subietto, astrazione fatta dal subietto, esso si chiama essenza, e se si considera come quello che fa conoscere, si chiama lume; e se si considera come causa prossima, immediata ed immanente della intelligenza, si chiama forma dell'intelletto.» Dunque in sèl'essere è l'essere iniziale; e l'essere iniziale è il virtuale, è l'ideale, è l'astratto, è l'idea dell'essere, è l'idea di ogni entità, è l'oggetto, è l'intelligibile, è semplicemente la idea, è l'essenza, è il lume dell'intelletto, è la forma dell'intelletto, è l'atto di ogni ente e di ogni entità. Dialetticamente preso è l'uno o l'altro sotto diverse denominazioni.

VII.

Uno è l'essere per sè manifesto, manifestante e manifestato.

Sopra l'essere ch'è oggetto dell'intuito naturale variamente riflette la intelligenza (Vol. IV, 337). «La riflessione è quella che s'accorge che l'essere davanti all'intuito ha queste tre condizioni di manifestato, manifestante e manifesto.» Ed eccone il modo (IV, 338).«La riflessione domanda, chi può averle manifestato l'essere. E non trovando davanti a sè altro che l'essere manifestato, non può ricorrere ad altra causa; e d'altra parte vede che, qualora anche ci fosse questa causa, sarebbe anch'ella esserere, e di conseguente non la potrebbe conoscere se non conoscesse l'essere, onde di necessità l'essere sarebbe il primo cognito;di che conchiude, che l'essere manifestato è essenzialmente manifestante. Ma dopo aver conosciuto che l'essere è non solo manifestato ma anche manifestante, e che il primo manifestante è il primo cognito ossia il primo manifestato, e che l'una e l'altra di queste attribuzioni gli appartiene per la sua essenza di essere, la quale essenza è atto semplicissimo; conchiude che la qualità di manifestante e di manifestato è una sola nell'essere, distinta in due per opera della mente: onde per esprimere l'identificazione di queste due qualità, ella dà all'essere la qualificazione di essere per sè manifesto; e questa è l'ultima e più completa notizia, che raccoglie la riflessione.»

VIII.

L'essere per sè manifesto non è il nulla: non è il soggetto intelligente, non è una modificazione dell'anima.

1° Non è il nulla (IV, 363). «Il nulla non può manifestar nulla: quello che manifesta, è necessario che sia l'essere stesso.»
2° Non è il soggetto intelligente (IV, 368). «L'essere manifesto o manifestante all'uomo le cose, non è l'uomo, perchè anzi l'uomo è il soggetto a cui quell'essere manifesta le cose, e però l'uomo è ricettivo di quell'ente. Oltre di che è manifestamente assurdo che l'uomo sia l'essere in universale, perocchè l'uomo è un essere particolare e proprio.»
3° Non è una modificazione dell'anima (I. c.). «Nè tampoco l'essere universale può credersi una modificazione dell'anima umana. Perocchè tutte le modificazioni di un ente particolare sono particolari. Di più, se a una modificazione dell'uomo si riducesse l'ente comune; allorquando con quest'ente manifestante le cose si conosce l'essenza dell'uomo, allora la modificazione dell'uomo diverrebbe l'essenza dell'uomo, il che è assurdo. In terzo luogo tutte le essenze sono enti manifestanti. Quindi una modificazione dell'uomo sarebbe le essenze di tutti gli enti, il che è di nuovo un prodigioso assurdo.» Quindi il Rosmini combatte la sentenza, cui dice soggettivismo, di quelli i quali ammettono che la nozione dell'essere e le altre idee sono, soggettivamenteconsiderate, modificazioni dell'intelletto, ed oggettivamente prese, sono rappresentatrici delle cose (II, 142). «L'essere universale intuìto dalla mente è intuìto a parte rei, cioè a parte sui, e questo è quello che faceva dire agli Scotisti ch'esso avesse un'esistenza propria» (II, 165). «Esistere dunque all'intuìto non è un esistere puramente relativo alla mente intuente, ma è prima di tutto e necessariamente un esistere in sè, come se la mente non fosse; in sè dunque comparisce l'essere all'intuito.»

IX.

Divini caratteri dell'essere per se manifesto.

Qui rechiamo quelli che (IV, 376) «appartengono all'essere comeessere, cioè anoeticamente considerato, quale sta davanti all'intuito; e la riflessione trova, che all'essere così considerato appartengono i caratteri seguenti. 1° Che è l'essenza pura dell'essere. 2° Necessario. 3° Eterno. 4° Uno e semplice. 5° Universale, nel senso di totale, non lasciando cosa alcuna fuori di sè.

X.

L'essere per sè manifesto e il virtuale e l'iniziale è qualche cosa di Dio o del Verbo.

Infatti (I, 239). «L'essere virtuale e iniziale è assolutamente necessario, di maniera che non si può pensare che non sia: perocchè il pensare che non sia è già un ammetterlo: se dunque l'essere virtuale e iniziale è necessario non può esser parte alcuna del contingente, ma deve essere un'appartenenza di un ente necessario. Alla Teologia certamente spetta il dimostrare, che non si può dare che un solo essere necessario, come pure dichiarare il modo nel quale s'intenda, che l'essere virtuale e iniziale è qualche cosa dell'unico essere necessario, cioè di Dio... E come l'essere iniziale possa essere chiamato un'appartenenza dell'assoluto senza inconveniente fu da noi mostrato altrove. Ma poichè l'Essere assoluto (Dio) è quello ch'è in tre modi, cioè nelle tre forme primordiali (persone), perciò rimane a vedere, se l'essere inizialesia un'appartenenza dell'Essere assoluto nella forma subiettiva, o nell'obiettiva, o nella forma perfettiva e morale. Ora egli è certo che l'essere iniziale (dialetticamente) si concepisce dalla mente umana come anteriore alle forme, e loro comune iniziamento. Ma così apparisce come essenza veduta nell'idea, non come idea. Poichè nell'essere, come in ogni altro oggetto della mente, si distingue l'essenza veduta dal lume inerente all'essenza, pel qual lume essa è visibile (Rinnov. III): in quanto è lume dicesi idea; in quanto è ciò che si vede, dicesi essenza. L'essere iniziale dunque come essenzaè anteriore alle forme e loro iniziamento. Ma in quanto quest'essenza è luminosa alla mente, intanto partecipa della forma obiettiva e intelligibile dell'essere. Ora poichè l'essere assoluto nella sua forma obiettiva dicesi Verbo divino, perciò l'essere iniziale considerato nella sua obiettività è qualche cosa dell'Essere assoluto nella forma obiettiva, ossia del Verbo divino»(II, 166). «L'essere in sè, intuìto da me, convien necessariamente che sia un'appartenenzadell'essere in sè, e non tutto l'essere in sè: un qualche cosa astratto da questo. Ora, come tutto ciò ch'è nell'essere in sè realmente sussistente è in sè, così anche l'essere veduto dall'intuitoè in sè, ma come partedell'essere compiuto: è dunque in sè come parte astrattada quello ch'è assolutamente in sè (Dio). Di più, l'essere in sè veduto per intuito ha la forma dell'oggettività, è oggetto. Dunque esiste un Oggetto assoluto (Verbo), di cui l'intuito vede solo l'inizio e non i termini, i quali sono invisibili all'intuito, ma non però negati da lui. È dunque verace l'intuito, perchè mostrando una parte soladell'assoluto Oggetto (Verbo), non nega l'altra.» E perchè quell'essere che è intuìto è appartenenza del Verbo e perciò di Dio, ne viene quella ch'è dal Rosmini detta «dimostrazione a priori della esistenza di Dio.» Perciò subito dopo così discorre (I, 241). «L'esserevirtuale e iniziale, ossia l'essere intuìto per natura è necessario. Ma egli non è un ente; è dunque qualche cosa d'un ente. Ma quest'ente di cui quell'essere è qualche cosa, non può essere un ente contingente, perchè il contingente è l'opposto del necessario. Dunque l'essere intuìto dall'uomo deve necessariamente essere qualche cosa d'un ente necessario ed eterno, causa creante, determinante e finiente tutti gli enti contingenti: e questo è Dio.»

XI.

La Creazione.

«La libertà creatrice (I, 400) è una virtù, un potere dell'Essere assoluto nella sua forma subiettiva (il Padre). L'Essere assoluto nella sua forma subbiettiva ama infinitamente sè stesso inteso nella sua forma obbiettiva (il Verbo):l'Essere ama infinitamente l'Essere. Quest'amore lo porta ad amar l'essere in tutti i modi ne' quali è amabile, ne' quali può essere amato. Per amarlo in tutti i modi egli l'ama non solo come Essere assoluto ed infinito, ma anche come essere relativo e finito: quest'amore è l'atto creativo. Crea dunque a sè stesso un oggetto finito amabile, per l'espansione dell'amore e questo è il mondo. Per crearlo deve 1° concepirlo, sì perchè questo principio creativo è intelligenza, sì perchè non si può amare quello che non s'intende; 2° realizzarloperchè se non fosse realmente in sè l'oggetto dell'amore non esisterebbe, ma solo sarebbe possibile, e ciò che si ama, visto nella sua possibilità, si vuole che esista. Quindi i due elementi dell'essenza e del reale nati ad un parto e formanti gli enti mondiali.» Quest'è il concetto della creazione e così lo svolge il Rosmini.
«La prima operazione della suprema Intelligenza per riguardo all'essere finito fu quella che chiamerò astrazione divina. Mediante questa operazione l'Intelligenza dell'Essere assoluto liberamente astrasse dall'Assoluto suo oggetto l'essere iniziale. In questo essere iniziale vide Iddio in sè stesso ab eterno l'essere finito, tutto virtualmente in esso compreso... Quest'essere iniziale, veduto dall'Essere assoluto subiettivo (Padre)nell'Essere assoluto obiettivo(Verbo), non poteva essere questo stesso essere assoluto obiettivo, essendo un astratto. L'astratto è un concetto mentale, un termine che la mente ha dato a sè stessa colla limitazione del proprio sguardo; non esiste in sè stesso, ma nella mente e per la mente... È la prima produzione, la cognizione divina dell'essere finito possibile, il fondamentale elemento della creatura (Cf. Rinnov.), la luce, che in quanto si comunica alle intelligenze create si può dir creata, si può dir quella creatura, di cui si trova scritto. –– Sia la luce e la luce fu fatta. ––Questa prima creaturadunque l'essere iniziale non ha una sussistenza subiettiva, ma ha soltanto un'esistenza obiettiva e relativa (si noti questo termine)alla mente creatrice e quindi appresso a tutte le menti create... L'atto della mente la creòriguardando nell'Oggetto assoluto e in sè sussistente, ma non è l'Oggetto assoluto in sè sussistente... Per questo si dice che l'essere iniziale è qualche cosa del Verbo divino, ch'è una sua partenenza, ch'è un lume increato.» È chiaro che non si può dire il Verbo, ma ciò che appartiene al Verbo, perchè è, come per astrazionementale, divulso dal Verbo stesso. Però questa prima creatura, quest'essere iniziale si può dire divino ma non Dio come osserva il Rosmini. Intanto noti il lettore come le parole creazione e creatura si adoperino ad indicare ciò ch'è intra Deum ciò che dicesi un concetto mentale, del quale certamente non si può dire che sit productio rei ex nihilo sui et subiecti. All'astrazione divina segue la immaginazione divina, la quale (l. c.), «limita ossia imagina limitato il termine reale. Il termine reale, imaginato limitatamente dalla Mente operante e libera di Dio è la realitàdell'universo.» Più sotto dice «l'imaginazione divina è la stessa essenza di Dio. Ma l'essenza di Dio è l'Essere, e non altro che l'Essere. L'imaginazione divina dunque è lo stesso Essere assoluto nella sua forma subiettiva (Padre) e realissima. Supponendo dunque che l'Essere stesso sussistente e realissimo imagini un ente finito, conviene che questo novo oggetto sia un vero ente in sè, ed abbia per ciò anch'egli la sua esistenza subiettiva e reale. Poichè l'essere essenziale imaginante non può già imaginare un accidente, chè non ha accidenti (si noti questa ragione), nè una modificazione di sè, che non ha modificazioni, nè una passione ricevuta, che non ha passioni e niente riceve. Ciò che dunque imagina non può essere che essere nel suo termine reale... Coll'astrazione divina abbiamo veduto come sia stato prodotto l'essere iniziale (prima creatura) primo elemento degli enti finiti: coll'imaginazione divina, abbiamo pure veduto come sia stato prodotto il reale finito, tutte le realtà di cui consta l'universo.»
«La terza operazione dell'Essere assoluto creante il Mondo è lasintesi divina cioè l'unione de' due elementi, l'essere iniziale (appartenenza del Verbo) inizio comune di tutti gli enti finiti, e ilreale finito, o per dir meglio i diversi reali finiti, termini diversi dello stesso essere iniziale.» Osserva qui il Rosmini che in sè questa trina operazione è una e che la terza è implicita nelle due antecedenti (I, 410). «Ricapitolando risulta:
«1° Che l'essere iniziale (prima creatura) è tratto per via d'astrazione, che fa l'intelligenza divina liberamente operante, dall'Essere assoluto nella forma obiettiva che dicesi il Verbo
«2° Che i reali finiti che formano il termine realefinito dell'essere iniziale sono fatti esistere dalla forza dell'imaginazione dell'Essere assoluto nella sua forma subiettiva, che secondo la cristiana rivelazione dicesi il Padre
«3° Che i termini reali riferiti, per mezzo della sintesi divina, dall'intelligenza all'essere iniziale, considerato questo come oggetto intelligibile, fanno che si vedano in esso le essenze o idee degli enti finiti.»
«4° Che riferitodall'intelligenza per mezzo della sintesi divina, l'essere iniziale, non come intelligibile ma come essenza, ai termini reali finiti, fa che esistano gli enti finiti subiettivamente e realmente.»
Adunque l'atto creativo sta nel concetto dell'essere iniziale, nell'imaginare i varii termini di quest'essere, nell'affermare quello di questi: per la qual cosa è chiaro che il termine della creazione è nell'Essere assoluto oggettivo cioè nel Verbo (I, 295). «L'atto creativo rimane in Dio e ha per suo termine il Verbo divino, nel quale il Padre vede ed afferma ad un tempo l'essere iniziale e il reale del mondo nella sua forma obiettiva. Ma veduto ed affermato il Mondo come oggetto, esso acquista senza più, un'esistenza subiettiva, che non può essere in Dio, perchè totalmente relativa all'ente stesso finito, questa è quella esistenza propria del mondo che emerge per così dire dal mondo obiettivo in Dio mediante l'energia dell'affermazione divina.»
Ed ancora (I, 398) «1° Il reale, finito e contingente esiste; 2° Se esiste, c'è unita l'esistenza ossia l'essere iniziale, che lo fa esistere ossia essere ente; 3° L'essere iniziale è un'appartenenza dell'Essere assoluto (Dio); 4° Dunque l'Essere assoluto è la causa creatrice degli enti finiti e contingenti.»
Dalla esposta dottrina ben si vede che la creazione è propria di Dio, perchè è Dio solo che può, partecipandola nella maniera indicata, disporre di una appartenenza del proprio essere (I, 396). «Gli enti finiti che compongono il mondo risultano da due elementi, cioè dal termine reale finito (ed è negazione), e dall'essere iniziale che dà a questo termine la forma di ente. Ma l'essere iniziale è qualche cosa dell'Essere assoluto, e l'Essere assoluto è il solo che può disporre di ciò che a sè appartiene, epperò il solo essere assoluto, Iddio, può essere il creatore del mondo.» Per meglio intendere ciò vediamo che cosa sia il possibile.

XII.

Il possibile.

A ben conoscere la dottrina del possibile considera che l'essere è uno, cui Dio e tutte cose appartengono. Poichè di fatto v'è Dio, e i finiti; di fatto l'essere uno ha i suoi termini proprii cioè essenziali infiniti reale, ideale, morale; ed ha anche gli improprii non essenziali finiti reali, ideali, morali. Ora astrai dal fatto, pensa all'essere, e a suoi limiti proprii, ma prescindendo dall'attualità di questi, ed avrai il concetto di Dio possibile; pensa all'essere frastagliato dai limiti improprii, ma prescindendo dalla attualità loro, ed avrai il concetto dei finiti possibili. «Si può prendere il possibile (I, 343)come una qualità dell'essere virtuale, ed altro non esprime che la sua stessa virtualità; e così per essere possibile s'intende l'essere indeterminato che ha la suscettività di ricevere i termini. Ovvero si può prendere il possibile come una qualità dei termini stessi e allora un'entità possibile significa un termine di cui l'essere è suscettivo.»Per intendere quella virtualitàdevi concepire l'essere capacedei termini o limiti coi quali unito è gli enti. «Virtuale (I. 313) è ciò che il pensiero vede contenuto in un altro, dal quale per sè non si distingue, ma che può essersi distinto dallo stesso pensiero, o anche ricevere un'esistenza da sè separata da quella dell'altro in cui indistinto si trova. A ragion d' esempio, nel circolo col pensiero si possono vedere contenuti molti poligoni; ma ci sono indistinti; che se ci fossero distinti in sè, già non s'avrebbe più la semplice figura del circolo; pure possono anche esser pensati da sè, senza il circolo, e senza che ci abbia bisogno di recare al circolo alcuna alterazione. Allo stesso modo nell'estensione illimitata dello spazio si possono pensare comprese tutte le figure geometriche di qualunque grandezza e forma si voglia, benchè in essa non sieno distinte: e queste figure stesse si possono anche pensare senza l'estensione illimitata. Tale è dunque il concetto di ciò che èvirtuale. Se si prende l'astratto abbiamo la virtualità.»Il concetto della estensione ti dà la similitudine del concetto dell'essere indeterminato: il concetto dell'estensione infinita (se lo potessi avere) ti darebbe quello dell'essere infinito: il concetto dell'estensione racchiuso in un triangolo, in un quadrato, in un pentagono ti dà quello dei possibili.

XIII.

L'ente.

Come il triangolo risulta dalla determinazione dei limiti nella estensione, e dalla congiunzione dell'estensione a quei certi limiti, così l'ente risulta dalla congiunzione dell'essere coi limiti escogitati in esso: ma siccome l'essere è uno ed eterno, è chiaro che ciò che, in tale sistema, costituisce la novità dell'ente sono i limiti: ora chi non sa che i limiti consistono in una negazione dell'essere ulteriore? per essi, all'essere racchiuso dai medesimi, si nega l'essere che è fuori di loro. Quindi il Rosmini che diceva del reale finito (I, 302): «Il reale finito non ha per sua forma reale subiettiva od estrasubiettiva se non i limiti che lo determinano, lo dividono, lo distinguono» (I, 492): «Il reale finito è quello che limita l'essere»; dell'ente e dell'ente finito così parlava: (I, 176): «L'ente è l'essere terminato» (I, 269): «L'ente finito è un termine o forma impropria dell'essere stesso quasi sospesa all'essere»(I, 528): «L'ente finito non racchiude altro che una pura relazione »(I, 709): «Si ritrae questa formola, che la quiddità dell'ente infinito è costituita dall'entità, ed è positiva; e la quiddità dell'ente finito è costituita dai limiti dell'entità ed è negativa.» Ed ancora (I, 141): L'ente finito non è nè l'essenza sola quale si vede nell'idea, nè il reale solo, ma l'individua unione di questi due che si fa nel talamo della mente.»
Che se la quiddità del finito è negativa, si deve dire che essa non è, ma che si fa coll'aggiugnere i limiti alla realtà infinita dell'essere (I, 658). «La realtà finita non è, ma egli la fa essere coll'aggiugnere alla realità infinita la limitazione. Dunque l'origine della limitazione non è un atto intuitivo, ma affermativo. E questo conviene con ciò che dicevamo, che la creazione appartiene all'intelligenza libera di Dio. Ora l'intelligenza libera è appunto quella che afferma, e non quella che semplicemente intuisce».Dunque (I, 305). «Questi limiti reali sono l'effetto dell'atto creativo.»
Considera la quantità tutta di un circolo quale subietto: considera la quantità di un infinitesimale triangolo concepito con la limitazione imaginata nella realtà dello stesso circolo, pure quale soggetto; dirai che quel soggetto è diversoda questo: scambiando il diversocol fuori dirai che questo soggetto è fuori di quello. Per tale similitudine capirai ciò che intende il Rosmini quando dice (I, 452): «Il subietto divino l'essere essenziale ed assoluto, è subietto essenzialmente infinito, il quale può bensì avere per suo oggetto l'ente finito, nel modo che abbiam detto, ma in nessuna maniera può essere subietto finito, perchè oni subietto conviene che sia infinito o finito, non potendoci essere nell'essere contradizione di sorte. L'essere finito dunque, termine dell'intelligente e volente Essere assoluto, deve essere un subietto diverso dal subietto divino; benchè sia oggetto dell'atto divino, e per questo atto sussista. Ma l'essere un subietto diverso dal subietto divino, equivale a dire ch'è fuori di Dio. L'ente subiettivo dunque del mondo, benchè prodotto da Dio (coll'aggiungere i limiti alla realtà infinita), dicesi giustamente fuori di Dio, ed egualmente l'ente estrasubiettivo che a questo ente subiettivo finito si riferisce.» Con ciò riceve spiegazione quel passo recato trattando del possibile:«il Mondo acquista un'esistenza subiettiva che non può essere inDio.»
Che se l'essere è uno, eterno, necessario, segue che non si fa, non si crea ma solo col costituirsi presente ai limiti, in sè stesso dalla imaginazione divina (ch'è l'Essere soggettivo o il Padre) pensati, viene dai finiti partecipato (I, 679). «L'essere, e preso con astrazione dalle sue forme e preso con le sue forme, è sempre semplicissimo ed indivisibile. Ora noi abbiamo veduto che la partecipazione dell'essere non si fa per via di limitazione e di divisione; ma semplicemente per via di presenza, o se più piace d'insidenza.» Per lo che il Rosmini al farsi od al crearsi l'essere sostituisce il porsi, parola applicata al Padre nella generazione dei Verbo (v. sopra: La Dottrina della divina Trinità è base della filosofia) (I, 350). «Chi non coglie sarà presto a replicare: ma dunque Iddio creando non fa?A cui noi rispondiamo che quello che fa Iddio è unicamente di porretutto intero l'atto dell'essere delle creature; dunque quest'atto non è propriamente fatto ma è posto
Di qua risulta la totale o la parziale equazione all'essere. La totale si ha in Dio, perciò dicea il Rosmini che l'essenza di Dio è l'essere: l'adequazione qui è totale. Come tutta la estensione del circolo si deve dire: è circolo;le figure poi risultanti in essa per limiti imaginati, non hanno equazione con tutta la predetta estensione, ma di questa si dirà: qui è triangolo; qui è quadrato ecc.: così dovrassi dire nel caso nostro. Dio è l'essere perchè la essenza di Dio non risulta da limiti, ma è l'essere: l'uomo qui è essere; la pietra qui è essere: il che torna a dire l'uomo ha l'essere: la pietra ha l'essere. Cioè que' limiti che danno la essenza dell'uomo partecipare l'essere che tra essi è postoecc. –– Per lo che l'equazione dell'essenza divina con l'essere è totale: c'è, ma non totale, l'equazione degli enti finiti con l'essere: «Perchè dunque (I, 221) si dice assolutamente; la pietra è essere, l'uomo è essere, ecc.? Perchè io non posso in alcuna maniera trovare nella pietra o nell'uomo qualche cosa che non sia essere, per quantunque e in qualunque modo io la scomponga col pensiero: anche tutte le differenze delle cose sono essere: perciò si dice che le cose sono essere.»

XIV.

Entificazione.

Dal detto si vede che la sintesi dell'essere con un reale finito non è adeguata, perciò non merita essere detta simpliciter identificazione (I, 280). «La congiunzione e comunicazione dell'essere col reale sostanziale primieramente non è identificazione la quale si riscontra solo coll'Essere assoluto ed infinito, come abbiamo dimostrato. Di poi, ella è la più intima di tutte le congiunzioni possibili, a cui per distinguerla dall'altre, noi daremo il nome di entifica. Questa tuttavia non è un'identificazione, la qual si fa solo nel concepimento dell'ente infinito; ma è un'unione sintetizzante, non di quelle che sono tali da amendue i lati, ma da un solo, onde le chiamiamosintetizzanti unilaterali. Le quali hanno questa natura, che sebbene uno dei due elementi non perisce col perire dell'altro (come non perisce l'estensione del circolo togliendo da essa le designate figure), tuttavia l'altro perisce, col perire e collo staccarsi da lui, del primo. Così l'essere non perisce quand'anche s'annulli il reale, ma il reale s'annulla e non è più concepibile, quando si pensasse che non ci fosse l'essere, o quando l'essere da lui sidividesse. Perendo poi il reale, perisce l'ente che risulta da tal unione.» Nella predetta unione sta l'entificazione;e (I, 221): «Quando un reale è entificato, esiste.» Come poi l'ente non comincia ad avere esistenza propria per creazionedi essere, ma per lo porsi, per lo presentarsi, per la insidenza di questo nei termini, così l'assoluta cessazione dell'ente non si potrà concepire per annientamento di essere, ma per divisione di questo da quei limiti o termini nei quali era concepito ed affermato ristretto. Ma già il lettore può farsi un concetto sufficientemente chiaro della dottrina del Rosmini per ciò che riguarda le controversie da noi testè discusse e sopra accennate dell'Ontologismo e del Panteismo: passeremo ad esaminare con giustizia e lealtà la dottrina medesima; il che faremo in altro articolo.

NOTE:

[1] Nelle citazioni del Rosmini il numero romano indica il volume della Teosofia; l'arabico la pagina della Edizione Torino-Intra.
[2] Le parentesi sottolineate non sono del Rosmini; le altre sono sue.