martedì 14 agosto 2012

Le verità sulle vicende "Risorgimentali" nel Regno delle Due Sicilie(1860-1861):(Parte 41°): Battaglia del Colle Lombone tradimento di Pianelli

La batteria Santa Maria della fortezza di Gaeta dopo l'assedio. Sullo sfondo, la squadra navale che partecipò ai bombardamenti
La batteria Santa Maria della fortezza di Gaeta dopo l'assedio. Sullo sfondo, la squadra navale Sardo-Piemontese che partecipò ai vili bombardamenti
 
 
 
Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.
Gaeta!
 
Lavia che abbiamo percorsa è stata lunga e faticosa; l'abbiamo lasciata dietro di noi seminata di cadaveri, di viltà e di tradimenti. In questo cruento di disastroso Viaggio da Boccadifalco a Gaeta sono accaduti de' fatti che non hanno riscontro alcuno nelle storie delle umane malvagità: era riservato a' Generali ed a' ministri liberali napoletani compiere l'impossibile. Costoro si sono resi celebri per colpe ed errori, ed i loro nomi passeranno a' tardi nostri nepoti per essere maledetti ed esecrati!
Iddio ha voluto assistermi e proteggermi tanto da farmi giungere sin qui salvo da tanti svariati pericoli; e posso dire di essere passato per ignem et aquam.Già siamo alla meta del nostro faticoso Viaggio; già siamo in Gaeta, ove si consumerà il gran regicidio politico, ove sarà abbattuta una autonomia secolare, ed un ramo di gloriosa dinastia che regnò per 126 anni! Non so chi possa accusarla; ma come negare ch'ella trovò il Regno sotto il dominio dello straniero, governato da una Luogotenenza ingorda e rapace, ed alzò splendido trono, rendendo questo Regno il più indipendente, il più ricco, il migliore amministrato degli altri Stati d'Italia?
Gaeta, città di circa 5000 anime, ebbe nomeÆta, e fu anteriore agli argonauti. Si vuole fondata dai Lestrigoni; secondo Strabone da' Greci venuti da Samo; e secondo Virgilio ricevette il nome di Caieta dalla nutrice di Enea che portava questo nome morta e seppellita in Gaeta. Essa è una penisola, alta 166 metri sul mare, e si abbassa verso l'istmo che forma il piano di Montesecco, che è largo 700 metri, lungo 600. La forma della penisola è somigliante ad un elmo, ed ha circa 5000 metri di giro. In cima alla penisola è Torre Orlando, un tempo sepolcro di L. Minuzio Plauto, fondatore di Lione.
La città è fabbricata a proscenio e guarda il mare dalla parte nordest; le strade sono strette; Ferdinando II l'avea resa deliziosa co' bei passeggi che vi avea costruiti dalla parte dell'ovest.
Gaeta è luogo fortificato più dall'arte che dalla natura, e si riteneva inespugnabile come Cronstadt dalla parte di mare. Le sue fortificazioni rimontano all'ottavo secolo, quando i Saraceni distrussero la vicina Formia, i cui fuggiaschi si fortificarono in Gaeta, e vi si sostennero. Federico II vi alzò le mura, Alfonso I ne aggiunse altre; e sotto il Regno di Carlo V acquistò molta importanza militare. I Borboni la migliorarono, e Ferdinando II vi spese molte cure e molti milioni; ma co' nuovi mezzi di guerra nel 1860 quella fortezza non avea più la sua antica importanza. Non vi sono forti ripari per le artiglierie, non angoli sull'istmo, non batterie coperte, né buone polveriere, né veicoli di passaggio, né ospedali a prova di bomba.
Gaeta ha diverse batterie, dette di fronte di terra e di fronte di mare, scoperte e con poche casematte per alloggiamenti.
Gaeta ha sostenuto tredici assedii che cominciano dall'840, e finiscono con quello del 1861. I Borboni la conquistarono nel 1734 e la perdettero nel 1799; la ripresero lo stesso anno, e la tennero sino al 1806; riperduta la riconquistarono nel 1815, per cederla nel 1861. Oh, le umane vicende! E chi potrebbe contare su di esse?
Gaeta ha una bellissima Cattedrale restaurata ed abbellita da Ferdinando II, e poi assai guasta dalle bombe piemontesi. La fondazione di quella Cattedrale si attribuisce a Barbarossa, ed ivi è un bel quadro di Paolo veronese, e lo stendardo che Pio V diede a D. Giovanni d'Austria, generalissimo dell'armata cattolica nella gran giornata di Lepanto, ove trionfò col Cattolicismo la civiltà. Gaeta è patria di Papa Gelasio II, e del celebre teologo Cardinale Tommaso de Vio domenicano, comunemente chiamato il Cardinal Gaetani, comentatore esimio della Somma teologica di S. Tommaso d'Aquino.
Il 12 novembre, come ho già detto, il residuale esercito napoletano era entrato in Gaeta per difendere fino agli estremi il suo amato sovrano. Si dispose la difesa: lo Stato Maggiore e gli uffiziali di artiglieria e genio si ebbero destinazioni e comandi. Si rifecero bastioni, blinde, affusti, ma difettavansi di legname. Il ministro liberale Pianelli, che sapea quello che gli passava in mente, avea sguernita quella Piazza forte, avendo anche tolto 1200 cantaia di polvere per provvedere i forti in Calabria e negli Abruzzi, che servir dovea poi a' nemici contro i Napoletani. Mancava la moneta, ed il ministro della guerra Casella diminuì sino a metà i soldi, promettendo tuttavia il compenso dopo fatta la pace. Molti uffiziali fecero un indirizzo al Re ricusando gli averi.
Il S. Padre, Pio IX, donò vettovaglie ed arnesi di guerra ch'erano stati preparati per Ancona.
Il 16 novembre si mandò a Marsiglia il brigadiere Antonio Ulloa direttore del ministero della guerra per comprare viveri e munizioni, e tentare l'acquisto di cannoni rigati.
Il Re, prevedendo che l'assedio sarebbe stato lungo e terribile, volle allontanare da Gaeta le sorelle, i fratelli piccoli, e la Regina vedova Maria Teresa, e tutti partirono per Civitavecchia il 18 novembre, imbarcandosi sul piroscafo spagnuolo il generale Alava. La real famiglia giunta a Roma fu regalmente ospitata e visitata dal S. Padre al palazzo del Quirinale. In Gaeta rimasero il conte di Trapani, zio del Re, i conti di Trani e di Caserta, il Re e la giovanetta Regina Maria Sofia, la quale ad onta delle preghiere di Francesco II, e degli altri parenti, non volle lasciare l'augusto suo sposo per dividere con lui i pericoli e le glorie di quel memorando assedio! Il Conte di Trapani, Zio del Re, il 7 dicembre, si recò a Roma per tenere più facile corrispondenza con le Corti europee, e per congedare la truppa passata nello Stato romano.
In quel tempo si riunirono a Varsavia le tre potenze del nord, cioè Russia, Prussia ed Austria, e la rivoluzione se ne mostrò atterrita. Napoleone III, che allora viaggiava fastosamente con la moglie in Algeria, all'annunzio de' tre sovrani nordici in Varsavia, allibì; e siccome avea molti peccati che pesavangli sulla coscienza,
troncò le feste e il regal viaggio e corse in fretta a Parigi. Fece chiedere dal suo ministro a Pietroburgo spiegazioni a Gortchahoff su quella riunione di sovrani a Varsavia, e gli fu risposto non esservi cosa alcuna contro la Francia. Napoleone niente rassicurato di questa spiegazione, mandò a Pietroburgo un memorandum, col quale ripudiava la solidarietà con le invasioni del Piemonte, e dichiarava, che ove questo assalisse l'Austria, egli lo abbandonerebbe materialmente e moralmente.Però i ministri massoni di que' tre sovrani suscitarono antichi rancori e stolte gelosie, e fecero sciogliere quel congresso senza nulla conchiudere. E così, le Corti d'Europa rimasero in attonita contemplazione dello scempio che si perpetrava sullo scoglio di Gaeta, ove un giovine e prode sovrano difendeva ne' suoi dritti quelli di tutti i Sovrani. Per me porto opinione che la rivoluzione del 1860 non fu opera delle sêtte, ma volere di alcuni sovrani, gli altri poi non opposero ostacoli alla corrente rivoluzionaria. Oggi alcuni di quei Sovrani sono spariti, perché abbattuti e detronizzati dalla stessa rivoluzione che tanto protessero; altri corrono pericolo prossimo di scomparire; e tutti si trovano sopra un terribile vulcano che presto o tardi minaccia inghiottirli. Che il male cadesse sopra di loro solamente, o perché l'han voluto scansare, non sarebbe più un gran danno alla civile società: ma poichè la caduta de' troni schiaccia anche i popoli innocenti, ecco il vero danno che deesi temere e deplorare.
Mentre in Gaeta si prepara l'ultima disuguale lotta contro un nemico che disponeva di tutte le risorse d'Italia, facciamo tregua anche noi per poco, e rivolgiamo il pensiero ad altri fatti importanti che succedevansi rapidissimamente nell'invaso Reame delle Due Sicilie.
Re, V. Emmanuele, dopo i fatti d'ami del Garigliano e di Mola, si disponeva a fare la sua entrata trionfale in Napoli. Il municipio liberale di questa città preparava grandi feste per l'entrata del nuovo Re, e facea spese considerevoli.
Si alzarono dodici archi trionfali, piramidi, ed un Monumento al Sire di Francia Napoleone III, quattro statue a Cavour, un tempio a Garibaldi; ritratti di Fanti, Cialdini, Turr, Medici e Cosenz. Peccato che dimenticassero Pinelli! Toledo era pieno di statue di gesso in parte nude; si diceva che quelle statue rappresentassero le cento Città italiane: e veramente que' simboli furono profezie...! Rustow dice delle cose e fa delle allusioni, che io non posso e non debbo fare riguardo a quelle statue.
Tutti que' preparativi di festa che erano costati, dicono, ducentomila ducati, alla Città di Napoli, li distrusse in una notte la pioggia ed il vento, reazionarii! La mattina si vedeva tutto a soqquadro; le cento Città, ossia le statue distrutte, gli archi, le piramidi, i tempii, i ritratti non esistevano più; altro non si vedeva, che travi, funi, chiodi e forche...!La mattina del 7 novembre, sotto una fitta pioggia, e tra tanto squallore, entrò in Napoli Re V. Emmanuele. Era Egli in carrozza, stavagliallato Garibaldi, di fronte Pallavicini, Prodittatore di Napoli, e Mordini Prodittatore di Palermo. Seguivano la reale carrozza i Carabinieri, lo Stato Maggiore, ed un drappello di Guide.
Vi era poca gente, forse a causa del cattivo tempo; quindi pochi plausi e pochi fiori. Il Re salutava col guanto dove vedeva qualche balcone pieno di gente.
Giunto il Re al Palazzo reale gli fu presentato il risultato del Plebiscito da Garibaldi; indi quello di Sicilia da Mordini. Poi si presentarono tutti i Ministri ed il Municipio. Parlò Conforti e disse, che il popolo ad immensa maggioranza avealo proclamato Re. Ed il Re rispose brevi parole, e si fece il rogato dell'atto del Comizio. Garibaldi (ahi!) depose la dittatura, ed i Ministri si dimisero.
Il Clero Napoletano non volle cantare il Te Deum; però si raggranellarono in fretta molti preti tra' quali non pochi appartenuti alla Cappella Palatina. A S. Lorenzo cantò il Te Deum il Vescovo Caputo!
La sera non vi fu illuminazione festiva, incolpandone il cattivo tempo. Quando venne il sereno, il Sindaco pregò i cittadini ad illuminare per lo meno i palazzi di Toledo, e qualche altra strada: e di vero non vi fu che una sparutissima illuminazione, che sarebbe stata meglio non farla, per ragione del cattivo effetto che moralmente produsse in tutti.
Garibaldi, dopo di avere deposta la dittatura, si mostrava mesto e quasi abbattuto, e se ne andò in locanda co' suoi pochi fedeli amici. Gli altri garibaldini voltarono la faccia al Sole nascente per non perdere i gradi militari che aveano acquistati; per essi il Redentore non era più nulla, Cavour era tutto.
Dopo l'entrata del Re V. Emmanuele, i garibaldini furono sciolti dal servizio militare, e molti ritornarono alle loro case; rimase però un esercito di uffiziali garibaldini, e per costoro si riunì una giunta per notare i gradi secondo le classi; e siccome mancavano i brevetti, questi si allestirono in fretta e con favoritismo. Quella giunta, secondo dice Rustow, non tenne conto della morale cittadina di que' graduati, ma premiò quelli che aveano resi maggiori servizii. Turr, Medici e Cosenz furono nominati tenentigenerali. A Garibaldi oltre della Gran Croce dell'Annunziata e il grado di generale di armata, si promisero de' castelli, la dote alla figlia, e un alto grado militare al figlio.
L'exdittatore ricusò tutto, ed insistè la seconda volta a domandare la Luogotenenza delle Due Sicilie, con pieni poteri; ma gli fu negata, perché Cavour avea già destinato il medico Farini a quell'alta magistratura. Garibaldi sentì male la esaltazione di Farini suo nemico politico, e vistosi abbandonato da tanti, si decise di partire. Prima però che partisse firmò due decreti con l'antidata; con uno dava la casina reale del Chiatamonte per un anno al francese romanziere Dumas, e con l'altro datato da Caserta, il 5 novembre, faceva cappellano maggiore della Sicilia il celebre Padre Pantaleo. Il 9 novembre, dopo aver dato l'addio a' compagni d'armi, e visitato a bordo l'Ammiraglio inglese Mundy, dal quale ebbe saluto di artiglierie, ultima illusione, s'imbarcò sopra un piroscafo inglese e si diresse alla sua sterile Caprera, portandosi una cassa di patate! Sic transit gloria mundi!L'accompagnarono il figlio, un Bassi, un Gusmarolo, un Forsecanti, e il servo Manuele. Lo stesso giorno partirono Turr e Pallavicini.
Sirtori rimase capo de' garibaldini, i quali, aizzati da' mazziniani la sera del 12
novembre, fecero una dimostrazione sotto il palazzo reale e in diversi punti della città; tra le altre cose domandavano il richiamo di Garibaldi. Re V. Emmanuele, che capì cosa volessero que' dimostranti, diede fuori un prudente ordine dichiarante lo esercito de' volontarii aver ben meritato dalla patria e da Lui; e comandava che si organizzasse deffinitivamente secondo i regolamenti.
A Mazzini, che ancora trovavasi in Napoli, si spedì il mandato d'arresto, ma nessuno l'arrestò, ond'ei si partì con tutto il suo comodo e fece la via di terra sino a Genova, senza essere molestato.
Farini medico e storico sommo per la grande ragione che scrisse contro i Papi, e che proclamò Ferdinando II il peggiore de' tiranni; fatto Luogotenente schiccherò un proclama al popolo napoletano in cui promettea libertà, sicurezza pubblica e ricchezze non mai viste; ed egli si predicò degno interprete del Re, simbolo di concordia italiana.
Per dimostrare co' fatti com'egli intendesse la libertà, per primo atto della sua Luogotenenza fece un decreto col quale creava un reggimento di carabinieri! In seguito schiccherò alcuni decreti tendenti a perseguitare i vescovi del Regno. Farini iniziò la demolizione di tutto quello ch'era bello e buono nel Reame di Napoli; tutto camuffò alla subalpina; pubblicò regolamenti strani, incompresi, e con termini barbari. Dettava leggi che i re costituzionali non possono fare, e ne dettò tante ch'era impossibile tenerne conto ed eseguirle. Sotto la Luogotenenza di Farini cominciò il regno dei consorti, i quali nella maggior parte aveano congiurato, ed altro non sapeano fare; ve ne erano ignorantissimi, pochi erano dottrinarii, e davano, con dottrinarii principi e parole, colpi alla cieca e bestiali.
Nondimeno Farini era detto un'eccelsa capacità, forse perché s'intascava undicimila ducati al mese di lista civile, ad onta che avesse dichiarato di voler morir povero!
Sin dal principio dell'occupazione piemontese nel Reame, cominciarono i partiti ad alzar la testa: chi volea Francesco II, chi Murat, ed i garibaldini voleano Garibaldi e la repubblica. Avendo il Governo tolti i soldi agli uffiziali garibaldini, costoro tumultuarono e fecero delle pazzie, tanto che più di una volta fu necessario far accorrere i bersaglieri per scioglierli, ed a' renitenti dare de' colpi di baionetta, come avvenne il 25 novembre, quando gridarono: abbasso i Consiglieri, abbasso Farini.Sirtori, Cosenz, Medici e Bixio faceano di tutto per contentare e proteggere i garibaldini. Scialoia però, consigliere di finanza, dichiarò nel Giornale Ufficiale che si erano pagati troppi soldi a' garibaldini, e che non vi erano impieghi da dispensare. Dopo tante insistenza e rumori fatti da' garibaldini, il Governo condiscese a determinare i gradi militari di que' volontarii, a patto che si tenesse conto della vita passata de' medesimi; e siccome tra que' volontarii, erano degli omicidi, de' furfanti e de' ladri, si capì che con questo mezzo se ne voleano escludere molti; quindi nuove ire ed altri chiassi. Sirtori con una proclamazione pregò i garibaldini che non tumultuassero, ed il Governo, il 26 novembre, ne prese due mila, e per amore o per forza imbarcolli per Livorno. Purtuttavia condiscese a dare a que' volontarii graduati sei mesi di soldo anticipato: quel momentaneo sollievo l'illuse, l'accettarono e furono licenziati definitivamente.
Quel licenziamento costò alle finanze di Napolisedici milioni di ducati! I licenziati medesimi domandarono poi degli impieghi civili; al solo Luogotenente, si disse e si stampò, che furono presentati quarantacinquemila memoriali! erano tutti di garibaldini, camorristi e gente di cattiva condotta, e tutti vantavano i loro grandi servizii prestati alla causa del nuovo Governo. Questi supplicanti di civili impieghi si resero tanto importuni ed audaci, che più volte fu necessario ricorrere ai bersaglieri per iscacciarli a furia di baionettate.
Il 26 novembre, Re V. Emmanuele accolse solennemente i commissarii Pepoli e Valerio, i quali gli presentarono il Plebiscito delle Umbrie e delle Marche. Lo stes so giorno ricevè la deputazione del Parlamento sardo, la quale lo ringraziava e lo felicitava per le nuove province annesse al Piemonte. Si pubblicarono due decreti, in data del 17 novembre, con uno s'incorporavano nella marina sarda gli uffiziali della marina napoletana, però co' gradi che aveano acquistati sino al 7 settembre; in modo che quegli uffiziali perdettero i gradi che aveano arruffato sotto la dittatura, e furono costretti a smettere i galloni ed i ricami de' quali si erano pomposamente fregiati. Con l'altro decreto si nominava a luogotenente generale Alessandro Nunziante (tradens sanguinem iustum); a causa di questo premio dato al Nunziante, tanti uffiziali reclamarono, e dissero male parole contro il premiato, ma costui scris se e stampò una sua difesa nella Gazzetta Ufficiale di Torino. Capite! Una difesa!
Intanto i garibaldini non si quietavano; ogni giorno succedeano risse, dimostrazioni, bastonate e cattive parole, e tutto condito col canto dell'inno di Garibaldi. Quell'inno si rese celebre in tutta l'Italia, e principalmente per la musica molto piacevole; scritto da Mercantini con musica di Olivieri capobanda della brigata Savoia. I garibaldini lo cantavano nelle strade, ne' caffè, ne' teatri, ed era sempre foriero di dimostrazioni e di baruffe. La sera del 1° dicembre si chiuse il Teatro nuovo, i garibaldini l'aprirono con la forza, e sul palcoscenico cantarono l'inno di Garibaldi, che fu applaudito; poi suonarono la marcia reale e fu fischiata. Per la qual cosa fu proibito suonarsi e cantarsi quell'inno, già esoso a' Borbonici, divenuto poi antigovernativo. I garibaldini imbestialirono a quella proibizione, nonostante che Sirtori facesse proclami ed inculcasse quiete, essi non finivano di tumultuare. Credendosi ancora persone d'importanza, fecero un indirizzo al Re che cacciasse Farini e Nunziante, richiamasse Garibaldi, e conquistasse Roma e Venezia. Farini, credendo di far paura ai garibaldini, fece comandante della Piazza il generale Ricotti, ma quelli proseguirono nella stessa via di opposizione e di schiamazzi.
Anche i preti garibaldini fecero la loro brava dimostrazione con isperanza di essere compensati dal nuovo Governo. Si riunirono la sera del 29 novembre col pretesto di volere per cappellano maggiore il Caputo, e si recarono sotto la casa del ministro del Culto, Ferrigni, ed ivi gridarono abbasso e morte: le Guardie nazionali ne arrestarono dieci di que' reverendi.
Mentre il Governo di Farini era avversato da' garibaldini, nelle province crescea la reazione, e specialmente nelle Calabrie e negli Abruzzi. La ferocia che esercitava in queste ultime province il generale Pinelli, in cambio di estinguere la reazione la facea crescere ed ingigantire.
In quel tempo comparve il celebre Chiavone, e le sue gesta reazionarie e poi brigantesche, davano a pensare a' nuovi padroni.
Da Palermo giungevano a Re V. Emmanuele indirizzi co' quali si domandava ch'ei lasciasse Mordini a capo di quell'Isola. Costui, prevedendo prossima la sua caduta, facea in fretta decreti per compensare i Martiri. Il 26 novembre dal balcone parlò al popolo glorificando Garibaldi ed annunziando la venuta del Re.
V. Emmanuele, il 1° dicembre, accompagnato dal ministro della giustizia, Cassinis, sbarcò a Palermo, ove trovò organizzata una magna dimostrazione. Egli si diresse al Duomo, ove fu ricevuto dall'Arcivescovo Naselli, quello stesso che avea dato le incensate a Garibaldi!....
Il Re fece Luogotenente il marchese Montezemolo, il quale era arrivato allora a Palermo assieme a Cordova e La Farina.
Cassinis fece un proclama a' siciliani, e tra le altre cose dicea, che la dittatura di Garibaldi avea leso ogni principio di moralità. Meno male che confessava questa grande verità. Intanto quel ministro raccoglieva una eredità sorta ed accumulata da quella dittatura che avea leso ogni principio di moralità!
Il ministro Cassinis, quello stesso giorno, diede fuori un bando promettendo a' Siciliani tutto il ben di Dio, e ricordava che un avolo del Re V. Emmanuele fu Re di Sicilia, e il fratello del Re eletto nel 1848. L'avolo, ricordato da Cassinis a' Siciliani, è Vittorio Amedeo II duca di Savoia.
Insegniamo un poco di storia sicula a quel ministro.
La pace di Utrecht restaurò la monarchia indipendente di Sicilia, distrutta da' re aragonesi, e concedette quell'Isola a Vittorio Amedeo II, il quale fu il primo di casa Savoia, ebbe il titolo di re, titolo che gli diede la Sicilia, e ch'egli poi trasmise a' suoi successori al trono del Piemonte.
I Siciliani, contentissimi della restaurata Monarchia indipendente, essendo quell'isolani autonomi per principii e per natura, con splendidissime pompe e dimostrazioni di gioia accolsero il 10 ottobre 1713 in Palermo il novello Re Vittorio Amedeo II, e il 24 dicembre dello stesso anno lo coronarono re di Sicilia, con feste straordinarie. Vittorio Amedeo fece a' Siciliani tante belle promesse, ma dopo meno di undici mesi, abbandonò la Sicilia e si ritirò in Piemonte, lasciando Vicerè il conte Maffei veronese. Però quel sovrano prima di partire suscitò una terribile controversia tra lo Stato e la Chiesa, che rese la Sicilia un vero campo di battaglia, ove i partiti si combatteano a morte. Egli stabilì una giunta la quale condannava alla deportazione, alla galera e al patibolo tutto coloro che inclinassero per la causa della Chiesa. Angustiate erano le coscienze per gli interdetti e le scomuniche del Sommo Pontefice Clemente XI; spaventati erano gli animi pe' severi ordini di Vittorio Amedeo, e per le punizioni terribili. A provare che quel Re fu un pessimo sovrano di Sicilia, non voglio qui riportare i giudizii degli storici siciliani de Gregorio, Mongitore, Caruso, de Blasi, e Lanza-Scordia, ma riporterò solamente un brevissimo brano della Storia d'Italia del piemontese Carlo Botta, continuata da quella del Guicciardini: al libro XXXVI cosiffattamente si esprime il Botta:«Appena con
parole si potrebbe descrivere le calamità che per questa cagione degli anni 1716, 1716, 1717 e 1718 afflissero la sventurata Isola, e se le altre parti d'Italia erano esenti del raccontato dolore non erano della compassione. Gli esiliati, sì in questa parte che in quella, andavano vagando, o formandosi, secondo che o la fortuna o la speranza li aggirava.»
Quel Re, per colmo di perfidia, vendè la Sicilia all'Imperatore Tedesco Carlo VI, e distrusse la Monarchia siciliana, soggettando l'Isola allo straniero che la governò come provincia. E fu appunto un avolo di Francesco II, Carlo III di Borbone, che dopo 16 anni, cacciò i tedeschi dalla Sicilia e da Napoli, e restaurò la Monarchia fondata da Ruggiero il Normanno.
Come i Siciliani amassero il Regno di Vittorio Amedeo II, lo prova la disastrosa ritirata da Palermo a Siracusa fatta dal conte Maffei con tutta la truppa savoiarda, la quale fu battuta e sconfitta in tutta la Sicilia e massimamente in Caltanissetta. I Siciliani inseguivano con accanimento i Savoiardi, e gridavano loro dietro: morte agli scomunicati!In quanto poi al Re eletto nel 1848, rammentato dal Ministro Cassinis, non furono i Siciliani che elessero Re di Sicilia il Duca di Genova, ma fu l'Inghilterra che lo fece eleggere da un Parlamento, il quale non rappresentava la volontà popolare; dappoichè nel 1848 i Siciliani quali erano borbonici, quali repubblicani e non sapeano se pure esistesse un Duca di Genova. Perché Ferdinando II non facea di cappello all'Inghilterra, perché agevolava gli opificii nazionali, e perché non volle riconoscere il matrimonio di Penelope Smith, nipote di Lord Palmerston, con suo fratello Carlo; quel nobile Lord credette vendicarsi facendo eleggere Re di Sicilia il Duca di Genova, mercè gli intrighi di Lord Minto. Quella elezione fu causa che i Siciliani non fruirono della Costituzione del 1812, che avea loro concessa Ferdinando II; e se si fosse attuata quella Costituzione, né la Sicilia, né l'Italia gioirebbe oggi delle attuali delizie governative italiane.
Si è perciò che il Ministro Cassinis commise una grandissima imprudenza col rammentare due epoche della storia siciliana abborrite da quelli isolani. Quel Ministro ha creduto falsare la Storia, o ha creduto ignoranti i Siciliani? nell'uno o nell'altro caso si regolò da vero Ministro liberale.
Il Sindaco annunziò alla Città che il Re sarebbe uscito a piedi come cittadino, in mezzo ai cittadini, e quindi non l'importunassero con troppi onori e plausi; ma il Re uscì in carrozza accompagnato da' Carabinieri con le sciabole in pugno.
Si fece il nuovo Ministero della Luogotenenza: La Farina fu eletto Ministro dell'interno, Cordova delle finanze, Scalia de' lavori pubblici, Pisani dell'istruzione pubblica
Il Re, con una lettera a Montezemolo, lamentò sulla poca istruzione de' Siciliani! Indi fece Commendatori de' Santi Maurizio e Lazzaro gli Arcivescovi di Palermo, Naselli, e di Monreale, d'Acquisto; il Torrearsa e Spedalotto furono fatti cavalieri di que' due Santi.
Il re dopo sette giorni incompiuti di soggiorno in Palermo, partì, e corse a Mola
di Gaeta per vedere i lavori del bombardamento che si preparavano contro Gaeta, indi ritornò a Napoli.
Il 13 dicembre comparvero in Palermo cartelli repubblicani, ed il 27 dello stesso mese gli studenti gridarono abbasso i Ministri, perché si erano accresciuti i diritti pecuniarii della laurea: i tempi erano cambiati, e quelli studenti furono acquietati con la indispensabile baionetta de' bersaglieri.
I garibaldini di Palermo faceano opposizione al governo, peggio di quelli di Napoli, e l'arrivo di Crispi in quella città rialzò gli animi degli oppositori. La Farina ministro dell'interno, essendosi ricordato come Crispi l'avesse altra volta arrestato, pensò rendergli la pariglia e mandò i suoi sgherri ad arrestarlo. Ma Crispi che trovavasi in casa con l'avvocato Ferro, appena intese picchiare alla porta, sapendo di che si trattasse, gridò al ladro. Corsero i Nazionali, si fece un poco di chiasso, e il Crispi ebbe tempo di fuggire. In cambio andarono ad arrestare l'ex-ministro garibaldino, l'ostetrico Giovanni Raffaele, il famoso inventore della Cuffia del silenzio e delle torture borboniche; lo legarono fraternamente, e liberamente da veri rigeneratori, l'imbarcarono di notte tempo, e lo bandirono dalla Sicilia sua terra natale.
In Palermo, in Messina, in Catania, ed in altre grosse città e paesi si faceano dimostrazioni con grida di abbasso i governanti. La sicurezza pubblica andava di male in peggio; si perpetravano furti, arsioni, omicidii alla luce del giorno come se fossero affari in regola, e secondo la morale cittadina.
I ministri, ossia consiglieri della Luogotenenza, non potendosi sostenere contro tanta opposizione e violenza si dimisero; e ilTorrearsa ebbe l'incarico di formare un nuovo ministero, o sia consiglio di Luogotenenza che lo formò di Siciliani. Egli scelse le finanze, Amari fu destinato all'interno, Orlando alla giustizia, Santelia a' lavori pubblici, e Turrisi al commercio. Da Torino si provvedeva agli altri rami ministeriali, anche per Napoli. Il sempre disgraziato La Farina, lasciò Palermo per la seconda volta, e si ritirò in Messina sua patria.


(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).