martedì 18 settembre 2012

Biografie tratte dal volume "I grandi atleti del trono e dell'altare",del Barone Alessandro Augusto Monti della Corte (Vittorio Gatti Editore, Brescia 1929) :Donoso Cortés: il cattolicesimo, il beralismo, il socialsimo

Juan Francesco Maria de la Salud Donoso Cortés, primo Marchese di Valdegamas (Don Benito, 6 maggio 1809Parigi, 3 marzo 1853)
 
 


Nato a Val de Serena il 6 maggio del 1809 e morto a Parigi - come ci insegnano i suoi biografi - il 3 maggio del 1853, vittima forse delle dure lotte sostenute nel campo dello spirito, che avevano minato le sue forze, troppo inferiori al fuoco del suo ingegno. Don Giovanni Donoso-Cortés, Marchese di Valdegamas e Visconte del Valle, Grande di Spagna e più volte deputato, ministro e ambasciatore. durante i regni di Maria Cristina e di Isabella, viene spesso citato fra i rappresentanti più illustri della scuola tradizionalista e cattolica.

Ma fino a poco tempo fa, di qua dai monti, l'opera sua di polemista e di filosofo non era molto nota.

Se adesso anche da noi questa lacuna si può considerare, se non del tutto, almeno in gran parte colmata, lo dobbiamo a Bernardo Sanvinsenti che nella collezione dei Libri della Fede ha pubblicato alcuni brani scelti di questo valoroso reazionario, degno campione della vecchia Spagna dalla pietà guerriera.

Dottore in legge a diciannove anni e appassionato degli studi storici, il giovane signore, nelle cui vene scorreva il sangue altero del grande conquistatore del Messico, prescelse la carriera delle lettere e dell'insegnamento, occupando una cattedra nella Università di Caceres. Ma presto la politica lo attrasse nel suo vortice, e non lo lasciò più finché visse.

Dapprima liberale moderato - benché fosse monarchico dichiarato e convinto, e per la sua provata devozione alla dinastia dei Borboni venisse nominato Commissario per Bajadoz e Caceres dal governo conservatore del Mendizabal, dopo l'insurrezione del 1835 - non tardò a convenirsi a una visione più logica e più organica della Società e dello Stato, e ritornò alle pratiche cattoliche che, adolescente, aveva abbandonato.

Dopo il ‘40 l'evoluzione era compiuta.

Ma troppo colto e troppo intelligente per imbrancarsi con i gretti retrogradi che pretendevano di monopolizzare in Spagna la difesa del Trono e dell'Altare, e non erano pari al grande compito che avevano voluto assumere; e d'altra parte, ostile ai progressisti di cui vedeva e deplorava le utopie, fu sempre un isolato e un incompreso, come suole accadere agli spiriti eletti in tempi bassi e oscuri.

Non gli mancarono gli incarichi importanti e spesso fu chiamato nei consigli della Monarchia vacillante, ma, ascoltata al momento del pericolo, la sua voce sincera e indipendente dava noia nelle ore di bonaccia.

Eloquente avvocato di Maria Cristina esiliata, e attivo agente del di lei partito, fu il più fedele e onesto servitore di una Sovrana pur così discussa.

Ma, per Donoso Cortés, il principio passava innanzi a tutto.

Tornato in patria dopo la vittoria della destra monarchica, si dedicò agli studi religiosi e la sua fede ne uscì più combattiva.

Sono di questo periodo le sue opere più belle e durature. Specialmente il suo saggio magistrale il cui il cattolicesimo è confrontato con il liberalismo e il socialismo, ha una portata che supera il momento nel quale venne scritto, e può sempre far testo.

In esso tutti i maggiori problemi politici e sociali dell'Europa moderna sono studiati e sviscerati, con i lumi di una scienza teologica profonda.

La lotta eterna fra il bene ed il male spiega le crisi ed i rivolgimenti che travagliano i popoli e minacciano le civiltà e gli imperi. Le soluzioni offerte dai sistemi acattolici, appaiono incomplete e insufficienti: solo l'insegnamento della Chiesa può dare agli uomini la tranquillità e la certezza. Ad ogni modo fra il liberalismo ed il suo derivato socialista, questo, che almeno afferma qualche cosa, appare di gran lunga meno illogico.

E come tutti i grandi autoritari, Donoso Cortés finisce col concludere che non si possono organizzare saldamente la Società e lo Stato contro le mille insidie delle forze dissolventi e nemiche se non si prende la Religione come base dell'edificio che si vuole costruire.

Il Saggio, uscito solo un anno e mezzo prima che l'autore morisse, fu oggetto da principio di molte discussioni ed attaccato virulentemente anche da alcuni censori cattolici, ma le polemiche furono troncate dallo stesso Pontefice Pio IX che approvò il libro con una lettera affettuosa.

Fra gli altri scritti del Marchese di Valdegamas, va ricordato uno studio interessante sulla Diplomazia europea dopo il '30, e poi lezioni, lettere, discorsi che contengono spesso - come ebbe a dire il Mettermeli - degli squarci di filosofia e di eloquenza "degni di Demostene e di Cicerone".

Dalla citata Antologia del Sanvinsenti tolgo quelli che meglio definiscono la concezione politica e sociale del grande pubblicista cattolico.

* * *

Già nel 1838. quando la sua evoluzione dottrinale non era ancora compiuta, Donoso Cortès dava del Monarca una definizione ben diversa da quella generalmente accettata dal conservatorismo liberale.

"La società è una, identica, indivisibile e perfetta; il potere sociale che è la sua azione, deve essere uno, identico, indivisibile, e perpetuo come essa; sarà uno e indivisibile se risieda nel Monarca; sarà identico e perpetuo, se questi sarà ereditario, perché solo una famiglia consacrata esclusivamente ad una funzione può annodarsi alla tradizione pure essendo anche suscettibile di perfettibilità e di progresso; solo una famiglia vive nel passato, nel presente e nell'avvenire, venendo così ad essere depositarla della intelligenza sociale che le hanno legato i secoli. Il Monarca è l'unico rappresentante della Società e come tale è l’unico potere dello Stato: dinanzi a Lui non vi sono che sudditi.... ".

E un anno dopo, nel 1839, proclamando l’incompetenza del Parlamento a sindacare la condotta della Regina Maria Cristina, come tutrice e procuratrice delle figlie, coglieva l'occasione per mostrare tutta l'assurdità della formula cara al costituzionalismo ortodosso, del "re che regna senza governare", e denunciava l'ipocrisia che dichiara inviolabile il Sovrano, per meglio disarmarlo.

"Una delle massime care al liberalismo moderno è che chiunque pensa va soggetto ad errare e chiunque opera può peccare, onde nessun uomo, in quanto essere attivo e razionale, è infallibile ed impeccabile. Fin qui, nulla in contrario; ma veggansi un po' le conseguenze che da tale massima hanno dedotto gli scrittori di codesta scuola. Siccome non si può concepire la monarchia costituzionale senza la inviolabilità del Monarca; né la inviolabilità del Monarca, senza l’impossibilità da parte sua di commettere errore o peccato, né questa impossibilità fin che operi quale essere attivo o pensi quale essere dotato d’intelligenza ; hanno trovato il modo di conciliare tutto mettendo sotto sequestro la facoltà del Monarca di operare o di pensare, facendolo scendere al livello di un essere stupido ed inattivo. Dopo averlo convertito in pietra, tanto allegri per il loro operato, quanto Archimede per la sua scoperta, esclamarono in un accesso di ridicola soddisfazione: L'abbiamo fatto inviolabile; abbiamo risolto il problema! - senza avvertire nella loro cecità che invece di aver reso inviolabile il Monarca, hanno gettato a terra l'edificio della Monarchia e perfino annientato l'uomo" .

Ed ai legalitari ad ogni costo, bigotti delle forme, e acerrimi nemici dei mezzi eccezionali, anche quando si tratti di salvare la Monarchia ed il Paese, dedico questo passo di un discorso in cui Donoso Cortés giustifica, nell'interesse superiore dell'Ordine, anche la dittatura, che è lo spauracchio di tanti benpensanti.

"Quando la legalità basta per salvare la Società: la legalità. Quando non basta: la dittatura.... Mi appello alla storia. Che cosa sono codesti Governi parlamentari con le loro legittime maggioranze sempre vinte da minoranze turbolente; con i loro Ministri responsabili che non rispondono di nulla; con i loro inviolabili Re sempre violati? Si tratta di scegliere fra la dittatura che viene dal basso e quella che viene dall'alto: io scelgo quella che viene dall'alto perché viene da più chiare e serene regioni. Si tratta di scegliere insomma fra la dittatura della sciabola e quella del pugnale: io scelgo la sciabola perché è la più nobile".

Per la difesa dell’Ordine — " la legge suprema su cui si reggono e per cui si governano tutte le cose create " — lo Stato non può disarmare; deve resistere con ogni mezzo più acconcio alle forze del Caos. Perciò la pena di morte è necessaria, checché ne dicano gli umanitari ed i filantropi, e non soltanto è necessaria, ma è anche giusta.

"Sopprimere la pena di morte per i reati politici e per i comuni vale quanto togliere ogni penalità per i delitti minori in quanto che quando si applichi ai primi altra pena che quella di morte non aia, ogni altra che si applichi a questi manca di proporzione ed appare ingiusta e oppressiva" .

Ma: "Solo può accusare di delitto chi può accusare di peccato e solo può imporre pene per l’uno chi può imporle per l'altro. I Governi non possono imporre pene all'uomo se non quali delegati di Dio, né la legge umana ha forza se non quando è il commentario della divina. La negazione di Dio e della sua legge da parte dei Governi finisce per essere la negazione di sé stessi".

Lo Stato laico ed agnostico infatti non può rendere giustizia e punire, perché non possiede nessun criterio infallibile per distinguere il bene dal male...

"Solamente nel nome di Dio i Governi possono essere giusti e forti" e, come nota acutamente il Cortés "le rilassate teorie dei criminalisti moderni sono contemporanee alla decadenza religiosa e il loro predominio nel Codice va di pari passo con la completa laicizzazione dei pubblici poteri".

E siamo alla condanna di quel liberalismo, nel quale anch'egli aveva creduto un momento, prima che l'esperienza gliene avesse mostrato la povertà infeconda.

"Di tutte le scuole la liberale è la più sterile, perché è la meno dotta e la più egoista. Come si vede, essa nulla sa della natura del bene e del male; appena ha notizia di Dio e non ha notizia alcuna dell'uomo. Impotente al bene, perché manca di qualsiasi affermazione dogmatica, e al male perché le fa paura ogni negazione intrepida e assoluta, è condannata senza saperlo a finire, a seconda della fortuna, nel porto cattolico o sugli scogli socialisti. Questa scuola non prevale se non quando la società infrollisce : il periodo della sua dominazione è quello transitorio e fugace in cui il mondo non sa se andare con Barabba o con Gesù e sta sospeso fra un'affermazione dogmatica e una negazione suprema. La società allora si lascia volentieri governare da una scuola che non dice mai né ‘affermo’ né ‘nego’, e che a tutto risponde ‘distinguo’. Ma codesto periodo angoscioso, per quanto duri è sempre breve: l'uomo è nato per l’azione, e la discussione perpetua contraddice alla natura umana, essendo, come è, nemica delle opere. Assillati i popoli da tutti i loro istinti, giunge un giorno in cui irrompono per le piazze e per le strade chiedendo risolutamente Barabba o Gesù, e facendo rotolare nella polvere le cattedre dei sofisti" .

E ancora:

"Libertà, fraternità, uguaglianza!.... Lasciate all'uomo il libero sviluppo della sua attività individuale e vedrete che in quell'istante l'uguaglianza muore per mano della gerarchia e la fraternità per opera della concorrenza. Proclamale l'uguaglianza e vedrete la libertà che fugge in quello stesso istante e la fraternità che esala il suo ultimo respiro. L'uguaglianza fu sempre il pretesto dell’ambizione e quasi l'ipocrisia dell'invidia".

Né il socialismo, "teologia satanica". in cui l'aridità razionalista si sposa a un cristianesimo bastardo, può dare alcun sollievo. che non sia artificiale ed effimero, ai mille mali che travagliano il mondo; solo il cattolicesimo, il quale ha messo "l'ordine e la armonia in tutte le cose umane" sottomettendo "il corpo alla volontà, la volontà all’intendimento, l’intendimento alla ragione, la ragione alla fede, e tutte alla carità". può dar la norma certa ai singoli ed ai popoli. Il cattolicesimo infatti, rispetto alla famiglia ha "riunito in una le tre persone domestiche, con un fortunatissimo nodo" : rispetto ai Governi ha "santificato l’autorità e l’obbedienza e condannato per sempre la tirannia e la ribellione"; rispetto alla società "ha posto fine alle guerre di casta e ha proclamato l’armonico accordo di tutti i gruppi sociali".

Ma soprattutto, con i dogmi della Provvidenza e della Grazia, ha dato un senso ed un significato alla vita, rivelandoci l'esistenza di un mondo soprannaturale in cui risiedono sostanzialmente la ragione e le cause di tutto ciò che vediamo.

"Senza la luce che viene di lì tutto è tenebra.... Il soprannaturale è sopra di noi, fuori di noi, e dentro di noi stessi; circonda il naturale e lo pervade in ogni suo meato. La conoscenza del soprannaturale è pertanto il fondamento di tutte le scienze e, segnatamente, di quelle politiche e morali".

Parole grandi e che fanno pensare!..,.

E prima di chiudere questa rapida rivista delle dottrine e degli scritti cartesiani, mi piace di trascrivere una pagina che fino dal 1847, all’assunzione del Pontefice Pio IX, il nobile spagnolo dedicava alla grandezza italiana, e si direbbe uscita dalla penna di Vincenzo Gioberti, tanto è pervasa dalla convinzione del nostro insopprimibile primato.

"Non vi meravigliate se chiamo grande l'Italia. Vi sono dei popoli in cui la schiavitù non può cancellare la maestà e che anche essendo schiavi sono re.... Sono rare queste schiatte potentissime di uomini che così nei tempi tristi come in quelli sereni, recano incancellabili i segni dell’impero. Di esse e di esse sole può dirsi, che la loro schiavitù è stata sempre il castigo delle loro discordie e che quando non sono state divise, sono sempre state razze dominatrici. E vegga, chi non crede, la storia di Roma. Se c'è qualche cosa che spieghi la contraddizione che passa fra i suoi umili principii ed il suo miracoloso sviluppo, questo è il fatto ch'essa fu capo e vincolo di unità in Italia. Allorché l'Italia fu una, quando una sola fu la sua volontà ed uno il suo patriziato, l’Italia, signora di sé stessa, lo fu anche della terra: essa sola fu il mondo della civiltà; suoi confini erano il mare e il deserto ed al di là del deserto e del mare non c'era che un altro mondo, nebuloso, noto solo a Dio: il mondo della barbarie".

Quanti stranieri a quei tempi sapevano trovare tali accenti per parlare dell'Italia umiliata, che era per gli uomini della Santa Alleanza una semplice "espressione geografica": e la "terra dei morti" per i poeti di Francia?....