Soldati Napoletani detenuti nel campo di prigionia di San Maurizio Cronaca della guerra d'Italia 1861-1862 PARTE QUINTA RIETI 1863 |
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A quest'epoca fu pubblicato a Parigi un opuscolo intitolato Roma, l'imperatore e L’Italia.
Quest’opuscolo erroneamente attribuito a Laguèronnière proponeva un appello al popolo romano. Il plebiscito avrebbe avuto luogo alla presenza dell’armata francese. All’indomani, se Vittorio Emanuele è chiamato a regnare a Roma, le truppe francesi saranno successivamente rimpiazzate dalle truppe italiane, affine di impedire qualunque disordine. Il re d’Italia pubblicherà allora l’accordo conchiuso tra lui e le potenze cattoliche per l’indipendenza della Santa Sede e per lo splendore della religione.
Dopo ciò, il Papa farà quel che vorrà: resterà, o partirà. Egli vedrà che l’abbandonar Roma, malgrado la più grande libertà lasciata al culto e colle più considerevoli risorse per l’opera religiosa, e ciò per rifugiarsi nel campo della reazione europea, sarebbe un rovinare lo stesso potere spirituale.
Se il Papa benedice all’Italia, un nuovo giorno sorgerà per la Chiesa, se no, che i destini si compiano. Ma Roma non sarà per ciò meno la capitale dell’Italia!
Dice l’opuscolo, che «uno dei primi interessi della Francia e dell’imperatore, in previsione dell’avvenire, è che l’Italia possa il più presto possibile da sé sola respingere lo straniero, acquistare consistenza, mercé la sua unità, e soprattutto avere una forte Armata.
Era bene la formazione di questa armata che occupava nel più alto grado il governo italiano, il quale aveva ancora di grandi difficoltà a superare. Né questo in verità era un piccolo lavoro, effettuare nei corpi regolari la fusione di 20000 prigionieri borbonici riuniti a Fenestrelle o disseminati nelle diverse fortezze del regno. Sarebbe stato un grav'errore il supporre che questi uomini andrebbero facilmente a piegarsi sotto il giogo d'una severa disciplina. E di ciò fa testimonianza il fatto che si produsse in uno dei depositi, vogliam dire il complotto dei prigionieri di Fenestrelle, che fortunatamente fu sconcertato, e mandato a vuoto.
Condotta con molt'arte e simulazione, poteva riuscire, se un caso non ne porgeva il primo indizio ad uno del presidio o quindi al comandante del forte. Quei prigionieri facevano l’ammirazione di tutti per la docilità, l’obbedienza ed il rispetto apparente che aveano dei superiori, sicchè nissuno era stato da pareccchi giorni punito. A questo modo erano riusciti ad ispirare confidenza ed a render meno attiva la sorveglianza.
Dovevano ad un dato segno, armati di bastoni, avventarsi tutti ottocento contro le guardie dell’arsenale, e là dentro provvedersi di armi e quindi impadronirsi del forte ed assicurarsi la diserzione. Pare che avessero qualche rara ma attiva relazione esterna e nessuna all’interno, neppure le compagnie del corpo franco, le quali composte di soldati in castigo e perciò si chiamano compagnie di disciplina. Anzi sembrava che queste compagnie avrebbero all’occorrenza aiutato risolutamente il presidio alla resistenza ed a far rispettare la legge.
Questo fatto rese più urgente di stabilire il campo di S. Maurizio, situato nel piano di questo nome, ove dovevano essere riuniti 10000 prigionieri dell’armata napoletana guardati da due batterìe d'artiglieria, due squadroni di cavalleria, due battaglioni di bersaglieri, e due altri reggimenti di linea. Il general Decavero doveva avere il comando del campo.
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Allorché il generale Cialdini assunse il governo della luogotonenza di Napoli, vi trovò soltanto 16,000 uomini di truppa regolare. Essi dovevano guardare le piazze forti, tenere i presidii, fare la polizia e spedire attorno per le provincie colonne mobili per battere i briganti.
Queste forze furono aumentate, e, dal mese di settembre, la reazione armata perde ogni carattere politico. Dei 40,000 refrattari che tenevano la campagna, 29,000 passarono al campo di San Maurizio; 12,000 sono morti, o prigionieri, o latitanti.
Nelle provincie napolitano si contano 6.000 carabinieri, 18,000 guardie mobili, e 30,000 uomini di truppa regolare. Cialdini avvezzò il paese ad aver fiducia in se stesso.
Pironti riforma la magistratura: egli propose 74 destituzioni, che non furono approvate dal guardasigilli. Questa magistratura, non epurata, non ispirava nessuna fiducia, massime pei processi politici contro al brigantaggio.
De B1asio attese valorosamente all’interno ed alla polizia. Se non poté schiacciare affatto, ridusse almeno all’impotenza la reazione borbonica. I capi furono in prigione, od espulsi, o sorvegliati. Gli ufficiali borbonici destituiti, i vescovi tenuti in iscacco: così fu impedita l’insurrezione materiale e morale.
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NAPOLITANI
Quando or sono due anni l’Italia fu scossa dallo strepito delle armi e delle battaglie pugnate sui campi della Lombardia, un grido unanime risuonò da un campo all’altro della Penisola, un voto solo partì da tutti i cuori: affrancarsi dallo straniero. Sventuratamente quel grido e quell’ardente voto furon suffocati dall’ambizione subalpina, che avida d’ingrandimento, slanciò da pria i suoi avventurieri, indi i suoi battaglioni alla conquista di dodici milioni di abitanti. Calpestando le più gloriose tradizioni della patria, insultando alla fede dei nostri padri, violando il dritto e la santità dei trattati, ha voluto il Piemonte imporsi per signore assoluto di tutta Italia, egli che non ò italiano se non di nome. I suoi governatori, alla maniera dei romani proconsoli, ne hanno spogliato; i suoi generali hanno fatto deserte le più belle e floride provincie di un regno che abborre la loro violenta signoria.
Stanchi omai di soffrire, né trovando rifugio che in una lotta disperata, ci siamo abbandonati alla sorte delle armi. Soli e senza ajuti stranieri, ma fidenti nella giustizia della nostra causa, abbiamo esordito una lotta che non sarà senza vantaggio per la nostra indipendenza, perla nostra autonomia. Secondatei nostri sforzi, intentate guerra a quei drusi delle Alpi, rivendicate i vostri dritti. L’unità è sorgente di servitù, di oppressione, di miseria. Mirate i campi saccheggiati, le città distrutte, i vostri fratelli scannati. Soffrirete ancor pazientemente tante stragi e rovine? Patirete voi più lungo tempo Io scherno e L’insulto? Dimenticate forse che nelle vostre vene scorre il sangue più generoso d’Italia? All’armi dunque all’armi! Si scuota il gioco del Piemonte che ci opprime e si rivendichi la nostra indipendenza. Fra oppressi ed oppressori non può esser dubbia la sorte, la nostra causa è giusta e santa, è causa di Dio, nè permetterà egli più a lungo il trionfo della tirannide piemontese.
All' armi!
Se la vittoria ci sorriderà che non temano i nostri nemici: noi non saremo crudeli come i loro legionarii che pria di vincere gridano: guai ai vinti.
Viva la Religione!
Viva il Re!
Viva la Indipendenza Nazionale!
CALABRESI
La vostra patria è oppressa dallo straniero. Il vostro magnanimo Re, figlio della Santa, la sua giovine ed eroica Consorte, e tutta la stirpe di Carlo III, di quel Re, che vi riscattò dal servaggio straniero, richiamando a vita la vetusta Monarchia delle Due Sicilie, tutti gI' intrepidi Principi di Gaeta gemono nella terra dell' esilio deplorando lo strazio che di voi fa lo straniero.
Pronti tutti i membri della Famiglia Reale a sacrificarsi per la vostra felicità, essi aspettano con fiducia dal vostro patriottismo, dalla vostra fede e dal vostro coraggio, degni delle tradizioni dei vostri padri che hanno sempre respinte le invasioni, che vi leverete come un sol uomo per iscacciare il crudele invasore del vostro paese, e riacquistare colla indipendenza il nostro legittimo signore.
Insorgete dunque fieri e generosi figli delle Calabrie. Tutto può il vostro coraggio contro coloro che hanno manomesso la patria, conculcata la Religione, violate le vostre donne, saccheggiate le vostre proprietà, e che col ferrro e col fuoco vorrebbero consolidare la loro abborrita dominazione.
All'armi Calabresi! Alzate il vostro grido di guerra e mostrate all'Europa che attonita vi guarda, quanto può il vostro patriottismo e la vostra fede.
Coll'aiuto di Dio io ho speranza di condurvi alla vittoria, ispirandovi mutualmente quella fiducia che abbiamo nella giustizia della nostra causa.
Viva la Religione!
Viva il Re!
Viva l' Indipendenza!
Dal Quartiere Generale.
Il Maresciallo di Campo
Comandante in Capo
A questi proclami fa seguito il documento che qui pubblichiamo:
Al Comandante le Truppe Piemontesi
Signore
In nome dell' umanità vi dimando:
1. Di accordare quartiere a tutti quelli che combattono, che combatteranno per l’indipendenza nazionale e pei diritti di S. M. il Re del Regno delle Due Sicilie Francesco II mio augusto sovrano.
2. D'indicarmi una città o villaggio che offra una località adatta a farne uno spedale ai miei feriti ed anco ai vostri, cadendo nelle mie mani. In questo caso voi dovreste considerare unicamente riservate alle sofferenze tali località, e rispettarsi come in luogo sacre da tutti.
3. Determinare un luogo dove io possa collocare i prigionieri che cadranno nelle mie mani.
4. Essere di accordo tutte le volte che si proporrà uno scambio di prigionieri.
5. Usarsi tutti i riguardi possibili ai parlamentarii che io potrei inviarvi nelle gravi circostanze. Dal mio canto si farà altrettanto dando degli ordini severi sul riguardo.
6. Impedire alle vostre truppe d' incrudelire sulle persone pacifiche e di attentare alla proprietà. Ove le atrocità continuassero, io dichiaro formalmente che tradurrò innanzi ad un consiglio di guerra quelli dei vostri subordinati che colpevoli di tali violenze, cadrebbero nelle mie mani.
E questo Signore, quello che io vi domando e che io mi credo in diritto di ottenere, per farci la buona guerra.
Tenendo conto delle vostre occupazioni, io aspetterò sei giorni da questa data, una vostra risposta a queste franche proposizioni. Elasso questo tempo senza risposta, o non avendo il vostro assentimento, io regolerò nell' uno e nell’altro caso la mia condotta sulla vostra, e se voi fucilerete i difensori della indipendenza nazionale e del nostro Re, io per una giusta rappresaglia farò fucilare i vostri prigionieri, ricadendo su voi la responsabilità del sangue che sarà versato.
Ricevete o Signore, l'assicurazione della mia considerazione.