Contro
il modernismo politico (o errore liberale), che oggi proclama la netta
separazione tra Chiesa e Stato,stiamo illustrando i princìpi
cattolici
sul
potere che hanno il Papa e la Chiesa anche in
temporalibus e
come
questo potere si è
realizzato in concreto nel corso della storia. Nella
prima
parte abbiamo richiamato l’insegnamento
di Gesù
e degli Apostoli
nel
campo socio-politico e la dottrina che i Padri della Chiesa e i grandi Papi
già
prima del Medioevo hanno dedotto dai princìpi
di questo insegnamento. Dopo il cosiddetto“secolo di
bronzo”(IX-X
secolo), la Chiesa, con San Gregorio VII, esce da uno dei periodi
più
tenebrosi della sua storia e riprende l’
approfondimento
dottrinale
e l’applicazione pratica del “Date
a Cesare quel che è
di
Cesare e a Dio quel che è di Dio”.
2a
PARTE
IV-
IL MEDIOEVO E LA CRISTIANITÀ (XI-XII secolo)
S.
Gregorio VII (1073-1085) combatté
contro la simonia e il nicolaismo (cioè
il concubinato dei sacerdoti) per riformare la Chiesa. La lotta per le
investiture, nella quale ebbe come acerrimo nemico l’imperatore
Enrico IV, offrì
al Papa l’occasione
per continuare a dedurre dai princìpi
cristiani la dottrina dei rapporti tra Chiesa e Stato.
L’imperatore
fu scomunicato nel 1076.”La
sentenza coglie direttamente l’ordine
temporale e politico; gli anatemi spirituali vengono in ultimo luogo”(1):
il principe indegno è
dichiarato
decaduto e i suoi sudditi sono sciolti dall’obbedienza;
il verdetto
è
pronunciato nel nome dell’autorità
spirituale del Pontefice romano e in virtù
del potere di“legare
e
sciogliere”
che ha ricevuto da Cristo.
“Gregorio
ebbe la convinzione di essere responsabile, dal punto di vista spirituale, della
salvezza del mondo, perché
successore di Pietro e cioè
del Principe degli Apostoli”(2).
Gesù
aveva detto a Pietro “Pasci
i miei agnelli”;
secondo Gregorio (e il
buon
senso) anche i re fanno parte
del
gregge di Cristo, affidato a Pietro
e
ai suoi successori. Come pure il
potere
di legare
e sciogliere riguarda
tutti,
anche i re: “il potere del Papa,
al
pari di quello di Pietro, è
di origine
divina”(3).
Nel
Dictatus
Papae (1075)
sul potere dei pontefici, S. Gregorio VII, aveva raccolto in 27 proposizioni la
sua dottrina sul potere papale; di queste proposizioni 22 sono di natura
teologica e affermano il primato della Chiesa romana e del Vescovo di Roma; le
altre cinque (8ª;9ª;12ª;19ª;27ª)
si riferiscono alle relazioni tra Papa e imperatore e
sono
l’espressione concreta della teologia
ierocratica gregoriana:
8ª)
solo
il Papa può usare le insegne imperiali;
9ª)
tutti
i principi devono baciare i piedi solo al Papa;
12ª)
il
Papa può deporre l’ imperatore;
19ª)
nessun
uomo può giudicare il Papa;
27ª)
il
Papa può sciogliere i sudditi dalla fedeltà verso i principi
iniqui.
Nella
prima lettera a Ermanno, Vescovo di Metz (25 agosto 1076),S. Gregorio VII pone
chiaramente le basi sulle quali si fonda la supremazia del papato sull’impero. La sua fonte principale è
S. Ambrogio,secondo il quale il sacerdozio è
tanto più
nobile del potere temporale quanto
l’oro lo è del piombo;
l’ imperatore è
nella
Chiesa
e non sopra
di
Essa;
quindi anche le sue cattive azioni debbono e possono essere censurate dalla
Chiesa. S. Gregorio parla anche di deposizione
del re da
parte
del Papa e
passa così
dalla
supremazia
teorica
a quella pratica.
Nella
prima scomunica e deposizione di Enrico IV (22 febbraio 1076), S. Gregorio si
rivolge a S. Pietro e dice:“per
tua grazia mi è
stata
data da Dio la potestà di legare
e
sciogliere in cielo e in terra. Basandomi
su
questa certezza [...], in
nome
di Dio onnipotente, [...] io tolgo
a
Enrico [...] il potere su tutta Italia e
Germania,
e sciolgo tutti i cristiani
dal
vincolo del giuramento [...], e
proibisco
che alcuno lo serva come
re.
[...] Agendo in tua vece io lo scomunico
[...],
perché le genti sappiano
e
vedano che Tu sei Pietro e su questa
pietra
il Figlio di Dio edificò la
sua
Chiesa [...]”.
Nel 1080 la sentenza pontificia diventa definitiva. Il testo afferma chiaramente
che l’ autorità
spirituale del Papa implica un vero potere nell’ordine
temporale. Sempre rivolgendosi a San Pietro, Gregorio VII dice: «Gli
tolgo ogni potere
e
dignità regale... Che tutti capiscano
che,
se “potete sciogliere e le-
gare in cielo”, a maggior ragione potete
togliere
o concedere, sulla terra,
i
poteri, i regni, gli imperi,
in
base ai
meriti»(4).
D’altronde questa dottrina era già
stata formulata da Gregorio VII cinque anni prima nel Dictatus
Papae,
nelle proposizioni 12 e 27: “Il
Papa
può deporre l’imperatore”
e “può
sciogliere i sudditi dall’ obbedienza
ai
principi iniqui”.
Tale tesi “lungi
dall’esser nuova [...] è
la conclusione normale dei princìpi
cristiani tradizionali, Gregorio si richiama ai detti
e fatti dei santi Padri.
Le
sue referenze sono soprattutto S. Ambrogio, S. Agostino, Gelasio I, Nicola I.
[...] Si rifà
innanzi tutto al Tu
es Petrus e
alle conseguenze logiche che ne derivano per la giurisdizione spirituale del
Papa: nessuno
fa
eccezione e niente è sottratto
alla
sua giurisdizione.
Anzi argomenta a
fortiori:
se
la Sede apostolica...giudica le cose spirituali, perché
non
potrebbe giudicare anche le
temporali?
Chi può dubitare che i
sacerdoti
di Cristo siano da reputarsi
come
padri e maestri dei re, dei
principi
e di tutti i fedeli? Se
l’esorcista
comanda i diavoli, a più
forte
ragione il Papa è giudice dei
peccati
dei re! (Prima
lettera a Ermanno
vescovo
di Metz)”(5).
Il
Papa ricorda gli stessi princìpi
a Sancho d’Aragona, asserendo che Pietro
è
stato
costituito da Cristo principe su
tutti
i regni della terra (6).
Nella
seconda lettera al vescovo di Metz (15 marzo 1081) S. Gregorio espone “tutta una teologia sui rapporti tra Stato e Chiesa”(7).
Il potere delle chiavi, date da Cristo a Pietro, sta alla base di tutta la
teoria e la pratica gregoriana; il potere temporale
e
quello spirituale stanno tra loro come la luna al sole: «Il
beatissimo
Apostolo
Paolo disse: “Non sapete
che
noi giudicheremo gli Angeli?
Quanto
più le cose del secolo?” [...].
A
chi si possono meglio paragonare
coloro
che vogliono piegare alle loro
forme
i sacerdoti di Dio, se non a colui
che
è il primo di tutti i figli della
superbia?
Colui che, tentando lo
stesso
Cristo sommo Pontefice [...] e
promettendogli
tutti i regni del mondo,
disse:
“Tutto questo sarà tuo, se
scenderai
e mi adorerai”? [...]. L’oro è
tanto
più prezioso del piombo, quanto
la
dignità sacerdotale è più nobile
della
dignità regia [...]. Nulla si trova
nel
mondo di più degno dei sacerdoti,
di
più sublime dei vescovi [...]».
I
fratelli Robert e Alexander Carlyle mettono in rilievo che Gregorio VII spera
che “sacerdozio e impero possano essere uniti nella
concordia,e che, come il corpo umano è
guidato dai suoi due occhi, così
il corpo della Chiesa possa essere guidato e illuminato quando i due poteri
concordano nella vera religione...e ammonisce Enrico IV a ricordare che egli
detiene legittimamente il potere regio se obbedisce al Re dei re, Cristo, e
difende e rafforza la Chiesa [...]. L’autorità
secolare - secondo Gregorio - trova il suo vero fondamento nella difesa e nel
mantenimento della giustizia, e egli spera che vi possa essere una vera
concordia e intesa tra sacerdozio e impero, cioè
tra le due autorità
stabilite da Dio per governare il mondo”(8).
APPROFONDIMENTI
TEOLOGICI
UGO
DI S. VITTORE (1096-1141) la
creazione è
una, Dio creatore
è
uno e,“se esistono due poteri,
due
funzioni,il
dualismo è solo
apparente”(9).
I due poteri si compongono
e
si
unificano nell’unità
di
Dio
e della sua Chiesa, per cui la
società
umana è
la cristianità
e la
cristianità
è
la Chiesa. Ogni potere
dipende
da un unico potere, quello
divino.
Quindi il potere secolare ha
una
sola fonte, la Chiesa: “È
il clero,ossia il potere spirituale che pone in
essere
il potere temporale, dietro
ordine
di Dio; è
il potere spirituale
che
istituisce quello temporale e [...]
lo
consacra e lo benedice, insomma
gli
conferisce legittimità
[...]. Proposizione
di
significato inequivocabile
che,
pur lasciando intatta la distinzione
tra
gli uffici [...], afferma la dipendenza
originaria
[del potere temporale] e la superiorità
di giurisdizione [del potere spirituale]”(10).
GIOVANNI
DI SALISBURY (+1180) nel
Policraticus,
scritto
tra il
1155
e il 1159, tratta dei rapporti
tra
potere spirituale e temporale.
“Giovanni
è
un sostenitore di posizioni ecclesiastiche molto avanzate:egli non solo condanna
qualsiasi invadenza del potere temporale nella sfera della Chiesa [...] ma
sostiene apertamente la superiorità
del potere spirituale [...] nei confronti di quello temporale [...] tutte le
leggi dei principi sono vane e nulle, se non sono in armonia con la legge divina
e con gli insegnamenti della Chiesa”(11).
Giovanni
si serve dell’immagine
delle due spade, molto probabilmente ispirandosi a S. Bernardo, e scrive che
“il principe ha avuto la spada materiale dalla Chiesa,
alla quale appartengono entrambe le spade, sebbene essa si serva di quella
materiale tramite il
principe;
questi è
pertanto
il
ministro del sacerdozio
e compie quella parte meno
alta
delle sacre funzioni che non è
degna di essere svolta dal sacerdote(Policraticus,
IV, 3)”(12).
S.
BERNARDO DI CHIARAVALLE(+1173)
è
la figura che domina il
secolo,
la sua teoria è
quella delle“due
spade”,
presa dal passo del
Vangelo
dove agli Apostoli, che gli
avevano
detto: “Abbiamo
due spade”,Gesù
risponde: “bastano
”.
Per
S.
Bernardo vi sono, perciò,
due
spade,
simbolo dei due poteri, quello
spirituale
e quello temporale. Le
due
spade le posseggono gli Apostoli
e
Pietro, che è
il loro capo e il capo
della
Chiesa. La spada temporale,
però,
non deve essere utilizzata direttamente
da
Pietro e dalla Chiesa.Essa è
di
Pietro
e della
Chiesa,
ma
deve
essere sguainata per
Pietro
e
per
la
Chiesa, non da
Pietro
e dalla
Chiesa.
“Rimetti
la tua spada nel fodero”aveva
detto Gesù
a Pietro che
usò
direttamente la spada, tagliando
un
orecchio ad un servo che era
venuto
ad arrestare il suo Maestro.
A
papa Eugenio III, suo figlio spirituale,S. Bernardo scrive: “La
spada
temporale
deve essere sguainata
per
la Chiesa, mentre quella spirituale
dalla
Chiesa. Una è in mano del
sacerdote,
l’altra in mano del soldato,
ma
deve essere usata al cenno
(ad
nutum) del sacerdote”.
S.
Bernardo non cancella la distinzione tra i compiti del potere temporale e quelli
del potere spirituale,ma subordina chiarissimamente il temporale allo spirituale
e afferma che il
potere temporale è
posseduto
dalla Chiesa, ma non utilizzato
direttamente
da essa, che lo
lascia
ai principi, i quali dovranno utilizzarlo ad nutum sacerdotis.
INNOCENZO
III (1198-1216) Ritiene
che, come Vicario
di Cristo,
è
il rappresentante supremo di
Dio
in terra, superiore al re ed agli
imperatori;
è
il plenipotenziario di
Dio,
per volere del Quale regnano i
re
e i principi governano (per
Me reges
regnant).
«La
concezione del vi-
cariato di Cristo divenne per lui
un’idea
centrale [...]
essa gli dava
l’autorità
universale di una posizione“tra Dio e l’uomo, tra Dio e sopra l’uomo;
più
piccolo di Dio e più
grande dell’uomo, giudice sopra tutti e non giudicabile
da nessuno, a eccezione di Dio”»(13).
Innocenzo
III rivendica per sé
la plenitudo
potestatis che
Cesare non ha e che comprende nel suo “ambito non solo
la Chiesa universale, ma tutta la realtà
temporale”(14).
Inoltre,il potere regale deriva dall’autorità
pontificia tutto il suo splendore e la
sua
dignità:
“Così
come la luna riceve dal sole la sua luce”(15).
Innocenzo
III riconosceva l’ autonomia(che non è
l’indipendenza)del temporale dallo spirituale, “ma riservava pur sempre al Papato un diritto preminente, che
era inerente
e
connaturato a quel vicariato di Cristo [...]. Orbene Cristo [...], in quanto
è
Dio, è
sovrano dei corpi e delle anime, egli è
il sacerdote e il re supremo ed ha una regalità
spirituale e temporale; dunque ce l’ha anche il
Papa”(16).
Questo diritto il
Papa,
pur possedendolo, non vuole esercitarlo abitualmente, ma solo in certi casi
eccezionali, quando lo impone una causa urgente e grave, ad esempio
ratione
peccati.
Secondo
il Dictionnaire
de Théologie catholique il
pontificato di InnocenzoIII rappresenta il perfezionamento
definitivo
della dottrina del
potere
diretto in
temporalibus posseduto
dal
Papa, ma non esercitato abitualmente. Egli asserisce che il re “riceve da Dio l’uso della spada
temporale”(17);
ed il 16 febbraio 1209 dichiara all’imperatore Ottone
IV:“Noi
possediamo l’autorità papale e
il
potere regale, entrambi nella loro
pienezza”(18).
Secondo
Ehler e Morrall il “pontificato di Innocenzo III
è
considerato[...] per molte ragioni il periodo
della
maggior
grandezza medioevale del
Papato.
Egli [...] era un eminente teologo e giurista: sotto il suo pontificato furono
promulgati un gran numero di decreti papali, con i quali la plenitudo
potestatis Papae –
termine che Innocenzo III contribuì
fortemente a divulgare – fu definita nei suoi vari
aspetti. Di queste decretales,
quattro sono particolarmente importanti:
1) Per
venerabilem,
in cui il Papa
afferma
l’autorità
della S. Sede nelle materie che si riferiscono tanto al Diritto Canonico quanto
a quello Civile;
2)
Novit
Ille,
dove è
asserita la facoltà
del Papa di intervenire negli affari di polìtica
internazionale ratione
peccati;
3)
Venerabilem
fratrem,
in cui vengono definiti i diritti del Papa nei riguardi della corona di
Germania[...];
4)
Sicut
universitatis,
dove il Pontefice esprime il suo giudizio sulle relazioni tra potere spirituale
e quello imperiale”(19).
Giuseppe
Corradi scrive che Innocenzo III “sistematizzò
la dottrina del dominio universale del Papato in materia spirituale e temporale
attuandone l’esecuzione pratica. In quanto
Vicario
di Cristo, Rex regum
et
Dominus dominantium, il Papa
rappresenta
la massima autorità terrena; la Chiesa, cui spetta ogni potere nella direzione
delle anime, deve essere superiore all’impero; ed al Pontefice romano spetta il
diritto di intervento in qualsiasi questione temporale e
politica.
[...]. Questi
scopi,
essenzialmente religiosi, costituirono
i
moventi di tutta la sua
politica
volta ad attuare il principio
che
sta alla base della concezione
cristiana
del Medioevo: la subordinazione
degli
interessi della città
del
secolo
a quelli della città
di Dio”(20).
Un
eminente studioso, il professor Oscar Nuccio dell’Università
La
Sapienza
di
Roma,in un’opera poderosa di oltre cinquemila pagine
(Il
pensiero
economico italiano,
Sassari,
Gallizzi,
1984-2002, 7 tomi dal medioevo al settecento), ha trattato,con maestria e
competenza, anche il tema che ci riguarda. L’Autore
insegna che dall’età
di S. Gregorio VII il sacerdozio sviluppò
una dottrina del potere pontificio che si rifaceva a S.Leone Magno e fu
completata da Innocenzo III; il Papa è
non solo il vicario di Pietro, ma anche di Cristo e di Dio; egli è
inferiore a Dio, ma ne partecipa il potere, ed è
superiore all’uomo. Siccome è
il vicario di Cristo, e le veci di Cristo sono di natura giuridica, il governo
su queste veci fondato si estende a tutto il mondo, che è,
perciò,
affidato al go- verno spirituale e temporale del Papa.
La
plenitudo
potestatis assume
con Innocenzo III una dimensione non solo ecclesiastica, ma anche politica. La
motivazione ratione
peccati
consente a Innocenzo di aprire un varco attraverso il quale il potere
sacerdotale si estende a tutte le materie nelle quali è
possibile peccare; e di fatto siccome non esistono atti umani neutri, in quanto
le circostanze li rendono buoni o cattivi moralmente (per es. cammino
per
rubare
o per dire il rosario) , il potere sacerdotale si estende alla
totalità
delle questioni temporali. Nel Papa si ritrovano concentrate le due
potestà
supreme, la spirituale e la temporale, e la potestas
gladii concessa
all’imperatore deriva dal Papa
nell’atto dell’incoronazione. Tale
principio, secondo Oscar Nuccio, fu riformulato da S. Tommaso nella
Summa
contra Gentiles (IV,
q.76) e ribadito da Giacomo da Viterbo nel
De
regimine christiano (1301).
Coloro che negano al Papa la doppia diretta potestà
in spiritualibus
et in temporalibus,
sono coloro i quali affermano che “I Papi sono gli
Dèi
dei monti, ossia delle cose spirituali; ma non gli Dei delle valli,
poiché
non hanno nessun potere sui beni temporali”. Per
Innocenzo, invece, il Papa ha potere sui monti e sulle valli ossia
in
spiritualibus et in temporalibus,per
cui la giurisdizione del Papa, conclude il Nuccio, è
la più
perfetta di tutte, e perciò
non ha senso distinguere tra potere indiretto in
temporalibus e
diretto in
spirituali bus (21).
Si
veda anche l’epistola di Innocenzo III al Patriarca di
Costantinopoli(1159): “Dominus
Petro
non
solum universam Ecclesiam, sed
totum
reliquit saeculum gubernandum”(“Il Signore lasciò
a Pietro da governare non solo la Chiesa universale,
ma
tutto il mondo”)(22).
Il
XIII secolo vedrà
affermarsi sempre più
la teoria del potere
diretto
in
temporalibus.
INNOCENZO
IV (1243-1254)
Di
Innocenzo IV ci interessa il decreto Aeger
cui levia o
lenia
(1245),
nel quale “con un’ampiezza ed un
vigore che non
saranno mai
sorpassati,
[...] rivendica sulla terra una delega generale di Dio, il Re dei re, con la
pienezza
del
potere di legare e sciogliere [...] anche l’
imperatore”(23).
Alcuni
autori, tra i quali Giovanni Battista Lo Grasso S.J.(24),
dicono che è
disputato se detto decreto sia di Innocenzo IV o di un suo discépolo.
Penso,
però,
che l’ appartenenza alla Compagnia di Gesù
con la sua adesione alla tesi del potere indiretto in
temporalibus abbiano
spinto il Lo Grasso a mettere in dubbio l’autenticità
di un documento del Magistero che afferma esplicitamente che il Papa ha potere
diretto in
temporalibus, ma
non vuole esercitarlo e lo lascia ai laici. Agostino Paravicini Bagliani e la
maggior parte degli storici contemporanei, affermano, invece, che il decreto
è
di Innocenzo IV, anche “se alcuni si chiedono se l’estensore materiale non debba essere ricercato in seno al
collegio dei cappellani del card. Raniero Capocci da Viterbo”(25).
Quest’ultima opinione, però,
non è
oggi, la più
comune e il documento è
oramai ritenuto pacificamente di Innocenzo IV. Augustin Fliche e Victor
Martin,ad esempio, nella loro famosa Storia
della
Chiesa, sostengono
che Innocenzo IV, “dottissimo e già
studente e maestro nell’Università
di Bologna [...], era ritenuto un canonista eminente e un diplomatico abilissimo
[...]. Egli non solo condivide col suo predecessore [Innocenzo III] le idee
sull’«onnipotenza»
romana,
ma
va
oltre
e con lui..., il principio teocratico
si
afferma con la massima chiarezza...Innocenzo IV si ritiene
investito,
a
somiglianza di Cristo, della spada
temporale,
il cui uso affida all’ imperatore
e
ai re, riservando a sé solo
l’uso
della spada spirituale.
Basta leggere la bolla Aeger
cui levia,
con cui risponde agli attacchi di Federico II che seguirono [...] il Concilio di
Lione del 1245, per rendersi conto...che le
rivendicazioni della S. Sede
mai
erano state affermate in modo
così
categorico. [...].
La morte di Federico II corona la vittoria del Papato[...] e sottolinea il
crollo degli Hohenstaufen[...], il cesaropapismo imperiale non
conoscerà
più
che resurrezioni effimere. Il Concilio di Lione fu una prova luminosa dell’unità
della Chiesa, raccolta attorno alla S. Sede, e una chiara affermazione della
potestà
pontificia, cioè
della plenitudo
potestatis [...]
Secondo Innocenzo III, il Papa non
poteva
incoronare imperatore se non quello designato dai principi elettori,e
perciò
la sua scelta aveva dei limiti; ma, dopo la vittoria della Sede Apostolica [con
Innocenzo IV]su Federico II, ogni restrizione scompare, almeno dal punto di
vista giuridico: mai
per l’innanzi
l’autorità
di Roma aveva raggiunto
un
tale vertice”(26).
È
chiaro che anche per Fliche e Martin la bolla Aeger
cui
levia appartiene
formalmente ad Innocenzo IV.Federico II – aggiunge
Silvio Solero– “aveva pubblicato il famoso manifesto ai
principi cristiani in cui denunciava i vizi, la cupidigia e la corruzione dei
prelati.
Innocenzo
IV rispondeva con la bolla Aeger
cui levia
contenente la formula della teocrazia papale, affermando il primato pontificio
come voluto da Cristo che aveva conferito a Pietro e ai suoi successori l’impero universale del cielo e della terra”(27).
Vediamo
il contenuto del documento pontificio:“[...] sulla terra
rappresentiamo il
Re
dei re, dal cui potere si sa non è
escluso alcun uomo [...] Dio [...] attribuì
al Principe degli Apostoli, e a noi, attraverso di lui, pieno
potere di
legare e di sciogliere qualunque cosa sulla terra [...]. [Cristo
conferì
a Pietro] potere non solo sulle genti, ma anche sopra i regni [...]. Ne segue
dunque che il Romano Pontefice, può,
almeno casualiter
[non
abitualmente,ma eccezionalmente] esercitare il suo potere pontificale nei
riguardi di qualsiasi cristiano [...],specialmente ratione
peccati così
che stabilisca che qualunque peccatore [...] sia considerato pubblicano e
eretico [...] e che, di conseguenza,sia privato del potere temporale se ne aveva
uno [...]. Dunque esaminano con poco acume [...], coloro i quali affermano che
la Sede apostolica ha avuto la prima volta il potere dall’imperatore Costantino, mentre si sa che questo potere era in
lei prima, naturalmente e in potenza.
Gesù
Cristo [...] vero re e sacerdote [...] stabilì
nella Sede apostolica non solo un monarcato pontificale, ma anche uno regale,
avendo
affidato
al
beato Pietro e ai suoi successori,
le
redini sia del potere cele-
ste che di quello terrestre.
Questo
fatto
è
reso evidente nella pluralità
delle
chiavi, perché
si capisca che
per
mezzo dell’una abbiamo
ricevuto
il
potere per le cose temporali sulla
terra
e
per mezzo dell’altra il
potere
delle
cose spirituali in cielo.
[...]. Nel
grembo
della Chiesa sono poste
ambo
le spade di ambedue i poteri...Entrambi le appartengono di diritto,dal momento
in cui il Signore non
disse
a Pietro “getta la spada”,
ma:“rimetti la tua spada nel fodero”,perché
non fosse usata da
lui
stesso[ma per
lui,
ad
nutum sacerdotis]...Quindi
Pietro, per ordine divino,non aveva il permesso di usare
direttamente
la spada, tuttavia aveva
l’autorità
di ordinarne l’uso [da
parte
del principe in difesa della
Chiesa].
Da ciò
deriva che il
potere
di
questa spada è nella Chiesa, ma
è
esercitato dall’imperatore che lo riceve
da
lei. Questo
potere, che si
trova
nel grembo della Chiesa, è
soltanto
potenziale
e passa all’atto
quando
viene trasferito dal sacerdote
al
principe” (Aeger
cui levia,
in LO
GRASSO
S.J.,
Ecclesia
et Status. Fontes
selecti.
Historiae Juris Publici Ecclesiastici,2ª
ed., Roma, Gregoriana,1952, n°
446-455, pagg. 194-198).
Innocenzo
III – scrivono i fratelli Carlyle –
“usò
sempre la massima cautela e si astenne dal trarre conclusioni estreme.
A
trarle fu invece
Innocenzo
IV [...],
e a lui si devono far risalire i princìpi,
che i grandi canonisti del XIII secolo, come l’Ostiense
e Guglielmo Durando, [...]dovevano esporre [...]. Innocenzo IV afferma [...] che
il Papa ha ricevuto da Cristo in persona il potere di redigere i canoni, mentre
l’imperatore la propria autorità
di legislatore la riceve dal popolo romano [...]; inoltre,come Cristo, quando
era su questa terra, era da tutta l’eternità
Signore naturale del mondo, e per legge naturale in grado di deporre re e
imperatori, così
i suoi vicari – e cioè
Pietro e i suoi successori – avevano il medesimo potere
[...]. Innocenzo IV vuol giungere alla conclusione che, anche
nelle questioni
temporali
[...] la sua autorità è superiore
a
quella di tutti gli altri poteri
secolari
[...]. Tra
Papa e imperatore
esiste
un rapporto speciale; il secondo è
advocatus
del
primo, presta a lui il giuramento, riceve l’impero dalle
sue mani,
[...].
Innocenzo IV [...] sembra voler suggerire implicitamente che l’imperatore
è vassallo
del
Papa [...]
e sostenne che questi
aveva
il diritto di respingere un candidato non adatto al trono imperiale [...];
infine proclama senza esi
tare che l’
imperatore gli era debitore
del
trono imperiale [...] Pertanto
non
ci
pare azzardato concludere che, per
Innocenzo IV, ambedue i poteri,
spirituale
e temporale, in via di principio
gli
appartenevano”(28).
SAN
TOMMASO D’AQUINO (+1274)
Il
Dottore Angelico riprende e approfondisce la dottrina
tramandata.
Egli
scrive: “La S. Chiesa [...] ha soltanto la spada
spirituale, quanto all’esecuzione
da esercitarsi direttamente dalla sua mano. Ma
ha anche
la
spada temporale, quanto al
comando
di impiegarla: poiché al suo cenno deve essere estratta, come dice
Bernardo”(29).
E continua: “Nelle
cose
che riguardano il bene civile,
bisogna
obbedire piuttosto al potere
secolare
che allo spirituale... A
meno che il potere spirituale sia unito al potere secolare come nella Chiesa o
nel Papa, in virtù di una disposizione di Dio, che è sacerdote e re
[...]”(30).
Alcuni
autori hanno cercato di interpretare questo passo come riferito unicamente allo
Stato pontificio, soltanto nel quale il Papa è
sacerdote e re in atto; tuttavia mi sembra che questa interpretazione sia
forzata, poiché
se S. Tommaso avesse parlato di un caso specifico, quello appunto dello Stato
pontificio, lo avrebbe detto; invece parla in generale di
cose che riguardano il
bene
civile,
e dice che qualora si tratti della Chiesa o del Papa,
allora bisogna obbedire al potere spirituale, che per volontà
divina racchiude in sé
anche quello temporale; altrimenti occorre obbedire al potere civile. Ed infatti
la maggior parte degli interpreti, vede nel passaggio dell’Aquinate
l’affermazione del potere
diretto
del
Papa in
spiritualibus et in
temporalibus.
Inoltre nelle Quaestiones
quodlibetales,
l’Angelico sostiene che ora i re sono vassalli della
Chiesa perché,
con l’avvento del Cristianesimo, la situazione
è
cambiata e Cristo ha diritto di regnare sulla coscienza dei principi31;
perciò
“il Papa detiene l’autorità
suprema sia nelle questioni spirituali che in quelle temporali(Commento
alle Sentenze di Pietro
Lombardo,
II, dist. 44, q. 2, a.3)”(32).
Nella
Somma
Teologica,
infine,S. Tommaso si pone la questione se il potere temporale sia sottomesso
allo spirituale come il corpo all’anima,e
risponde di sì
(33).
Secondo
la filosofia politica dell’Angelico
l’uomo ha un solo fine ultimo,che è
soprannaturale (la Visione Beatifica); il benessere temporale è
soltanto un fine prossimo; pertanto l’autorità
temporale dev’essere
sottomessa alla spirituale,come il fine prossimo è
ordinato e sottomesso al fine ultimo. Etienne Gilson scrive: “La morale di S.Tommaso ha scopi più
alti che adattare l’uomo al bene comune della
città:
essi gli sono imposti dalla metafisica
stessa,
da cui la morale riceve
i
suoi princìpi: l’uomo di Aristotele non era una creatura,
lo è
invece l’uomo di S. Tommaso”(34).
Bisogna
osservare
che l’Aquinate
“è
ben lungi dal relegare a quello che spetta al Papa ratione
peccati il
legittimo intervento pontificio nella sfera temporale.
Attribuendo
al Capo della Chiesa la cura del fine ultimo [...] gli riconosce, per via di
eminenza e in ragione della sua autorità
spirituale suprema, un’autorità
temporale sui principi della terra che, di fatto, si estende a tutta l’azione degli stessi principi, purché
[...] venga ad avere rapporto con il fine ultimo [...].
Spetta
perciò
al Papa e solo a lui giudicare quello che deve dire o non dire [...] in funzione
della sua carica sovrannaturale e quando, come, fino a che punto ci sia bisogno
di un intervento nella sfera temporale”(35).
L’Angelico, in breve, distingue
ordine
naturale e soprannaturale, Stato e Chiesa. Non
li
separa,
né
li
confonde,
ma
subordina
il
naturale al soprannaturale, lo Stato alla Chiesa: “Il
potere temporale è
soggetto a quello spirituale come il corpo all’anima” (De
regimine principum,l.1,
c.10; Cfr. R. SPIAZZI
O.P.,Enciclopedia
del pensiero sociale cristiano,ESD,
Bologna, 1992, pp. 188-194, 212-215).
BONIFACIO
VIII (1294-1303)
Con
Bonifacio VIII la teoria della plenitudo
potestatis tocca
il suo apogeo; egli «incarnava,
in un temperamento focoso, le dottrine più
intransigenti sulla supremazia pontificale. Gran canonista [...] non
sorpassò
nessuna
delle formule di Innocenzo
IV
[...]. Bonifacio rivendica
una
giurisdizione suprema nel dominio
spirituale
e temporale, distingue tra
possesso e esercizio [...]. Egli distingue
i
due poteri, ma ne rivendica
il
possesso e lo separa dall’esercizio
abituale”(36).
La
Bolla Unam
sanctam riguarda
la pienezza del potere papale (1302).
In
essa il Pontefice «espresse
le tesi estreme della dottrina teocratica sull’impero
[...]. Nella primavera del 1303 ripeteva ad Alberto d’Austria:“Omnes
potestates sunt a Christo et
a
nobis, tamquam a vicario Jesu
Christi’»
(“Ogni potere viene da Cristo e da noi, come vicario di
Gesù
Cristo”)(37).
Nell’Unam
Sanctam Bonifacio
aveva detto che “ogni potere, sia quello spirituale sia
quello temporale, ha la sua origine da Dio e che è
stato conferito da Dio alla Chiesa...; essa lascia l’esercizio del potere secolare ai principi, ma conserva il
diritto di effettuare il proprio controllo su di loro... la Bolla è
un sommario poderoso del pensiero della Chiesa al culmine del periodo
medievale”(38).
Massimo
Montanari scrive che nell’Unam
Sanctam “Bonifacio
propugnava solennemente una teoria integrista della società
cristiana, intesa come unico corpo, di cui Cristo è
Capo e il Pontefice il Vicario. Al
Pontefice
spettano dunque entrambe
le
spade, la temporale e la spirituale;
egli ha il primato sui regnanti della terra ed ha la potestà
di intervenire su tutto e su tutti. L’idea teocratica,
che si era formata nei secoli precedenti, mediante le posizioni via via assunte
da [...] Gregorio VII e Innocenzo III, era portata da Bonifacio VIII alle
estreme conseguenze e giungeva alla pienezza della sua formulazione
dottrinale”(39).
Ma vediamo il contenuto della Bolla stessa:
«Noi
siamo obbligati a credere e a professare che c’è
una sola Santa Chiesa cattolica e apostolica [...] che rappresenta un corpo
mistico, il cui capo è
Cristo [...]. Noi sappiamo dal Vangelo che in questa Chiesa e nel suo potere ci
sono due
spade,
una spirituale e una temporale [...]. E
chi
nega
che la spada temporale appartenga
a
Pietro ha malamente interpretato
le
parole del Signore, quando
dice:
“Rimetti la tua spada nel fodero”.
Quindi
ambedue sono in potere
della
Chiesa, la spada spirituale e
quella
materiale. Una
deve essere impugnata per
la
Chiesa, l’altra dalla
Chiesa; la prima dal
clero,
la se-
conda dalla mano dei re, ma secondo
il
comando e il cenno del sacerdote,
perché
è
necessario che una
spada
dipenda dall’altra e che
l’autorità
temporale sia soggetta a
quella
spirituale. [...]. Perciò
se il
potere
terreno erra, sarà
giudicato
da
quello spirituale; se il potere spirituale
inferiore
sbaglia, sarà
giudicato
dal
superiore; ma se erra il supremo
potere
spirituale questo potrà
essere
giudicato solamente da
Dio
e non dagli uomini (prima
Sedes
a
nemine judicetur)
[...]. Perciò
chi si
oppone
a questo potere istituito da
Dio,
si oppone ai comandi di Dio a
meno
che non pretenda, come i Manichei,
che
ci sono due
princìpi [...].Quindi
dichiariamo che è
assolutamente
necessario
per la salvezza di
ogni
creatura umana che essa sia
sottomessa
al romano Pontefice”.
Secondo
i fratelli Carlyle “Bonifacio...proclama
[Ausculta
fili]
che Dio lo ha collocato al di sopra di tutti i re e di tutti i regni, dotandolo
del potere di distruggere e di costruire [...] [mentre Filippo il Bello]
pretendeva che [...] i re francesi, nelle questioni temporali, erano sempre
stati soggetti soltanto a Dio ”(40).
DUE
TEOLOGI-CANONISTI BONIFACIANI
a)
EGIDIO ROMANO (+1316) fu
discepolo di S. Tommaso a Parigi,benché
appartenesse all’ordine agostiniano,e divenne nel 1295
arcivescovo di Bourges. Ha scritto De
ecclesiastica potestate,
che tratta del potere supremo(plenitudo
potestatis)
della Chiesa e del Papa. Egli riafferma la subordinazione gerarchica del potere
temporale al potere spirituale, distinguendo le rispettive competenze, per cui
al potere temporale “è
riconosciuto il diritto di governare […] in condizioni
di relativa autonomia, al fine di ottenere un buon funzionamento della
società
civile. Il potere temporale, tuttavia, può
essere sempre sottoposto al controllo ed al giudizio finale della Chiesa che
fissa, da sola, i limiti dei suoi interventi, nella piena consapevolezza della
superiorità
del proprio ufficio” (EGIDIO
ROMANO,
Il
potere
della Chiesa,
Roma, 2000,introduzione p. 11).
L’opera di Egidio si divide in tre parti: nella prima analizza
il rapporto tra potere temporale e spirituale; nella seconda il diritto di
proprietà
da parte della Chiesa; nella terza confuta le obiezioni alla plenitudo
potestatis
Papae.
Il
filo conduttore dell’opera egidiana è
“l’eminenza del potere
spirituale
esercitato
dal Papa […] che rappresenta il grado di potere
più
elevato, dal quale deriva il potere temporale”
(op.
cit.,
p. 14). “Il Papa detiene i due poteri (temporale e
spirituale), ma riserva per sé
l’autorità
spirituale ad
usum,
mentre può
concedere ad
nutum
l’autorità
temporale ai sovrani perché
la esercitino sotto il controllo e
la
superiore visione della Chiesa”
(op. cit., p. 15).
Gli
autori maggiormente citati da Egidio sono S. Agostino (una cinquantina di
volte), Aristotele ed il suo maestro S. Tommaso (circa trenta volte
ciascuno).
Egli
riprende dunque gli argomenti classici del primato dell’anima
sul corpo, l’argomento delle due spade di S. Bernardo e
aggiunge nuove considerazioni: la Chiesa consacra i re, perché
il sacerdozio precede ontologicamente ogni regalità
umana, dato che l’atto precede ontologicamente la
potenza e il perfetto precede l’imperfetto (41);
ogni potere viene da Dio, sia quello pontificio sia quello regio, ma “non egualmente
e
immediatamente, anzi il potere regio lo si riceve tramite quello pontificio”(42).
“Si
può
ritenere che il trattato di Egidio romano sia la più
formale espressione della dottrina teocratica del potere diretto in
temporalibus”(43).
“Tuttavia
egli nega di voler turbare il funzionamento del potere civile. Questo ha,
infatti, la sua ragion d’essere, ma è
sempre un potere
secondario,anzi
ausiliario
di
quello della Chiesa. È
vero: la Chiesa non gestisce direttamente
il
dominio temporale [...]. Essa ha di meglio da fare che lasciarsi irretire dalle
cure di questo tipo, dato che, innanzi tutto e in via ordinaria e normale, si
deve preoccupare della sfera spirituale. Tuttavia sono infiniti i casi in cui si
trova giustificato l’intervento della Chiesa nel dominio
temporale e cioè
ogni qualvolta che vi si trovi implicata anche la sfera spirituale”(44).
GIACOMO
DA VITERBO (+1308)
nel
suo De
regimine cristiano (1301-1302)(45),
afferma che la Chiesa ha
una
reale supremazia sullo Stato.
Tale
teoria è
stata chiamata teocrazia
o
meglio ancora ierocrazia:
il
Papa
ha la sovranità
assoluta diretta
civile
ed ecclesiastica in
temporali bus e
in
spiritualibus,
ma conserva
per
sé
la seconda e trasmette la prima al principe; tale
delega si esprime tramite la cerimonia dell’ incoronazione del
sovrano.
Giacomo
da Viterbo riprende la
teoria
delle due spade, dell’anima e
del
corpo, e le elabora ed esplicita
approfondendo
la teologia della Unam
sanctam di
Bonifacio VIII; naturalmente
si
basa anche e soprattutto
sugli
scritti di Egidio Romano,
suo
confratello agostiniano, e cerca
di
conciliare il tomismo politico con
l’agostinismo.
Nella
II
pars del
suo trattato Giacomo da Viterbo parla del Pontefice romano, vicario di Cristo,
che partecipa alle prerogative di Colui di cui fa le veci. Cristo, vero Dio e
vero uomo, ha un duplice potere: divino e umano. Il potere divino è
onnipotente; Egli manifesta la sua onnipotenza creando dal nulla e mediante la
Provvidenza che conduce al loro fine le cose create, istante dopo istante.
Cristo, in quanto Dio Creatore e Provvido, è
re (da regere
ossia
condurre le anime al loro fine) e la sua Umanità
in virtù
dell’Unione Ipostatica, partecipa ai privilegi della sua
Divinità.
Il suo Vicario, perciò,
ha la plenitudo
potestatis sia
nell’ordine temporale che in quello spirituale; ma vuole
– come Cristo – esercitare solo
la seconda. Tuttavia la pienezza del potere in Cristo non è
identica a quella del Papa, nel quale essa è
partecipata, e, mentre in Cristo vi è
la pienezza di potere in
grado
eminente,
nel Papa vi è
solo in
grado
sufficiente.
È
come per le perfezioni pure da ogni imperfezione(l’essere, il vero,il bene...), che si trovano in Dio
formaliter,
eminenter
e nelle creature formalmente, ma solo allo stato limitato, finito e creato. Il
potere sacerdotale e regale sono distinti, ma non incompatibili,
cosicché
la stessa persona può
avere entrambi o decidere di trasferire ai laici il potere regio e di mantenere
per sé
quello spirituale, com’è
nel caso del Papa. Le due forme di potere derivano entrambe da Dio, come
dalla
loro causa efficiente; ma si differenziano
poiché
il potere spirituale
deriva
direttamente
da
Dio al Pontefice,
mentre
quello temporale deriva
al
re indirettamente
ossia
tramite il
Papa.
Inoltre il fine del potere temporale
è
la beatitudine terrena, che
è
il fine
prossimo dell’uomo
ed è
un
mezzo
affinché
egli possa cogliere il
suo
fine
ultimo soprannaturale:
la
Visione
Beatifica. Quindi, ontologicamente,
il
potere spirituale ha il primato su quello temporale, ed essendo indirizzato al
fine ultimo dell’uomo ha il diritto di giudicare il
potere temporale, che è
ordinato soltanto al fine prossimo dell’uomo. Il potere
temporale sta a quello spirituale come l’inferiore al
superiore.
Per
cui è
logico asserire che Cristo ha dato a Pietro e ai suoi successori le due forme di
potere, che Egli stesso aveva, anche se, come Cristo,Pietro non vuole esercitare
il potere temporale direttamente,
ma lo conferisce al principe, per non essere oberato e distratto dal suo compito
principale e specifico che è
quello di condurre gli uomini al loro fine ultimo soprannaturale: il Cielo.
Tuttavia il Papa ha anche un compito secondario che è
quello di vigilare se il principe usa bene del potere temporale, e in caso
contrario il Pontefice interviene e corregge il re e usa direttamente,
anche se in maniera non regolare, abituale, costante e universale; ma
eccezionalmente e ratione
peccati il
potere temporale, che egli possiede direttamente
ma
che non vuol utilizzare abitualmente
e normalmente.
GLI
OPPOSITORI
La
dottrina ierocratica fu aspramente contestata, tra il XIII e il XIV secolo, da
Filippo il Bello, Dante Alighieri, Marsilio da Padova (46),
Giovanni da Parigi O.P. e infine da Guglielmo di Occam
(+1350).
Non
è
il caso di dilungarmi ad esporre e confutare i loro errori; chi volesse
conoscerli può
leggere con profitto J. J. CHEVALIER,
Storia
del
pensiero
politico (Il
Mulino, Bologna, 1989,vol. I, pagg. 322-354). Mi limito,qui, a riassumere
brevemente gli errori di Marsilio e di Occam. Marsilio
da Padova vuole
assorbire la Chiesa gerarchica e il Papato nella Società
civile, teorizzando così
la “laico-crazia”
ossia il monismo
del
potere
temporale:
il sacerdozio è
in- globato nel regno in cui vi è
una sola autorità
che è
quella del principe.
Per
Marsilio la vera Chiesa di Cristo non è
quella gerarchica romana, ma è
l’insieme dei fedeli che si ispirano a Cristo; quindi
tutti i cristiani, laici e ecclesiastici, sono “uomini
di Chiesa”. La Chiesa perciò
non è
una società
perfetta distinta dallo Stato né
ha una sua autorità:
il Papa e il sacerdozio sacramentale; l’autorità
è
una sola, quella del principe. Il sistema di Marsilio sfocia nella
subordinazione della Chiesa allo Stato e nell’assorbimento della Chiesa da parte dello Stato nella “laico-crazia
totalitaria
”.
Guglielmo
d’Occam fu
ancora più
radicale di Marsilio. Egli non era soltanto un giurista e un polemista, ma anche
un filosofo e un teologo francescano di Oxford; a differenza di Marsilio non
tollerò
nessun totalitarismo monista, né
ecclesiastico,né
tanto meno laico, perché
aveva in orrore ogni autorità.
Inoltre,
se per Marsilio il Concilio è
superiore al Papa, per Occam neppure il Concilio è
fonte di magistero infallibile; le uniche norme, per lui,sono la S. Scrittura e
la ragione. Il potere dell’imperatore deriva dal popolo,
non dal Papa e neppure da Dio.
(continua)
Note:
1 D. Th. C., vol. 23, col. 2714.
2 J.J. CHEVALIER, Storia del pensiero politico. Vol. I. Antichità e Medioevo, op. cit. , pag. 266.
3 Ibidem, pag. 267.
4 P. L , t. CXLVIII, col. 818.
5 D. Th. C., vol 23, col. 2715.
6 P. L., ibidem, col. 790.
7 J. J. CHEVALIER, op. cit., pag. 270.
8 ROBERT W. & ALEXANDER J. CARLYLE, Il pensiero politico medievale, 1ª parte del II vol., Laterza, Bari,1959, pagg. 111 e 113.
9 J. J. CHEVALIER, op. cit. , pag. 272.
10 Ivi.
11 ROBERT W. & ALEXANDER J.CARLYLE, op. cit., 2ª parte del II vol., pagg. 540-541 e 543.
12 Ibidem, pag. 543.
13 M. GRESCHAT - E. GUERRIERO (a cura di), Il grande libro dei Papi, San Paolo, Milano, 3ª ed. 2000, I vol.,pag. 258.
14 J. J. CHEVALIER, op. cit., pag. 275.
15 Ibidem, pag. 276.
16 Ivi.
17 Lettera al re d’Ungheria, P.L., t. CCXIV, col 871.
18 P.L., t. CCVI, col. 1162
19 SIDNEY Z. EHLER - JOHN B. MORRALL, Chiesa e Stato attraverso i secoli, Vita e Pensiero, Milano,1958, pagg. 96-98.
20 AA. VV., I Papi e gli antipapi, TEA, Milano, 1993, pagg. 73-74.Il volume accoglie i profìli biogràfici di tutti i Pontefici ed antipapi. Le voci sono tratte dal Grande Dizionario Enciclopedico, UTET, Torino, 4ª ed., 1984-1991.
21 Cfr. O. NUCCIO, Il pensiero economico italiano,Gallizzi, Sassari, 1984-1992, vol. I, tomo I, pagg.821-834.e vol. I, tomo II, pagg.1143-1178. 1187-1206. 1951-1962. 1963-1990. 1409-1540. 1493-1468.
1439-1468. 1697-1711.Cfr. Anche R. SPIAZZI O.P., Enciclopedia del pensiero sociale cristiano, ESD, Bologna, 1992, pp. 190-192
22 Potthast Regesta, n° 862. GIOVANNI XXII, nel 1317 scriveva: “Cui (Pontifici) in persona B. Petri, terreni simul et coelestis imperii jura, Deus ipse commisit”. (Extravagantes Jo. XXII,tit. 5).
23 D. Th. C., vol 23, col. 2727.
24 J. B. LO GRASSO S.J., Ecclesia et Status. Fontes selecti. Historiae Juris Publici Ecclesiastici, Gregoriana, Roma, 1952, pag. 194.
25 A. PARAVICINI BAGLIANI, Enciclopedia dei Papi, vol II, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma,
2000, pag. 390.
26 A. FLICHE-V. MARTIN, Storia della Chiesa, op.cit.vol. X, pagg. 310-311 e 319-320.
27 AA. VV., I Papi e gli antipapi, TEA, Milano,1993, pag. 82.
28 ROBERT W. & ALEXANDER J. CARLYLE, op. cit., III vol , 1967, pagg. 338-345.
29 In IVum Sent. , dist. XXXVII.
30 Ibid., ad IVum.
31 Quaestiones quodlib., XII, a.19 “in isto tempore reges sunt vassalli Ecclesiae”.
32 ROBERT W. & ALEXANDER J. CARLYLE, p. cit., III vol, 1967, pag. 373.
33 S.T., II-II, q.40, a.6, ad 3um.
34 E. GILSON, Le Thomisme. Introduction à la philosophie de Saint Thomas d’Aquin, Paris, 1965, 6ª ed., pag. 405.
35 J.J. CHEVALIER, Storia del pensiero politico, vol I, Antichità e Medioevo, op. cit. , pag. 297.
36 D.Th.C., vol. 23, coll. 2736-2737.
37 A. FLICHE-V. MARTIN, Storia della Chiesa, op. cit. XI vol., pagg. 151 e 169.
38 SIDNEY Z. EHELER - JOHN B. MORRALL, op. cit., pag. 123.
39 AA. VV. , I Papi e gli antipapi, TEA, Milano,1993, pag. 89.
40 ROBERT W. & ALEXANDER J. CARLYLE, op. cit., III vol.,1967,pagg. 396-464, passim. Cfr. anche G. BOFFITTO-G. U. OXILIA, Un trattato inedito di Egidio Colonna. De ecclesiastica potestate, Libreria Internazionale, Firenze, 1908.
41 Cfr. EGIDIO ROMANO, De ecclesiastica potestate, I, 5, ed. di Firenze, 1908, pagg. 18-20. Cfr. M. DELLE PIANE, La disputa tra Filippo il Bello e Bonifacio VIII, in «Storia delle ideee politiche economiche e sociali», diretta da L. FIRPO, Utet, Torino, 1983, vol. 2, tomo II, Il Medioevo, pagg. 500-541.
42 Ibidem, II, 5, pag. 46.
43 D. Th. C., vol. 23, col. 2734.
44 J. J. CHEVALIER, op. cit., vol. I, pag. 318.
45 Di cui possediamo da poco un’edizione in lingua italiana: GIACOMO. DA VITERBO, Il governo della Chiesa, a cura di A. RIZZACASA e G. MARCOALDI, Nardini, Firenze, 1993.
46 Di cui possediamo, ora, una edizione latino-italiana del Defensor pacis : MARSILIO DA PADOVA, Il difensore della pace, BUR, Milano, 2001, 2 voll. Cfr. anche C. GIACON, Occam, Brescia, La Scuola, 1945.
Tratto da Si, si, no, no Anno XXXV n. 1; 15 Gennaio 2009 pag. 1-7