l			 					 Il culto della Libertà 
 | 
| l Il materialismo massonico | 
| l Il simbolismo massonico | 
| l Conclusione | 
PARTE SECONDA
L'altro pilastro del credo massonico è 			la libertà. Nella Dichiarazione di Principî (Losanna, 1875) è 			detto: «La Massoneria pone come principio che il Creatore supremo 			ha dato all'uomo, come il bene più prezioso, la libertà 			[...] raggio così luminoso che nessun potere ha il diritto di 			spegnere o di offuscare» 160, «dono intangibile e 			sacrosanto» 161.			Lo sapevamo già da... Dante Alighieri (1265-1321): «Lo maggior			don che Dio per sua larghezza/ Fesse creando, ed alla sua bontate/			Più conformato, e quel ch'Ei più apprezza/ Fu della volontà la			libertate/ Di che le creature intelligenti/ E tutte e sole, fuoro e 			son			dotate» 162. Il primo requisito della libertà però, così come è 			intesa			dalla Massoneria, è il suo indissolubile legame con il concetto di			ragione esposto prima. «La Libertà è costituita dalla pienezza della 			Ragione» 163; questa, 			come			abbiamo visto, é completamente autonoma e non si determina per			effetto di verità rivelate o di altre costrizioni «esterne». Ne 			consegue			che la libertà consiste nell'esclusiva obbedienza alla propria 			ragione,			e che agire liberamente significa sottoporsi solo alle leggi 			razionali			della 
natura. Già abbiamo veduto come l'antidogmatismo massonico			sia ispirato ad un concetto assoluto, assorbente e sfrenato di 			libertà.			Giacché, prima di tutto, la libertà massonica è libertà di pensiero 			che			comprende libertà dello spirito, del giudizio, della critica, 			 «indagine			razionale, senza limiti, che autogiustifica i propri principî»			 164. 			È chiaro			che una simile libertà senza limiti trova modo di esercitarsi in 			campo religioso, dove si postula «la piena libertà di tutti i 			culti e di tutte le fedi» 165, 			e dove non significa altro che libertà «di pensare e di 			credere secondo la propria ragione e la propria coscienza»			 166, «libera da dogmi scientifici e 			religiosi» 167. Ma è anche 			libertà da tutte le fedi: «Nessuna larvata ed esplicita 			coartazione si eserciti dalle confessioni (religiose) 			sull'intelletto, sul lavoro e sulla coscienza dell'uomo di scienza 			[...]. L'uomo di sapere [...] deve incitare i suoi simili 			alla critica che li salva dalla pressione esercitata dai miti 			religiosi» 168, e deve 			aspettarsi «le proprie conquiste dall'indagine spregiudicata e 			sciolta da ogni vincolo di postulato e di dogmi»			 169. La libertà di pensiero chiaramente non 			può andare disgiunta dalla libertà di coscienza la quale «non è 			soltanto un diritto naturale risultante dal libero arbitrio, ma è 			pure una conseguenza logica e necessaria dell'impotenza che abbiamo 			di rappresentarci l'Assoluto altrimenti che con simboli inadeguati e 			perfettibili» 170. Siamo nel campo 			della libertà sconfinata i cui limiti sono troppo vaghi e 			indefiniti, giacché la Massoneria è pronta a negare libertà di 			pensiero e di coscienza a chi abbia accettato qualsiasi dogma o 			rivelazione: «Non esiste libertà di pensiero per chi sia disposto 			ad accettare i vincoli di ossequio ad affermazioni di principî 			dogmatici, che tendono a sottrarre al controllo della ragione umana, 			nonché all'indagine scientifica, i personali convincimenti»			 171. Il Gran Maestro Gamberini, nel suo 			manifesto del 20 settembre 1968, ribadisce questa			idea: «Molti hanno compresa, in questi ultimi mesi, 			l'impossibilità di conciliare la libertà di coscienza con un 			magistero gerarchico eretto a dogma di fede». Conseguenza 			inevitabile di queste impostazioni è, nel campo della libertà 			morale, la libertà d'azione e di indagine, il naturalismo massonico 			professa un ottimismo illimitato nelle doti e nella bontà della 			natura umana: è logico, quindi, che l'indagine della ragione umana 			sia considerata sufficiente per il raggiungimento della verità. E 			anche l'azione dell'uomo, libero dall'idea del peccato e della 			colpa, non angustiato dall'idea di sanzioni ultraterrene, non può 			essere che buona, tutta racchiusa com'è nella vita presente. La 			morale autonoma fà sì che si debba rendere conto del proprio operato 			solamente alla propria coscienza.
natura. Già abbiamo veduto come l'antidogmatismo massonico			sia ispirato ad un concetto assoluto, assorbente e sfrenato di 			libertà.			Giacché, prima di tutto, la libertà massonica è libertà di pensiero 			che			comprende libertà dello spirito, del giudizio, della critica, 			 «indagine			razionale, senza limiti, che autogiustifica i propri principî»			 164. 			È chiaro			che una simile libertà senza limiti trova modo di esercitarsi in 			campo religioso, dove si postula «la piena libertà di tutti i 			culti e di tutte le fedi» 165, 			e dove non significa altro che libertà «di pensare e di 			credere secondo la propria ragione e la propria coscienza»			 166, «libera da dogmi scientifici e 			religiosi» 167. Ma è anche 			libertà da tutte le fedi: «Nessuna larvata ed esplicita 			coartazione si eserciti dalle confessioni (religiose) 			sull'intelletto, sul lavoro e sulla coscienza dell'uomo di scienza 			[...]. L'uomo di sapere [...] deve incitare i suoi simili 			alla critica che li salva dalla pressione esercitata dai miti 			religiosi» 168, e deve 			aspettarsi «le proprie conquiste dall'indagine spregiudicata e 			sciolta da ogni vincolo di postulato e di dogmi»			 169. La libertà di pensiero chiaramente non 			può andare disgiunta dalla libertà di coscienza la quale «non è 			soltanto un diritto naturale risultante dal libero arbitrio, ma è 			pure una conseguenza logica e necessaria dell'impotenza che abbiamo 			di rappresentarci l'Assoluto altrimenti che con simboli inadeguati e 			perfettibili» 170. Siamo nel campo 			della libertà sconfinata i cui limiti sono troppo vaghi e 			indefiniti, giacché la Massoneria è pronta a negare libertà di 			pensiero e di coscienza a chi abbia accettato qualsiasi dogma o 			rivelazione: «Non esiste libertà di pensiero per chi sia disposto 			ad accettare i vincoli di ossequio ad affermazioni di principî 			dogmatici, che tendono a sottrarre al controllo della ragione umana, 			nonché all'indagine scientifica, i personali convincimenti»			 171. Il Gran Maestro Gamberini, nel suo 			manifesto del 20 settembre 1968, ribadisce questa			idea: «Molti hanno compresa, in questi ultimi mesi, 			l'impossibilità di conciliare la libertà di coscienza con un 			magistero gerarchico eretto a dogma di fede». Conseguenza 			inevitabile di queste impostazioni è, nel campo della libertà 			morale, la libertà d'azione e di indagine, il naturalismo massonico 			professa un ottimismo illimitato nelle doti e nella bontà della 			natura umana: è logico, quindi, che l'indagine della ragione umana 			sia considerata sufficiente per il raggiungimento della verità. E 			anche l'azione dell'uomo, libero dall'idea del peccato e della 			colpa, non angustiato dall'idea di sanzioni ultraterrene, non può 			essere che buona, tutta racchiusa com'è nella vita presente. La 			morale autonoma fà sì che si debba rendere conto del proprio operato 			solamente alla propria coscienza.![]()  | 
| Alcune tra le tante statue o stampe dedicate dalla Massoneria americana al culto della Libertà. | 
Al contrario, la dottrina 			cattolica insegna che «mai come oggi gli uomini hanno avuto un 			senso così acuto della libertà, e intanto si affermano nuove forme 			di schiavitù sociale e psichica [...]. Aumenta lo scambio 			delle idee, ma le stesse parole con cui si esprimono i più 			importanti concetti assumono nelle differenti ideologie significati 			assai diversi» 172. «L'uomo può 			volgersi al bene soltanto nella libertà, quella libertà cui i nostri 			contemporanei tanto tengono e che ardentemente cercano, e a ragione. 			Spesso però la coltivano in malo modo, quasi sia lecito tutto quel 			che piace, compreso il male. La vera libertà, invece, è nell'uomo 			segno altissimo dell'immagine divina. Dio volle, infatti, lasciare 			l'uomo "in mano al suo consiglio" (Qo 15, 14), così che esso cerchi 			spontaneamente il suo Creatore, e giunga liberamente, con la 			adesione a Lui, alla piena e beata perfezione. Perciò, la dignità 			dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte
 consapevoli e 			libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali, e non per un 			cieco impulso interno o per mera coazione esterna. Ma tale dignità 			l'uomo la ottiene quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, 			tende al suo fine con scelta libera del bene, e si procura da sé e 			con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti. La libertà 			dell'uomo, che è stata ferita dal peccato, può rendere pienamente 			efficace questa ordinazione verso Dio solo con l'aiuto della grazia 			divina. Ogni singolo uomo, poi, dovrà rendere conto della propria 			vita davanti al Tribunale di Dio, per tutto quel che avrà fatto di 			bene o di male (2 Cor. 5, 10)» 173.			 «Quel che ci viene manifestato dalla Rivelazione divina, concorda 			con la stessa esperienza. Infatti, se l'uomo guarda dentro al suo 			cuore si scopre anche inclinato al male e immerso in tante miserie 			che non possono certo derivare dal Creatore che è buono. Spesso, 			rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l'uomo ha 			infranto il debito ordine in rapporto al suo ultimo fine, e al tempo 			stesso tutto il suo orientamento sia verso sé stesso, sia verso gli 			altri uomini e verso tutte le cose create [...]. Nella luce 			di questa Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima la 			sublime vocazione e la profonda miseria che gli uomini sperimentano»			 174. La Massoneria, invece, sostiene di 			saper tradurre anche nel campo politico e in quello dei quotidiani 			rapporti con altre correnti le idee di libertà che mostra nel campo 			del pensiero e della morale, mentre condanna come «criminale e 			stupida» la cosiddetta intolleranza della Chiesa nel difendere 			la verità, la Massoneria, si atteggia addirittura a «religione 			della tolleranza» 175, per essere			 «indiscutibilmente la sola associazione che possa menar vanto di 			tale virtù» 176, consentendo «ai suoi adepti piena libertà di opinioni in merito 			all'inconoscibile e all'ignoto» 177. 			Il Sovrano Gran Commendatore Domenico Maiocco, mal celando 			l'ostilità preconcetta verso la verità rivelata, sostiene che chi 			pratica questa «religione della tolleranza», cioè il massone, 			deve sempre conservare «piena libertà di spirito da ogni 			dogmatismo, riconoscendo che la verità, totale o parziale, non è 			prerogativa di nessun individuo né di nessuna associazione di 			uomini» 178. Si possono leggere, 			su questa materia, brani interi di prosa massonica del tutto 			concilianti e tranquillizzanti: «I pregiudizi che la 			 
Massoneria 			si sforza di combattere sono sopra tutto quelli che tendono a 			separare gli uomini con delle divisioni esclusive sorte dalla 			diversità delle loro credenze, credenze che la Massoneria rispetta 			tutte, quando siano professate in buona fede»			 179. Non sembra tuttavia che, nella pratica 			massonica, le opinioni altrui godano del medesimo rispetto che si 			tributa loro a parole. Se pure si voglia tacere del livore e della 			faziosità che trasudano da certi scritti massonici, non si può 			passare sotto silenzio l'abile campagna con la quale la Massoneria 			copre un'irriducibile ostilità verso le dottrine che si rifanno alla 			Rivelazione. Questa ostilità si manifesta sin dai primi insegnamenti 			impartiti in Loggia. All'adepto, con una lenta, paziente e sottile 			educazione, viene subito detto che deve guardarsi dal «fanatismo» e 			dalla «superstizione», che deve ripudiare il «dogmatismo» delle 			religioni, che deve adottare il metodo del «libero esame» 			 sgombro da «vincoli dogmatici e fideistici»			 180. Come può facilmente capirsi, si tratta 			di un vero e proprio «lavaggio del cervello» praticato fin dai primi 			gradini della scala massonica. È precisamente qui che la tanto 			decantata «tolleranza massonica» mostra il suo vero volto: si palesa 			cioè una tattica abile e, assai spesso, fruttuosa per irretire i 			superficiali. È vero che la Massoneria mostra la massima 			condiscendenza e apertura verso le più svariate dottrine filosofiche 			e manifestazioni di pensiero, anche le più strane. Quello che in 			nessun modo si tollera è che il massone possa avere una fede e possa 			 «mostrarsi debole» verso la verità rivelata. Così, con il pretesto 			di insegnare ad essere liberi e spregiudicati, si pone in essere 			un'insidia permanente per la fede degli iscritti, soprattutto quella 			cattolica. Se dunque la «virtù della tolleranza» è utile a 			diffondere il relativismo teoretico ed etico, d'altra parte 			serve a stroncare qualsiasi substrato fideistico nell'adepto: e 			questo fà con una faziosità tale da costituire un vero attentato 			alla libertà della coscienza individuale. La parola «tolleranza», 			 per la Massoneria, è una parola ben strana e con ancor più strani 			significati. Sarebbe tollerante e di animo manifestamente liberale 			che guarda ai fedeli di qualsiasi religione (specialmente quella 			cattolica) con occhi pieni di commiserazione come a coloro «cui 			non è dato di intendere o di vedere» 181, 			come chi professi ancora «l'ingenua fede [...] 			dell'infanzia» 182, come a vittima 			di meschini pregiudizi. Francamente, non pare eccessivamente 			tollerante gratificare di superstizioso, quando non di fanatico, chi 			ha il solo torto di attendere al culto di Dio e alla pratica dei 			Sacramenti. Ma, nessuna meraviglia: è il tono solito e gli argomenti 			usuali dell'intolleranza
 massonica! Questa si applica, 			purtroppo, anche ai suoi iscritti, ai quali naturalmente, promette 			piena... libertà! Diceva Padre Caprile: «Intanto (li) 			vincola con un solenne giuramento all'ubbidienza più assoluta, più 			cieca, più completa. Ad un'ubbidienza che tiene solo di mira gli 			interessi della sètta; alla sottomissione verso capi spesso 			sconosciuti, per fini spesso non confessati [...]. Come in 			poche altre associazioni il massone è una pura pedina in un gioco, 			di cui il più delle volte gli sono nascoste le mosse. Questa 			restrizione della libertà individuale si rende ancor più chiara 			quando qualcuno vuole abbandonare la sètta [...]. 			Innumerevoli difficoltà vengono frapposte a chi, una volta iscritto, 			decide poi di ritirarsi. Il ripetersi di tali casi, mostra almeno 			uno stile, se non proprio una consegna» 183. 			Un esempio concreto: la rivista Mondo Domani pubblicò i nomi 			dei «563 Fratelli di Firenze» 184, 			che però, secondo una lettera anonima di «un vecchio massone 			fiorentino» non corrispondeva «neppure ad un terzo dei 			massoni fiorentini» 185. Fra 			questi nomi figurava quello del Dr. Salvatore Di Stefano, ex 			Questore di Bologna e di Roma, e poi consigliere della Corte dei 			Conti. Questi, molto coraggiosamente, scriveva alla rivista di 			essere «già da tempo ritornato alla fede cristiana, che con tanto 			amore mi inculcò mia madre» 186. 			La risposta del Gran Maestro Gamberini fu piuttosto... acida			 187: Intanto, «per misericordia» non ne fà 			il nome; poi continua (badare al tono!): «Difficilmente si 			troverà nella nostra comunione chi intende la "fede cristiana" com'è 			probabile che la intendesse la sua compianta madre». Quindi gli 			rimprovera «l'antimonia che ella dà per scontata, fra Massoneria 			e fede cristiana». Dopo aver fatto questione di date, che noi 			non abbiamo potuto riscontrare, termina: «La sua cura a che si 			creda alla sua sincerità di oggi ci dimostra che ella, con un'altra 			fede, ha abbracciato anche un'altra morale», diversa, 			naturalmente, da quella massonica che dovrebbe essere, per il 			Gamberini, la «Bocca della Verità». Buon per il Di Stefano 			che non si parli di deferimento al... Tribunale Massonico del 31° 			Grado che, come vedremo in seguito, ancora esiste. A chi è abituato 			a considerare come un grande progresso giuridico la Legge 			Siccardi che, dopo aspre lotte, nel 1850, fece approvare 			l'abolizione del Foro ecclesiastico, sembra di sognare!
 consapevoli e 			libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali, e non per un 			cieco impulso interno o per mera coazione esterna. Ma tale dignità 			l'uomo la ottiene quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, 			tende al suo fine con scelta libera del bene, e si procura da sé e 			con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti. La libertà 			dell'uomo, che è stata ferita dal peccato, può rendere pienamente 			efficace questa ordinazione verso Dio solo con l'aiuto della grazia 			divina. Ogni singolo uomo, poi, dovrà rendere conto della propria 			vita davanti al Tribunale di Dio, per tutto quel che avrà fatto di 			bene o di male (2 Cor. 5, 10)» 173.			 «Quel che ci viene manifestato dalla Rivelazione divina, concorda 			con la stessa esperienza. Infatti, se l'uomo guarda dentro al suo 			cuore si scopre anche inclinato al male e immerso in tante miserie 			che non possono certo derivare dal Creatore che è buono. Spesso, 			rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l'uomo ha 			infranto il debito ordine in rapporto al suo ultimo fine, e al tempo 			stesso tutto il suo orientamento sia verso sé stesso, sia verso gli 			altri uomini e verso tutte le cose create [...]. Nella luce 			di questa Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima la 			sublime vocazione e la profonda miseria che gli uomini sperimentano»			 174. La Massoneria, invece, sostiene di 			saper tradurre anche nel campo politico e in quello dei quotidiani 			rapporti con altre correnti le idee di libertà che mostra nel campo 			del pensiero e della morale, mentre condanna come «criminale e 			stupida» la cosiddetta intolleranza della Chiesa nel difendere 			la verità, la Massoneria, si atteggia addirittura a «religione 			della tolleranza» 175, per essere			 «indiscutibilmente la sola associazione che possa menar vanto di 			tale virtù» 176, consentendo «ai suoi adepti piena libertà di opinioni in merito 			all'inconoscibile e all'ignoto» 177. 			Il Sovrano Gran Commendatore Domenico Maiocco, mal celando 			l'ostilità preconcetta verso la verità rivelata, sostiene che chi 			pratica questa «religione della tolleranza», cioè il massone, 			deve sempre conservare «piena libertà di spirito da ogni 			dogmatismo, riconoscendo che la verità, totale o parziale, non è 			prerogativa di nessun individuo né di nessuna associazione di 			uomini» 178. Si possono leggere, 			su questa materia, brani interi di prosa massonica del tutto 			concilianti e tranquillizzanti: «I pregiudizi che la 			 
Massoneria 			si sforza di combattere sono sopra tutto quelli che tendono a 			separare gli uomini con delle divisioni esclusive sorte dalla 			diversità delle loro credenze, credenze che la Massoneria rispetta 			tutte, quando siano professate in buona fede»			 179. Non sembra tuttavia che, nella pratica 			massonica, le opinioni altrui godano del medesimo rispetto che si 			tributa loro a parole. Se pure si voglia tacere del livore e della 			faziosità che trasudano da certi scritti massonici, non si può 			passare sotto silenzio l'abile campagna con la quale la Massoneria 			copre un'irriducibile ostilità verso le dottrine che si rifanno alla 			Rivelazione. Questa ostilità si manifesta sin dai primi insegnamenti 			impartiti in Loggia. All'adepto, con una lenta, paziente e sottile 			educazione, viene subito detto che deve guardarsi dal «fanatismo» e 			dalla «superstizione», che deve ripudiare il «dogmatismo» delle 			religioni, che deve adottare il metodo del «libero esame» 			 sgombro da «vincoli dogmatici e fideistici»			 180. Come può facilmente capirsi, si tratta 			di un vero e proprio «lavaggio del cervello» praticato fin dai primi 			gradini della scala massonica. È precisamente qui che la tanto 			decantata «tolleranza massonica» mostra il suo vero volto: si palesa 			cioè una tattica abile e, assai spesso, fruttuosa per irretire i 			superficiali. È vero che la Massoneria mostra la massima 			condiscendenza e apertura verso le più svariate dottrine filosofiche 			e manifestazioni di pensiero, anche le più strane. Quello che in 			nessun modo si tollera è che il massone possa avere una fede e possa 			 «mostrarsi debole» verso la verità rivelata. Così, con il pretesto 			di insegnare ad essere liberi e spregiudicati, si pone in essere 			un'insidia permanente per la fede degli iscritti, soprattutto quella 			cattolica. Se dunque la «virtù della tolleranza» è utile a 			diffondere il relativismo teoretico ed etico, d'altra parte 			serve a stroncare qualsiasi substrato fideistico nell'adepto: e 			questo fà con una faziosità tale da costituire un vero attentato 			alla libertà della coscienza individuale. La parola «tolleranza», 			 per la Massoneria, è una parola ben strana e con ancor più strani 			significati. Sarebbe tollerante e di animo manifestamente liberale 			che guarda ai fedeli di qualsiasi religione (specialmente quella 			cattolica) con occhi pieni di commiserazione come a coloro «cui 			non è dato di intendere o di vedere» 181, 			come chi professi ancora «l'ingenua fede [...] 			dell'infanzia» 182, come a vittima 			di meschini pregiudizi. Francamente, non pare eccessivamente 			tollerante gratificare di superstizioso, quando non di fanatico, chi 			ha il solo torto di attendere al culto di Dio e alla pratica dei 			Sacramenti. Ma, nessuna meraviglia: è il tono solito e gli argomenti 			usuali dell'intolleranza
 massonica! Questa si applica, 			purtroppo, anche ai suoi iscritti, ai quali naturalmente, promette 			piena... libertà! Diceva Padre Caprile: «Intanto (li) 			vincola con un solenne giuramento all'ubbidienza più assoluta, più 			cieca, più completa. Ad un'ubbidienza che tiene solo di mira gli 			interessi della sètta; alla sottomissione verso capi spesso 			sconosciuti, per fini spesso non confessati [...]. Come in 			poche altre associazioni il massone è una pura pedina in un gioco, 			di cui il più delle volte gli sono nascoste le mosse. Questa 			restrizione della libertà individuale si rende ancor più chiara 			quando qualcuno vuole abbandonare la sètta [...]. 			Innumerevoli difficoltà vengono frapposte a chi, una volta iscritto, 			decide poi di ritirarsi. Il ripetersi di tali casi, mostra almeno 			uno stile, se non proprio una consegna» 183. 			Un esempio concreto: la rivista Mondo Domani pubblicò i nomi 			dei «563 Fratelli di Firenze» 184, 			che però, secondo una lettera anonima di «un vecchio massone 			fiorentino» non corrispondeva «neppure ad un terzo dei 			massoni fiorentini» 185. Fra 			questi nomi figurava quello del Dr. Salvatore Di Stefano, ex 			Questore di Bologna e di Roma, e poi consigliere della Corte dei 			Conti. Questi, molto coraggiosamente, scriveva alla rivista di 			essere «già da tempo ritornato alla fede cristiana, che con tanto 			amore mi inculcò mia madre» 186. 			La risposta del Gran Maestro Gamberini fu piuttosto... acida			 187: Intanto, «per misericordia» non ne fà 			il nome; poi continua (badare al tono!): «Difficilmente si 			troverà nella nostra comunione chi intende la "fede cristiana" com'è 			probabile che la intendesse la sua compianta madre». Quindi gli 			rimprovera «l'antimonia che ella dà per scontata, fra Massoneria 			e fede cristiana». Dopo aver fatto questione di date, che noi 			non abbiamo potuto riscontrare, termina: «La sua cura a che si 			creda alla sua sincerità di oggi ci dimostra che ella, con un'altra 			fede, ha abbracciato anche un'altra morale», diversa, 			naturalmente, da quella massonica che dovrebbe essere, per il 			Gamberini, la «Bocca della Verità». Buon per il Di Stefano 			che non si parli di deferimento al... Tribunale Massonico del 31° 			Grado che, come vedremo in seguito, ancora esiste. A chi è abituato 			a considerare come un grande progresso giuridico la Legge 			Siccardi che, dopo aspre lotte, nel 1850, fece approvare 			l'abolizione del Foro ecclesiastico, sembra di sognare!
Preme ora sottolineare un'altra 			importante caratteristica del naturalismo massonico: esso appare di 			stretta marca materialistica. Abbiamo già accennato, trattando del G\A\D\U\, 			ad alcune interpretazioni panteistiche della realtà. Ora precisiamo 			che, molto spesso, si tratta di un panteismo materialistico; 			nella sostanza, almeno, più che nella forma, per quanto non manchino 			anche affermazioni formali. «In fondo al Tempio, dietro la scala 			delle conoscenze pratiche, voi intravedete 			 
un focolare misterioso 			che non si rivela che per i suoi raggi. Tale è probabilmente il 			miglior simbolo della Realtà assoluta della quale la logica proclama 			l'esistenza, quando a mezzo del pensiero si sopprimono tutti i 			limiti di durata e di spazio. Vi è là un'immagine che può egualmente 			venire accettata dalla religione e dalla scienza [...]. È ciò 			che nel linguaggio simbolico della filosofia contemporanea viene 			chiamato Energia [...]. L'Energia, condensandosi 			nell'etere, attraverso una serie di tappe che la scienza comincia a 			presentire, ha generato l'atomo, nel quale essa si manifesta sotto 			la doppia forma condensata e di forza viva, la prima che si 			trasforma in un punto di resistenza nello spazio ed è la materia, la 			seconda che si rivela per i suoi modi di attività, trasmutabili gli 			uni e gli altri, e che noi chiamiamo movimento, calore, luce, 			elettricità, volontà, ed è la Forza nelle sue multiple e 			incompletamente conosciute manifestazioni» 188. E ancora: «L'Energia, per mezzo della quale si 			rivela la Realtà che serve di base all'Universo, appare, tanto nel 			mondo morale che in quello fisico, come il Potere eterno che lavora 			per l'armonia» 189. Potremmo 			continuare, ma ci limitiamo alla citazione del solo Farina che è 			fonte troppo autorevole per essere discussa. Del resto, quanto 			abbiamo detto fin qui sul naturalismo massonico è più che 			sufficiente a mostrare come la destinazione inevitabile di tale 			naturalismo sia la materia e il materialismo; non altrimenti 			dovrebbe concludere chi, come i massoni, mostra di credere ad 			un'unica realtà: quella che molto concretamente vede, sente e tocca, 			i cui scopi e finalità			sono ristretti al solo ambito terreno e, dentro quest'ambito, li 			persegue con tale grettezza da rendere perfino imbarazzante un 			discorso in termini filosofici. A prova, citiamo un brano che può 			definirsi «programmatico»: «Datemi un'istituzione come la nostra, 			la quale in ogni più riposto angolo della Terra, ha una mente che 			pensa, che si agita, che combatte, per il bene della patria e 			dell'umanità; datemi il risultato di lunghe e serene discussioni 			fatte nelle varie camere e nelle varie Logge; e a queste aggiungere 			una forza intelligente, diretta e direttrice ad un tempo, che metta 			in pratica il frutto di tanti uomini onesti e illuminati, e avrete 			davvero il bene del Paese, avrete risposto ai bisogni di tutte le 			classi dei parassiti che sotto una forma o sotto un'altra vogliono 			vivere
 all'ombra del dolce far niente, e fra questi, primi, i 			sacerdoti d'ogni razza e colore. E non è tutto. Datemi una forza di 			denaro, ma specialmente di istruzione e di buon volere, una forza di 			oneste influenze (!!!), che permetta riparare ai torti 			ricevuti dai Fratelli, che permetta aiutarli nelle loro necessità, 			che permetta loro - perché non dirlo? - di occupare i primi posti 			nelle arti, nei commerci, nelle professioni, nei pubblici uffici, e 			avremo restituito la fiducia nell'istituzione, la forza alla 			disciplina, la moralità assoluta in tutti i Fratelli. E quando la 			Massoneria avrà bisogno di tutti i suoi figli, li sentirà 			volenterosi, gagliardi e possenti, rispondere in gran numero come un 			solo uomo all'appello, e lavorare e ottenere quello che si vuole. Se 			invece, noi ci dovremo limitare ad aspirazioni platoniche, se 			dovremo lasciare quotidianamente dormire neghittosi negli archivi 			delle Logge i nostri ordini del giorno, se continueremo a trovarci 			impotenti di fronte ai bisogni più urgenti dei nostri Fratelli, 			vincerà a poco a poco lo scoraggiamento anche nei più fiduciosi, e 			la Massoneria morirà di consunzione» 190. 			Dopo quasi novant'anni, il programma massonico resta immutato e 			riflette sempre un accentuato materialismo: i massoni hanno bisogno 			di denaro, insomma, per «aiutare i Fratelli nelle loro necessità»; 			 vogliono, per mezzo di «oneste influenze», s'intende, i primi 			posti nelle arti, nei commerci, nelle professioni, nei pubblici 			uffici e - perché non dirlo - nella politica. Allora sì, sentirà i 			suoi figli rispondere volenterosi all’appello! Riportiamo, a 			dimostrazione di quanto abbiamo detto, due testi massonici: Uno del 			1945: «In ciascuna Officina deve curarsi l'inscrizione di 			Fratelli influenti nel mondo profano: 			 
nelle Officine bisogna porre 			in rilievo i dannosi regimi sociali, politici e religiosi, in modo 			da poter ivi seminare efficacemente le vere dottrine massoniche; 			curare le classi dirigenti, la cui istruzione ed ambizione, 			costituiscono, per le teorie massoniche un terreno assai adatto ad 			un buon sviluppo» 191. L'altro del 			1956: «Si è costituita presso la sede del Governo dell'Ordine la 			Commissione di Assistenza tecnica a disposizione di tutti i Fratelli 			che hanno bisogno di assistenza in questioni particolarmente legate 			alle funzioni generali e amministrative della Capitale. Della 			Commissione fà parte anche un ufficio di consulenza, per cui essa è 			in grado di dedicarsi ai più disparati affari (pratiche 			ministeriali, consulenza tributaria, soccorso sociale, perizie 			tecniche di qualsiasi genere» 192. 			Ecco dunque la molla che riesce a far più fiduciosi gli appartenenti 			alla rispettabile Società. Altro che formazione delle coscienze e 			costruzione dell'uomo nuovo: sono tutte «aspirazioni platoniche»! 			 Accanto alle dichiarazioni di comodo, qualche massone cerca di dare 			un quadro esatto della realtà; però, quando non manifesta 			preoccupazioni troppo concrete, rivela una concezione materialistica 			del reale che, filosoficamente, è abbastanza dozzinale. Così, ad 			esempio, F\			 Ampelio Magni, già Venerabile della Loggia La Concordia 			di Firenze nel 1881, stampava sulla Strenna della Rivista della 			Massoneria Italiana 1890-1891, sotto il titolo «La Dottrina 			Umana»: «Prima delle religioni con i loro dogmi e colla loro 			fede era la Terra, gli animali, le piante e gli uomini. Nell'uomo 			era quanto agli animali, alle piante, alla terra mancava. Vi era il 			pensiero, ardito, indagatore, ragionante. L'uomo vide la natura; 			sentì il bisogno. A contatto dell'umano consorzio apprese il bene e 			il male; si trovò avvolto da aberrazioni, pastoie, tracotanze. Vide 			gli uomini affaticarsi ad erigere altari e troni, fondare credenze e 			imperi; vide il sovrapporsi delle classi sociali; né sempre poté 			darne cagione all'impellente necessità. Frammezzo a tutto ciò si 			svegliò per intuito nella sua mente e si scolpì nel suo cuore una 			dottrina di facile intendimento, la quale ingenerò una credenza, 			semplice, veritiera, sublime» 193. 			Si può subito vedere quanto sia semplicistica l'impostazione e come 			sia patetico nell'autore il tentativo di essere originale. Però, 			l'indulgenza che può nutrirsi verso di lui si dilegua quando si 			arriva alla bestemmia: «Girato lo sguardo attorno, l'uomo 			si raccolse in sé stesso, e istintivamente pronunciò il suo "Credo":
un focolare misterioso 			che non si rivela che per i suoi raggi. Tale è probabilmente il 			miglior simbolo della Realtà assoluta della quale la logica proclama 			l'esistenza, quando a mezzo del pensiero si sopprimono tutti i 			limiti di durata e di spazio. Vi è là un'immagine che può egualmente 			venire accettata dalla religione e dalla scienza [...]. È ciò 			che nel linguaggio simbolico della filosofia contemporanea viene 			chiamato Energia [...]. L'Energia, condensandosi 			nell'etere, attraverso una serie di tappe che la scienza comincia a 			presentire, ha generato l'atomo, nel quale essa si manifesta sotto 			la doppia forma condensata e di forza viva, la prima che si 			trasforma in un punto di resistenza nello spazio ed è la materia, la 			seconda che si rivela per i suoi modi di attività, trasmutabili gli 			uni e gli altri, e che noi chiamiamo movimento, calore, luce, 			elettricità, volontà, ed è la Forza nelle sue multiple e 			incompletamente conosciute manifestazioni» 188. E ancora: «L'Energia, per mezzo della quale si 			rivela la Realtà che serve di base all'Universo, appare, tanto nel 			mondo morale che in quello fisico, come il Potere eterno che lavora 			per l'armonia» 189. Potremmo 			continuare, ma ci limitiamo alla citazione del solo Farina che è 			fonte troppo autorevole per essere discussa. Del resto, quanto 			abbiamo detto fin qui sul naturalismo massonico è più che 			sufficiente a mostrare come la destinazione inevitabile di tale 			naturalismo sia la materia e il materialismo; non altrimenti 			dovrebbe concludere chi, come i massoni, mostra di credere ad 			un'unica realtà: quella che molto concretamente vede, sente e tocca, 			i cui scopi e finalità			sono ristretti al solo ambito terreno e, dentro quest'ambito, li 			persegue con tale grettezza da rendere perfino imbarazzante un 			discorso in termini filosofici. A prova, citiamo un brano che può 			definirsi «programmatico»: «Datemi un'istituzione come la nostra, 			la quale in ogni più riposto angolo della Terra, ha una mente che 			pensa, che si agita, che combatte, per il bene della patria e 			dell'umanità; datemi il risultato di lunghe e serene discussioni 			fatte nelle varie camere e nelle varie Logge; e a queste aggiungere 			una forza intelligente, diretta e direttrice ad un tempo, che metta 			in pratica il frutto di tanti uomini onesti e illuminati, e avrete 			davvero il bene del Paese, avrete risposto ai bisogni di tutte le 			classi dei parassiti che sotto una forma o sotto un'altra vogliono 			vivere
 all'ombra del dolce far niente, e fra questi, primi, i 			sacerdoti d'ogni razza e colore. E non è tutto. Datemi una forza di 			denaro, ma specialmente di istruzione e di buon volere, una forza di 			oneste influenze (!!!), che permetta riparare ai torti 			ricevuti dai Fratelli, che permetta aiutarli nelle loro necessità, 			che permetta loro - perché non dirlo? - di occupare i primi posti 			nelle arti, nei commerci, nelle professioni, nei pubblici uffici, e 			avremo restituito la fiducia nell'istituzione, la forza alla 			disciplina, la moralità assoluta in tutti i Fratelli. E quando la 			Massoneria avrà bisogno di tutti i suoi figli, li sentirà 			volenterosi, gagliardi e possenti, rispondere in gran numero come un 			solo uomo all'appello, e lavorare e ottenere quello che si vuole. Se 			invece, noi ci dovremo limitare ad aspirazioni platoniche, se 			dovremo lasciare quotidianamente dormire neghittosi negli archivi 			delle Logge i nostri ordini del giorno, se continueremo a trovarci 			impotenti di fronte ai bisogni più urgenti dei nostri Fratelli, 			vincerà a poco a poco lo scoraggiamento anche nei più fiduciosi, e 			la Massoneria morirà di consunzione» 190. 			Dopo quasi novant'anni, il programma massonico resta immutato e 			riflette sempre un accentuato materialismo: i massoni hanno bisogno 			di denaro, insomma, per «aiutare i Fratelli nelle loro necessità»; 			 vogliono, per mezzo di «oneste influenze», s'intende, i primi 			posti nelle arti, nei commerci, nelle professioni, nei pubblici 			uffici e - perché non dirlo - nella politica. Allora sì, sentirà i 			suoi figli rispondere volenterosi all’appello! Riportiamo, a 			dimostrazione di quanto abbiamo detto, due testi massonici: Uno del 			1945: «In ciascuna Officina deve curarsi l'inscrizione di 			Fratelli influenti nel mondo profano: 			 
nelle Officine bisogna porre 			in rilievo i dannosi regimi sociali, politici e religiosi, in modo 			da poter ivi seminare efficacemente le vere dottrine massoniche; 			curare le classi dirigenti, la cui istruzione ed ambizione, 			costituiscono, per le teorie massoniche un terreno assai adatto ad 			un buon sviluppo» 191. L'altro del 			1956: «Si è costituita presso la sede del Governo dell'Ordine la 			Commissione di Assistenza tecnica a disposizione di tutti i Fratelli 			che hanno bisogno di assistenza in questioni particolarmente legate 			alle funzioni generali e amministrative della Capitale. Della 			Commissione fà parte anche un ufficio di consulenza, per cui essa è 			in grado di dedicarsi ai più disparati affari (pratiche 			ministeriali, consulenza tributaria, soccorso sociale, perizie 			tecniche di qualsiasi genere» 192. 			Ecco dunque la molla che riesce a far più fiduciosi gli appartenenti 			alla rispettabile Società. Altro che formazione delle coscienze e 			costruzione dell'uomo nuovo: sono tutte «aspirazioni platoniche»! 			 Accanto alle dichiarazioni di comodo, qualche massone cerca di dare 			un quadro esatto della realtà; però, quando non manifesta 			preoccupazioni troppo concrete, rivela una concezione materialistica 			del reale che, filosoficamente, è abbastanza dozzinale. Così, ad 			esempio, F\			 Ampelio Magni, già Venerabile della Loggia La Concordia 			di Firenze nel 1881, stampava sulla Strenna della Rivista della 			Massoneria Italiana 1890-1891, sotto il titolo «La Dottrina 			Umana»: «Prima delle religioni con i loro dogmi e colla loro 			fede era la Terra, gli animali, le piante e gli uomini. Nell'uomo 			era quanto agli animali, alle piante, alla terra mancava. Vi era il 			pensiero, ardito, indagatore, ragionante. L'uomo vide la natura; 			sentì il bisogno. A contatto dell'umano consorzio apprese il bene e 			il male; si trovò avvolto da aberrazioni, pastoie, tracotanze. Vide 			gli uomini affaticarsi ad erigere altari e troni, fondare credenze e 			imperi; vide il sovrapporsi delle classi sociali; né sempre poté 			darne cagione all'impellente necessità. Frammezzo a tutto ciò si 			svegliò per intuito nella sua mente e si scolpì nel suo cuore una 			dottrina di facile intendimento, la quale ingenerò una credenza, 			semplice, veritiera, sublime» 193. 			Si può subito vedere quanto sia semplicistica l'impostazione e come 			sia patetico nell'autore il tentativo di essere originale. Però, 			l'indulgenza che può nutrirsi verso di lui si dilegua quando si 			arriva alla bestemmia: «Girato lo sguardo attorno, l'uomo 			si raccolse in sé stesso, e istintivamente pronunciò il suo "Credo":
- Credo nella eterna Materia Madre, 			di cui ignoro e sempre ignorerò l'origine e la fine;
- E nell'Uomo suo prediletto 			Figlio; capace - nell'ingegnoso sviluppo della sua mente, nella 			lotta contro i bisogni, nel socievole umano consorzio - di ogni 			opera buona e cattiva;
- Il quale dalla Materia fu 			concepito e nacque dalla Terra, che lo sostiene e lo nutre;
- Patì sotto le convulsioni 			telluriche, sotto le ferocie del dispotismo sacerdotale e 			autocratico, sotto le prepotenze e disuguaglianze fisiche e sociali; 			fu carcerato, torturato, messo in croce, sul rogo, sulle forche, 			sotto la mannaia e... non sempre venne sepolto;
- Discese nelle gemonie del vizio e 			della viltà; risuscitando ad ogni nuova generazione;
- Salì alla sublimità della virtù e 			della gloria e siede accanto al Vero;
- Di là ha da venire con verità e 			giustizia a giudicare buoni e malvagi, ricchi e poveri, sapienti e 			ignoranti, potenti o tapini, i vivi ed i morti;
- Credo nel Pensiero, sovrana 			causa, spirito vivificatore e potente fattore di ordine, di 			agitazioni, di disordini;
-  Credo nel genio, 			nell'ingegno, nella virtù, derisi, vilipesi, perseguitati, soffocati			 dai sacerdoti di ogni tempo e Paese, dalla cattolica 			inquisizione, dalla paurosa autocrazia dei tiranni di ogni 			stampo, giammai asserviti, uccisi, sepolti;
- Credo alla coscienza onesta, alla 			comunione dei martiri per il principio della Fratellanza e per il 			trionfo dell'umanità;
- Al perdono delle offese riparate; 			alla redenzione del vizio, e alla perfettibilità umana;
- Alla vita intemerata e alla 			memoria duratura. E così sia» 194.
Il brano citato è la disinvolta 			esposizione dei consueti temi massonici, quando la Massoneria usava 			parlare chiaramente. Quello che stupisce è la meditata insistenza 			della vena blasfema: «Dopo la sua affermazione l'uomo ebbe un 			fremito nel cervello, si riscosse, e dal pensiero gli uscì una 			invocazione. Recitò il "Pater":
- O padre mio, o Vero, che leggi 			nelle menti e nei cuori umani:
- Sia glorificato il tuo santo 			nome;
- Venga presto il tuo regno;
- Sia fatta la tua Luce come nel 			pensiero, così nella coscienza;
- Dammi oggi il pane quotidiano: lo 			scibile;
- E rimettimi il peccato dell'odio 			per gli ingannatori, come rimetter
devo quello dei dogmi, dei soprusi, e delle sentenze ingiuste dei preti, alle polizie e ai giudici;
devo quello dei dogmi, dei soprusi, e delle sentenze ingiuste dei preti, alle polizie e ai giudici;
- E fà che non sia indotto nella 			tentazione del dubbio;
- Ma liberami dall'errore e dal 			falso. Così sia» 195.
Francamente, non è agevole commentare 			un brano di prosa così... ispirato! È preferibile trascrivere 			l'ultimo... capolavoro uscito dalla penna di F\ 			Magni. L'uomo, di cui sopra, «trasse dal petto un respiro di 			sollievo e superbamente batté col piede la terra. Ma si ravvide e 			baciando la zolla calpestata, fece un saluto e una preghiera, 			recitanto l'"Ave": "Ave, alma Terra, piena di grazia; l'eterna 			materia è con te, tu sei benedetta tra gli astri del firmamento: e 			benedetto è il gran frutto del ventre tuo, l'Uomo, Santa Terra, 			madre dell'Uomo, svela ogni tuo mistero adesso e nell'ora della 			morte. Così sia. E i tre così sia augura siano davvero per il bene 			dell'umanità» 196. Quanto finora 			abbiamo detto ci sembra mostri, a sufficienza, quale sia la vera 			portata del naturalismo massonico e come le quotidiane molteplici 			mascherature massoniche non valgano a celare la natura 			spregiudicatamente materialistica di questa istituzione.
![]()  | 
| Stampe anticlericali di chiara matrice massonica. | 
Il quadro che abbiamo delineato non 			sarebbe completo se non facessimo abbondantemente menzione del 			momento centrale del naturalismo massonico che è il simbolismo, nel 			quale vengono a confluire tutte le tendenze finora citate. Il 			 «Libero Muratore», dal momento del suo ingresso in Loggia, si trova 			dinanzi ad una quantità incredibile di simboli, più o meno 			accessibili; deve vedersela con le molteplici «parole sacre e di 			passo» di cui, secondo i più illuminati dei massoni, dovrebbe 			conoscere il significato letterale e simbolico. I riti massonici, 			pieni di detti simboli, non sono il retaggio inutile di una 			tradizione tenuta in piedi dalla forza d'inerzia e dalla staticità 			massonica; sono invece gli strumenti più efficaci per ottenere dagli 			iscritti piena e totale ubbidienza e per conseguire quel «lavaggio 			del cervello» al quale già abbiamo accennato. «Dobbiamo o 			vogliamo ricordare [...] che nulla in Massoneria è 			ritualmente superfluo o meramente coreografico, ma tutto necessario 			e tassativo, perché fondamentalmente essenziale»			 197. Ha ragione, quindi, il Gorel Porciatti 			quando dice: «Nessun rito è senza valore. Anche se compiuto 			macchinalmente, l'atto ritualistico ha la sua efficacia». E 			aggiunge: «Consideriamo un massone che si prepara ad entrare in 			Loggia; con mille preoccupazioni in capo cinge il suo grembiule 			pensando ad altro; poi prende macchinalmente la posizione 			prescritta, esegue il segno e la marcia del Grado per giungere 			finalmente fra le colonne. Anche se eventualmente tutto è stato 			fatto distrattamente, per abitudine, il massone, senza che se ne 			renda conto, è
 occultamente influenzato, cosicché egli non si 			comporterà mai in Loggia come ad una pubblica riunione. Tutto 			procede come se ognuno degli atti successivi avesse avuto la sua 			ripercussione nel dominio misterioso del sentimento. Mancando il 			cosciente il grembiule avverte il subcosciente che occorre non 			essere più lo stesso uomo. La mano posta sotto la gola ha avuto 			realmente la virtù di contenere le passioni nel petto, affinché il 			segno della Squadra possa affermare senza mentire: “Il mio cervello 			è calmo e io giudicherò qui con imparzialità, con la rigida equità 			che mi impone il mio carattere di massone”. Bisogna essere ben 			mediocri psicologi per guardare con scherno delle pratiche aventi di 			puerile solo delle apparenze ingannevoli» 			198. È purtroppo vero: nella simbologia massonica non c'è 			nulla di puerile, e si commetterebbe un grosso errore a non 			considerarla in tutti i suoi molteplici effetti. Invero, i simboli 			massonici, e più ancora i rituali, sono un forte strumento di 			suggestione e, diciamo anche, di confusione della coscienza di chi 			vi partecipa. Questo effetto non è ignoto ai vecchi massoni, tanto 			che gli autori più avveduti insistono molto sulla necessità di 			mantenere intatte le caratteristiche tradizionali del rituale 			massonico: «Chi vuol modificare le forme massoniche non è un 			iniziato, non è un vero massone. Novatori che pretendete riformare 			un'istituzione la quale sopravvisse a tante generazioni senza 			alterare il suo spirito, conservatene i rituali se non volete che le 			vostre metamorfosi la uccidano»!, sentenzia il Gorel Porciatti			 199. Nella Riunione Annuale della Gran 			Loggia di Palazzo Giustiniani, il 30-31 ottobre 1954, un Venerabile 			di Torino che diceva di esprimere il pensiero di altri Fratelli, 			affermava «che non è vero che si senta il desiderio di 			modernizzare; o meglio chi sente questo desiderio, è probabile che 			non abbia compreso il senso intimo della Massoneria, che è 			inscindibile dal rispetto della tradizione. Onde sarebbe una follia 			rompere con la tradizione» 200. 			Così pure si esprimeva il Gran Segretario Umberto Genova, in 			una lettera del 7 marzo 1961: «La conoscenza delle nostre 			finalità, e aggiungerò un po' di buon senso, non sono patrimonio 			molto comune alla massa dei Fratelli della nostra comunione. Con 			tutte le conseguenze che vediamo ogni giorno ad opera dei cosiddetti 			innovatori, riordinatori, modernisti. Vedremo cosa accadrà». 			 Tutti quindi concordano nella necessità inderogabile del 			tradizionale insegnamento simbolico a mezzo dei rituali: «È nostro			dovere alimentare la fiaccola dell'insegnamento esoterico, 			proseguire			la tradizione iniziatica; compenetrarsi della profonda necessità 			rappresentata dalla iniziazione al 3º Grado che è la chiave dei			Misteri massonici, la base per lo studio, per la meditazione, per lo 			sforzo			intuitivo, per tutto quel segreto e tenace lavoro di mente e di 			cuore che			deve dare ad ogni massone la rivelazione dei Misteri dell'Ordine»			 201.			L'iniziazione dunque assolve nella Massoneria			ad una funzione fondamentale, non solo			speculativa ma pratica; e di fatto lascia tali			tracce da indurre a pensare che avere avuta			una seria iniziazione equivalga ad essere			massone per tutta la vita. Galeazzo Ciano			(1903-1944) scriveva nel suo Diario: «Ho un			colloquio con Padre Tacchi Venturi [...] Tacchi			Venturi diffida di Starace. Dice: “Chi è stato tre puntini, 			lo rimane per tutta la vita”» 202.
 occultamente influenzato, cosicché egli non si 			comporterà mai in Loggia come ad una pubblica riunione. Tutto 			procede come se ognuno degli atti successivi avesse avuto la sua 			ripercussione nel dominio misterioso del sentimento. Mancando il 			cosciente il grembiule avverte il subcosciente che occorre non 			essere più lo stesso uomo. La mano posta sotto la gola ha avuto 			realmente la virtù di contenere le passioni nel petto, affinché il 			segno della Squadra possa affermare senza mentire: “Il mio cervello 			è calmo e io giudicherò qui con imparzialità, con la rigida equità 			che mi impone il mio carattere di massone”. Bisogna essere ben 			mediocri psicologi per guardare con scherno delle pratiche aventi di 			puerile solo delle apparenze ingannevoli» 			198. È purtroppo vero: nella simbologia massonica non c'è 			nulla di puerile, e si commetterebbe un grosso errore a non 			considerarla in tutti i suoi molteplici effetti. Invero, i simboli 			massonici, e più ancora i rituali, sono un forte strumento di 			suggestione e, diciamo anche, di confusione della coscienza di chi 			vi partecipa. Questo effetto non è ignoto ai vecchi massoni, tanto 			che gli autori più avveduti insistono molto sulla necessità di 			mantenere intatte le caratteristiche tradizionali del rituale 			massonico: «Chi vuol modificare le forme massoniche non è un 			iniziato, non è un vero massone. Novatori che pretendete riformare 			un'istituzione la quale sopravvisse a tante generazioni senza 			alterare il suo spirito, conservatene i rituali se non volete che le 			vostre metamorfosi la uccidano»!, sentenzia il Gorel Porciatti			 199. Nella Riunione Annuale della Gran 			Loggia di Palazzo Giustiniani, il 30-31 ottobre 1954, un Venerabile 			di Torino che diceva di esprimere il pensiero di altri Fratelli, 			affermava «che non è vero che si senta il desiderio di 			modernizzare; o meglio chi sente questo desiderio, è probabile che 			non abbia compreso il senso intimo della Massoneria, che è 			inscindibile dal rispetto della tradizione. Onde sarebbe una follia 			rompere con la tradizione» 200. 			Così pure si esprimeva il Gran Segretario Umberto Genova, in 			una lettera del 7 marzo 1961: «La conoscenza delle nostre 			finalità, e aggiungerò un po' di buon senso, non sono patrimonio 			molto comune alla massa dei Fratelli della nostra comunione. Con 			tutte le conseguenze che vediamo ogni giorno ad opera dei cosiddetti 			innovatori, riordinatori, modernisti. Vedremo cosa accadrà». 			 Tutti quindi concordano nella necessità inderogabile del 			tradizionale insegnamento simbolico a mezzo dei rituali: «È nostro			dovere alimentare la fiaccola dell'insegnamento esoterico, 			proseguire			la tradizione iniziatica; compenetrarsi della profonda necessità 			rappresentata dalla iniziazione al 3º Grado che è la chiave dei			Misteri massonici, la base per lo studio, per la meditazione, per lo 			sforzo			intuitivo, per tutto quel segreto e tenace lavoro di mente e di 			cuore che			deve dare ad ogni massone la rivelazione dei Misteri dell'Ordine»			 201.			L'iniziazione dunque assolve nella Massoneria			ad una funzione fondamentale, non solo			speculativa ma pratica; e di fatto lascia tali			tracce da indurre a pensare che avere avuta			una seria iniziazione equivalga ad essere			massone per tutta la vita. Galeazzo Ciano			(1903-1944) scriveva nel suo Diario: «Ho un			colloquio con Padre Tacchi Venturi [...] Tacchi			Venturi diffida di Starace. Dice: “Chi è stato tre puntini, 			lo rimane per tutta la vita”» 202.![]()  | ![]()  | 
| Galeazzo Ciano | Achille Starace | 
«Il			mezzo per procedere a queste investigazioni (del			Vero) è lo stesso che ha permesso ai saggi delle			varie epoche di raggiungere risultati grandiosi:			l'Iniziazione» 203. E non c'è dubbio che, per un massone, l'unica			iniziazione possibile sia quella operata con il simbolo e con il 			rituale: «La Vera Iniziazione [...] è tutta, dico tutta, contenuta nel 			simbolismo			e nella rituaria massonica» 204. Se insistiamo sull'iniziazione 			massonica			è per far intendere quale funzione capitale essa svolga 			relativamente			alla formazione di ogni aderente; qui, veramente, il simbolo da 			forma			si fà sostanza, tanto da potersi dire che l'uomo nuovo che vien 			fuori			dall'iniziazione è quale i simboli e il rituale lo hanno formato; 			allora			si intende che «il simbolo risponde al bisogno di dare forma reale e 			oggettiva alle concezioni del 			 
nostro spirito, e se è alla radice di 			ogni civiltà passata, con l'evolversi della vita esso rifiorisce; 			infatti, è di oggi la toga del magistrato, la sciarpa del sindaco, 			la corona d’arancio, l'anello matrimoniale, il battesimo del 			neonato, le gramaglie della vedova, e infine la bandiera, simbolo 			palpitante della Patria per cui si vive si combatte e si muore»			 205. Dunque, «l'Iniziazione è 			l'ammettere a partecipazione o conoscenza dei segreti sacri, 			affidare così il tesoro già accumulato, indicare la via da seguirsi 			per accrescerlo, e indicare quali sieno i mezzi migliori per 			procedere per essa; con l'Iniziazione, quando essa è completa, sono 			compresi due concetti: affidare la fiaccola e confidare che essa 			venga alimentata» 206. Da quanto 			abbiamo detto si intende agevolmente che il simbolismo massonico, da 			un lato, e l'organizzazione ferrea, dall'altro, siano i due pilastri 			sui quali poggia l'edificio massonico, assai più che sui 			vaneggiamenti pseudo-filosofici che nessuno intende e nessuno 			convincono. Ma la forza di convinzione di certi strani riti, zeppi 			di elementi simbolici dalle più strane provenienze, dev'essere 			enorme soprattutto su coscienze deboli o poco formate. «Le 			iniziazioni massoniche sono, per i primi tre Gradi, e sempre che 			sieno condotte ritualmente, quanto di più bello, di più completo e 			di più perfetto si possa realizzare nei tempi attuali, poiché 			toccano profondamente e risvegliano la sensibilità, colpiscono 			l'immaginazione e inducono alla riflessione, raggiungendo così lo 			scopo fondamentale di qualsiasi iniziazione» 			207. Lasciamo da parte la «bellezza» e la «perfezione» dei 			riti; ma il resto, purtroppo, è tutto vero. Il carattere di questo 			lavoro non ci consente di descrivere partitamente i rituali dei vari 			Gradi con tutta la simbologia massonica che comportano. Non possiamo 			però astenerci dal rifarci alla caratteristica essenziale che 			permette al lettore di orientarsi nel campo vastissimo dell'astruso 			simbolismo massonico. Conformemente alle premesse naturalistiche, il 			tema centrale e il segno dominante del simbolismo massonico è 			l'uomo. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che anche il 			simbolo, anzi soprattutto il simbolo serve a «trasformare» l'uomo in 			senso massonico; infatti, «quando si deve realizzare un programma 			di ordine prevalentemente pratico - quale è quello che si propone la 			rispettabile Loggia “Ankh” - e cioè la creazione dell'Uomo, di 			quell'Uomo che Diogene cercava al lume della sua lanterna, del 			cabalistico Adam-Kadmon, l'Uomo d'argilla rossa, e, per intenderci 			meglio, dell'Uomo che, integrato nei suoi poteri divini, assume alla 			potestà di nume, mentre è ancora nella maschera di carne, è “il 			regnum regnare docet” che ne decide il successo e non già la parola, 			la quale, una volta dato l'orientamento, diventa a ciascuno 			interiore e, pertanto, inespressa e valida in sé stessa a nutrirsi 			della propria essenza e a crescere in ricchezza di significati 			intraducibili nella ciarla abituale, la quale, invece, per la sua 			vanità acquisisce la natura diabolica. “Diabolos”, in greco, 			significa “ostacolo”. La parola vana è diabolica, perché ci ostacola 			il cammino, ci sbarra la via, ci ferma» 208. 			Per non fermarsi, dunque, ma anzi progredire, l'uomo ispira tutta la 			simbologia massonica, come scrive G. Ceschina, sulla 			Rivista di Palazzo Giustiniani, con l'articolo intitolato «Il 			simbolismo massonico nella sua applicazione all'uomo», corredato 			da un grafico che lo rende più chiaro (vedi sotto Tav. nº 1): «Tutti i riti, le favole, le leggende, i miti si riferiscono ad un 			solo argomento: l'uomo. Così è
 anche per il simbolismo massonico. 			Osserviamo il Tempio. Esso pure non può non rappresentare l'uomo, il 			grande Uomo, l'Adamo che racchiude in sé tutta l'umanità quale 			prototipo di essa. Le due gambe saranno rappresentate dalle due 			colonne che si trovano ai lati della porta d'ingresso. E come la 			Loggia posa sul 1° e 2° Sorvegliante, così il corpo umano posa sui 			piedi. Dalla parte opposta troveremo la testa dell'uomo, il cui 			triangolo, tracciato sulla fronte, equilibra la Luna e il Sole, 			rispettivamente inclusi nell'occhio sinistro e destro di esso, allo 			stesso modo che la ragione in una superiore visione risolve i dubbi 			sorti dalla diversità delle opposte opinioni. Lì presso è Minerva, 			che sorse un giorno dal cervello di Giove, quale intelligenza 			illuminante l'uomo; più sotto vi è la bocca, rappresentata dalla 			parola saggia (verbo) del venerabile, che il 1° Diacono, quale 			orecchio destro, raccoglie per trasmetterne l'eco a tutti i 			Fratelli. Giù per il collo, le spalle, le scapole, quali scalini di 			carne e d’ossa, si scende alla cavità toracica, che si presenta come 			una caverna. È la caverna degli Eletti del 9° Grado, dove si svolge 			la lotta fra gli istinti e la volontà, è la grotta di Betlemme nella 			quale la “pramantha” si accende illuminandola d'una luce sublime. La 			 “pramantha” è il cuore; dalla parte del cuore vi è in Loggia l'Ospitaliere 			caritatevole e la statua di Venere, dea dell'amore che nel cuore ha 			la sua sede. Le passioni scatenate, che la volontà deve vincere, 			vengono su dal ventre, dove covano le cupidigie, le voracità, le 			voglie, le avidità e queste cercano di impedire il progresso 			dell'uomo, ed è là che vi è la tomba d'Hiram, con l'acacia che 			rappresenta l'anelito dello spirito, mai completamente estinto. Più 			in basso, una spessa tenda nasconde i misteri della generazione, che 			solo i "Kadosch" possono scoprire. Per completare il quadro, diremo 			che il braccio destro ben si adatta a raffigurare l'energia 			dell'Esperto che guida il recipiendario nelle prove (Ercole), mentre 			il braccio sinistro è il Maestro delle cerimonie che adorna i riti 			di quella bellezza che Venere lì presso gli ispira. Come la via 			della perfezione è quella che conduce il massone dalle soglie del 			Tempio al luminoso Oriente, così la tappa successiva è rappresentata 			dalla via della realizzazione, che consiste nella diffusione di tale 			stato perfetto nel mondo esteriore. È la Massoneria che irradia 			di luce il mondo profano. Altri simboli dell'influenza delle 			forze spirituali sul mondo sono il triangolo rovesciato su un tratto 			di cerchio e le due teste d'aquila, queste ultime per indicare come 			tali forze siano dirette verso tutte le direzioni, allo stesso modo 			dell’aquila che si serve di entrambe le sue teste per volgere lo 			sguardo intorno a sé. È l'aquila del Conclave, del Concistoro e del 			Supremo Consiglio, cui va riferito il concetto di tale azione giusta 			e benefica, esercitata dai Gradi della gerarchia scozzese nelle sue 			superiori assise» 209.
nostro spirito, e se è alla radice di 			ogni civiltà passata, con l'evolversi della vita esso rifiorisce; 			infatti, è di oggi la toga del magistrato, la sciarpa del sindaco, 			la corona d’arancio, l'anello matrimoniale, il battesimo del 			neonato, le gramaglie della vedova, e infine la bandiera, simbolo 			palpitante della Patria per cui si vive si combatte e si muore»			 205. Dunque, «l'Iniziazione è 			l'ammettere a partecipazione o conoscenza dei segreti sacri, 			affidare così il tesoro già accumulato, indicare la via da seguirsi 			per accrescerlo, e indicare quali sieno i mezzi migliori per 			procedere per essa; con l'Iniziazione, quando essa è completa, sono 			compresi due concetti: affidare la fiaccola e confidare che essa 			venga alimentata» 206. Da quanto 			abbiamo detto si intende agevolmente che il simbolismo massonico, da 			un lato, e l'organizzazione ferrea, dall'altro, siano i due pilastri 			sui quali poggia l'edificio massonico, assai più che sui 			vaneggiamenti pseudo-filosofici che nessuno intende e nessuno 			convincono. Ma la forza di convinzione di certi strani riti, zeppi 			di elementi simbolici dalle più strane provenienze, dev'essere 			enorme soprattutto su coscienze deboli o poco formate. «Le 			iniziazioni massoniche sono, per i primi tre Gradi, e sempre che 			sieno condotte ritualmente, quanto di più bello, di più completo e 			di più perfetto si possa realizzare nei tempi attuali, poiché 			toccano profondamente e risvegliano la sensibilità, colpiscono 			l'immaginazione e inducono alla riflessione, raggiungendo così lo 			scopo fondamentale di qualsiasi iniziazione» 			207. Lasciamo da parte la «bellezza» e la «perfezione» dei 			riti; ma il resto, purtroppo, è tutto vero. Il carattere di questo 			lavoro non ci consente di descrivere partitamente i rituali dei vari 			Gradi con tutta la simbologia massonica che comportano. Non possiamo 			però astenerci dal rifarci alla caratteristica essenziale che 			permette al lettore di orientarsi nel campo vastissimo dell'astruso 			simbolismo massonico. Conformemente alle premesse naturalistiche, il 			tema centrale e il segno dominante del simbolismo massonico è 			l'uomo. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che anche il 			simbolo, anzi soprattutto il simbolo serve a «trasformare» l'uomo in 			senso massonico; infatti, «quando si deve realizzare un programma 			di ordine prevalentemente pratico - quale è quello che si propone la 			rispettabile Loggia “Ankh” - e cioè la creazione dell'Uomo, di 			quell'Uomo che Diogene cercava al lume della sua lanterna, del 			cabalistico Adam-Kadmon, l'Uomo d'argilla rossa, e, per intenderci 			meglio, dell'Uomo che, integrato nei suoi poteri divini, assume alla 			potestà di nume, mentre è ancora nella maschera di carne, è “il 			regnum regnare docet” che ne decide il successo e non già la parola, 			la quale, una volta dato l'orientamento, diventa a ciascuno 			interiore e, pertanto, inespressa e valida in sé stessa a nutrirsi 			della propria essenza e a crescere in ricchezza di significati 			intraducibili nella ciarla abituale, la quale, invece, per la sua 			vanità acquisisce la natura diabolica. “Diabolos”, in greco, 			significa “ostacolo”. La parola vana è diabolica, perché ci ostacola 			il cammino, ci sbarra la via, ci ferma» 208. 			Per non fermarsi, dunque, ma anzi progredire, l'uomo ispira tutta la 			simbologia massonica, come scrive G. Ceschina, sulla 			Rivista di Palazzo Giustiniani, con l'articolo intitolato «Il 			simbolismo massonico nella sua applicazione all'uomo», corredato 			da un grafico che lo rende più chiaro (vedi sotto Tav. nº 1): «Tutti i riti, le favole, le leggende, i miti si riferiscono ad un 			solo argomento: l'uomo. Così è
 anche per il simbolismo massonico. 			Osserviamo il Tempio. Esso pure non può non rappresentare l'uomo, il 			grande Uomo, l'Adamo che racchiude in sé tutta l'umanità quale 			prototipo di essa. Le due gambe saranno rappresentate dalle due 			colonne che si trovano ai lati della porta d'ingresso. E come la 			Loggia posa sul 1° e 2° Sorvegliante, così il corpo umano posa sui 			piedi. Dalla parte opposta troveremo la testa dell'uomo, il cui 			triangolo, tracciato sulla fronte, equilibra la Luna e il Sole, 			rispettivamente inclusi nell'occhio sinistro e destro di esso, allo 			stesso modo che la ragione in una superiore visione risolve i dubbi 			sorti dalla diversità delle opposte opinioni. Lì presso è Minerva, 			che sorse un giorno dal cervello di Giove, quale intelligenza 			illuminante l'uomo; più sotto vi è la bocca, rappresentata dalla 			parola saggia (verbo) del venerabile, che il 1° Diacono, quale 			orecchio destro, raccoglie per trasmetterne l'eco a tutti i 			Fratelli. Giù per il collo, le spalle, le scapole, quali scalini di 			carne e d’ossa, si scende alla cavità toracica, che si presenta come 			una caverna. È la caverna degli Eletti del 9° Grado, dove si svolge 			la lotta fra gli istinti e la volontà, è la grotta di Betlemme nella 			quale la “pramantha” si accende illuminandola d'una luce sublime. La 			 “pramantha” è il cuore; dalla parte del cuore vi è in Loggia l'Ospitaliere 			caritatevole e la statua di Venere, dea dell'amore che nel cuore ha 			la sua sede. Le passioni scatenate, che la volontà deve vincere, 			vengono su dal ventre, dove covano le cupidigie, le voracità, le 			voglie, le avidità e queste cercano di impedire il progresso 			dell'uomo, ed è là che vi è la tomba d'Hiram, con l'acacia che 			rappresenta l'anelito dello spirito, mai completamente estinto. Più 			in basso, una spessa tenda nasconde i misteri della generazione, che 			solo i "Kadosch" possono scoprire. Per completare il quadro, diremo 			che il braccio destro ben si adatta a raffigurare l'energia 			dell'Esperto che guida il recipiendario nelle prove (Ercole), mentre 			il braccio sinistro è il Maestro delle cerimonie che adorna i riti 			di quella bellezza che Venere lì presso gli ispira. Come la via 			della perfezione è quella che conduce il massone dalle soglie del 			Tempio al luminoso Oriente, così la tappa successiva è rappresentata 			dalla via della realizzazione, che consiste nella diffusione di tale 			stato perfetto nel mondo esteriore. È la Massoneria che irradia 			di luce il mondo profano. Altri simboli dell'influenza delle 			forze spirituali sul mondo sono il triangolo rovesciato su un tratto 			di cerchio e le due teste d'aquila, queste ultime per indicare come 			tali forze siano dirette verso tutte le direzioni, allo stesso modo 			dell’aquila che si serve di entrambe le sue teste per volgere lo 			sguardo intorno a sé. È l'aquila del Conclave, del Concistoro e del 			Supremo Consiglio, cui va riferito il concetto di tale azione giusta 			e benefica, esercitata dai Gradi della gerarchia scozzese nelle sue 			superiori assise» 209.
Ci si 			perdoni la citazione, anche troppo lunga, ma si è resa necessaria 			non soltanto per dare un'idea dei termini e dei segni sui quali si 			insiste di più nel simbolismo massonico, ma anche perché l'articolo, 			nella sua schematica precisione, mostra come sia stretta e serrata 			l’unione tra gli elementi materiali dell'uomo e i significati 			simbolici del rito massonico. L'uomo è veramente lo sfondo del 			simbolo massonico, idea sempre presente nel simbolo, dalla quale 			tutte le altre traggono sviluppo e significato. Perciò, esaminando 			altre notevoli forme simboliche, abbastanza importanti per il nostro 			studio, vedremo che esse partono e prendono vita da qualche elemento 			del corpo umano e si riferiscono ad esso. Così, chi voglia por mente 			ad altri simboli esistenti nel Tempio e ai riti che vi si svolgono, 			troverebbe, ad esempio (vedi sotto Tav. nº 2), che «le due 			colonne del Tempio ricordano quelle del vestibolo del Tempio di 			Salomone (1 Re 7, 21), l'una alla parte sinistra dell'entrata del 			Tempio dal nome "Bohaz" che significa "la forza, la fermezza"; 			l'altra a destra dal nome "Jackin" che significa "la stabilità, che 			Dio l'ha fermata" (significato letterale delle parole) [...]. 			Questo binario fondamentale rappresenta il duplice aspetto del 			principio animatore di tutte le cose: il Fuoco che si accende in 			tutti gli esseri e ne assicura la crescenza, lo sviluppo, la 			potenza, ed è raffigurato dalla colonna "Bohaz"; il Vento, cioè 			l'Aria che tutto avvolge e tutto circonda e tutto riceve nel suo 			seno, che dà la possibilità della vita universale, è raffigurata 			dalla colonna Jackin. Le due colonne compendiano i due essenziali 			principî dell'Universo secondo le dottrine esoteriche e secondo ogni 			filosofia vivente. La colonna B\ 			è Agni dell'antichissimo culto vedico, l'Eterno Mascolino, 			l'Intelletto creatore, lo spirito puro; la colonna J\ 			è Soma, l'Eterno Femminino, l'Anima del mondo o sostanza 			eterea, matrice di tutti i mondi visibili e invisibili ad occhio 			umano, natura o materia sottile nelle sue infinite trasformazioni. 			Le proporzioni delle colonne del Tempio di Salomone quali ci sono 			tramandate dalla Bibbia conferiscono loro un aspetto fallico 			che le ravvicina a numerosi monumenti fenici consacrati al potere 			generatore maschile, e il capitello terminantesi in calotta 			emisferica circondato da un doppio ordine di melagrane completa il			 simbolo della generazione» 210.

Vediamo qui accennato quello che pare un dato irrinunciabile del 			simbolismo e della prassi massonica: il culto fallico. Come 			vedremo, non si tratta soltanto di simboli e allegorie: si tratta di 			un ordine di idee che può generare grossolane oscenità. Ci 			accingiamo perciò ad illustrare brevemente questo tratto del 			simbolismo massonico e ad accennare a qualcuna delle dichiarazioni e 			delle conseguenze più nefaste; può servire, infatti, a delineare, 			meglio che mille discorsi, la mentalità e la moralità massoniche. Le 			due Colonne sono il simbolo della Vita: «L'equilibrio umano ha 			bisogno di due piedi, i mondi gravitano su due forze, la 			generazione esige due sessi. Tale è il significato dell'Arcano 			di Salomone, figurato dalle due colonne del tempio»			 211. «Alle due Colonne sono strettamente 			legate le parole sacre dei due primi Gradi massonici» 			 212. Questa corrispondenza tra le 			Colonne del Tempio, le due lettere e le parole in esse scritte, è 			significativa. Gorel Porciatti cita quindi 213 			come «buona e copiosa fonte» l'opera di Arturo Reghini 			(1878-1946), «uno dei pochissimi lavori italiani attinenti alla 			Massoneria che meriti l'attenzione dello studioso». Il Reghini, 			infatti, nella sua opera Le parole sacre e di passo dei primi tre 			Gradi e il massimo mistero massonico: studio critico e iniziatico			 214, ci dà 
un elenco meticoloso dei vari 			significati delle parole Bohaz e Jackin. Per chi non 			sapesse il greco, Reghini mette la nota: «Le cteïs c'est 			la maison du fallus», dice Eliphas Levi 			215. Questo francese, fin troppo chiaro ci viene 			ulteriormente spiegato nel volume Le basi spirituali della 			Massoneria Universale, riferendosi sempre al simbolismo 			ideografico e alla corrispondenza fallica: «Vita, in 			egizio "Ankh", in ebraico "Eve" - La Madre dei Viventi (cioè di 			coloro che vivono e non di coloro che sono vissuti e morti!) è lo 			stesso di Maria, in ebraico Myriam; e che Venere, non la Dea 			dell'Amore, ma la [...] forma o utero femminile, 			soprannominata "Mirionima" ("dai diecimila nomi") sono le stesse 			cose. È la triplice affermazione di uno stesso passivo su cui deve 			agire il maschile "Jod" cabalistico per [...]. Qui faccio 			punto [...] e taccio, perché, effettivamente, l'intuizione 			esatta della Verità occultata maldestramente sotto un tenue velo 			potrebbe portare all'applicazione pratica [...]. E non so che 			cosa possa poi nascere: si potrebbe svegliare nel Fratello lettore 			un benevolo Nume (e questo è Bene), ma si potrebbe svegliare anche 			un bruto (e questo è il Male). E io non voglio fare il Male, ma solo 			il Bene [...]. Credimi, l'ho fatto per la tua salute, non 			quella dell'anima - di cui hanno il monopolio i preti - ma per 			tenermi terra terra, di quella del corpo» 			216. Non è facile comprendere il perché della ristampa 			anastatica fatta nel 1968 dalla Casa Editrice massonica Atanòr, del 			libro stampato nel 1926 da P. Piobb intitolato 			Venere la magica dea della carne, un'opera «di così grande 			importanza» perché «sintesi completa della religione di 			Venere» (pag. 1). In mezzo a tanta colluvie di pubblicazioni 			pornografiche, oggi così sfacciatamente abbondante, era proprio il 			caso di ripubblicare quest'opera? A quale scopo? Che non sia quello 			di dare una giustificazione di un presunto diritto al fatto di 			questa immoralità dilagante? Ci torna, tanto malinconicamente, alla 			memoria, la lettera di Vindice a Nubius, scritta da 			Castellammare il 9 agosto 1838, nella quale svolge la teoria dell'Alta 			Vendita Carbonara romana: «Il cattolicesimo, meno ancora 			della monarchia, non teme la punta d'uno stile; ma queste due basi 			dell'ordine sociale possono cadere sotto il peso della corruzione.			 Non stanchiamoci dunque mai di corrompere. Tertulliano diceva 			con ragione che il sangue dei martiri era seme di cristiani. Ora, 			è deciso nei nostri consigli che noi non vogliamo più cristiani: 			dunque, non facciamo dei martiri; ma popolarizziamo il vizio 			nelle moltitudini. Che lo respirino coi cinque sensi, 			che lo bevano, che se ne saturino; e questa terra, dove 			l'Aretino ha seminato, è sempre disposta a ricevere osceni e lubrici 			insegnamenti. Fate dei cuori viziosi e non avrete più cattolici.			 Allontanate il prete dal lavoro, dall'altare e 			dalla virtù: cercate destramente di occupare altrove i suoi 			pensieri e il suo tempo. Rendetelo ozioso, ghiottone e patriota; 			egli diventerà ambizioso, intrigante e perverso [...]. Noi 			abbiamo intrapresa la corruzione in grande; la corruzione del 			popolo per mezzo del clero, e del clero per mezzo nostro, 			la corruzione che deve condurci al seppellimento della Chiesa. 			Uno dei nostri amici, giorni sono, rideva filosoficamente dei nostri 			progetti e diceva: "Per abbattere il cattolicesimo bisogna prima 			sopprimere la donna”.			 Questa frase è vera in un senso, ma poiché non possiamo sopprimere			la donna, corrompiamola insieme alla Chiesa [...]. Lo scopo è assai			bello per tentare uomini come noi; non discostiamocene per correr 			dietro			a qualche miserabile soddisfazione di vendetta personale. Il miglior			pugnale per assassinare la Chiesa e colpirla nel cuore, è la			corruzione. Dunque all'opera sino al termine»!			 217.
un elenco meticoloso dei vari 			significati delle parole Bohaz e Jackin. Per chi non 			sapesse il greco, Reghini mette la nota: «Le cteïs c'est 			la maison du fallus», dice Eliphas Levi 			215. Questo francese, fin troppo chiaro ci viene 			ulteriormente spiegato nel volume Le basi spirituali della 			Massoneria Universale, riferendosi sempre al simbolismo 			ideografico e alla corrispondenza fallica: «Vita, in 			egizio "Ankh", in ebraico "Eve" - La Madre dei Viventi (cioè di 			coloro che vivono e non di coloro che sono vissuti e morti!) è lo 			stesso di Maria, in ebraico Myriam; e che Venere, non la Dea 			dell'Amore, ma la [...] forma o utero femminile, 			soprannominata "Mirionima" ("dai diecimila nomi") sono le stesse 			cose. È la triplice affermazione di uno stesso passivo su cui deve 			agire il maschile "Jod" cabalistico per [...]. Qui faccio 			punto [...] e taccio, perché, effettivamente, l'intuizione 			esatta della Verità occultata maldestramente sotto un tenue velo 			potrebbe portare all'applicazione pratica [...]. E non so che 			cosa possa poi nascere: si potrebbe svegliare nel Fratello lettore 			un benevolo Nume (e questo è Bene), ma si potrebbe svegliare anche 			un bruto (e questo è il Male). E io non voglio fare il Male, ma solo 			il Bene [...]. Credimi, l'ho fatto per la tua salute, non 			quella dell'anima - di cui hanno il monopolio i preti - ma per 			tenermi terra terra, di quella del corpo» 			216. Non è facile comprendere il perché della ristampa 			anastatica fatta nel 1968 dalla Casa Editrice massonica Atanòr, del 			libro stampato nel 1926 da P. Piobb intitolato 			Venere la magica dea della carne, un'opera «di così grande 			importanza» perché «sintesi completa della religione di 			Venere» (pag. 1). In mezzo a tanta colluvie di pubblicazioni 			pornografiche, oggi così sfacciatamente abbondante, era proprio il 			caso di ripubblicare quest'opera? A quale scopo? Che non sia quello 			di dare una giustificazione di un presunto diritto al fatto di 			questa immoralità dilagante? Ci torna, tanto malinconicamente, alla 			memoria, la lettera di Vindice a Nubius, scritta da 			Castellammare il 9 agosto 1838, nella quale svolge la teoria dell'Alta 			Vendita Carbonara romana: «Il cattolicesimo, meno ancora 			della monarchia, non teme la punta d'uno stile; ma queste due basi 			dell'ordine sociale possono cadere sotto il peso della corruzione.			 Non stanchiamoci dunque mai di corrompere. Tertulliano diceva 			con ragione che il sangue dei martiri era seme di cristiani. Ora, 			è deciso nei nostri consigli che noi non vogliamo più cristiani: 			dunque, non facciamo dei martiri; ma popolarizziamo il vizio 			nelle moltitudini. Che lo respirino coi cinque sensi, 			che lo bevano, che se ne saturino; e questa terra, dove 			l'Aretino ha seminato, è sempre disposta a ricevere osceni e lubrici 			insegnamenti. Fate dei cuori viziosi e non avrete più cattolici.			 Allontanate il prete dal lavoro, dall'altare e 			dalla virtù: cercate destramente di occupare altrove i suoi 			pensieri e il suo tempo. Rendetelo ozioso, ghiottone e patriota; 			egli diventerà ambizioso, intrigante e perverso [...]. Noi 			abbiamo intrapresa la corruzione in grande; la corruzione del 			popolo per mezzo del clero, e del clero per mezzo nostro, 			la corruzione che deve condurci al seppellimento della Chiesa. 			Uno dei nostri amici, giorni sono, rideva filosoficamente dei nostri 			progetti e diceva: "Per abbattere il cattolicesimo bisogna prima 			sopprimere la donna”.			 Questa frase è vera in un senso, ma poiché non possiamo sopprimere			la donna, corrompiamola insieme alla Chiesa [...]. Lo scopo è assai			bello per tentare uomini come noi; non discostiamocene per correr 			dietro			a qualche miserabile soddisfazione di vendetta personale. Il miglior			pugnale per assassinare la Chiesa e colpirla nel cuore, è la			corruzione. Dunque all'opera sino al termine»!			 217.![]()  | 
| La corruzione del clero e della gioventù... | 
È quanto, con 			meno			retorica, asseriva Leone XIII nell'Enciclica Humanum genus, del 20			aprile 1884: «Esagerando le forze e l'eccellenza della natura, e			collocando in lei il principio e la norma unica della giustizia, (i			massoni) non sanno più concepire che, a frenare i moti e moderarne			gli appetiti, ci vogliono sforzi continui e somma costanza. E questa 			è			la ragione, per cui vediamo offerte pubblicamente alle passioni 			tante			attrattive: giornali e periodici senza freno e			senza pudore; rappresentazioni teatrali			oltre ogni dire disoneste; arti coltivate			secondo i principî di uno sfacciato verismo;			con raffinate invenzioni promosso il molle			e delicato vivere; insomma, cercate			avidamente tutte le lusinghe capaci di			sedurre e addormentare la virtù. E a			conferma di ciò che abbiamo detto può			servire un fatto più strano a dirsi, che a			credersi. Imperocché gli uomini scaltriti e			accorti non trovando anime più docilmente servili di quelle già dome			e fiaccate dalla tirannide delle passioni, vi fu nella sètta 			massonica			chi disse aperto e propose, doversi con ogni arte ed accorgimento 			tirare			le moltitudini a satollarsi di licenza: così le si avrebbero poi 			docile			strumento ad ogni più audace disegno» 218. Ritornando 			sull'argomento,			lo stesso Papa nella Lettera al Popolo Italiano «Custodi di quella 			fede»,			 dell'8 dicembre 1892, scriveva: «Senza esagerare la potenza 			massonica			attribuendo all'azione diretta e immediata di lei tutti i mali che			nell'ordine religioso
 presentemente ci travagliano [...] vi si sente 			il suo			spirito; quello spirito [...] nemico implacabile di Cristo e della 			sua			Chiesa [...]. Dalle rovine religiose alle sociali brevissima è la 			via. Non più sollevato alle speranze e agli amori celesti il cuore 			dell'uomo, capace e bisognoso dell'infinito, gittasi con ardore 			insaziabile sui beni della terra; ed ecco necessariamente, 			inevitabilmente una lotta perpetua di passioni avide di godere, di 			arricchire, di salire, e quindi una larga ed inesausta sorgente di 			rancori, di scissure, di corruttele, di delitti. Nella nostra Italia 			morali e sociali disordini non mancavano certo anche prima delle 			presenti vicende; ma che doloroso spettacolo non ci porge essa ai dì 			nostri! Nelle famiglie è assai menomato quell'amoroso rispetto che 			forma le domestiche armonie: l'autorità paterna è troppo sovente 			sconosciuta e dai figli e dai genitori; i dissidi sono frequenti, i 			divorzi non rari. Nelle città crescono ogni giorno le discordie 			civili, le ire astiose tra i vari ordini della cittadinanza, lo sfrenamento delle generazioni novelle che cresciute all'aura di 			malintesa libertà non rispettano più nulla né in alto né in basso, 			gli incitamenti al vizio, i delitti precoci, i pubblici scandali 			[...]. L'ordine sociale infine è generalmente scalzato nelle sue 			fondamenta. Libri e giornali, scuole e cattedre, circoli e teatri, 			monumenti e discorsi politici, fotografie e arti belle, tutto 			cospira a pervertire le menti e corrompere i cuori. Intanto i popoli 			oppressi e ammiseriti fremono; le sètte anarchiche si agitano; le 			classi operaie levano il capo e vanno a ingrossare le file del 			socialismo, del comunismo, dell'anarchia; i caratteri si fiaccano, e 			tante anime non sapendo più né degnamente patire, né virilmente 			redimersi dai patimenti, abbandonano da sé stesse, con il suicidio, 			codardamente la vita» 219. E Leone 			XIII continua: «Cerca (la Massoneria) di lacerare l'unità 			cattolica, seminando nel clero stesso zizzania, suscitando contese, 			fomentando discordie, aizzando gli animi all'insubordinazione, alla 			rivolta» 220. Sempre ricordando il 			saggio avvertimento del detto Papa di non attribuire «all'azione 			diretta e immediata» della Massoneria tutti i mali che oggi ci 			travagliano, non potremmo forse chiamare «profetici» i documenti 			pontifici citati e dire che i fatti segnalati allora, oggi assai più 			gravi perché più facilmente divulgati, avvengono o con essa o non 			senza di essa? Ricordiamo il già citato Padre Berteloot «Quale 			la filosofia, tale la morale: ordinariamente vanno 			insieme» 221. Ma torniamo, 			purtroppo, all'argomento che stavamo trattando. L'insistenza con cui 			gli organi della generazione danno vita, nel complesso simbolismo 			massonico, a sensi e significati figurati e ad espressioni falliche, 			è dottrina antica e nuova, sempre la stessa. Padre Giuseppe 			Oreglia di Santo Stefano s.j. (1823-1895) pubblicava, nel 			1874, il rituale massonico del 30° Grado, edito segretissimamente a 			Napoli, nel 1869 222. A proposito 			delle parole sacre del 1° e del 2° Grado, dice nella nota a pag. 15 			che «per curiosità dei nostri lettori, non vogliamo privarli di 			una nostra osservazione fatta da noi (Domenico Angherà) 			nell'isola di Malta in tempo del nostro tredicenne esilio. 			Assistendo noi ai lavori massonici che si celebravano in 			quell'isola, e vedendo le iniziali "B" e "J" delle parole sacre dei 			due primi Gradi simbolici cioè "Booz" e "Jackin", leggendo per 			azzardo all'uso arabo le due dette parole, cioè leggendole al 			rovescio da destra a sinistra, si ebbero le parole "Zoob" e "Nikai". 			Presso i maltesi, che parlano un linguaggio arabo corrotto, sono 			queste due parole quelle per cui si esprimono [...], cioè 			due parole turpi. E il signor Angherà pensa che quello sia il 			vero senso 			 
delle due parole sacre massoniche. Ma non lo rivela che 			nel Rituale del 30° Grado, dove ogni velo, e anche quello del 			pudore, “deve cadere”» 223. 			Proprio come dice il Ceschina, sopra citato nel 1959 (vedi Tav.			 nº 			 1): «Più in basso una spessa tenda nasconde i misteri della 			generazione, che solo i Kadosch possono scoprire»			 224. I Kadosch, cioè i «puri» (in 			ebraico), che stanno al 30° Grado della gerarchia massonica, loro 			soli, i prodigiosi cavalieri purissimi, senza macchia e senza paura, 			possono darci il significato di quella croce segnata nel punto 			focale dello stretto perizoma che, in ogni caso, suggerisce sempre 			torbide relazioni tra i misteri religiosi e gli stimoli del sesso			 225. Quello che, con discreto riserbo, 			accennava Padre Oreglia di Santo Stefano s.j. ci viene 			esplicitamente detto da Roberto Ascarelli, ebreo e quindi competente 			nella lingua ebraica, Presidente della Gran Loggia d'Italia di Rito 			Simbolico Italiano, in un volume di suoi Scritti e discorsi 			pubblicato nel 1971: «Il mondo, per il suo futuro, e cioè nella 			sua eternità, ha bisogno di procreare. Lo "Iod" ebraico, che 			corrisponde grosso modo alla "J" di "Jachin", è il simbolo del 			sesso maschile; il "Bed", che corrisponde grosso modo alla "B" 			di "Booz", corrisponde al simbolo femminile, perché "Bed" 			significa "casa", da cui l'idea di ricettacolo, caverna, utero. 			Se vogliamo ancora una curiosa conferma magica di questa 			interpretazione e teniamo presenti unicamente le consonanti, ben 			sapendo che in ebraico non si scrivono le vocali, e scriviamo "Jachin" 			con un "caph" ("c" dura) e un "nun", e leggiamo a rovescio, 			troviamo che il "nun" e il "caph" sono il segno scritto del coito 			e della copula, mentre scrivendo il "Bed" (b) e il "Zain" (z) e 			li leggiamo a rovescio, abbiamo il segno scritto dell'organo 			fecondatore, il fallo» 226. 			Dato il significato così pregnante che assumono gli organi della 			generazione nel sistema massonico, non sarà inutile ricordare quanto 			abbiamo accennato più sopra, e cioè che il Convento di Losanna, nel 			1875, volle sostituire al nome di Dio l'espressione «Principio 			Creatore». Albert Pike, «storico ed esegeta del Rito Scozzese 			Antico e Accettato, Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio 			del 33° Grado per la Giurisdizione Sud degli Stati Uniti d'America, 			che i clericali di tutto il mondo ritennero di diminuire chiamandolo 			 “il Papa della Massoneria”, mentre egli della Massoneria, fu, in 			verità, uno dei più benemeriti ed eletti Fratelli»			 227, emanò, da Charleston, il 20 marzo 			1876, un Decreto che il Bacci chiamava «il manifesto fatale»			 228, nel quale, tra l'altro 			afferma: «L'espressione “Principio Creatore” non è affatto una 			frase nuova: essa non è che un'antica parola rediviva. I numerosi e 			formidabili avversari della Massoneria diranno, e ne avranno il 			diritto, che il nostro principio creatore è identico al principio 			generatore degli indiani e degli egizi, e che potrebbe venir 			convenientemente simboleggiato, come anticamente era, col Linga, col			 Phallus, e col Priapo. Patha-Torè, dice Matter nella 			sua "Storia dello Gnosticismo", non è che un'altra modificazione del 			Phta. Sotto questa forma è "principio creatore", o meglio, 			"principio generatore". Questo Phta, questo Dio Phallico, 			tenendo il priapo in una mano, e brandendo con l'altra il flagello, 			era effettivamente il "Padre delle origini", il
 Principio Creatore 			degli antichi egizi» 229. 			Padre Oreglia di Santo Stefano, su La Civiltà Cattolica, 			commentava: «Mi spiace dover dire che il Pike, da schietto 			americano, ci dà qui francamente la vera spiegazione del Dio 			creatore e dell'Architetto dell'Universo massonico, quale esso è 			inteso in tutti i rituali della Massoneria Scozzese e in tutti i 			simboli delle Logge. E ciò è tanto vero che il [...] deputato 			e avvocato Mussi [...], nella sua qualità di membro attivo 			del Gran Consiglio della Massoneria romana di Via della Valle, 			stampò in un suo almanacco massonico di Milano appunto questa stessa 			spiegazione fallica del Principio creatore, dicendo che questa è la 			vera idea che i massoni italiani si fanno di Dio e della creazione. 			Nel che concorda [...] con l'Arciprete Angherà»			 230. Il quale Arciprete, a sua volta, non 			aveva dubbi in materia: «Il Grande Architetto dell'Universo 			significa la fecondità della natura: ed è un vocabolo convenzionale 			per significare il Dio-Universo. "Universus versus unum". Quasi si 			avesse voluto significare un centro di gravità universale. Tutto nel 			mondo si produce per effetto dell'arcana e misteriosa potenza della 			generazione» 231. Il vecchio Padre 			Oreglia di Santo Stefano aveva ragione che il fallo fosse il «vero principio creatore per la Massoneria» e avesse un posto 			d'onore nei riti delle Logge non è più un mistero. Nel già citato 			volume stampato fuori commercio, a Firenze, nel 1945, leggiamo:			 «Appunto all'Equinozio di primavera [...] i Rosacroce 			celebrano le loro agapi rituali, immolando l'agnello, ricordando la 			formula: "Ecco l'agnello di Dio", cioè l'immacolata Natura che 			"toglie i peccati del mondo". La Rosa, il più delicato e più gentile 			degli emblemi massonici, fiore profumato di primavera, significa 			grazia, venustà, giovinezza [...]. La Rosa fu anche l'emblema 			della donna; siccome la Croce simboleggiava anche la virtù 			generatrice del Sole, l'accoppiamento dei due simboli, la Croce e la 			Rosa, esprime in forma onesta e gentile, con discreta ed arcana 			figurazione, l'incessante riprodursi degli esseri [...]. La 			Rosa sopra la Croce è anche il modo più semplice di scrivere il 			geroglifico "segreto dell'immortalità della vita nell'Universo", 			cioè l'ultima e più recondita ed arcana conoscenza dei più alti 			misteri» 232. Vediamo ora il 			rituale: «Tutti i Fratelli (del Grado 18°, Prìncipi di 			Rosacroce) circondano la Pramantha. Lo strumento 			 
consiste in una 			Croce di legno, a bracci disuguali, di dieci o quindici centimetri 			di spessore, e venti o venticinque centimetri di lunghezza, tagliata 			grossolanamente, e aventi l'apparenza di rami di un vecchio albero. 			Al centro della Croce è un foro cilindrico coperto da un coperchio a 			forma di Rosa. La Pramantha propriamente detta dovrebbe essere un 			cilindro di legno dolce di otto o dieci centimetri di lunghezza 			adattantesi al foro della Croce, cilindro che, col solo 			strofinamento, dovrebbe infiammarsi. Il Saggissimo toglie la Rosa 			Mistica, introduce la Pramantha nella Croce e dice: "I\N\R\I\". 			Il Saggissimo ritira la Pramantha accesa che tiene in mano»			 233. Il commento lo lasciamo al Gorel 			Porciatti, per il quale questo rito darebbe una «sensazione 			tipicamente religiosa» provocata da qualcosa di misterioso 			quanto il segreto della sua origine, di misterioso e di potente 			quanto il simbolo della Croce, di quella Croce che «sin dal 			nascere della vita umana assunse una significazione di sconcertante 			potenza» 234. Preferiamo 			soffermarci, invece, sul significato, davvero «sconcertante», che la 			Massoneria crede di poter attribuire alla Croce. Seguiremo sempre il 			Gorel Porciatti, al quale non si può rimproverare di diffondersi 			poco, «il Simbolo, nel riferimento astronomico, si richiama alla 			grande Croce Zodiacale il cui asse equinoziale corrisponde al 			momento in cui il Sole copre dei suoi raggi la costellazione della 			Vergine - astronomicamente "entra in Vergine" - dopo di che cede, 			per poi risorgere a nuova vita nel successivo Solstizio. Da questo 			ravvicinamento, strettamente connesso alla già accennata "chiave del 			Nilo", il cui limo è prodigio di nuova vita, si ha ragione di 			credere sia nato il concetto della Croce Fallica, che, quale 			simbolo di principio fecondante, era dai sacerdoti di Osiride 			esposto alle feste di Dio, per offrirlo alla venerazione del popolo»			 235. Anche la Croce dunque, e 			purtroppo, è un elemento importantissimo del culto fallico, 			al quale i massoni si dedicano senza risparmi di simboli e di 			parole. Vediamone partitamente i vari significati. «Tale Croce 			era costituita da un triplice fallo e si richiamava così ai tre 			elementi: Terra, Aria, Fuoco, uniti nell'elemento primitivo, 			l'Acqua, che era considerato quale origine delle cose»			 236. E			ancora: «Il concetto fondamentale di			rappresentazione della Vita, attribuito alla			Croce, si trova ovunque decisamente			affermato, non soltanto nella sua			materialità, ma pure nella sua forma trascendentale. Il tratto			orizzontale, che richiama il senso di giacere, il principio passivo, 			è			concordemente assegnato, nella metà di destra o in quella di 			sinistra,			all'Acqua, al Caos generante, onde assume decisamente il carattere 			di
 Principio Femminile; il tratto verticale esprimerà, per contro, con 			la			sua direzione ascendente, il concetto di virilità, di potere, 			assumendo			così il carattere di Principio Maschile: l'uno di Capacità 			(produttiva),			l'altro il Volere (creativo)» 237. Per meglio spiegare la Rosacroce, 			il			Gorel Porciatti aggiunge: «La Croce egizia, la Croce ansata [...]			 indirettamente, si richiama a quella di questo Grado, attraverso ad			un ravvicinamento simbolico con il Loto, sacro simbolo orientale, di 			cui la Rosa è la delicata paretra Occidentale. La corolla circolare 			del Loto si schiude su di uno stelo verticale che attraversa, "fora" 			il piano orizzontale delle Acque. Nel suo assieme costituisce il 			geroglifico della Croce ansata (un'asta verticale cui si posa una 			orizzontale al cui centro è un cerchietto) che, nell'ermetismo 			egizio significa "chiave della Vita", spiegando così, con un facile 			simbolismo vegetale, lo "Ad Rosam per Crucem", cioè il pervenire 			all'Essenza per mezzo della Croce» 238. 			Non meno stupefacente è il significato che viene attribuito alle 			lettere I.N.R.I. Il significato di esse, alle estremità dei bracci,			 «dovrebbe essere "Jesus Nazarenus Rex Judaeorum". La scuola 			filosofica invece la fà corrispondere alle quattro iniziali delle 			quattro parole ebraiche il cui significato intrinseco si riferisce 			ai quattro elementi; dalle iniziali trae il bellissimo aforisma: "Igne 			Natura Renovatur Integra"» 239. 			I significati che si sono voluti attribuire alle quattro lettere 			(dato che «varie ragioni» consigliano «di essere 			estremamente prudenti nell'attribuire ai Vangeli un certo valore 			storico», come molto			spicciativamente (e senza cognizione di causa) dice il Gorel 			Porciatti 240, sono svariati e quindi 			hanno dato vita a numerosi altri aforismi che egli ripartisce «in 			tre grandi categorie: mistico-gesuistico-cattolica, 			ermetico-alchimistica, filosofica» 241. 			Chi avesse vaghezza di conoscerli tutti, non ha che da consultare il 			testo appena citato. Noi ci limitiamo ad accennare a perle come 			queste: «Ignatii Nationum Regumque Inimici», ossia «gli 			ignaziani (i gesuiti) sono i nemici delle nazioni e dei re»; 			 oppure: «Igne Nitrum Roris Inventur», ovvero «con il fuoco 			si trova il nitro (l'azoto)»! Già Alessandro Luzio , del resto, aveva notato che «i minori gregari 			[...] si gingillano con i simboli interpretati per loro "ad usum 			Delphini"». E cita, in nota: «Un esempio per tutti, datoci 			dal Preuss (cap. III). In alcune Logge di rito scozzese, al grado di 			Rosacroce si lavora con dinanzi un bel crocifisso e tanto d'INRI 			sovrapposto. Credete che si debba intender per tutti "Jesus 			Nazarenus Rex Judaeorum"? Sarebbe un'ingenuità il supporlo. Il "Jesus 			Nazarenus Rex Judaeorum" serve unicamente per i goccioloni che 			avessero scrupoli religioso-cristiani; ma per i più scaltriti c'è 			l’imbarazzo della scelta tra le interpretazioni eterodosse, putacaso 			queste: "Igne Natura renovatur integra" (naturalistica); "Igne 			nitrum roris invenitur" (alchimistica); "Iustum necare reges impios" 			(tirannicida); o un'altra interpretazione basata sulle iniziali di 			parole ebraiche, denotanti i quattro elementi»			 242.
 presentemente ci travagliano [...] vi si sente 			il suo			spirito; quello spirito [...] nemico implacabile di Cristo e della 			sua			Chiesa [...]. Dalle rovine religiose alle sociali brevissima è la 			via. Non più sollevato alle speranze e agli amori celesti il cuore 			dell'uomo, capace e bisognoso dell'infinito, gittasi con ardore 			insaziabile sui beni della terra; ed ecco necessariamente, 			inevitabilmente una lotta perpetua di passioni avide di godere, di 			arricchire, di salire, e quindi una larga ed inesausta sorgente di 			rancori, di scissure, di corruttele, di delitti. Nella nostra Italia 			morali e sociali disordini non mancavano certo anche prima delle 			presenti vicende; ma che doloroso spettacolo non ci porge essa ai dì 			nostri! Nelle famiglie è assai menomato quell'amoroso rispetto che 			forma le domestiche armonie: l'autorità paterna è troppo sovente 			sconosciuta e dai figli e dai genitori; i dissidi sono frequenti, i 			divorzi non rari. Nelle città crescono ogni giorno le discordie 			civili, le ire astiose tra i vari ordini della cittadinanza, lo sfrenamento delle generazioni novelle che cresciute all'aura di 			malintesa libertà non rispettano più nulla né in alto né in basso, 			gli incitamenti al vizio, i delitti precoci, i pubblici scandali 			[...]. L'ordine sociale infine è generalmente scalzato nelle sue 			fondamenta. Libri e giornali, scuole e cattedre, circoli e teatri, 			monumenti e discorsi politici, fotografie e arti belle, tutto 			cospira a pervertire le menti e corrompere i cuori. Intanto i popoli 			oppressi e ammiseriti fremono; le sètte anarchiche si agitano; le 			classi operaie levano il capo e vanno a ingrossare le file del 			socialismo, del comunismo, dell'anarchia; i caratteri si fiaccano, e 			tante anime non sapendo più né degnamente patire, né virilmente 			redimersi dai patimenti, abbandonano da sé stesse, con il suicidio, 			codardamente la vita» 219. E Leone 			XIII continua: «Cerca (la Massoneria) di lacerare l'unità 			cattolica, seminando nel clero stesso zizzania, suscitando contese, 			fomentando discordie, aizzando gli animi all'insubordinazione, alla 			rivolta» 220. Sempre ricordando il 			saggio avvertimento del detto Papa di non attribuire «all'azione 			diretta e immediata» della Massoneria tutti i mali che oggi ci 			travagliano, non potremmo forse chiamare «profetici» i documenti 			pontifici citati e dire che i fatti segnalati allora, oggi assai più 			gravi perché più facilmente divulgati, avvengono o con essa o non 			senza di essa? Ricordiamo il già citato Padre Berteloot «Quale 			la filosofia, tale la morale: ordinariamente vanno 			insieme» 221. Ma torniamo, 			purtroppo, all'argomento che stavamo trattando. L'insistenza con cui 			gli organi della generazione danno vita, nel complesso simbolismo 			massonico, a sensi e significati figurati e ad espressioni falliche, 			è dottrina antica e nuova, sempre la stessa. Padre Giuseppe 			Oreglia di Santo Stefano s.j. (1823-1895) pubblicava, nel 			1874, il rituale massonico del 30° Grado, edito segretissimamente a 			Napoli, nel 1869 222. A proposito 			delle parole sacre del 1° e del 2° Grado, dice nella nota a pag. 15 			che «per curiosità dei nostri lettori, non vogliamo privarli di 			una nostra osservazione fatta da noi (Domenico Angherà) 			nell'isola di Malta in tempo del nostro tredicenne esilio. 			Assistendo noi ai lavori massonici che si celebravano in 			quell'isola, e vedendo le iniziali "B" e "J" delle parole sacre dei 			due primi Gradi simbolici cioè "Booz" e "Jackin", leggendo per 			azzardo all'uso arabo le due dette parole, cioè leggendole al 			rovescio da destra a sinistra, si ebbero le parole "Zoob" e "Nikai". 			Presso i maltesi, che parlano un linguaggio arabo corrotto, sono 			queste due parole quelle per cui si esprimono [...], cioè 			due parole turpi. E il signor Angherà pensa che quello sia il 			vero senso 			 
delle due parole sacre massoniche. Ma non lo rivela che 			nel Rituale del 30° Grado, dove ogni velo, e anche quello del 			pudore, “deve cadere”» 223. 			Proprio come dice il Ceschina, sopra citato nel 1959 (vedi Tav.			 nº 			 1): «Più in basso una spessa tenda nasconde i misteri della 			generazione, che solo i Kadosch possono scoprire»			 224. I Kadosch, cioè i «puri» (in 			ebraico), che stanno al 30° Grado della gerarchia massonica, loro 			soli, i prodigiosi cavalieri purissimi, senza macchia e senza paura, 			possono darci il significato di quella croce segnata nel punto 			focale dello stretto perizoma che, in ogni caso, suggerisce sempre 			torbide relazioni tra i misteri religiosi e gli stimoli del sesso			 225. Quello che, con discreto riserbo, 			accennava Padre Oreglia di Santo Stefano s.j. ci viene 			esplicitamente detto da Roberto Ascarelli, ebreo e quindi competente 			nella lingua ebraica, Presidente della Gran Loggia d'Italia di Rito 			Simbolico Italiano, in un volume di suoi Scritti e discorsi 			pubblicato nel 1971: «Il mondo, per il suo futuro, e cioè nella 			sua eternità, ha bisogno di procreare. Lo "Iod" ebraico, che 			corrisponde grosso modo alla "J" di "Jachin", è il simbolo del 			sesso maschile; il "Bed", che corrisponde grosso modo alla "B" 			di "Booz", corrisponde al simbolo femminile, perché "Bed" 			significa "casa", da cui l'idea di ricettacolo, caverna, utero. 			Se vogliamo ancora una curiosa conferma magica di questa 			interpretazione e teniamo presenti unicamente le consonanti, ben 			sapendo che in ebraico non si scrivono le vocali, e scriviamo "Jachin" 			con un "caph" ("c" dura) e un "nun", e leggiamo a rovescio, 			troviamo che il "nun" e il "caph" sono il segno scritto del coito 			e della copula, mentre scrivendo il "Bed" (b) e il "Zain" (z) e 			li leggiamo a rovescio, abbiamo il segno scritto dell'organo 			fecondatore, il fallo» 226. 			Dato il significato così pregnante che assumono gli organi della 			generazione nel sistema massonico, non sarà inutile ricordare quanto 			abbiamo accennato più sopra, e cioè che il Convento di Losanna, nel 			1875, volle sostituire al nome di Dio l'espressione «Principio 			Creatore». Albert Pike, «storico ed esegeta del Rito Scozzese 			Antico e Accettato, Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio 			del 33° Grado per la Giurisdizione Sud degli Stati Uniti d'America, 			che i clericali di tutto il mondo ritennero di diminuire chiamandolo 			 “il Papa della Massoneria”, mentre egli della Massoneria, fu, in 			verità, uno dei più benemeriti ed eletti Fratelli»			 227, emanò, da Charleston, il 20 marzo 			1876, un Decreto che il Bacci chiamava «il manifesto fatale»			 228, nel quale, tra l'altro 			afferma: «L'espressione “Principio Creatore” non è affatto una 			frase nuova: essa non è che un'antica parola rediviva. I numerosi e 			formidabili avversari della Massoneria diranno, e ne avranno il 			diritto, che il nostro principio creatore è identico al principio 			generatore degli indiani e degli egizi, e che potrebbe venir 			convenientemente simboleggiato, come anticamente era, col Linga, col			 Phallus, e col Priapo. Patha-Torè, dice Matter nella 			sua "Storia dello Gnosticismo", non è che un'altra modificazione del 			Phta. Sotto questa forma è "principio creatore", o meglio, 			"principio generatore". Questo Phta, questo Dio Phallico, 			tenendo il priapo in una mano, e brandendo con l'altra il flagello, 			era effettivamente il "Padre delle origini", il
 Principio Creatore 			degli antichi egizi» 229. 			Padre Oreglia di Santo Stefano, su La Civiltà Cattolica, 			commentava: «Mi spiace dover dire che il Pike, da schietto 			americano, ci dà qui francamente la vera spiegazione del Dio 			creatore e dell'Architetto dell'Universo massonico, quale esso è 			inteso in tutti i rituali della Massoneria Scozzese e in tutti i 			simboli delle Logge. E ciò è tanto vero che il [...] deputato 			e avvocato Mussi [...], nella sua qualità di membro attivo 			del Gran Consiglio della Massoneria romana di Via della Valle, 			stampò in un suo almanacco massonico di Milano appunto questa stessa 			spiegazione fallica del Principio creatore, dicendo che questa è la 			vera idea che i massoni italiani si fanno di Dio e della creazione. 			Nel che concorda [...] con l'Arciprete Angherà»			 230. Il quale Arciprete, a sua volta, non 			aveva dubbi in materia: «Il Grande Architetto dell'Universo 			significa la fecondità della natura: ed è un vocabolo convenzionale 			per significare il Dio-Universo. "Universus versus unum". Quasi si 			avesse voluto significare un centro di gravità universale. Tutto nel 			mondo si produce per effetto dell'arcana e misteriosa potenza della 			generazione» 231. Il vecchio Padre 			Oreglia di Santo Stefano aveva ragione che il fallo fosse il «vero principio creatore per la Massoneria» e avesse un posto 			d'onore nei riti delle Logge non è più un mistero. Nel già citato 			volume stampato fuori commercio, a Firenze, nel 1945, leggiamo:			 «Appunto all'Equinozio di primavera [...] i Rosacroce 			celebrano le loro agapi rituali, immolando l'agnello, ricordando la 			formula: "Ecco l'agnello di Dio", cioè l'immacolata Natura che 			"toglie i peccati del mondo". La Rosa, il più delicato e più gentile 			degli emblemi massonici, fiore profumato di primavera, significa 			grazia, venustà, giovinezza [...]. La Rosa fu anche l'emblema 			della donna; siccome la Croce simboleggiava anche la virtù 			generatrice del Sole, l'accoppiamento dei due simboli, la Croce e la 			Rosa, esprime in forma onesta e gentile, con discreta ed arcana 			figurazione, l'incessante riprodursi degli esseri [...]. La 			Rosa sopra la Croce è anche il modo più semplice di scrivere il 			geroglifico "segreto dell'immortalità della vita nell'Universo", 			cioè l'ultima e più recondita ed arcana conoscenza dei più alti 			misteri» 232. Vediamo ora il 			rituale: «Tutti i Fratelli (del Grado 18°, Prìncipi di 			Rosacroce) circondano la Pramantha. Lo strumento 			 
consiste in una 			Croce di legno, a bracci disuguali, di dieci o quindici centimetri 			di spessore, e venti o venticinque centimetri di lunghezza, tagliata 			grossolanamente, e aventi l'apparenza di rami di un vecchio albero. 			Al centro della Croce è un foro cilindrico coperto da un coperchio a 			forma di Rosa. La Pramantha propriamente detta dovrebbe essere un 			cilindro di legno dolce di otto o dieci centimetri di lunghezza 			adattantesi al foro della Croce, cilindro che, col solo 			strofinamento, dovrebbe infiammarsi. Il Saggissimo toglie la Rosa 			Mistica, introduce la Pramantha nella Croce e dice: "I\N\R\I\". 			Il Saggissimo ritira la Pramantha accesa che tiene in mano»			 233. Il commento lo lasciamo al Gorel 			Porciatti, per il quale questo rito darebbe una «sensazione 			tipicamente religiosa» provocata da qualcosa di misterioso 			quanto il segreto della sua origine, di misterioso e di potente 			quanto il simbolo della Croce, di quella Croce che «sin dal 			nascere della vita umana assunse una significazione di sconcertante 			potenza» 234. Preferiamo 			soffermarci, invece, sul significato, davvero «sconcertante», che la 			Massoneria crede di poter attribuire alla Croce. Seguiremo sempre il 			Gorel Porciatti, al quale non si può rimproverare di diffondersi 			poco, «il Simbolo, nel riferimento astronomico, si richiama alla 			grande Croce Zodiacale il cui asse equinoziale corrisponde al 			momento in cui il Sole copre dei suoi raggi la costellazione della 			Vergine - astronomicamente "entra in Vergine" - dopo di che cede, 			per poi risorgere a nuova vita nel successivo Solstizio. Da questo 			ravvicinamento, strettamente connesso alla già accennata "chiave del 			Nilo", il cui limo è prodigio di nuova vita, si ha ragione di 			credere sia nato il concetto della Croce Fallica, che, quale 			simbolo di principio fecondante, era dai sacerdoti di Osiride 			esposto alle feste di Dio, per offrirlo alla venerazione del popolo»			 235. Anche la Croce dunque, e 			purtroppo, è un elemento importantissimo del culto fallico, 			al quale i massoni si dedicano senza risparmi di simboli e di 			parole. Vediamone partitamente i vari significati. «Tale Croce 			era costituita da un triplice fallo e si richiamava così ai tre 			elementi: Terra, Aria, Fuoco, uniti nell'elemento primitivo, 			l'Acqua, che era considerato quale origine delle cose»			 236. E			ancora: «Il concetto fondamentale di			rappresentazione della Vita, attribuito alla			Croce, si trova ovunque decisamente			affermato, non soltanto nella sua			materialità, ma pure nella sua forma trascendentale. Il tratto			orizzontale, che richiama il senso di giacere, il principio passivo, 			è			concordemente assegnato, nella metà di destra o in quella di 			sinistra,			all'Acqua, al Caos generante, onde assume decisamente il carattere 			di
 Principio Femminile; il tratto verticale esprimerà, per contro, con 			la			sua direzione ascendente, il concetto di virilità, di potere, 			assumendo			così il carattere di Principio Maschile: l'uno di Capacità 			(produttiva),			l'altro il Volere (creativo)» 237. Per meglio spiegare la Rosacroce, 			il			Gorel Porciatti aggiunge: «La Croce egizia, la Croce ansata [...]			 indirettamente, si richiama a quella di questo Grado, attraverso ad			un ravvicinamento simbolico con il Loto, sacro simbolo orientale, di 			cui la Rosa è la delicata paretra Occidentale. La corolla circolare 			del Loto si schiude su di uno stelo verticale che attraversa, "fora" 			il piano orizzontale delle Acque. Nel suo assieme costituisce il 			geroglifico della Croce ansata (un'asta verticale cui si posa una 			orizzontale al cui centro è un cerchietto) che, nell'ermetismo 			egizio significa "chiave della Vita", spiegando così, con un facile 			simbolismo vegetale, lo "Ad Rosam per Crucem", cioè il pervenire 			all'Essenza per mezzo della Croce» 238. 			Non meno stupefacente è il significato che viene attribuito alle 			lettere I.N.R.I. Il significato di esse, alle estremità dei bracci,			 «dovrebbe essere "Jesus Nazarenus Rex Judaeorum". La scuola 			filosofica invece la fà corrispondere alle quattro iniziali delle 			quattro parole ebraiche il cui significato intrinseco si riferisce 			ai quattro elementi; dalle iniziali trae il bellissimo aforisma: "Igne 			Natura Renovatur Integra"» 239. 			I significati che si sono voluti attribuire alle quattro lettere 			(dato che «varie ragioni» consigliano «di essere 			estremamente prudenti nell'attribuire ai Vangeli un certo valore 			storico», come molto			spicciativamente (e senza cognizione di causa) dice il Gorel 			Porciatti 240, sono svariati e quindi 			hanno dato vita a numerosi altri aforismi che egli ripartisce «in 			tre grandi categorie: mistico-gesuistico-cattolica, 			ermetico-alchimistica, filosofica» 241. 			Chi avesse vaghezza di conoscerli tutti, non ha che da consultare il 			testo appena citato. Noi ci limitiamo ad accennare a perle come 			queste: «Ignatii Nationum Regumque Inimici», ossia «gli 			ignaziani (i gesuiti) sono i nemici delle nazioni e dei re»; 			 oppure: «Igne Nitrum Roris Inventur», ovvero «con il fuoco 			si trova il nitro (l'azoto)»! Già Alessandro Luzio , del resto, aveva notato che «i minori gregari 			[...] si gingillano con i simboli interpretati per loro "ad usum 			Delphini"». E cita, in nota: «Un esempio per tutti, datoci 			dal Preuss (cap. III). In alcune Logge di rito scozzese, al grado di 			Rosacroce si lavora con dinanzi un bel crocifisso e tanto d'INRI 			sovrapposto. Credete che si debba intender per tutti "Jesus 			Nazarenus Rex Judaeorum"? Sarebbe un'ingenuità il supporlo. Il "Jesus 			Nazarenus Rex Judaeorum" serve unicamente per i goccioloni che 			avessero scrupoli religioso-cristiani; ma per i più scaltriti c'è 			l’imbarazzo della scelta tra le interpretazioni eterodosse, putacaso 			queste: "Igne Natura renovatur integra" (naturalistica); "Igne 			nitrum roris invenitur" (alchimistica); "Iustum necare reges impios" 			(tirannicida); o un'altra interpretazione basata sulle iniziali di 			parole ebraiche, denotanti i quattro elementi»			 242.![]()  | 
| Due esempi dell'I.N.R.I. usato nella simbologia massonica. | 
Ma il culto fallico massonico non si 			limita alle irriverenze, per non dire di più, compiute sulla Croce. 			I massoni si dedicano ad un vero e proprio culto del fallo, fatto di 			cose concrete e non di simboli, fino ad ispirare ad esso una vera e 			propria morale e conformare a questa i proprî comportamenti. Nel 			giuramento di 1° Grado, quello di Apprendista, è detto, fra l'altro: 			 «Prometto e giuro di non attentare all'onore delle famiglie dei miei 			Fratelli» 243. E per le... altre? Ecco 			un commento della Rivista della Massoneria Italiana: «La 			Massoneria, per vivere, per prosperare e per essere utile a sé e 			all'umanità per cui lavora, deve sopprimere il prete, 			insegnare la sana morale, senza disgiungerla dal soddisfacimento dei 			bisogni della natura, e libera affatto d'ogni ipocrisia larvata, 			proseguire guardinga ma sicura, il suo corso conquistatore. Potrà 			esser certa di aver vinto il prete, il giorno in cui sarà 			padrone della donna, e questo giorno, purtroppo è assai lontano.			 La donna è del 			 
prete e col prete, perché questi la compiange, 			la perdona, e ne liquida i peccati a un tanto il braccio quando gli 			si presenta al confessionale. Il prete perdona le scappatelle delle 			fanciulle; il prete perdona le infedeltà delle maritate; il prete 			consola le vedove; e in santa emulazione col frate, ha una parola e 			un'opera per le attempate e le dimenticate! Noi invece, mentre 			desideriamo le mogli degli altri, mentre tendiamo reti alle 			sorelle e alle figlie degli altri, vorremmo che le nostre mogli, 			figlie e sorelle, portassero un cartellino sulla fronte, ove fosse 			scritto: "Guai a chi le tocca". Finché non daremo alle donne 			tutta la libertà e tutta l'istruzione possibile, finché non 			accorderemo loro perdono e tolleranza - giacché sono fatte come noi, 			ossa delle nostre ossa, e carne della nostra carne - le avremo 			sempre ossequienti e devote al prete, che in questo solo ha saputo 			seguire l'esempio di Cristo, il quale volle perdonare alla donna 			adultera» 244. Non proseguiamo con 			questo brano di prosa edificante, quando la Massoneria parlava 			chiaramente, dicendo pane al pane e vino al vino, perché il testo 			citato offre di per sé lo spunto e qualche breve commento. C'è da 			notare innanzi tutto con quale disprezzo la Massoneria tratta «il 			prete», il quale dovrebbe essere addirittura «soppresso»; ma questo 			è il solito tono e non fà meraviglia. Più notevole è l'acume con cui 			viene descritto l'atteggiamento del prete durante la confessione: 			perdono e buffetti a tutte, alle fanciulle un po' troppo vivaci, 			alle adultere, alle vedove e alle zitelle. Ecco perché «la donna 			è del prete e col prete»! Cosa fanno frattanto i nostri buoni 			massoni? Si limitano a desiderare le donne, anzi «le mogli degli 			altri», a tendere reti «alle sorelle e alle figlie degli 			altri»; tuttavia, con bella mentalità sultanesca, vorrebbero che 			le proprie mogli, figlie e sorelle «portassero un cartellino 			sulla fronte ove fosse scritto: "Guai a chi le tocca"»! Si 			impone dunque la conclusione ai massoni, così addestrati alla loro 			logica: bisogna staccare le donne dai preti (forse per poter più 			facilmente tendere loro reti). E quale il toccasana? Accordare 			«tutta la libertà e tutta l'istruzione possibile» alle donne 			(degli altri, si intende!), «perdono e tolleranza» e altre 			affermazioni dello stesso calibro. Così, una volta inteso l'ordine 			di idee in cui si muovono i massoni in questa materia, non fanno più 			meraviglia certi fatti. Ferdinando Ghersi (1798-1866) che «può essere ritenuto il primo Sovrano Gran Commendatore del Supremo 			Consiglio d'Italia in Torino dal 10 agosto 1864»			 245, come risulta da una lettera di 			Ludovico Frapolli del 7 luglio 1871, «vecchio nonagenario 			viveva con una giovane donna del popolo avente dei figli»			 246. Di Giuseppe Garibaldi 			(1807-1882), «primo Libero Muratore d'Italia»			 247, Sovrano Gran Commendatore e Gran 			Maestro del Grand'Oriente di Palermo 248, 			su questo argomento non diciamo nulla perché... di Garibaldi
 non si 			può parlar male! Chi avesse voglia di erudirsi, in materia, non ha 			che da leggere l’opera di Giacomo Emilio Curatulo (1864-1948) 			intitolata Garibaldi e le donne 249. 			In una memoria stampata su Pietro Cilembrini e la Reale Accademia 			Valdarnese del Poggio, letta in Montevarchi l'8 settembre 1889, 			leggiamo che questo sventurato (1817-1889), a diciassette anni «già vestiva l'abito talare [...] contro la propria 			vocazione, preferendo egli darsi alla medicina; ma il padre 			l'obbligò a farsi prete, forse a ciò indotto dai pochi mezzi e dalla 			facilità con la quale nella carriera ecclesiastica si raggiungeva a 			quel tempo un comodo stato» (pagg. 17-18). «Amò viaggiare 			fino a che glielo permisero le sue piccole rendite [...]. 			Viaggiò sempre vestito da secolare, avendo un sacro orrore per la 			veste talare e per il tricorno» (pag. 43). Con Decreto del 24 			maggio 1849, dopo la restaurazione, entrò in carica il Ministero Baldasseroni di cui faceva parte il senatore Leonida Landucci 			per l'Interno. Trascriviamo quindi, testualmente, quanto dice la 			memoria: «Il Landucci affettava un certo sentimento di 			benevolenza verso il nostro Pietro e, sotto la maschera del 			gentiluomo, lo invitava spesso alla sua villa sopra il Leccio. Il 			Cilembrini, quantunque conoscesse i veri sentimenti del senator Landucci verso di lui, pure vi andava, perché [...]. 			Perdonatemi voi specialmente, o signore gentili, se vi dico per 			intero il perché. Egli amava la conversazione delle donne belle; e 			dal ministro sembra che ve ne fossero a dovizia, compresa la moglie 			che era bellissima» (pag. 27). Ora, è documentato che il 			Cilembrini ebbe il diploma massonico di Maestro nella Loggia 			Amicizia di Livorno nel 1866, e poi, il 30 aprile 1867, veniva 			affiliato alla M. L. Capitolare Nuovo Campidoglio di Firenze. 			Non è da meno la Rivista della Massoneria Italiana, nella 			quale può leggersi una commemorazione di Giovanni Pantaleo 			(1832-1879), ex frate minore, «suocero del Gran Maestro Guido Laj»			 250, e cappellano maggiore di Garibaldi. 			Dopo un'entusiastica tirata sulle doti del Nostro, nel tracciare con 			tono roboante qualche linea della sua vita, così si esprime: «A 			Lione, il nostro Pantaleo conobbe la sua Camilla della quale poco 			dopo (nel 1870) fece la sua compagna, e si completò uomo»!			 251. Non è chiaro se tale completamento 			fosse necessario per fra Pantaleo, il quale non poteva considerarsi 			del tutto uomo prima di incontrare la Camilla e se siano 			indispensabili certe conoscenze per chiunque voglia chiamarsi uomo. 			Tuttavia, le espressioni rivelano una chiara mentalità. Un altro 			esempio: abbiamo qui, dinanzi a noi, un gruppo di ventitre lettere 			autografe di Andrea Costa (1851-1910), Fratello attivo della 			Loggia Rienzi e dell'Areopago di Roma 252, tra i fondatori 			del Partito Socialista. Sono lunghe lettere, dirette al Sen. 			Giacomo Ferri, dall'agosto 1906 all'agosto 1908, di carattere 			familiare, riguardanti litigi e la separazione dalla moglie Angelina 			a causa di un'amante che il Costa aveva a Bologna e non voleva 			piantare.
prete e col prete, perché questi la compiange, 			la perdona, e ne liquida i peccati a un tanto il braccio quando gli 			si presenta al confessionale. Il prete perdona le scappatelle delle 			fanciulle; il prete perdona le infedeltà delle maritate; il prete 			consola le vedove; e in santa emulazione col frate, ha una parola e 			un'opera per le attempate e le dimenticate! Noi invece, mentre 			desideriamo le mogli degli altri, mentre tendiamo reti alle 			sorelle e alle figlie degli altri, vorremmo che le nostre mogli, 			figlie e sorelle, portassero un cartellino sulla fronte, ove fosse 			scritto: "Guai a chi le tocca". Finché non daremo alle donne 			tutta la libertà e tutta l'istruzione possibile, finché non 			accorderemo loro perdono e tolleranza - giacché sono fatte come noi, 			ossa delle nostre ossa, e carne della nostra carne - le avremo 			sempre ossequienti e devote al prete, che in questo solo ha saputo 			seguire l'esempio di Cristo, il quale volle perdonare alla donna 			adultera» 244. Non proseguiamo con 			questo brano di prosa edificante, quando la Massoneria parlava 			chiaramente, dicendo pane al pane e vino al vino, perché il testo 			citato offre di per sé lo spunto e qualche breve commento. C'è da 			notare innanzi tutto con quale disprezzo la Massoneria tratta «il 			prete», il quale dovrebbe essere addirittura «soppresso»; ma questo 			è il solito tono e non fà meraviglia. Più notevole è l'acume con cui 			viene descritto l'atteggiamento del prete durante la confessione: 			perdono e buffetti a tutte, alle fanciulle un po' troppo vivaci, 			alle adultere, alle vedove e alle zitelle. Ecco perché «la donna 			è del prete e col prete»! Cosa fanno frattanto i nostri buoni 			massoni? Si limitano a desiderare le donne, anzi «le mogli degli 			altri», a tendere reti «alle sorelle e alle figlie degli 			altri»; tuttavia, con bella mentalità sultanesca, vorrebbero che 			le proprie mogli, figlie e sorelle «portassero un cartellino 			sulla fronte ove fosse scritto: "Guai a chi le tocca"»! Si 			impone dunque la conclusione ai massoni, così addestrati alla loro 			logica: bisogna staccare le donne dai preti (forse per poter più 			facilmente tendere loro reti). E quale il toccasana? Accordare 			«tutta la libertà e tutta l'istruzione possibile» alle donne 			(degli altri, si intende!), «perdono e tolleranza» e altre 			affermazioni dello stesso calibro. Così, una volta inteso l'ordine 			di idee in cui si muovono i massoni in questa materia, non fanno più 			meraviglia certi fatti. Ferdinando Ghersi (1798-1866) che «può essere ritenuto il primo Sovrano Gran Commendatore del Supremo 			Consiglio d'Italia in Torino dal 10 agosto 1864»			 245, come risulta da una lettera di 			Ludovico Frapolli del 7 luglio 1871, «vecchio nonagenario 			viveva con una giovane donna del popolo avente dei figli»			 246. Di Giuseppe Garibaldi 			(1807-1882), «primo Libero Muratore d'Italia»			 247, Sovrano Gran Commendatore e Gran 			Maestro del Grand'Oriente di Palermo 248, 			su questo argomento non diciamo nulla perché... di Garibaldi
 non si 			può parlar male! Chi avesse voglia di erudirsi, in materia, non ha 			che da leggere l’opera di Giacomo Emilio Curatulo (1864-1948) 			intitolata Garibaldi e le donne 249. 			In una memoria stampata su Pietro Cilembrini e la Reale Accademia 			Valdarnese del Poggio, letta in Montevarchi l'8 settembre 1889, 			leggiamo che questo sventurato (1817-1889), a diciassette anni «già vestiva l'abito talare [...] contro la propria 			vocazione, preferendo egli darsi alla medicina; ma il padre 			l'obbligò a farsi prete, forse a ciò indotto dai pochi mezzi e dalla 			facilità con la quale nella carriera ecclesiastica si raggiungeva a 			quel tempo un comodo stato» (pagg. 17-18). «Amò viaggiare 			fino a che glielo permisero le sue piccole rendite [...]. 			Viaggiò sempre vestito da secolare, avendo un sacro orrore per la 			veste talare e per il tricorno» (pag. 43). Con Decreto del 24 			maggio 1849, dopo la restaurazione, entrò in carica il Ministero Baldasseroni di cui faceva parte il senatore Leonida Landucci 			per l'Interno. Trascriviamo quindi, testualmente, quanto dice la 			memoria: «Il Landucci affettava un certo sentimento di 			benevolenza verso il nostro Pietro e, sotto la maschera del 			gentiluomo, lo invitava spesso alla sua villa sopra il Leccio. Il 			Cilembrini, quantunque conoscesse i veri sentimenti del senator Landucci verso di lui, pure vi andava, perché [...]. 			Perdonatemi voi specialmente, o signore gentili, se vi dico per 			intero il perché. Egli amava la conversazione delle donne belle; e 			dal ministro sembra che ve ne fossero a dovizia, compresa la moglie 			che era bellissima» (pag. 27). Ora, è documentato che il 			Cilembrini ebbe il diploma massonico di Maestro nella Loggia 			Amicizia di Livorno nel 1866, e poi, il 30 aprile 1867, veniva 			affiliato alla M. L. Capitolare Nuovo Campidoglio di Firenze. 			Non è da meno la Rivista della Massoneria Italiana, nella 			quale può leggersi una commemorazione di Giovanni Pantaleo 			(1832-1879), ex frate minore, «suocero del Gran Maestro Guido Laj»			 250, e cappellano maggiore di Garibaldi. 			Dopo un'entusiastica tirata sulle doti del Nostro, nel tracciare con 			tono roboante qualche linea della sua vita, così si esprime: «A 			Lione, il nostro Pantaleo conobbe la sua Camilla della quale poco 			dopo (nel 1870) fece la sua compagna, e si completò uomo»!			 251. Non è chiaro se tale completamento 			fosse necessario per fra Pantaleo, il quale non poteva considerarsi 			del tutto uomo prima di incontrare la Camilla e se siano 			indispensabili certe conoscenze per chiunque voglia chiamarsi uomo. 			Tuttavia, le espressioni rivelano una chiara mentalità. Un altro 			esempio: abbiamo qui, dinanzi a noi, un gruppo di ventitre lettere 			autografe di Andrea Costa (1851-1910), Fratello attivo della 			Loggia Rienzi e dell'Areopago di Roma 252, tra i fondatori 			del Partito Socialista. Sono lunghe lettere, dirette al Sen. 			Giacomo Ferri, dall'agosto 1906 all'agosto 1908, di carattere 			familiare, riguardanti litigi e la separazione dalla moglie Angelina 			a causa di un'amante che il Costa aveva a Bologna e non voleva 			piantare.![]()  | ![]()  | ![]()  | 
| Ludovico Frapolli | Giovanni Pantaleo | Andrea Costa | 
Sentiamo venire spontanea un'obiezione: «Ma queste cose 			succedono anche nelle... migliori famiglie cattoliche». 			 Purtroppo è vero, ma non certamente in forza della morale cattolica! 			Però non ci si venga a dire: «Sta di fatto che in poche famiglie, 			come in quelle dei massoni, la moralità e la religiosità permeano 			ogni contatto e sono fonte quotidiana di insegnamento e istruzione»			 253. Tutto sta ad intendersi come siano 			concepite la moralità e la religiosità, come abbiamo già visto. 			Difatti, nella Massoneria, lo stesso simbolismo fallico si ritrova 			in quello che può chiamarsi il suo stemma: la lettera «G» nel centro 			della Stella fiammeggiante a cinque punte. Per il Gorel Porciatti 			non sembra esservi alcun dubbio sulle relazioni tra il simbolismo 			fallico e la suddetta «G» (vedi sotto Tav. nº 3):

«Nel Pentagramma, che figura 			soltanto al secondo poi al 3º Grado la cosa è diversa: nel secondo 			siamo nel regno della Natura che geometrizza tutto, quindi il solo 			significato della "G" è "Geometria", così come indica il nostro 			rituale; nel 3º Grado, i Misteri della Natura vengono approfonditi e 			viene raggiunta la certezza che in essa nulla si crea, ma che tutto 			si genera, e perciò [...] il significato della "G" 			è Generazione. Concludiamo perciò che in seno al Pentagramma la 			lettera "G" significa "Geometria" per i Compagni e "Generazione" per 			i Maestri che sanno come dalla morte venga la vita, come il seme che 			muore generi la pianta che nasce» 254. 			Ci sia permesso riportare sull'argomento, in una nostra traduzione, 			un giudizio di Mons. Ernest Jouin (1844-1932), «prelato stimato e di gran cuore» 255, 			che, nel 1912, aveva fondato la Revue Internationale des Sociétés 			Secretes, «la più seria» 256 			tra quelle comparse in quel periodo. In un interessantissimo 			articolo su Lourdes e la Massoneria del tempo, Mons. Jouin dice: «La lettera "G" nel centro della Stella fiammeggiante a cinque 			punte, conferma col suo triplice significato i principî e lo scopo 			di questa società segreta, chiamata giustamente "Contre-Église" ("contro-chiesa") 			da uno dei suoi più ferventi adepti, F\ 			Limousin» 257. Trascriviamo il 			testo intero dell'articolo di M. C. Limousin «La Massoneria,			 Chiesa dell'eresia»: «La M\ 			è un'associazione, un'istituzione? [...] Non è così; è più di 			così. Solleviamo tutti i veli anche a rischio di provocare delle 			proteste. La M\ 			è una chiesa: la contro-chiesa, l'anticattolicismo,			 l'altra chiesa, la chiesa dell'eresia, 			del libero pensiero, poiché la Chiesa cattolica è considerata come 			la Chiesa tipo, la prima, quella del dogmatismo e dell'ortodossia»			 258. Continua Mons. Jouin: «Questa "G" 			significa anzitutto "God", la divinità esclusa da questo mondo con 			la rottura d'ogni rapporto confessionale e d'ogni dipendenza tra Dio 			e l'uomo: è la soppressione dell'ordine soprannaturale con la 			necessaria conseguenza del rovesciamento dell'autorità. Dunque, la 			"G" irreligiosa della Massoneria porta fatalmente all'anarchia con 			tutte le sue rovine. Questa "G" massonica significa poi "Geometria": 			la scienza che sbocca nella divinizzazione pagana dell'uomo o nel 			"superuomo" della cultura tedesca. L'uomo non è più quel che Dio 			l'ha fatto con la Creazione e la Redenzione: si tratta della 			soppressione dello stato soprannaturale con la necessaria 			conseguenza dell'instabilità di un ordine sociale nel quale la lotta 			per la vita diventa egoisticamente l'unica regola delle azioni umane 			e il fermento di continue rivoluzioni, nascosto sotto il nome 			fallace di uguaglianza e di fratellanza: chi potrà contare le rovine 			accumulate, sotto questo punto di vista, dalla Massoneria in due 			secoli? Finalmente, questa "G" significa "Generazione", cioè i 			simboli e gli atti dei culti fallici dell'antichità, l'umanità scesa 			nel fango, nel regno inferiore della scimmia che reputa sua 			antenata; da qui la soppressione della vita soprannaturale»			 259.
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| Mons. Ernest Jouin | Revue Internationale des... | 
Tuttavia, le notazioni sulla Stella 			fiammeggiante massonica non si esauriscono nella considerazione 			della grande importanza che assume nella simbologia e nell'accertato 			significato fallico che ha assunto la «G» che vi campeggia nel 			mezzo, perché va ancora notato come il simbolo della Stella 			fiammeggiante è ispirato, come gran parte della simbolica massonica, 			al corpo umano, come nel Ceschina già citato. Nel caso nostro, le 			cinque punte della Stella corrispondono alla testa e alle quattro 			estremità dell'uomo (vedi Tav. nº 4).
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La 			«divinizzazione pagana dell'uomo» (Mons. Jouin). 			Immagine estratta dall'opera di Oswald Wirth La Franc-maçonnerie 			rendue intellégible à ses adeptes («La Massoneria resa 			intelleginbile ai suoi adepti»). 
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Spiega il Gorel Porciatti:			 «La Stella Fiammeggiante che appare al Compagno vincitore delle			 attrattive terrene è la Stella del Genio Umano; ha 			cinque punte che corrispondono alla testa e alle quattro estremità 			dell'Uomo; è la Stella del Microcosmo che in Magia impersonifica il 			segno della Volontà Sovrana, cioè dell'irresistibile mezzo d'azione 			dell'iniziato. Per avere questo valore essa dev'essere tracciata in 			guisa da potervisi inscrivere una figura umana; deve cioè avere una 			punta in alto». «Se rovesciata, essa assume un 			senso diametralmente opposto, non è più il Pentalfa, la Stella 			dei Magi, l'emblema della libertà acquisita allo spirito che domina 			la materia, ma diventa il simbolo dell'animalità degli 			istinti immondi; in essa, così rovesciata, si può inscrivere la 			testa di un Becco» (vedi Tav. nº 5). «Nei catechismi 			massonici del (2º) Grado, alla domanda rivolta al Compagno: 			"Sei tu tale"?, questi risponde: "Conosco la Stella Fiammeggiante". 			La risposta è un poema che racchiude la visione cui ha fatto cenno»			 260.
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Il Becco di Mendes. 			Immagine estratta dall'opera di Oswald Wirth La Franc-maçonnerie 			rendue intellégible à ses adeptes («La Massoneria resa 			intelleginbile ai suoi adepti»). 
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Un ultimo particolare, che vale la 			pena di notare, è quello relativo alla prescrizione delle 			 «stellette» sul bavero delle divise militari italiane. Si ispirano 			esse alla simbologia massonica, come sostenevano i vecchi 			 «clericali», oppure l'adozione delle stellette ha altri significati 			che nulla hanno a che vedere con la Massoneria? Le 			 
stellette a 			cinque punte furono prescritte nel 1871, con una serie di 			provvedimenti diligentemente rievocati dalla rivista Storia 			illustrata. Per l'autore della citata pubblicazione, che 			rispondeva alla domanda se le stellette avessero relazione con lo 			 «Stellone» e se questo è il «simbolo della nazione», non è 			ravvisabile alcun collegamento: «Circa l'origine, si ritiene che la 			scelta della "stella" non abbia un particolare significato [...]. 			Una donna formosa, con una stella in fronte o sulla corona portata 			sul capo, era comune nelle figurazioni dell'Italia nell'800. È 			naturale che quella stella, che, per essere generalmente vistosa 			suggerì il vocabolo "stellone", sia assurta a simbolo delle fortune 			d'Italia. Troviamo la "stella" anche nello stemma della Repubblica. 			Possiamo quindi riconoscere, in questo segno di uso ormai 			centenario, un "simbolo" della continuità della nazione»			 261. Che le 			stellette dei nostri soldati non abbiano alcun «particolare 			significato», non ci pare, tuttavia, del tutto pacifico. Intanto, è 			bene notare che le varie prescrizioni delle stellette furono emesse 			quando era Ministro della Guerra il Generale Cesare Ricotti-Magnani 			(1822-1917). Padre Rosario Esposito conferma che il Ricotti-Magnani era 			massone. Aveva, infatti, soppresso i Cappellani Militari, la Messa 			festiva e «sostituì la croce di Savoia con la Stella massonica nelle 			uniformi dell'esercito» 262. Certamente, qualche dubbio può sorgere, 			per quanto non decisivo, se si pensa al significato che, già prima 			del 1871, aveva assunto la parola «stellone». 			Alfredo Panzini 			(1863-1939), nel suo Dizionario Moderno 263, alla voce «Stellone», 			 dice: «Lo stellone d'Italia, cioè la meravigliosa fortuna che 			assistette l'Italia nella storia del suo Risorgimento. Si dice 			anche: "Speriamo nello stellone"!, ossia nella fortuna della Patria; 			e si suole dire quando non si trovano argomenti più validi a bene 			sperare. Risale alle figurazioni simboliche dell'Italia sormontata 			dalla stella di Venere». Il deciso parere che le «stellette» siano 			un «regalo massonico», è chiaramente espresso dalla S\			 Maria Rygier 			(1885-1953), della Loggia Le Droit Humain, nel suo volume La Franc-Maçonnerie Italienne devant la guerre et devant le Fascisme 			(«La Massoneria italiana di fronte alla guerra e di fronte al 			fascismo»). Citiamo, in una nostra traduzione: «La Massoneria ha 			dato all'Italia il suo tesoro più prezioso: il
 Pentagramma sacro, e 			ha voluto che la Stella fiammeggiante fosse messa in mostra 			sull'uniforme dei soldati, indubbiamente perché la virtù magica del 			sangue, versato per la Patria, vitalizzasse l'augusto Pentacolo»			 264. Perché, «in materia tanto grave», 			 la sua «interpretazione personale potrebbe sembrare 			insufficiente», si riferisce «all'alta competenza massonica 			di F\ 			Giosuè Carducci», del quale cita alcuni versi della poesia 			 Scoglio di Quarto: «In quel vespero/ del cinque maggio [...]/ 			E tu ridevi, Stella di Venere/ Stella d'Italia». E poi commenta:			 «I competenti di scienze esoteriche sanno benissimo che la Stella 			di Venere, detta anche "Stella di Lucifero", quando sorge al 			mattino, è, precisamente, la Stella delle Iniziazioni. È proprio 			quella che [...] brilla sulla fronte degli Adepti, nell'ora 			della suprema Illuminazione, della liberazione indicibile. È l'anima 			stessa dell'Italia che sembra racchiusa, da una congiura potente, in 			questa Stella, che i nostri pittori e scultori mettono sulla testa 			dei simulacri della Patria; che, in pieno regime fascista, è 			illuminata, nei giorni di festa, sulle facciate o le sommità degli 			edifici pubblici, più in alto che i fasci littori; ma che nessun 			civile, sia donna che ragazzo, ha il diritto di mettere sul suo 			vestito» 265. E ancora: «L'Italia, infatti, circonda di un rispetto tanto geloso, di una 			volontà di possesso tanto esclusiva, il sacro Pentagramma, che, 			quando, nel 1918, formò le legioni straniere con prigionieri cechi, 			polacchi o rumeni che domandavano di combattere sotto le sue 			bandiere, essa permise loro di scegliere quel corpo scelto che 			desideravano, ma rifiutò loro le stellette, che solo i suoi figli 			hanno il privilegio di bagnare col proprio sangue»			 266.
stellette a 			cinque punte furono prescritte nel 1871, con una serie di 			provvedimenti diligentemente rievocati dalla rivista Storia 			illustrata. Per l'autore della citata pubblicazione, che 			rispondeva alla domanda se le stellette avessero relazione con lo 			 «Stellone» e se questo è il «simbolo della nazione», non è 			ravvisabile alcun collegamento: «Circa l'origine, si ritiene che la 			scelta della "stella" non abbia un particolare significato [...]. 			Una donna formosa, con una stella in fronte o sulla corona portata 			sul capo, era comune nelle figurazioni dell'Italia nell'800. È 			naturale che quella stella, che, per essere generalmente vistosa 			suggerì il vocabolo "stellone", sia assurta a simbolo delle fortune 			d'Italia. Troviamo la "stella" anche nello stemma della Repubblica. 			Possiamo quindi riconoscere, in questo segno di uso ormai 			centenario, un "simbolo" della continuità della nazione»			 261. Che le 			stellette dei nostri soldati non abbiano alcun «particolare 			significato», non ci pare, tuttavia, del tutto pacifico. Intanto, è 			bene notare che le varie prescrizioni delle stellette furono emesse 			quando era Ministro della Guerra il Generale Cesare Ricotti-Magnani 			(1822-1917). Padre Rosario Esposito conferma che il Ricotti-Magnani era 			massone. Aveva, infatti, soppresso i Cappellani Militari, la Messa 			festiva e «sostituì la croce di Savoia con la Stella massonica nelle 			uniformi dell'esercito» 262. Certamente, qualche dubbio può sorgere, 			per quanto non decisivo, se si pensa al significato che, già prima 			del 1871, aveva assunto la parola «stellone». 			Alfredo Panzini 			(1863-1939), nel suo Dizionario Moderno 263, alla voce «Stellone», 			 dice: «Lo stellone d'Italia, cioè la meravigliosa fortuna che 			assistette l'Italia nella storia del suo Risorgimento. Si dice 			anche: "Speriamo nello stellone"!, ossia nella fortuna della Patria; 			e si suole dire quando non si trovano argomenti più validi a bene 			sperare. Risale alle figurazioni simboliche dell'Italia sormontata 			dalla stella di Venere». Il deciso parere che le «stellette» siano 			un «regalo massonico», è chiaramente espresso dalla S\			 Maria Rygier 			(1885-1953), della Loggia Le Droit Humain, nel suo volume La Franc-Maçonnerie Italienne devant la guerre et devant le Fascisme 			(«La Massoneria italiana di fronte alla guerra e di fronte al 			fascismo»). Citiamo, in una nostra traduzione: «La Massoneria ha 			dato all'Italia il suo tesoro più prezioso: il
 Pentagramma sacro, e 			ha voluto che la Stella fiammeggiante fosse messa in mostra 			sull'uniforme dei soldati, indubbiamente perché la virtù magica del 			sangue, versato per la Patria, vitalizzasse l'augusto Pentacolo»			 264. Perché, «in materia tanto grave», 			 la sua «interpretazione personale potrebbe sembrare 			insufficiente», si riferisce «all'alta competenza massonica 			di F\ 			Giosuè Carducci», del quale cita alcuni versi della poesia 			 Scoglio di Quarto: «In quel vespero/ del cinque maggio [...]/ 			E tu ridevi, Stella di Venere/ Stella d'Italia». E poi commenta:			 «I competenti di scienze esoteriche sanno benissimo che la Stella 			di Venere, detta anche "Stella di Lucifero", quando sorge al 			mattino, è, precisamente, la Stella delle Iniziazioni. È proprio 			quella che [...] brilla sulla fronte degli Adepti, nell'ora 			della suprema Illuminazione, della liberazione indicibile. È l'anima 			stessa dell'Italia che sembra racchiusa, da una congiura potente, in 			questa Stella, che i nostri pittori e scultori mettono sulla testa 			dei simulacri della Patria; che, in pieno regime fascista, è 			illuminata, nei giorni di festa, sulle facciate o le sommità degli 			edifici pubblici, più in alto che i fasci littori; ma che nessun 			civile, sia donna che ragazzo, ha il diritto di mettere sul suo 			vestito» 265. E ancora: «L'Italia, infatti, circonda di un rispetto tanto geloso, di una 			volontà di possesso tanto esclusiva, il sacro Pentagramma, che, 			quando, nel 1918, formò le legioni straniere con prigionieri cechi, 			polacchi o rumeni che domandavano di combattere sotto le sue 			bandiere, essa permise loro di scegliere quel corpo scelto che 			desideravano, ma rifiutò loro le stellette, che solo i suoi figli 			hanno il privilegio di bagnare col proprio sangue»			 266.![]()  | ![]()  | ![]()  | 
| Cesare Ricotti-Magnani | Padre Rosario Esposito | S\ Maria Rygier | 
Curiosa anche la notizia che la Rygier 			fornisce sulla «Milizia» fascista: «Abbiamo affermato che il 			Pentagramma è il segno caratteristico dei soldati in Italia. C'è 			tuttavia un'eccezione, una sola, che però conferma la regola: la 			"milizia" fascista non porta le stellette. Mussolini ha profanato la 			maggior parte dei simboli cari all'Italia: anche il segno del 			braccio teso, che egli, nella sua ignoranza, ha preso per il "saluto 			romano", e che era invece il gesto del giuramento tra i Quiriti; 			quel gesto che eravamo tanto felici di fare, prima della "marcia su 			Roma", in onore della bandiera nazionale, al passaggio dei 			reggimenti, perché solo i colori della Patria possono essere 			salutati con un gesto che conferma la promessa di fedeltà. Qual mai 			potenza misteriosa ha trattenuto il "Duce", all'inizio del 1923, 			quando le "camicie nere" ricevettero uno statuto legale e furono 			assimilate agli altri corpi militarizzati, di dare alle sue brigate 			di assassini e di ladri, la Stella a cinque punte, conosciuta non 			solamente dai massoni, ma da tutti gli iniziati, in Oriente come in 			Occidente? Non mi incaricherò di rispondere a questa domanda. Mi 			limito solo a notare il fatto e a rallegrarmi che un grande 			infortunio sia stato risparmiato all'Italia: quello di esser causa, 			perché aveva adottato il Pentacolo dei Magi per suo emblema 			nazionale, di una profanazione ben più imperdonabile di tante altre»			 267. Un'altra informazione data dalla 			Rygier riguarda le elezioni che avrebbero poi portato alla 			dittatura: «Il 6 aprile precedente (1924), la Massoneria 			aveva dato il suo appoggio "discreto" alle candidature antifasciste, 			soprattutto a quelle dell'opposizione liberale. Quest'ultima aveva 			anche voluto ornarsi di un emblema rivelatore dei suoi legami con la 			Massoneria. Siccome la legge italiana prescriveva che le schede 			elettorali di ogni partito portassero un disegno simbolico, affinché 			gli elettori illetterati potessero facilmente distinguerli dalle 			liste concorrenti, la democrazia liberale del Sud, che riconosceva 			come suo capo F\ 			Amendola, adottò come segno rappresentativo la Stella a cinque 			punte, cosa che aveva numerosi precedenti nelle passate battaglie 			elettorali. La democrazia liberale del Nord, raggruppata intorno 			all’ex presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, fu ancora più audace: 			prese apertamente per insegna la Stella fiammeggiante, che mai fino 			allora era apparsa in Italia su stampe destinate a profani»			 268.
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Quando il massone 			presta giuramento promette di non rompere il silenzio rivelando ai 			 «profani» i «misteri» a cui viene iniziato, pena il castigo sopra 			descritto. 
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Vogliamo chiudere questa monografia, 			come l'abbiamo aperta, con un'altra citazione dell'allora Gran 			Maestro Giordano Gamberini, nella prefazione all'opuscolo 			celebrativo del primo centenario della Loggia Sabazia, a 			Savona, il 15 giugno 1969: «La Massoneria ha un solo modo di 			vincere: quando il mondo profano accoglie i suoi principî, quando 			questi divengono patrimonio definitivo e inalienabile dell'intera 			umanità, quando anche gli avversari si contraddicono e li professano 			come proprî» 269. Vorremmo che 			quanto abbiamo scritto servisse a mettere in guardia tanti, anche 			cattolici, che, sprovvedutamente, esaltano e reclamizzano certe 			idee, anche buone, ma fatte proprie dalla Massoneria solo per il 			raggiungimento dei suoi scopi. In parole povere, quello che occorre 			sempre, ma specialmente oggi, sono i principî chiari e precisi, con 			tanto amore per tutti; senza nessuna «chiusura» prefabbricata, ma 			anche senza «aperture» imprudenti con «dialoghi» che sono 			nient'altro che abbassamenti di... bandiera, per non usare la frase 			di Perpetua che ci stava per uscire dalla penna 			270. Certe realizzazioni massoniche vengono aiutate 			proprio da tanti, anche cattolici, almeno così si dicono, che non 			tengono conto della «filigrana» sulla quale sono impresse, col bel 			risultato che, così, aiutano la Massoneria a... vincere! Il trionfo 			definitivo sarà, certamente, quello di Cristo e della Sua Chiesa, 			come ci ha promesso il Signore: «Le porte dell'inferno non 			prevarranno contro di essa» (Mt 16, 18). Ma sarebbe troppo 			comodo dormire e lasciar fare tutto a Dio. La nostra cooperazione 			volenterosa sarà sempre necessaria e meritoria.

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Note
160 Cfr. S. Farina,			 op. cit., pagg. 33-34.
			161 Cfr. A. 			Pontevia, Cattolicesimo e Massoneria, Atanòr, Roma 			1948, pag. 72.
			162 Cfr. Paradiso, V, 18-24.
			163 Cfr. A. G. 			Bovio, op. cit., pagg. 14-15; cit. in P. G.			 Caprile s.j., 			Orientamenti fondamentali della Massoneria, pag. 369, nota nº 			 56.
			164 Cfr. Lumen Vitæ, agosto-settembre 1954, pag. 			11.
			165 Cfr. La Massoneria, Firenze, pag. 130.
			166 Ibid.
			167 Ibid., pag 70.
			168 Cfr. Primo Convegno Nazionale Massonico dei 			Professori e Docenti Universitari, Roma 1954, pagg. 38, 41.
			169 Cfr. La Massoneria, Firenze, pag. 72.
			170 Cfr. S. Farina,			 op. cit., pag. 412.
			171 Cfr. Età Nuova, novembre-dicembre 1950, pag. 			18.
			172 Cfr. Guadium et spes, § 4.
			173 Ibid., § 17.
			174 Ibid., § 13. L'Autore cita in positivo un 			documento del Concilio Vaticano II, il quale in altri punti del 			medesimo documento o in altre dichiarazioni (vedi Dignitatis 			Humanæ o Nostra Ætate) si avvicina non poco a concezioni 			massoniche quali la libertà religiosa o la dignità dell'uomo. Non a 			caso, dopo il Concilio, diversi religiosi fino a quel momento ostili 			alla sètta, ne sono divenuti i referenti favorevoli ad una 			riconciliazione (N.d.R.).
			175 Cfr. A. 			Lantoine, Le società segrete attuali in Europa e in 			America, Edinac, Roma 1949, pag. 49.
			176 Ibid., pag. 49.
			177 Cfr. L'Acacia Massonica, 1949, pag. 137.
			178 Cfr. Balaustra nº 1, del 12 aprile 1951, nº 3.
			179 Cfr. S. Farina,			 op. cit., pag. 93.
			180 Cfr. La Massoneria, Firenze, pag. 70.
			181 Cfr. La Massoneria rivelata agli italiani, 			pag. 70.
			182 Cfr. Onoranze al Gran Maestro della Massoneria 			Italiana Ugo Lenzi, pag. 26.
			183 Cfr. P. G. 			Caprile s.j., La Massoneria Città di Satana, Sala 			Francescana di Cultura, Assisi 1961, pag. 24. Lezione tenuta 			dall'Autore il 9 novembre 1958.
			184 Del 4 agosto 1968, pagg. 57-62.
			185 Cfr. Mondo Domani, del 13 ottobre 1968, pagg. 			3-4.
			186 Cfr. Mondo Domani, del 1º settembre 1968, pag. 			2.
			187 Cfr. Rivista della Massoneria Italiana, 			settembre 1968, pagg. 431-432.
			188 Cfr. S. Farina,			 op. cit., pag. 400.
			189 Ibid., pag. 401.
			190 Cfr. P. V., «Lo Stato nello Stato», in 			Rivista della Massoneria Italiana, del 15 gennaio 1879, pag. 5.
			191 Cfr. La Massoneria, Firenze, pag. 178.
			192 Cfr. Era Nuova, giugno 1956, pag. 19.
			193 Cfr. Don V. 			Longo, La Massoneria speculativa, Passicomo, Genova 			1896, vol. III, pagg. 420-421.
			194 Ibid., vol. III, pagg. 421-422.
			195 Ibid., vol. III, pag. 422.
			196 Ibid., vol. III, pag. 423.
			197 Cfr. Lumen Vitæ, 1956, pag. 150.
			198 Cfr. U. Gorel 			Porciatti, Simbologia Massonica: Massoneria Azzurra, 			pag. 38.
			199 Ibid., pag. 39.
			200 Cfr. Relazione della Riunione Annuale della Gran 			Loggia di Palazzo Giustiniani, del 30-31 ottobre 1954, pagg. 54, 			62.
			201 Cfr. U. Gorel 			Porciatti, Simbologia Massonica: Massoneria Azzurra, 			pag. 28.
			202 Cfr. G. Ciano,			 Diario 1937-1938, Cappelli, Bologna 1948, vol. I, pag. 217.
			203 Cfr. U. Gorel 			Porciatti, Simbologia Massonica: Massoneria Azzurra, 			pag. 26.
			204 Cfr. A. Lista,			 Le basi spirituali della Massoneria Universale, Ankh, Roma 			1946, pag. 22.
			205 Cfr. U. Gorel 			Porciatti, Simbologia Massonica: Massoneria Azzurra, 			pag. 39.
			206 Ibid., pag. 26.
			207 Ibid., pagg. 26-27.
			208 Cfr. A. Lista,			 op. cit., pag. 20.
			209 Cfr. Lumen Vitæ, 1959, pagg. 131-132.
			210 Cfr. U. Gorel 			Porciatti, Simbologia Massonica: Massoneria Azzurra, 			pagg. 51-52.
			211 Così Eliphas Levi.
			212 Cfr. U. Gorel 			Porciatti, Simbologia Massonica: Massoneria Azzurra, 			pagg. 53-54.
			213 Ibid., pag. 54, nota nº 15.
			214 Atanòr, Todi 1922, pag. 102.
			215 Cfr. E. Levi,			 Dogme de la Haute Magie, pag. 125.
			216 Cfr. A. Lista,			 op. cit., pagg. 59-60.
			217 Cfr. Mons. H. 			Delassus, Il problema dell'ora presente: antagonismo fra 			due civiltà, Desclée, Roma 1907, vol. I, pag. 611.
			218 Cfr. Civiltà Cattolica, s. XII, vol. V, pag. 			11, 12-13.
			219 Ibid.
			220 Ibid., pagg. 16-17.
			221 Cfr. P. J. 			Berteloot s.j., op. cit., vol. I, pag. 67.
			222 Cfr. Rituali Massonici del Primo e del Trentesimo 			Grado, Roma 1874, pag. 7,
			223 Ibid., pag.100.
			224 Cfr. Lumen Vitæ, 1959, pag. 132.
			225 Cfr. Il Regno, maggio 1960, Bologna, pag. 4.
			226 Cfr. R. 			Ascarelli, op. cit., pag. 132. Leggere al contrario è 			una pratica tipica dell'interpretazione magica (cabalistica).
			227 Cfr. L'Acacia massonica, ante 145.
			228 Cfr. Rivista della Massoneria Italiana, del 1º 			 settembre 1876, pag. 2.
			229 Ibid., pag. 4.
			230 Cfr. Civiltà Cattolica, s. X, vol. I, pag. 			108.
			231 Cfr. Voce Pelasga, del 16 agosto 1876, pag. 9.
			232 Cfr. La Massoneria, Firenze, pag. 62.
			233 Cfr. S. Farina,			 op. cit., pag. 328.
			234 Cfr. U. Gorel 			Porciatti, Simbologia Massonica: Gradi Scozzesi, pag. 152.
			235 Ibid., pagg. 163-164.
			236 Ibid., pag. 164, nota nº 18.
			237 Ibid., pag. 166.
			238 Ibid., pag. 167.
			239 Ibid., pag. 170.
			240 Ibid., pag. 170, nota nº 23.
			241 Ibid., pag. 177, nota nº 28.
			242 Cfr. A. Luzio,			 La Massoneria e il Risorgimento Italiano, Zanichelli, Bologna 			1925, vol. I, pag. 55 e nota nº 1.
			243 Cfr. S. Farina,			 op. cit., pag. 68.
			244 Cfr. Rivista della Massoneria Italiana, del 15 			febbraio 1879, pag. 43.
			245 Cfr. P. 			Maruzzi, Opere per una biblioteca massonica, Tip. del 			Senato di Giovanni Bardi, Roma 1921, pag. 78, nº 475.
			246 Cfr. U. Bacci, 			op. cit., vol. II, pag. 312.
			247 Ibid., pag. 269.
			248 Cfr. C. 			Patrucco, Documenti su Garibaldi e la Massoneria 			nell'ultimo periodo del Risorgimento, Boffi, Alessandria 1914, 			pag. 11.
			249 Imprimerie Polyglotte, Roma 1913.
			250 Cfr. L'Acacia massonica, 1948, pag. 142.
			251 Cfr. Rivista della Massoneria Italiana, 15-30 			luglio 1879, pag. 215.
			253 Cfr. Rivista della Massoneria Italiana, 1970, 			pag. 105.
			254 Cfr. U. Gorel 			Porciatti, Simbologia Massonica: Massoneria Azzurra, 			pag. 114.
			255 Cfr. A. Mellor, 			op. cit., pag. 257.
			256 Ibid.
			257 Cfr. Revue Internationale des Sociétés Secretes, 			del 7 giugno 1925, pag. 396.
			258 Cfr. Acacia, dicembre 1913, Roma, pag. 201. 			Rivista mensile massonica del Rito Simbolico Italiano.
			259 Cfr. Revue Internationale des Sociétés Secretes, 			del 7 giugno 1925, pagg. 396-397.
			260 Cfr. U. Gorel 			Porciatti, Simbologia Massonica: Massoneria Azzurra, 			pag. 112.
			261 Maggio 1966, Milano, pag. 4.
			262 Cfr. P. R. F. 			Esposito, op. cit., pag. 273.
			263 1950, pag. 663.
			264 Cfr. M. Rygier,			 op. cit., Gloton, Parigi 1930, pag. 32.
			265 Ibid.
			266 Ibid., pag. 33.
			267 Ibid., pag. 34.
			268 Ibid., pagg. 259-260.
			269 Cfr. Valle del Letimbro: Primo Centenario della 			Risp. Loggia Madre "Sabazia" all'Oriente di Savona, Grafica L.P., 			Genova 1869/1969, pag. 5.
Fonte:
















