l Il culto della Libertà
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l Il materialismo massonico |
l Il simbolismo massonico |
l Conclusione |
PARTE SECONDA
L'altro pilastro del credo massonico è la libertà. Nella Dichiarazione di Principî (Losanna, 1875) è detto: «La Massoneria pone come principio che il Creatore supremo ha dato all'uomo, come il bene più prezioso, la libertà [...] raggio così luminoso che nessun potere ha il diritto di spegnere o di offuscare» 160, «dono intangibile e sacrosanto» 161. Lo sapevamo già da... Dante Alighieri (1265-1321): «Lo maggior don che Dio per sua larghezza/ Fesse creando, ed alla sua bontate/ Più conformato, e quel ch'Ei più apprezza/ Fu della volontà la libertate/ Di che le creature intelligenti/ E tutte e sole, fuoro e son dotate» 162. Il primo requisito della libertà però, così come è intesa dalla Massoneria, è il suo indissolubile legame con il concetto di ragione esposto prima. «La Libertà è costituita dalla pienezza della Ragione» 163; questa, come abbiamo visto, é completamente autonoma e non si determina per effetto di verità rivelate o di altre costrizioni «esterne». Ne consegue che la libertà consiste nell'esclusiva obbedienza alla propria ragione, e che agire liberamente significa sottoporsi solo alle leggi razionali della natura. Già abbiamo veduto come l'antidogmatismo massonico sia ispirato ad un concetto assoluto, assorbente e sfrenato di libertà. Giacché, prima di tutto, la libertà massonica è libertà di pensiero che comprende libertà dello spirito, del giudizio, della critica, «indagine razionale, senza limiti, che autogiustifica i propri principî» 164. È chiaro che una simile libertà senza limiti trova modo di esercitarsi in campo religioso, dove si postula «la piena libertà di tutti i culti e di tutte le fedi» 165, e dove non significa altro che libertà «di pensare e di credere secondo la propria ragione e la propria coscienza» 166, «libera da dogmi scientifici e religiosi» 167. Ma è anche libertà da tutte le fedi: «Nessuna larvata ed esplicita coartazione si eserciti dalle confessioni (religiose) sull'intelletto, sul lavoro e sulla coscienza dell'uomo di scienza [...]. L'uomo di sapere [...] deve incitare i suoi simili alla critica che li salva dalla pressione esercitata dai miti religiosi» 168, e deve aspettarsi «le proprie conquiste dall'indagine spregiudicata e sciolta da ogni vincolo di postulato e di dogmi» 169. La libertà di pensiero chiaramente non può andare disgiunta dalla libertà di coscienza la quale «non è soltanto un diritto naturale risultante dal libero arbitrio, ma è pure una conseguenza logica e necessaria dell'impotenza che abbiamo di rappresentarci l'Assoluto altrimenti che con simboli inadeguati e perfettibili» 170. Siamo nel campo della libertà sconfinata i cui limiti sono troppo vaghi e indefiniti, giacché la Massoneria è pronta a negare libertà di pensiero e di coscienza a chi abbia accettato qualsiasi dogma o rivelazione: «Non esiste libertà di pensiero per chi sia disposto ad accettare i vincoli di ossequio ad affermazioni di principî dogmatici, che tendono a sottrarre al controllo della ragione umana, nonché all'indagine scientifica, i personali convincimenti» 171. Il Gran Maestro Gamberini, nel suo manifesto del 20 settembre 1968, ribadisce questa idea: «Molti hanno compresa, in questi ultimi mesi, l'impossibilità di conciliare la libertà di coscienza con un magistero gerarchico eretto a dogma di fede». Conseguenza inevitabile di queste impostazioni è, nel campo della libertà morale, la libertà d'azione e di indagine, il naturalismo massonico professa un ottimismo illimitato nelle doti e nella bontà della natura umana: è logico, quindi, che l'indagine della ragione umana sia considerata sufficiente per il raggiungimento della verità. E anche l'azione dell'uomo, libero dall'idea del peccato e della colpa, non angustiato dall'idea di sanzioni ultraterrene, non può essere che buona, tutta racchiusa com'è nella vita presente. La morale autonoma fà sì che si debba rendere conto del proprio operato solamente alla propria coscienza.
Alcune tra le tante statue o stampe dedicate dalla Massoneria americana al culto della Libertà. |
Al contrario, la dottrina cattolica insegna che «mai come oggi gli uomini hanno avuto un senso così acuto della libertà, e intanto si affermano nuove forme di schiavitù sociale e psichica [...]. Aumenta lo scambio delle idee, ma le stesse parole con cui si esprimono i più importanti concetti assumono nelle differenti ideologie significati assai diversi» 172. «L'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà, quella libertà cui i nostri contemporanei tanto tengono e che ardentemente cercano, e a ragione. Spesso però la coltivano in malo modo, quasi sia lecito tutto quel che piace, compreso il male. La vera libertà, invece, è nell'uomo segno altissimo dell'immagine divina. Dio volle, infatti, lasciare l'uomo "in mano al suo consiglio" (Qo 15, 14), così che esso cerchi spontaneamente il suo Creatore, e giunga liberamente, con la adesione a Lui, alla piena e beata perfezione. Perciò, la dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali, e non per un cieco impulso interno o per mera coazione esterna. Ma tale dignità l'uomo la ottiene quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine con scelta libera del bene, e si procura da sé e con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti. La libertà dell'uomo, che è stata ferita dal peccato, può rendere pienamente efficace questa ordinazione verso Dio solo con l'aiuto della grazia divina. Ogni singolo uomo, poi, dovrà rendere conto della propria vita davanti al Tribunale di Dio, per tutto quel che avrà fatto di bene o di male (2 Cor. 5, 10)» 173. «Quel che ci viene manifestato dalla Rivelazione divina, concorda con la stessa esperienza. Infatti, se l'uomo guarda dentro al suo cuore si scopre anche inclinato al male e immerso in tante miserie che non possono certo derivare dal Creatore che è buono. Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l'uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo ultimo fine, e al tempo stesso tutto il suo orientamento sia verso sé stesso, sia verso gli altri uomini e verso tutte le cose create [...]. Nella luce di questa Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima la sublime vocazione e la profonda miseria che gli uomini sperimentano» 174. La Massoneria, invece, sostiene di saper tradurre anche nel campo politico e in quello dei quotidiani rapporti con altre correnti le idee di libertà che mostra nel campo del pensiero e della morale, mentre condanna come «criminale e stupida» la cosiddetta intolleranza della Chiesa nel difendere la verità, la Massoneria, si atteggia addirittura a «religione della tolleranza» 175, per essere «indiscutibilmente la sola associazione che possa menar vanto di tale virtù» 176, consentendo «ai suoi adepti piena libertà di opinioni in merito all'inconoscibile e all'ignoto» 177. Il Sovrano Gran Commendatore Domenico Maiocco, mal celando l'ostilità preconcetta verso la verità rivelata, sostiene che chi pratica questa «religione della tolleranza», cioè il massone, deve sempre conservare «piena libertà di spirito da ogni dogmatismo, riconoscendo che la verità, totale o parziale, non è prerogativa di nessun individuo né di nessuna associazione di uomini» 178. Si possono leggere, su questa materia, brani interi di prosa massonica del tutto concilianti e tranquillizzanti: «I pregiudizi che la Massoneria si sforza di combattere sono sopra tutto quelli che tendono a separare gli uomini con delle divisioni esclusive sorte dalla diversità delle loro credenze, credenze che la Massoneria rispetta tutte, quando siano professate in buona fede» 179. Non sembra tuttavia che, nella pratica massonica, le opinioni altrui godano del medesimo rispetto che si tributa loro a parole. Se pure si voglia tacere del livore e della faziosità che trasudano da certi scritti massonici, non si può passare sotto silenzio l'abile campagna con la quale la Massoneria copre un'irriducibile ostilità verso le dottrine che si rifanno alla Rivelazione. Questa ostilità si manifesta sin dai primi insegnamenti impartiti in Loggia. All'adepto, con una lenta, paziente e sottile educazione, viene subito detto che deve guardarsi dal «fanatismo» e dalla «superstizione», che deve ripudiare il «dogmatismo» delle religioni, che deve adottare il metodo del «libero esame» sgombro da «vincoli dogmatici e fideistici» 180. Come può facilmente capirsi, si tratta di un vero e proprio «lavaggio del cervello» praticato fin dai primi gradini della scala massonica. È precisamente qui che la tanto decantata «tolleranza massonica» mostra il suo vero volto: si palesa cioè una tattica abile e, assai spesso, fruttuosa per irretire i superficiali. È vero che la Massoneria mostra la massima condiscendenza e apertura verso le più svariate dottrine filosofiche e manifestazioni di pensiero, anche le più strane. Quello che in nessun modo si tollera è che il massone possa avere una fede e possa «mostrarsi debole» verso la verità rivelata. Così, con il pretesto di insegnare ad essere liberi e spregiudicati, si pone in essere un'insidia permanente per la fede degli iscritti, soprattutto quella cattolica. Se dunque la «virtù della tolleranza» è utile a diffondere il relativismo teoretico ed etico, d'altra parte serve a stroncare qualsiasi substrato fideistico nell'adepto: e questo fà con una faziosità tale da costituire un vero attentato alla libertà della coscienza individuale. La parola «tolleranza», per la Massoneria, è una parola ben strana e con ancor più strani significati. Sarebbe tollerante e di animo manifestamente liberale che guarda ai fedeli di qualsiasi religione (specialmente quella cattolica) con occhi pieni di commiserazione come a coloro «cui non è dato di intendere o di vedere» 181, come chi professi ancora «l'ingenua fede [...] dell'infanzia» 182, come a vittima di meschini pregiudizi. Francamente, non pare eccessivamente tollerante gratificare di superstizioso, quando non di fanatico, chi ha il solo torto di attendere al culto di Dio e alla pratica dei Sacramenti. Ma, nessuna meraviglia: è il tono solito e gli argomenti usuali dell'intolleranza massonica! Questa si applica, purtroppo, anche ai suoi iscritti, ai quali naturalmente, promette piena... libertà! Diceva Padre Caprile: «Intanto (li) vincola con un solenne giuramento all'ubbidienza più assoluta, più cieca, più completa. Ad un'ubbidienza che tiene solo di mira gli interessi della sètta; alla sottomissione verso capi spesso sconosciuti, per fini spesso non confessati [...]. Come in poche altre associazioni il massone è una pura pedina in un gioco, di cui il più delle volte gli sono nascoste le mosse. Questa restrizione della libertà individuale si rende ancor più chiara quando qualcuno vuole abbandonare la sètta [...]. Innumerevoli difficoltà vengono frapposte a chi, una volta iscritto, decide poi di ritirarsi. Il ripetersi di tali casi, mostra almeno uno stile, se non proprio una consegna» 183. Un esempio concreto: la rivista Mondo Domani pubblicò i nomi dei «563 Fratelli di Firenze» 184, che però, secondo una lettera anonima di «un vecchio massone fiorentino» non corrispondeva «neppure ad un terzo dei massoni fiorentini» 185. Fra questi nomi figurava quello del Dr. Salvatore Di Stefano, ex Questore di Bologna e di Roma, e poi consigliere della Corte dei Conti. Questi, molto coraggiosamente, scriveva alla rivista di essere «già da tempo ritornato alla fede cristiana, che con tanto amore mi inculcò mia madre» 186. La risposta del Gran Maestro Gamberini fu piuttosto... acida 187: Intanto, «per misericordia» non ne fà il nome; poi continua (badare al tono!): «Difficilmente si troverà nella nostra comunione chi intende la "fede cristiana" com'è probabile che la intendesse la sua compianta madre». Quindi gli rimprovera «l'antimonia che ella dà per scontata, fra Massoneria e fede cristiana». Dopo aver fatto questione di date, che noi non abbiamo potuto riscontrare, termina: «La sua cura a che si creda alla sua sincerità di oggi ci dimostra che ella, con un'altra fede, ha abbracciato anche un'altra morale», diversa, naturalmente, da quella massonica che dovrebbe essere, per il Gamberini, la «Bocca della Verità». Buon per il Di Stefano che non si parli di deferimento al... Tribunale Massonico del 31° Grado che, come vedremo in seguito, ancora esiste. A chi è abituato a considerare come un grande progresso giuridico la Legge Siccardi che, dopo aspre lotte, nel 1850, fece approvare l'abolizione del Foro ecclesiastico, sembra di sognare!
Preme ora sottolineare un'altra importante caratteristica del naturalismo massonico: esso appare di stretta marca materialistica. Abbiamo già accennato, trattando del G\A\D\U\, ad alcune interpretazioni panteistiche della realtà. Ora precisiamo che, molto spesso, si tratta di un panteismo materialistico; nella sostanza, almeno, più che nella forma, per quanto non manchino anche affermazioni formali. «In fondo al Tempio, dietro la scala delle conoscenze pratiche, voi intravedete un focolare misterioso che non si rivela che per i suoi raggi. Tale è probabilmente il miglior simbolo della Realtà assoluta della quale la logica proclama l'esistenza, quando a mezzo del pensiero si sopprimono tutti i limiti di durata e di spazio. Vi è là un'immagine che può egualmente venire accettata dalla religione e dalla scienza [...]. È ciò che nel linguaggio simbolico della filosofia contemporanea viene chiamato Energia [...]. L'Energia, condensandosi nell'etere, attraverso una serie di tappe che la scienza comincia a presentire, ha generato l'atomo, nel quale essa si manifesta sotto la doppia forma condensata e di forza viva, la prima che si trasforma in un punto di resistenza nello spazio ed è la materia, la seconda che si rivela per i suoi modi di attività, trasmutabili gli uni e gli altri, e che noi chiamiamo movimento, calore, luce, elettricità, volontà, ed è la Forza nelle sue multiple e incompletamente conosciute manifestazioni» 188. E ancora: «L'Energia, per mezzo della quale si rivela la Realtà che serve di base all'Universo, appare, tanto nel mondo morale che in quello fisico, come il Potere eterno che lavora per l'armonia» 189. Potremmo continuare, ma ci limitiamo alla citazione del solo Farina che è fonte troppo autorevole per essere discussa. Del resto, quanto abbiamo detto fin qui sul naturalismo massonico è più che sufficiente a mostrare come la destinazione inevitabile di tale naturalismo sia la materia e il materialismo; non altrimenti dovrebbe concludere chi, come i massoni, mostra di credere ad un'unica realtà: quella che molto concretamente vede, sente e tocca, i cui scopi e finalità sono ristretti al solo ambito terreno e, dentro quest'ambito, li persegue con tale grettezza da rendere perfino imbarazzante un discorso in termini filosofici. A prova, citiamo un brano che può definirsi «programmatico»: «Datemi un'istituzione come la nostra, la quale in ogni più riposto angolo della Terra, ha una mente che pensa, che si agita, che combatte, per il bene della patria e dell'umanità; datemi il risultato di lunghe e serene discussioni fatte nelle varie camere e nelle varie Logge; e a queste aggiungere una forza intelligente, diretta e direttrice ad un tempo, che metta in pratica il frutto di tanti uomini onesti e illuminati, e avrete davvero il bene del Paese, avrete risposto ai bisogni di tutte le classi dei parassiti che sotto una forma o sotto un'altra vogliono vivere all'ombra del dolce far niente, e fra questi, primi, i sacerdoti d'ogni razza e colore. E non è tutto. Datemi una forza di denaro, ma specialmente di istruzione e di buon volere, una forza di oneste influenze (!!!), che permetta riparare ai torti ricevuti dai Fratelli, che permetta aiutarli nelle loro necessità, che permetta loro - perché non dirlo? - di occupare i primi posti nelle arti, nei commerci, nelle professioni, nei pubblici uffici, e avremo restituito la fiducia nell'istituzione, la forza alla disciplina, la moralità assoluta in tutti i Fratelli. E quando la Massoneria avrà bisogno di tutti i suoi figli, li sentirà volenterosi, gagliardi e possenti, rispondere in gran numero come un solo uomo all'appello, e lavorare e ottenere quello che si vuole. Se invece, noi ci dovremo limitare ad aspirazioni platoniche, se dovremo lasciare quotidianamente dormire neghittosi negli archivi delle Logge i nostri ordini del giorno, se continueremo a trovarci impotenti di fronte ai bisogni più urgenti dei nostri Fratelli, vincerà a poco a poco lo scoraggiamento anche nei più fiduciosi, e la Massoneria morirà di consunzione» 190. Dopo quasi novant'anni, il programma massonico resta immutato e riflette sempre un accentuato materialismo: i massoni hanno bisogno di denaro, insomma, per «aiutare i Fratelli nelle loro necessità»; vogliono, per mezzo di «oneste influenze», s'intende, i primi posti nelle arti, nei commerci, nelle professioni, nei pubblici uffici e - perché non dirlo - nella politica. Allora sì, sentirà i suoi figli rispondere volenterosi all’appello! Riportiamo, a dimostrazione di quanto abbiamo detto, due testi massonici: Uno del 1945: «In ciascuna Officina deve curarsi l'inscrizione di Fratelli influenti nel mondo profano: nelle Officine bisogna porre in rilievo i dannosi regimi sociali, politici e religiosi, in modo da poter ivi seminare efficacemente le vere dottrine massoniche; curare le classi dirigenti, la cui istruzione ed ambizione, costituiscono, per le teorie massoniche un terreno assai adatto ad un buon sviluppo» 191. L'altro del 1956: «Si è costituita presso la sede del Governo dell'Ordine la Commissione di Assistenza tecnica a disposizione di tutti i Fratelli che hanno bisogno di assistenza in questioni particolarmente legate alle funzioni generali e amministrative della Capitale. Della Commissione fà parte anche un ufficio di consulenza, per cui essa è in grado di dedicarsi ai più disparati affari (pratiche ministeriali, consulenza tributaria, soccorso sociale, perizie tecniche di qualsiasi genere» 192. Ecco dunque la molla che riesce a far più fiduciosi gli appartenenti alla rispettabile Società. Altro che formazione delle coscienze e costruzione dell'uomo nuovo: sono tutte «aspirazioni platoniche»! Accanto alle dichiarazioni di comodo, qualche massone cerca di dare un quadro esatto della realtà; però, quando non manifesta preoccupazioni troppo concrete, rivela una concezione materialistica del reale che, filosoficamente, è abbastanza dozzinale. Così, ad esempio, F\ Ampelio Magni, già Venerabile della Loggia La Concordia di Firenze nel 1881, stampava sulla Strenna della Rivista della Massoneria Italiana 1890-1891, sotto il titolo «La Dottrina Umana»: «Prima delle religioni con i loro dogmi e colla loro fede era la Terra, gli animali, le piante e gli uomini. Nell'uomo era quanto agli animali, alle piante, alla terra mancava. Vi era il pensiero, ardito, indagatore, ragionante. L'uomo vide la natura; sentì il bisogno. A contatto dell'umano consorzio apprese il bene e il male; si trovò avvolto da aberrazioni, pastoie, tracotanze. Vide gli uomini affaticarsi ad erigere altari e troni, fondare credenze e imperi; vide il sovrapporsi delle classi sociali; né sempre poté darne cagione all'impellente necessità. Frammezzo a tutto ciò si svegliò per intuito nella sua mente e si scolpì nel suo cuore una dottrina di facile intendimento, la quale ingenerò una credenza, semplice, veritiera, sublime» 193. Si può subito vedere quanto sia semplicistica l'impostazione e come sia patetico nell'autore il tentativo di essere originale. Però, l'indulgenza che può nutrirsi verso di lui si dilegua quando si arriva alla bestemmia: «Girato lo sguardo attorno, l'uomo si raccolse in sé stesso, e istintivamente pronunciò il suo "Credo":
- Credo nella eterna Materia Madre, di cui ignoro e sempre ignorerò l'origine e la fine;
- E nell'Uomo suo prediletto Figlio; capace - nell'ingegnoso sviluppo della sua mente, nella lotta contro i bisogni, nel socievole umano consorzio - di ogni opera buona e cattiva;
- Il quale dalla Materia fu concepito e nacque dalla Terra, che lo sostiene e lo nutre;
- Patì sotto le convulsioni telluriche, sotto le ferocie del dispotismo sacerdotale e autocratico, sotto le prepotenze e disuguaglianze fisiche e sociali; fu carcerato, torturato, messo in croce, sul rogo, sulle forche, sotto la mannaia e... non sempre venne sepolto;
- Discese nelle gemonie del vizio e della viltà; risuscitando ad ogni nuova generazione;
- Salì alla sublimità della virtù e della gloria e siede accanto al Vero;
- Di là ha da venire con verità e giustizia a giudicare buoni e malvagi, ricchi e poveri, sapienti e ignoranti, potenti o tapini, i vivi ed i morti;
- Credo nel Pensiero, sovrana causa, spirito vivificatore e potente fattore di ordine, di agitazioni, di disordini;
- Credo nel genio, nell'ingegno, nella virtù, derisi, vilipesi, perseguitati, soffocati dai sacerdoti di ogni tempo e Paese, dalla cattolica inquisizione, dalla paurosa autocrazia dei tiranni di ogni stampo, giammai asserviti, uccisi, sepolti;
- Credo alla coscienza onesta, alla comunione dei martiri per il principio della Fratellanza e per il trionfo dell'umanità;
- Al perdono delle offese riparate; alla redenzione del vizio, e alla perfettibilità umana;
- Alla vita intemerata e alla memoria duratura. E così sia» 194.
Il brano citato è la disinvolta esposizione dei consueti temi massonici, quando la Massoneria usava parlare chiaramente. Quello che stupisce è la meditata insistenza della vena blasfema: «Dopo la sua affermazione l'uomo ebbe un fremito nel cervello, si riscosse, e dal pensiero gli uscì una invocazione. Recitò il "Pater":
- O padre mio, o Vero, che leggi nelle menti e nei cuori umani:
- Sia glorificato il tuo santo nome;
- Venga presto il tuo regno;
- Sia fatta la tua Luce come nel pensiero, così nella coscienza;
- Dammi oggi il pane quotidiano: lo scibile;
- E rimettimi il peccato dell'odio per gli ingannatori, come rimetter
devo quello dei dogmi, dei soprusi, e delle sentenze ingiuste dei preti, alle polizie e ai giudici;
devo quello dei dogmi, dei soprusi, e delle sentenze ingiuste dei preti, alle polizie e ai giudici;
- E fà che non sia indotto nella tentazione del dubbio;
- Ma liberami dall'errore e dal falso. Così sia» 195.
Francamente, non è agevole commentare un brano di prosa così... ispirato! È preferibile trascrivere l'ultimo... capolavoro uscito dalla penna di F\ Magni. L'uomo, di cui sopra, «trasse dal petto un respiro di sollievo e superbamente batté col piede la terra. Ma si ravvide e baciando la zolla calpestata, fece un saluto e una preghiera, recitanto l'"Ave": "Ave, alma Terra, piena di grazia; l'eterna materia è con te, tu sei benedetta tra gli astri del firmamento: e benedetto è il gran frutto del ventre tuo, l'Uomo, Santa Terra, madre dell'Uomo, svela ogni tuo mistero adesso e nell'ora della morte. Così sia. E i tre così sia augura siano davvero per il bene dell'umanità» 196. Quanto finora abbiamo detto ci sembra mostri, a sufficienza, quale sia la vera portata del naturalismo massonico e come le quotidiane molteplici mascherature massoniche non valgano a celare la natura spregiudicatamente materialistica di questa istituzione.
Stampe anticlericali di chiara matrice massonica. |
Il quadro che abbiamo delineato non sarebbe completo se non facessimo abbondantemente menzione del momento centrale del naturalismo massonico che è il simbolismo, nel quale vengono a confluire tutte le tendenze finora citate. Il «Libero Muratore», dal momento del suo ingresso in Loggia, si trova dinanzi ad una quantità incredibile di simboli, più o meno accessibili; deve vedersela con le molteplici «parole sacre e di passo» di cui, secondo i più illuminati dei massoni, dovrebbe conoscere il significato letterale e simbolico. I riti massonici, pieni di detti simboli, non sono il retaggio inutile di una tradizione tenuta in piedi dalla forza d'inerzia e dalla staticità massonica; sono invece gli strumenti più efficaci per ottenere dagli iscritti piena e totale ubbidienza e per conseguire quel «lavaggio del cervello» al quale già abbiamo accennato. «Dobbiamo o vogliamo ricordare [...] che nulla in Massoneria è ritualmente superfluo o meramente coreografico, ma tutto necessario e tassativo, perché fondamentalmente essenziale» 197. Ha ragione, quindi, il Gorel Porciatti quando dice: «Nessun rito è senza valore. Anche se compiuto macchinalmente, l'atto ritualistico ha la sua efficacia». E aggiunge: «Consideriamo un massone che si prepara ad entrare in Loggia; con mille preoccupazioni in capo cinge il suo grembiule pensando ad altro; poi prende macchinalmente la posizione prescritta, esegue il segno e la marcia del Grado per giungere finalmente fra le colonne. Anche se eventualmente tutto è stato fatto distrattamente, per abitudine, il massone, senza che se ne renda conto, è occultamente influenzato, cosicché egli non si comporterà mai in Loggia come ad una pubblica riunione. Tutto procede come se ognuno degli atti successivi avesse avuto la sua ripercussione nel dominio misterioso del sentimento. Mancando il cosciente il grembiule avverte il subcosciente che occorre non essere più lo stesso uomo. La mano posta sotto la gola ha avuto realmente la virtù di contenere le passioni nel petto, affinché il segno della Squadra possa affermare senza mentire: “Il mio cervello è calmo e io giudicherò qui con imparzialità, con la rigida equità che mi impone il mio carattere di massone”. Bisogna essere ben mediocri psicologi per guardare con scherno delle pratiche aventi di puerile solo delle apparenze ingannevoli» 198. È purtroppo vero: nella simbologia massonica non c'è nulla di puerile, e si commetterebbe un grosso errore a non considerarla in tutti i suoi molteplici effetti. Invero, i simboli massonici, e più ancora i rituali, sono un forte strumento di suggestione e, diciamo anche, di confusione della coscienza di chi vi partecipa. Questo effetto non è ignoto ai vecchi massoni, tanto che gli autori più avveduti insistono molto sulla necessità di mantenere intatte le caratteristiche tradizionali del rituale massonico: «Chi vuol modificare le forme massoniche non è un iniziato, non è un vero massone. Novatori che pretendete riformare un'istituzione la quale sopravvisse a tante generazioni senza alterare il suo spirito, conservatene i rituali se non volete che le vostre metamorfosi la uccidano»!, sentenzia il Gorel Porciatti 199. Nella Riunione Annuale della Gran Loggia di Palazzo Giustiniani, il 30-31 ottobre 1954, un Venerabile di Torino che diceva di esprimere il pensiero di altri Fratelli, affermava «che non è vero che si senta il desiderio di modernizzare; o meglio chi sente questo desiderio, è probabile che non abbia compreso il senso intimo della Massoneria, che è inscindibile dal rispetto della tradizione. Onde sarebbe una follia rompere con la tradizione» 200. Così pure si esprimeva il Gran Segretario Umberto Genova, in una lettera del 7 marzo 1961: «La conoscenza delle nostre finalità, e aggiungerò un po' di buon senso, non sono patrimonio molto comune alla massa dei Fratelli della nostra comunione. Con tutte le conseguenze che vediamo ogni giorno ad opera dei cosiddetti innovatori, riordinatori, modernisti. Vedremo cosa accadrà». Tutti quindi concordano nella necessità inderogabile del tradizionale insegnamento simbolico a mezzo dei rituali: «È nostro dovere alimentare la fiaccola dell'insegnamento esoterico, proseguire la tradizione iniziatica; compenetrarsi della profonda necessità rappresentata dalla iniziazione al 3º Grado che è la chiave dei Misteri massonici, la base per lo studio, per la meditazione, per lo sforzo intuitivo, per tutto quel segreto e tenace lavoro di mente e di cuore che deve dare ad ogni massone la rivelazione dei Misteri dell'Ordine» 201. L'iniziazione dunque assolve nella Massoneria ad una funzione fondamentale, non solo speculativa ma pratica; e di fatto lascia tali tracce da indurre a pensare che avere avuta una seria iniziazione equivalga ad essere massone per tutta la vita. Galeazzo Ciano (1903-1944) scriveva nel suo Diario: «Ho un colloquio con Padre Tacchi Venturi [...] Tacchi Venturi diffida di Starace. Dice: “Chi è stato tre puntini, lo rimane per tutta la vita”» 202.
Galeazzo Ciano | Achille Starace |
«Il mezzo per procedere a queste investigazioni (del Vero) è lo stesso che ha permesso ai saggi delle varie epoche di raggiungere risultati grandiosi: l'Iniziazione» 203. E non c'è dubbio che, per un massone, l'unica iniziazione possibile sia quella operata con il simbolo e con il rituale: «La Vera Iniziazione [...] è tutta, dico tutta, contenuta nel simbolismo e nella rituaria massonica» 204. Se insistiamo sull'iniziazione massonica è per far intendere quale funzione capitale essa svolga relativamente alla formazione di ogni aderente; qui, veramente, il simbolo da forma si fà sostanza, tanto da potersi dire che l'uomo nuovo che vien fuori dall'iniziazione è quale i simboli e il rituale lo hanno formato; allora si intende che «il simbolo risponde al bisogno di dare forma reale e oggettiva alle concezioni del nostro spirito, e se è alla radice di ogni civiltà passata, con l'evolversi della vita esso rifiorisce; infatti, è di oggi la toga del magistrato, la sciarpa del sindaco, la corona d’arancio, l'anello matrimoniale, il battesimo del neonato, le gramaglie della vedova, e infine la bandiera, simbolo palpitante della Patria per cui si vive si combatte e si muore» 205. Dunque, «l'Iniziazione è l'ammettere a partecipazione o conoscenza dei segreti sacri, affidare così il tesoro già accumulato, indicare la via da seguirsi per accrescerlo, e indicare quali sieno i mezzi migliori per procedere per essa; con l'Iniziazione, quando essa è completa, sono compresi due concetti: affidare la fiaccola e confidare che essa venga alimentata» 206. Da quanto abbiamo detto si intende agevolmente che il simbolismo massonico, da un lato, e l'organizzazione ferrea, dall'altro, siano i due pilastri sui quali poggia l'edificio massonico, assai più che sui vaneggiamenti pseudo-filosofici che nessuno intende e nessuno convincono. Ma la forza di convinzione di certi strani riti, zeppi di elementi simbolici dalle più strane provenienze, dev'essere enorme soprattutto su coscienze deboli o poco formate. «Le iniziazioni massoniche sono, per i primi tre Gradi, e sempre che sieno condotte ritualmente, quanto di più bello, di più completo e di più perfetto si possa realizzare nei tempi attuali, poiché toccano profondamente e risvegliano la sensibilità, colpiscono l'immaginazione e inducono alla riflessione, raggiungendo così lo scopo fondamentale di qualsiasi iniziazione» 207. Lasciamo da parte la «bellezza» e la «perfezione» dei riti; ma il resto, purtroppo, è tutto vero. Il carattere di questo lavoro non ci consente di descrivere partitamente i rituali dei vari Gradi con tutta la simbologia massonica che comportano. Non possiamo però astenerci dal rifarci alla caratteristica essenziale che permette al lettore di orientarsi nel campo vastissimo dell'astruso simbolismo massonico. Conformemente alle premesse naturalistiche, il tema centrale e il segno dominante del simbolismo massonico è l'uomo. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che anche il simbolo, anzi soprattutto il simbolo serve a «trasformare» l'uomo in senso massonico; infatti, «quando si deve realizzare un programma di ordine prevalentemente pratico - quale è quello che si propone la rispettabile Loggia “Ankh” - e cioè la creazione dell'Uomo, di quell'Uomo che Diogene cercava al lume della sua lanterna, del cabalistico Adam-Kadmon, l'Uomo d'argilla rossa, e, per intenderci meglio, dell'Uomo che, integrato nei suoi poteri divini, assume alla potestà di nume, mentre è ancora nella maschera di carne, è “il regnum regnare docet” che ne decide il successo e non già la parola, la quale, una volta dato l'orientamento, diventa a ciascuno interiore e, pertanto, inespressa e valida in sé stessa a nutrirsi della propria essenza e a crescere in ricchezza di significati intraducibili nella ciarla abituale, la quale, invece, per la sua vanità acquisisce la natura diabolica. “Diabolos”, in greco, significa “ostacolo”. La parola vana è diabolica, perché ci ostacola il cammino, ci sbarra la via, ci ferma» 208. Per non fermarsi, dunque, ma anzi progredire, l'uomo ispira tutta la simbologia massonica, come scrive G. Ceschina, sulla Rivista di Palazzo Giustiniani, con l'articolo intitolato «Il simbolismo massonico nella sua applicazione all'uomo», corredato da un grafico che lo rende più chiaro (vedi sotto Tav. nº 1): «Tutti i riti, le favole, le leggende, i miti si riferiscono ad un solo argomento: l'uomo. Così è anche per il simbolismo massonico. Osserviamo il Tempio. Esso pure non può non rappresentare l'uomo, il grande Uomo, l'Adamo che racchiude in sé tutta l'umanità quale prototipo di essa. Le due gambe saranno rappresentate dalle due colonne che si trovano ai lati della porta d'ingresso. E come la Loggia posa sul 1° e 2° Sorvegliante, così il corpo umano posa sui piedi. Dalla parte opposta troveremo la testa dell'uomo, il cui triangolo, tracciato sulla fronte, equilibra la Luna e il Sole, rispettivamente inclusi nell'occhio sinistro e destro di esso, allo stesso modo che la ragione in una superiore visione risolve i dubbi sorti dalla diversità delle opposte opinioni. Lì presso è Minerva, che sorse un giorno dal cervello di Giove, quale intelligenza illuminante l'uomo; più sotto vi è la bocca, rappresentata dalla parola saggia (verbo) del venerabile, che il 1° Diacono, quale orecchio destro, raccoglie per trasmetterne l'eco a tutti i Fratelli. Giù per il collo, le spalle, le scapole, quali scalini di carne e d’ossa, si scende alla cavità toracica, che si presenta come una caverna. È la caverna degli Eletti del 9° Grado, dove si svolge la lotta fra gli istinti e la volontà, è la grotta di Betlemme nella quale la “pramantha” si accende illuminandola d'una luce sublime. La “pramantha” è il cuore; dalla parte del cuore vi è in Loggia l'Ospitaliere caritatevole e la statua di Venere, dea dell'amore che nel cuore ha la sua sede. Le passioni scatenate, che la volontà deve vincere, vengono su dal ventre, dove covano le cupidigie, le voracità, le voglie, le avidità e queste cercano di impedire il progresso dell'uomo, ed è là che vi è la tomba d'Hiram, con l'acacia che rappresenta l'anelito dello spirito, mai completamente estinto. Più in basso, una spessa tenda nasconde i misteri della generazione, che solo i "Kadosch" possono scoprire. Per completare il quadro, diremo che il braccio destro ben si adatta a raffigurare l'energia dell'Esperto che guida il recipiendario nelle prove (Ercole), mentre il braccio sinistro è il Maestro delle cerimonie che adorna i riti di quella bellezza che Venere lì presso gli ispira. Come la via della perfezione è quella che conduce il massone dalle soglie del Tempio al luminoso Oriente, così la tappa successiva è rappresentata dalla via della realizzazione, che consiste nella diffusione di tale stato perfetto nel mondo esteriore. È la Massoneria che irradia di luce il mondo profano. Altri simboli dell'influenza delle forze spirituali sul mondo sono il triangolo rovesciato su un tratto di cerchio e le due teste d'aquila, queste ultime per indicare come tali forze siano dirette verso tutte le direzioni, allo stesso modo dell’aquila che si serve di entrambe le sue teste per volgere lo sguardo intorno a sé. È l'aquila del Conclave, del Concistoro e del Supremo Consiglio, cui va riferito il concetto di tale azione giusta e benefica, esercitata dai Gradi della gerarchia scozzese nelle sue superiori assise» 209.
Ci si perdoni la citazione, anche troppo lunga, ma si è resa necessaria non soltanto per dare un'idea dei termini e dei segni sui quali si insiste di più nel simbolismo massonico, ma anche perché l'articolo, nella sua schematica precisione, mostra come sia stretta e serrata l’unione tra gli elementi materiali dell'uomo e i significati simbolici del rito massonico. L'uomo è veramente lo sfondo del simbolo massonico, idea sempre presente nel simbolo, dalla quale tutte le altre traggono sviluppo e significato. Perciò, esaminando altre notevoli forme simboliche, abbastanza importanti per il nostro studio, vedremo che esse partono e prendono vita da qualche elemento del corpo umano e si riferiscono ad esso. Così, chi voglia por mente ad altri simboli esistenti nel Tempio e ai riti che vi si svolgono, troverebbe, ad esempio (vedi sotto Tav. nº 2), che «le due colonne del Tempio ricordano quelle del vestibolo del Tempio di Salomone (1 Re 7, 21), l'una alla parte sinistra dell'entrata del Tempio dal nome "Bohaz" che significa "la forza, la fermezza"; l'altra a destra dal nome "Jackin" che significa "la stabilità, che Dio l'ha fermata" (significato letterale delle parole) [...]. Questo binario fondamentale rappresenta il duplice aspetto del principio animatore di tutte le cose: il Fuoco che si accende in tutti gli esseri e ne assicura la crescenza, lo sviluppo, la potenza, ed è raffigurato dalla colonna "Bohaz"; il Vento, cioè l'Aria che tutto avvolge e tutto circonda e tutto riceve nel suo seno, che dà la possibilità della vita universale, è raffigurata dalla colonna Jackin. Le due colonne compendiano i due essenziali principî dell'Universo secondo le dottrine esoteriche e secondo ogni filosofia vivente. La colonna B\ è Agni dell'antichissimo culto vedico, l'Eterno Mascolino, l'Intelletto creatore, lo spirito puro; la colonna J\ è Soma, l'Eterno Femminino, l'Anima del mondo o sostanza eterea, matrice di tutti i mondi visibili e invisibili ad occhio umano, natura o materia sottile nelle sue infinite trasformazioni. Le proporzioni delle colonne del Tempio di Salomone quali ci sono tramandate dalla Bibbia conferiscono loro un aspetto fallico che le ravvicina a numerosi monumenti fenici consacrati al potere generatore maschile, e il capitello terminantesi in calotta emisferica circondato da un doppio ordine di melagrane completa il simbolo della generazione» 210.
Vediamo qui accennato quello che pare un dato irrinunciabile del simbolismo e della prassi massonica: il culto fallico. Come vedremo, non si tratta soltanto di simboli e allegorie: si tratta di un ordine di idee che può generare grossolane oscenità. Ci accingiamo perciò ad illustrare brevemente questo tratto del simbolismo massonico e ad accennare a qualcuna delle dichiarazioni e delle conseguenze più nefaste; può servire, infatti, a delineare, meglio che mille discorsi, la mentalità e la moralità massoniche. Le due Colonne sono il simbolo della Vita: «L'equilibrio umano ha bisogno di due piedi, i mondi gravitano su due forze, la generazione esige due sessi. Tale è il significato dell'Arcano di Salomone, figurato dalle due colonne del tempio» 211. «Alle due Colonne sono strettamente legate le parole sacre dei due primi Gradi massonici» 212. Questa corrispondenza tra le Colonne del Tempio, le due lettere e le parole in esse scritte, è significativa. Gorel Porciatti cita quindi 213 come «buona e copiosa fonte» l'opera di Arturo Reghini (1878-1946), «uno dei pochissimi lavori italiani attinenti alla Massoneria che meriti l'attenzione dello studioso». Il Reghini, infatti, nella sua opera Le parole sacre e di passo dei primi tre Gradi e il massimo mistero massonico: studio critico e iniziatico 214, ci dà un elenco meticoloso dei vari significati delle parole Bohaz e Jackin. Per chi non sapesse il greco, Reghini mette la nota: «Le cteïs c'est la maison du fallus», dice Eliphas Levi 215. Questo francese, fin troppo chiaro ci viene ulteriormente spiegato nel volume Le basi spirituali della Massoneria Universale, riferendosi sempre al simbolismo ideografico e alla corrispondenza fallica: «Vita, in egizio "Ankh", in ebraico "Eve" - La Madre dei Viventi (cioè di coloro che vivono e non di coloro che sono vissuti e morti!) è lo stesso di Maria, in ebraico Myriam; e che Venere, non la Dea dell'Amore, ma la [...] forma o utero femminile, soprannominata "Mirionima" ("dai diecimila nomi") sono le stesse cose. È la triplice affermazione di uno stesso passivo su cui deve agire il maschile "Jod" cabalistico per [...]. Qui faccio punto [...] e taccio, perché, effettivamente, l'intuizione esatta della Verità occultata maldestramente sotto un tenue velo potrebbe portare all'applicazione pratica [...]. E non so che cosa possa poi nascere: si potrebbe svegliare nel Fratello lettore un benevolo Nume (e questo è Bene), ma si potrebbe svegliare anche un bruto (e questo è il Male). E io non voglio fare il Male, ma solo il Bene [...]. Credimi, l'ho fatto per la tua salute, non quella dell'anima - di cui hanno il monopolio i preti - ma per tenermi terra terra, di quella del corpo» 216. Non è facile comprendere il perché della ristampa anastatica fatta nel 1968 dalla Casa Editrice massonica Atanòr, del libro stampato nel 1926 da P. Piobb intitolato Venere la magica dea della carne, un'opera «di così grande importanza» perché «sintesi completa della religione di Venere» (pag. 1). In mezzo a tanta colluvie di pubblicazioni pornografiche, oggi così sfacciatamente abbondante, era proprio il caso di ripubblicare quest'opera? A quale scopo? Che non sia quello di dare una giustificazione di un presunto diritto al fatto di questa immoralità dilagante? Ci torna, tanto malinconicamente, alla memoria, la lettera di Vindice a Nubius, scritta da Castellammare il 9 agosto 1838, nella quale svolge la teoria dell'Alta Vendita Carbonara romana: «Il cattolicesimo, meno ancora della monarchia, non teme la punta d'uno stile; ma queste due basi dell'ordine sociale possono cadere sotto il peso della corruzione. Non stanchiamoci dunque mai di corrompere. Tertulliano diceva con ragione che il sangue dei martiri era seme di cristiani. Ora, è deciso nei nostri consigli che noi non vogliamo più cristiani: dunque, non facciamo dei martiri; ma popolarizziamo il vizio nelle moltitudini. Che lo respirino coi cinque sensi, che lo bevano, che se ne saturino; e questa terra, dove l'Aretino ha seminato, è sempre disposta a ricevere osceni e lubrici insegnamenti. Fate dei cuori viziosi e non avrete più cattolici. Allontanate il prete dal lavoro, dall'altare e dalla virtù: cercate destramente di occupare altrove i suoi pensieri e il suo tempo. Rendetelo ozioso, ghiottone e patriota; egli diventerà ambizioso, intrigante e perverso [...]. Noi abbiamo intrapresa la corruzione in grande; la corruzione del popolo per mezzo del clero, e del clero per mezzo nostro, la corruzione che deve condurci al seppellimento della Chiesa. Uno dei nostri amici, giorni sono, rideva filosoficamente dei nostri progetti e diceva: "Per abbattere il cattolicesimo bisogna prima sopprimere la donna”. Questa frase è vera in un senso, ma poiché non possiamo sopprimere la donna, corrompiamola insieme alla Chiesa [...]. Lo scopo è assai bello per tentare uomini come noi; non discostiamocene per correr dietro a qualche miserabile soddisfazione di vendetta personale. Il miglior pugnale per assassinare la Chiesa e colpirla nel cuore, è la corruzione. Dunque all'opera sino al termine»! 217.
La corruzione del clero e della gioventù... |
È quanto, con meno retorica, asseriva Leone XIII nell'Enciclica Humanum genus, del 20 aprile 1884: «Esagerando le forze e l'eccellenza della natura, e collocando in lei il principio e la norma unica della giustizia, (i massoni) non sanno più concepire che, a frenare i moti e moderarne gli appetiti, ci vogliono sforzi continui e somma costanza. E questa è la ragione, per cui vediamo offerte pubblicamente alle passioni tante attrattive: giornali e periodici senza freno e senza pudore; rappresentazioni teatrali oltre ogni dire disoneste; arti coltivate secondo i principî di uno sfacciato verismo; con raffinate invenzioni promosso il molle e delicato vivere; insomma, cercate avidamente tutte le lusinghe capaci di sedurre e addormentare la virtù. E a conferma di ciò che abbiamo detto può servire un fatto più strano a dirsi, che a credersi. Imperocché gli uomini scaltriti e accorti non trovando anime più docilmente servili di quelle già dome e fiaccate dalla tirannide delle passioni, vi fu nella sètta massonica chi disse aperto e propose, doversi con ogni arte ed accorgimento tirare le moltitudini a satollarsi di licenza: così le si avrebbero poi docile strumento ad ogni più audace disegno» 218. Ritornando sull'argomento, lo stesso Papa nella Lettera al Popolo Italiano «Custodi di quella fede», dell'8 dicembre 1892, scriveva: «Senza esagerare la potenza massonica attribuendo all'azione diretta e immediata di lei tutti i mali che nell'ordine religioso presentemente ci travagliano [...] vi si sente il suo spirito; quello spirito [...] nemico implacabile di Cristo e della sua Chiesa [...]. Dalle rovine religiose alle sociali brevissima è la via. Non più sollevato alle speranze e agli amori celesti il cuore dell'uomo, capace e bisognoso dell'infinito, gittasi con ardore insaziabile sui beni della terra; ed ecco necessariamente, inevitabilmente una lotta perpetua di passioni avide di godere, di arricchire, di salire, e quindi una larga ed inesausta sorgente di rancori, di scissure, di corruttele, di delitti. Nella nostra Italia morali e sociali disordini non mancavano certo anche prima delle presenti vicende; ma che doloroso spettacolo non ci porge essa ai dì nostri! Nelle famiglie è assai menomato quell'amoroso rispetto che forma le domestiche armonie: l'autorità paterna è troppo sovente sconosciuta e dai figli e dai genitori; i dissidi sono frequenti, i divorzi non rari. Nelle città crescono ogni giorno le discordie civili, le ire astiose tra i vari ordini della cittadinanza, lo sfrenamento delle generazioni novelle che cresciute all'aura di malintesa libertà non rispettano più nulla né in alto né in basso, gli incitamenti al vizio, i delitti precoci, i pubblici scandali [...]. L'ordine sociale infine è generalmente scalzato nelle sue fondamenta. Libri e giornali, scuole e cattedre, circoli e teatri, monumenti e discorsi politici, fotografie e arti belle, tutto cospira a pervertire le menti e corrompere i cuori. Intanto i popoli oppressi e ammiseriti fremono; le sètte anarchiche si agitano; le classi operaie levano il capo e vanno a ingrossare le file del socialismo, del comunismo, dell'anarchia; i caratteri si fiaccano, e tante anime non sapendo più né degnamente patire, né virilmente redimersi dai patimenti, abbandonano da sé stesse, con il suicidio, codardamente la vita» 219. E Leone XIII continua: «Cerca (la Massoneria) di lacerare l'unità cattolica, seminando nel clero stesso zizzania, suscitando contese, fomentando discordie, aizzando gli animi all'insubordinazione, alla rivolta» 220. Sempre ricordando il saggio avvertimento del detto Papa di non attribuire «all'azione diretta e immediata» della Massoneria tutti i mali che oggi ci travagliano, non potremmo forse chiamare «profetici» i documenti pontifici citati e dire che i fatti segnalati allora, oggi assai più gravi perché più facilmente divulgati, avvengono o con essa o non senza di essa? Ricordiamo il già citato Padre Berteloot «Quale la filosofia, tale la morale: ordinariamente vanno insieme» 221. Ma torniamo, purtroppo, all'argomento che stavamo trattando. L'insistenza con cui gli organi della generazione danno vita, nel complesso simbolismo massonico, a sensi e significati figurati e ad espressioni falliche, è dottrina antica e nuova, sempre la stessa. Padre Giuseppe Oreglia di Santo Stefano s.j. (1823-1895) pubblicava, nel 1874, il rituale massonico del 30° Grado, edito segretissimamente a Napoli, nel 1869 222. A proposito delle parole sacre del 1° e del 2° Grado, dice nella nota a pag. 15 che «per curiosità dei nostri lettori, non vogliamo privarli di una nostra osservazione fatta da noi (Domenico Angherà) nell'isola di Malta in tempo del nostro tredicenne esilio. Assistendo noi ai lavori massonici che si celebravano in quell'isola, e vedendo le iniziali "B" e "J" delle parole sacre dei due primi Gradi simbolici cioè "Booz" e "Jackin", leggendo per azzardo all'uso arabo le due dette parole, cioè leggendole al rovescio da destra a sinistra, si ebbero le parole "Zoob" e "Nikai". Presso i maltesi, che parlano un linguaggio arabo corrotto, sono queste due parole quelle per cui si esprimono [...], cioè due parole turpi. E il signor Angherà pensa che quello sia il vero senso delle due parole sacre massoniche. Ma non lo rivela che nel Rituale del 30° Grado, dove ogni velo, e anche quello del pudore, “deve cadere”» 223. Proprio come dice il Ceschina, sopra citato nel 1959 (vedi Tav. nº 1): «Più in basso una spessa tenda nasconde i misteri della generazione, che solo i Kadosch possono scoprire» 224. I Kadosch, cioè i «puri» (in ebraico), che stanno al 30° Grado della gerarchia massonica, loro soli, i prodigiosi cavalieri purissimi, senza macchia e senza paura, possono darci il significato di quella croce segnata nel punto focale dello stretto perizoma che, in ogni caso, suggerisce sempre torbide relazioni tra i misteri religiosi e gli stimoli del sesso 225. Quello che, con discreto riserbo, accennava Padre Oreglia di Santo Stefano s.j. ci viene esplicitamente detto da Roberto Ascarelli, ebreo e quindi competente nella lingua ebraica, Presidente della Gran Loggia d'Italia di Rito Simbolico Italiano, in un volume di suoi Scritti e discorsi pubblicato nel 1971: «Il mondo, per il suo futuro, e cioè nella sua eternità, ha bisogno di procreare. Lo "Iod" ebraico, che corrisponde grosso modo alla "J" di "Jachin", è il simbolo del sesso maschile; il "Bed", che corrisponde grosso modo alla "B" di "Booz", corrisponde al simbolo femminile, perché "Bed" significa "casa", da cui l'idea di ricettacolo, caverna, utero. Se vogliamo ancora una curiosa conferma magica di questa interpretazione e teniamo presenti unicamente le consonanti, ben sapendo che in ebraico non si scrivono le vocali, e scriviamo "Jachin" con un "caph" ("c" dura) e un "nun", e leggiamo a rovescio, troviamo che il "nun" e il "caph" sono il segno scritto del coito e della copula, mentre scrivendo il "Bed" (b) e il "Zain" (z) e li leggiamo a rovescio, abbiamo il segno scritto dell'organo fecondatore, il fallo» 226. Dato il significato così pregnante che assumono gli organi della generazione nel sistema massonico, non sarà inutile ricordare quanto abbiamo accennato più sopra, e cioè che il Convento di Losanna, nel 1875, volle sostituire al nome di Dio l'espressione «Principio Creatore». Albert Pike, «storico ed esegeta del Rito Scozzese Antico e Accettato, Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio del 33° Grado per la Giurisdizione Sud degli Stati Uniti d'America, che i clericali di tutto il mondo ritennero di diminuire chiamandolo “il Papa della Massoneria”, mentre egli della Massoneria, fu, in verità, uno dei più benemeriti ed eletti Fratelli» 227, emanò, da Charleston, il 20 marzo 1876, un Decreto che il Bacci chiamava «il manifesto fatale» 228, nel quale, tra l'altro afferma: «L'espressione “Principio Creatore” non è affatto una frase nuova: essa non è che un'antica parola rediviva. I numerosi e formidabili avversari della Massoneria diranno, e ne avranno il diritto, che il nostro principio creatore è identico al principio generatore degli indiani e degli egizi, e che potrebbe venir convenientemente simboleggiato, come anticamente era, col Linga, col Phallus, e col Priapo. Patha-Torè, dice Matter nella sua "Storia dello Gnosticismo", non è che un'altra modificazione del Phta. Sotto questa forma è "principio creatore", o meglio, "principio generatore". Questo Phta, questo Dio Phallico, tenendo il priapo in una mano, e brandendo con l'altra il flagello, era effettivamente il "Padre delle origini", il Principio Creatore degli antichi egizi» 229. Padre Oreglia di Santo Stefano, su La Civiltà Cattolica, commentava: «Mi spiace dover dire che il Pike, da schietto americano, ci dà qui francamente la vera spiegazione del Dio creatore e dell'Architetto dell'Universo massonico, quale esso è inteso in tutti i rituali della Massoneria Scozzese e in tutti i simboli delle Logge. E ciò è tanto vero che il [...] deputato e avvocato Mussi [...], nella sua qualità di membro attivo del Gran Consiglio della Massoneria romana di Via della Valle, stampò in un suo almanacco massonico di Milano appunto questa stessa spiegazione fallica del Principio creatore, dicendo che questa è la vera idea che i massoni italiani si fanno di Dio e della creazione. Nel che concorda [...] con l'Arciprete Angherà» 230. Il quale Arciprete, a sua volta, non aveva dubbi in materia: «Il Grande Architetto dell'Universo significa la fecondità della natura: ed è un vocabolo convenzionale per significare il Dio-Universo. "Universus versus unum". Quasi si avesse voluto significare un centro di gravità universale. Tutto nel mondo si produce per effetto dell'arcana e misteriosa potenza della generazione» 231. Il vecchio Padre Oreglia di Santo Stefano aveva ragione che il fallo fosse il «vero principio creatore per la Massoneria» e avesse un posto d'onore nei riti delle Logge non è più un mistero. Nel già citato volume stampato fuori commercio, a Firenze, nel 1945, leggiamo: «Appunto all'Equinozio di primavera [...] i Rosacroce celebrano le loro agapi rituali, immolando l'agnello, ricordando la formula: "Ecco l'agnello di Dio", cioè l'immacolata Natura che "toglie i peccati del mondo". La Rosa, il più delicato e più gentile degli emblemi massonici, fiore profumato di primavera, significa grazia, venustà, giovinezza [...]. La Rosa fu anche l'emblema della donna; siccome la Croce simboleggiava anche la virtù generatrice del Sole, l'accoppiamento dei due simboli, la Croce e la Rosa, esprime in forma onesta e gentile, con discreta ed arcana figurazione, l'incessante riprodursi degli esseri [...]. La Rosa sopra la Croce è anche il modo più semplice di scrivere il geroglifico "segreto dell'immortalità della vita nell'Universo", cioè l'ultima e più recondita ed arcana conoscenza dei più alti misteri» 232. Vediamo ora il rituale: «Tutti i Fratelli (del Grado 18°, Prìncipi di Rosacroce) circondano la Pramantha. Lo strumento consiste in una Croce di legno, a bracci disuguali, di dieci o quindici centimetri di spessore, e venti o venticinque centimetri di lunghezza, tagliata grossolanamente, e aventi l'apparenza di rami di un vecchio albero. Al centro della Croce è un foro cilindrico coperto da un coperchio a forma di Rosa. La Pramantha propriamente detta dovrebbe essere un cilindro di legno dolce di otto o dieci centimetri di lunghezza adattantesi al foro della Croce, cilindro che, col solo strofinamento, dovrebbe infiammarsi. Il Saggissimo toglie la Rosa Mistica, introduce la Pramantha nella Croce e dice: "I\N\R\I\". Il Saggissimo ritira la Pramantha accesa che tiene in mano» 233. Il commento lo lasciamo al Gorel Porciatti, per il quale questo rito darebbe una «sensazione tipicamente religiosa» provocata da qualcosa di misterioso quanto il segreto della sua origine, di misterioso e di potente quanto il simbolo della Croce, di quella Croce che «sin dal nascere della vita umana assunse una significazione di sconcertante potenza» 234. Preferiamo soffermarci, invece, sul significato, davvero «sconcertante», che la Massoneria crede di poter attribuire alla Croce. Seguiremo sempre il Gorel Porciatti, al quale non si può rimproverare di diffondersi poco, «il Simbolo, nel riferimento astronomico, si richiama alla grande Croce Zodiacale il cui asse equinoziale corrisponde al momento in cui il Sole copre dei suoi raggi la costellazione della Vergine - astronomicamente "entra in Vergine" - dopo di che cede, per poi risorgere a nuova vita nel successivo Solstizio. Da questo ravvicinamento, strettamente connesso alla già accennata "chiave del Nilo", il cui limo è prodigio di nuova vita, si ha ragione di credere sia nato il concetto della Croce Fallica, che, quale simbolo di principio fecondante, era dai sacerdoti di Osiride esposto alle feste di Dio, per offrirlo alla venerazione del popolo» 235. Anche la Croce dunque, e purtroppo, è un elemento importantissimo del culto fallico, al quale i massoni si dedicano senza risparmi di simboli e di parole. Vediamone partitamente i vari significati. «Tale Croce era costituita da un triplice fallo e si richiamava così ai tre elementi: Terra, Aria, Fuoco, uniti nell'elemento primitivo, l'Acqua, che era considerato quale origine delle cose» 236. E ancora: «Il concetto fondamentale di rappresentazione della Vita, attribuito alla Croce, si trova ovunque decisamente affermato, non soltanto nella sua materialità, ma pure nella sua forma trascendentale. Il tratto orizzontale, che richiama il senso di giacere, il principio passivo, è concordemente assegnato, nella metà di destra o in quella di sinistra, all'Acqua, al Caos generante, onde assume decisamente il carattere di Principio Femminile; il tratto verticale esprimerà, per contro, con la sua direzione ascendente, il concetto di virilità, di potere, assumendo così il carattere di Principio Maschile: l'uno di Capacità (produttiva), l'altro il Volere (creativo)» 237. Per meglio spiegare la Rosacroce, il Gorel Porciatti aggiunge: «La Croce egizia, la Croce ansata [...] indirettamente, si richiama a quella di questo Grado, attraverso ad un ravvicinamento simbolico con il Loto, sacro simbolo orientale, di cui la Rosa è la delicata paretra Occidentale. La corolla circolare del Loto si schiude su di uno stelo verticale che attraversa, "fora" il piano orizzontale delle Acque. Nel suo assieme costituisce il geroglifico della Croce ansata (un'asta verticale cui si posa una orizzontale al cui centro è un cerchietto) che, nell'ermetismo egizio significa "chiave della Vita", spiegando così, con un facile simbolismo vegetale, lo "Ad Rosam per Crucem", cioè il pervenire all'Essenza per mezzo della Croce» 238. Non meno stupefacente è il significato che viene attribuito alle lettere I.N.R.I. Il significato di esse, alle estremità dei bracci, «dovrebbe essere "Jesus Nazarenus Rex Judaeorum". La scuola filosofica invece la fà corrispondere alle quattro iniziali delle quattro parole ebraiche il cui significato intrinseco si riferisce ai quattro elementi; dalle iniziali trae il bellissimo aforisma: "Igne Natura Renovatur Integra"» 239. I significati che si sono voluti attribuire alle quattro lettere (dato che «varie ragioni» consigliano «di essere estremamente prudenti nell'attribuire ai Vangeli un certo valore storico», come molto spicciativamente (e senza cognizione di causa) dice il Gorel Porciatti 240, sono svariati e quindi hanno dato vita a numerosi altri aforismi che egli ripartisce «in tre grandi categorie: mistico-gesuistico-cattolica, ermetico-alchimistica, filosofica» 241. Chi avesse vaghezza di conoscerli tutti, non ha che da consultare il testo appena citato. Noi ci limitiamo ad accennare a perle come queste: «Ignatii Nationum Regumque Inimici», ossia «gli ignaziani (i gesuiti) sono i nemici delle nazioni e dei re»; oppure: «Igne Nitrum Roris Inventur», ovvero «con il fuoco si trova il nitro (l'azoto)»! Già Alessandro Luzio , del resto, aveva notato che «i minori gregari [...] si gingillano con i simboli interpretati per loro "ad usum Delphini"». E cita, in nota: «Un esempio per tutti, datoci dal Preuss (cap. III). In alcune Logge di rito scozzese, al grado di Rosacroce si lavora con dinanzi un bel crocifisso e tanto d'INRI sovrapposto. Credete che si debba intender per tutti "Jesus Nazarenus Rex Judaeorum"? Sarebbe un'ingenuità il supporlo. Il "Jesus Nazarenus Rex Judaeorum" serve unicamente per i goccioloni che avessero scrupoli religioso-cristiani; ma per i più scaltriti c'è l’imbarazzo della scelta tra le interpretazioni eterodosse, putacaso queste: "Igne Natura renovatur integra" (naturalistica); "Igne nitrum roris invenitur" (alchimistica); "Iustum necare reges impios" (tirannicida); o un'altra interpretazione basata sulle iniziali di parole ebraiche, denotanti i quattro elementi» 242.
Due esempi dell'I.N.R.I. usato nella simbologia massonica. |
Ma il culto fallico massonico non si limita alle irriverenze, per non dire di più, compiute sulla Croce. I massoni si dedicano ad un vero e proprio culto del fallo, fatto di cose concrete e non di simboli, fino ad ispirare ad esso una vera e propria morale e conformare a questa i proprî comportamenti. Nel giuramento di 1° Grado, quello di Apprendista, è detto, fra l'altro: «Prometto e giuro di non attentare all'onore delle famiglie dei miei Fratelli» 243. E per le... altre? Ecco un commento della Rivista della Massoneria Italiana: «La Massoneria, per vivere, per prosperare e per essere utile a sé e all'umanità per cui lavora, deve sopprimere il prete, insegnare la sana morale, senza disgiungerla dal soddisfacimento dei bisogni della natura, e libera affatto d'ogni ipocrisia larvata, proseguire guardinga ma sicura, il suo corso conquistatore. Potrà esser certa di aver vinto il prete, il giorno in cui sarà padrone della donna, e questo giorno, purtroppo è assai lontano. La donna è del prete e col prete, perché questi la compiange, la perdona, e ne liquida i peccati a un tanto il braccio quando gli si presenta al confessionale. Il prete perdona le scappatelle delle fanciulle; il prete perdona le infedeltà delle maritate; il prete consola le vedove; e in santa emulazione col frate, ha una parola e un'opera per le attempate e le dimenticate! Noi invece, mentre desideriamo le mogli degli altri, mentre tendiamo reti alle sorelle e alle figlie degli altri, vorremmo che le nostre mogli, figlie e sorelle, portassero un cartellino sulla fronte, ove fosse scritto: "Guai a chi le tocca". Finché non daremo alle donne tutta la libertà e tutta l'istruzione possibile, finché non accorderemo loro perdono e tolleranza - giacché sono fatte come noi, ossa delle nostre ossa, e carne della nostra carne - le avremo sempre ossequienti e devote al prete, che in questo solo ha saputo seguire l'esempio di Cristo, il quale volle perdonare alla donna adultera» 244. Non proseguiamo con questo brano di prosa edificante, quando la Massoneria parlava chiaramente, dicendo pane al pane e vino al vino, perché il testo citato offre di per sé lo spunto e qualche breve commento. C'è da notare innanzi tutto con quale disprezzo la Massoneria tratta «il prete», il quale dovrebbe essere addirittura «soppresso»; ma questo è il solito tono e non fà meraviglia. Più notevole è l'acume con cui viene descritto l'atteggiamento del prete durante la confessione: perdono e buffetti a tutte, alle fanciulle un po' troppo vivaci, alle adultere, alle vedove e alle zitelle. Ecco perché «la donna è del prete e col prete»! Cosa fanno frattanto i nostri buoni massoni? Si limitano a desiderare le donne, anzi «le mogli degli altri», a tendere reti «alle sorelle e alle figlie degli altri»; tuttavia, con bella mentalità sultanesca, vorrebbero che le proprie mogli, figlie e sorelle «portassero un cartellino sulla fronte ove fosse scritto: "Guai a chi le tocca"»! Si impone dunque la conclusione ai massoni, così addestrati alla loro logica: bisogna staccare le donne dai preti (forse per poter più facilmente tendere loro reti). E quale il toccasana? Accordare «tutta la libertà e tutta l'istruzione possibile» alle donne (degli altri, si intende!), «perdono e tolleranza» e altre affermazioni dello stesso calibro. Così, una volta inteso l'ordine di idee in cui si muovono i massoni in questa materia, non fanno più meraviglia certi fatti. Ferdinando Ghersi (1798-1866) che «può essere ritenuto il primo Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio d'Italia in Torino dal 10 agosto 1864» 245, come risulta da una lettera di Ludovico Frapolli del 7 luglio 1871, «vecchio nonagenario viveva con una giovane donna del popolo avente dei figli» 246. Di Giuseppe Garibaldi (1807-1882), «primo Libero Muratore d'Italia» 247, Sovrano Gran Commendatore e Gran Maestro del Grand'Oriente di Palermo 248, su questo argomento non diciamo nulla perché... di Garibaldi non si può parlar male! Chi avesse voglia di erudirsi, in materia, non ha che da leggere l’opera di Giacomo Emilio Curatulo (1864-1948) intitolata Garibaldi e le donne 249. In una memoria stampata su Pietro Cilembrini e la Reale Accademia Valdarnese del Poggio, letta in Montevarchi l'8 settembre 1889, leggiamo che questo sventurato (1817-1889), a diciassette anni «già vestiva l'abito talare [...] contro la propria vocazione, preferendo egli darsi alla medicina; ma il padre l'obbligò a farsi prete, forse a ciò indotto dai pochi mezzi e dalla facilità con la quale nella carriera ecclesiastica si raggiungeva a quel tempo un comodo stato» (pagg. 17-18). «Amò viaggiare fino a che glielo permisero le sue piccole rendite [...]. Viaggiò sempre vestito da secolare, avendo un sacro orrore per la veste talare e per il tricorno» (pag. 43). Con Decreto del 24 maggio 1849, dopo la restaurazione, entrò in carica il Ministero Baldasseroni di cui faceva parte il senatore Leonida Landucci per l'Interno. Trascriviamo quindi, testualmente, quanto dice la memoria: «Il Landucci affettava un certo sentimento di benevolenza verso il nostro Pietro e, sotto la maschera del gentiluomo, lo invitava spesso alla sua villa sopra il Leccio. Il Cilembrini, quantunque conoscesse i veri sentimenti del senator Landucci verso di lui, pure vi andava, perché [...]. Perdonatemi voi specialmente, o signore gentili, se vi dico per intero il perché. Egli amava la conversazione delle donne belle; e dal ministro sembra che ve ne fossero a dovizia, compresa la moglie che era bellissima» (pag. 27). Ora, è documentato che il Cilembrini ebbe il diploma massonico di Maestro nella Loggia Amicizia di Livorno nel 1866, e poi, il 30 aprile 1867, veniva affiliato alla M. L. Capitolare Nuovo Campidoglio di Firenze. Non è da meno la Rivista della Massoneria Italiana, nella quale può leggersi una commemorazione di Giovanni Pantaleo (1832-1879), ex frate minore, «suocero del Gran Maestro Guido Laj» 250, e cappellano maggiore di Garibaldi. Dopo un'entusiastica tirata sulle doti del Nostro, nel tracciare con tono roboante qualche linea della sua vita, così si esprime: «A Lione, il nostro Pantaleo conobbe la sua Camilla della quale poco dopo (nel 1870) fece la sua compagna, e si completò uomo»! 251. Non è chiaro se tale completamento fosse necessario per fra Pantaleo, il quale non poteva considerarsi del tutto uomo prima di incontrare la Camilla e se siano indispensabili certe conoscenze per chiunque voglia chiamarsi uomo. Tuttavia, le espressioni rivelano una chiara mentalità. Un altro esempio: abbiamo qui, dinanzi a noi, un gruppo di ventitre lettere autografe di Andrea Costa (1851-1910), Fratello attivo della Loggia Rienzi e dell'Areopago di Roma 252, tra i fondatori del Partito Socialista. Sono lunghe lettere, dirette al Sen. Giacomo Ferri, dall'agosto 1906 all'agosto 1908, di carattere familiare, riguardanti litigi e la separazione dalla moglie Angelina a causa di un'amante che il Costa aveva a Bologna e non voleva piantare.
Ludovico Frapolli | Giovanni Pantaleo | Andrea Costa |
Sentiamo venire spontanea un'obiezione: «Ma queste cose succedono anche nelle... migliori famiglie cattoliche». Purtroppo è vero, ma non certamente in forza della morale cattolica! Però non ci si venga a dire: «Sta di fatto che in poche famiglie, come in quelle dei massoni, la moralità e la religiosità permeano ogni contatto e sono fonte quotidiana di insegnamento e istruzione» 253. Tutto sta ad intendersi come siano concepite la moralità e la religiosità, come abbiamo già visto. Difatti, nella Massoneria, lo stesso simbolismo fallico si ritrova in quello che può chiamarsi il suo stemma: la lettera «G» nel centro della Stella fiammeggiante a cinque punte. Per il Gorel Porciatti non sembra esservi alcun dubbio sulle relazioni tra il simbolismo fallico e la suddetta «G» (vedi sotto Tav. nº 3):
«Nel Pentagramma, che figura soltanto al secondo poi al 3º Grado la cosa è diversa: nel secondo siamo nel regno della Natura che geometrizza tutto, quindi il solo significato della "G" è "Geometria", così come indica il nostro rituale; nel 3º Grado, i Misteri della Natura vengono approfonditi e viene raggiunta la certezza che in essa nulla si crea, ma che tutto si genera, e perciò [...] il significato della "G" è Generazione. Concludiamo perciò che in seno al Pentagramma la lettera "G" significa "Geometria" per i Compagni e "Generazione" per i Maestri che sanno come dalla morte venga la vita, come il seme che muore generi la pianta che nasce» 254. Ci sia permesso riportare sull'argomento, in una nostra traduzione, un giudizio di Mons. Ernest Jouin (1844-1932), «prelato stimato e di gran cuore» 255, che, nel 1912, aveva fondato la Revue Internationale des Sociétés Secretes, «la più seria» 256 tra quelle comparse in quel periodo. In un interessantissimo articolo su Lourdes e la Massoneria del tempo, Mons. Jouin dice: «La lettera "G" nel centro della Stella fiammeggiante a cinque punte, conferma col suo triplice significato i principî e lo scopo di questa società segreta, chiamata giustamente "Contre-Église" ("contro-chiesa") da uno dei suoi più ferventi adepti, F\ Limousin» 257. Trascriviamo il testo intero dell'articolo di M. C. Limousin «La Massoneria, Chiesa dell'eresia»: «La M\ è un'associazione, un'istituzione? [...] Non è così; è più di così. Solleviamo tutti i veli anche a rischio di provocare delle proteste. La M\ è una chiesa: la contro-chiesa, l'anticattolicismo, l'altra chiesa, la chiesa dell'eresia, del libero pensiero, poiché la Chiesa cattolica è considerata come la Chiesa tipo, la prima, quella del dogmatismo e dell'ortodossia» 258. Continua Mons. Jouin: «Questa "G" significa anzitutto "God", la divinità esclusa da questo mondo con la rottura d'ogni rapporto confessionale e d'ogni dipendenza tra Dio e l'uomo: è la soppressione dell'ordine soprannaturale con la necessaria conseguenza del rovesciamento dell'autorità. Dunque, la "G" irreligiosa della Massoneria porta fatalmente all'anarchia con tutte le sue rovine. Questa "G" massonica significa poi "Geometria": la scienza che sbocca nella divinizzazione pagana dell'uomo o nel "superuomo" della cultura tedesca. L'uomo non è più quel che Dio l'ha fatto con la Creazione e la Redenzione: si tratta della soppressione dello stato soprannaturale con la necessaria conseguenza dell'instabilità di un ordine sociale nel quale la lotta per la vita diventa egoisticamente l'unica regola delle azioni umane e il fermento di continue rivoluzioni, nascosto sotto il nome fallace di uguaglianza e di fratellanza: chi potrà contare le rovine accumulate, sotto questo punto di vista, dalla Massoneria in due secoli? Finalmente, questa "G" significa "Generazione", cioè i simboli e gli atti dei culti fallici dell'antichità, l'umanità scesa nel fango, nel regno inferiore della scimmia che reputa sua antenata; da qui la soppressione della vita soprannaturale» 259.
Mons. Ernest Jouin | Revue Internationale des... |
Tuttavia, le notazioni sulla Stella fiammeggiante massonica non si esauriscono nella considerazione della grande importanza che assume nella simbologia e nell'accertato significato fallico che ha assunto la «G» che vi campeggia nel mezzo, perché va ancora notato come il simbolo della Stella fiammeggiante è ispirato, come gran parte della simbolica massonica, al corpo umano, come nel Ceschina già citato. Nel caso nostro, le cinque punte della Stella corrispondono alla testa e alle quattro estremità dell'uomo (vedi Tav. nº 4).
La «divinizzazione pagana dell'uomo» (Mons. Jouin). Immagine estratta dall'opera di Oswald Wirth La Franc-maçonnerie rendue intellégible à ses adeptes («La Massoneria resa intelleginbile ai suoi adepti»).
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Spiega il Gorel Porciatti: «La Stella Fiammeggiante che appare al Compagno vincitore delle attrattive terrene è la Stella del Genio Umano; ha cinque punte che corrispondono alla testa e alle quattro estremità dell'Uomo; è la Stella del Microcosmo che in Magia impersonifica il segno della Volontà Sovrana, cioè dell'irresistibile mezzo d'azione dell'iniziato. Per avere questo valore essa dev'essere tracciata in guisa da potervisi inscrivere una figura umana; deve cioè avere una punta in alto». «Se rovesciata, essa assume un senso diametralmente opposto, non è più il Pentalfa, la Stella dei Magi, l'emblema della libertà acquisita allo spirito che domina la materia, ma diventa il simbolo dell'animalità degli istinti immondi; in essa, così rovesciata, si può inscrivere la testa di un Becco» (vedi Tav. nº 5). «Nei catechismi massonici del (2º) Grado, alla domanda rivolta al Compagno: "Sei tu tale"?, questi risponde: "Conosco la Stella Fiammeggiante". La risposta è un poema che racchiude la visione cui ha fatto cenno» 260.
Il Becco di Mendes. Immagine estratta dall'opera di Oswald Wirth La Franc-maçonnerie rendue intellégible à ses adeptes («La Massoneria resa intelleginbile ai suoi adepti»).
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Un ultimo particolare, che vale la pena di notare, è quello relativo alla prescrizione delle «stellette» sul bavero delle divise militari italiane. Si ispirano esse alla simbologia massonica, come sostenevano i vecchi «clericali», oppure l'adozione delle stellette ha altri significati che nulla hanno a che vedere con la Massoneria? Le stellette a cinque punte furono prescritte nel 1871, con una serie di provvedimenti diligentemente rievocati dalla rivista Storia illustrata. Per l'autore della citata pubblicazione, che rispondeva alla domanda se le stellette avessero relazione con lo «Stellone» e se questo è il «simbolo della nazione», non è ravvisabile alcun collegamento: «Circa l'origine, si ritiene che la scelta della "stella" non abbia un particolare significato [...]. Una donna formosa, con una stella in fronte o sulla corona portata sul capo, era comune nelle figurazioni dell'Italia nell'800. È naturale che quella stella, che, per essere generalmente vistosa suggerì il vocabolo "stellone", sia assurta a simbolo delle fortune d'Italia. Troviamo la "stella" anche nello stemma della Repubblica. Possiamo quindi riconoscere, in questo segno di uso ormai centenario, un "simbolo" della continuità della nazione» 261. Che le stellette dei nostri soldati non abbiano alcun «particolare significato», non ci pare, tuttavia, del tutto pacifico. Intanto, è bene notare che le varie prescrizioni delle stellette furono emesse quando era Ministro della Guerra il Generale Cesare Ricotti-Magnani (1822-1917). Padre Rosario Esposito conferma che il Ricotti-Magnani era massone. Aveva, infatti, soppresso i Cappellani Militari, la Messa festiva e «sostituì la croce di Savoia con la Stella massonica nelle uniformi dell'esercito» 262. Certamente, qualche dubbio può sorgere, per quanto non decisivo, se si pensa al significato che, già prima del 1871, aveva assunto la parola «stellone». Alfredo Panzini (1863-1939), nel suo Dizionario Moderno 263, alla voce «Stellone», dice: «Lo stellone d'Italia, cioè la meravigliosa fortuna che assistette l'Italia nella storia del suo Risorgimento. Si dice anche: "Speriamo nello stellone"!, ossia nella fortuna della Patria; e si suole dire quando non si trovano argomenti più validi a bene sperare. Risale alle figurazioni simboliche dell'Italia sormontata dalla stella di Venere». Il deciso parere che le «stellette» siano un «regalo massonico», è chiaramente espresso dalla S\ Maria Rygier (1885-1953), della Loggia Le Droit Humain, nel suo volume La Franc-Maçonnerie Italienne devant la guerre et devant le Fascisme («La Massoneria italiana di fronte alla guerra e di fronte al fascismo»). Citiamo, in una nostra traduzione: «La Massoneria ha dato all'Italia il suo tesoro più prezioso: il Pentagramma sacro, e ha voluto che la Stella fiammeggiante fosse messa in mostra sull'uniforme dei soldati, indubbiamente perché la virtù magica del sangue, versato per la Patria, vitalizzasse l'augusto Pentacolo» 264. Perché, «in materia tanto grave», la sua «interpretazione personale potrebbe sembrare insufficiente», si riferisce «all'alta competenza massonica di F\ Giosuè Carducci», del quale cita alcuni versi della poesia Scoglio di Quarto: «In quel vespero/ del cinque maggio [...]/ E tu ridevi, Stella di Venere/ Stella d'Italia». E poi commenta: «I competenti di scienze esoteriche sanno benissimo che la Stella di Venere, detta anche "Stella di Lucifero", quando sorge al mattino, è, precisamente, la Stella delle Iniziazioni. È proprio quella che [...] brilla sulla fronte degli Adepti, nell'ora della suprema Illuminazione, della liberazione indicibile. È l'anima stessa dell'Italia che sembra racchiusa, da una congiura potente, in questa Stella, che i nostri pittori e scultori mettono sulla testa dei simulacri della Patria; che, in pieno regime fascista, è illuminata, nei giorni di festa, sulle facciate o le sommità degli edifici pubblici, più in alto che i fasci littori; ma che nessun civile, sia donna che ragazzo, ha il diritto di mettere sul suo vestito» 265. E ancora: «L'Italia, infatti, circonda di un rispetto tanto geloso, di una volontà di possesso tanto esclusiva, il sacro Pentagramma, che, quando, nel 1918, formò le legioni straniere con prigionieri cechi, polacchi o rumeni che domandavano di combattere sotto le sue bandiere, essa permise loro di scegliere quel corpo scelto che desideravano, ma rifiutò loro le stellette, che solo i suoi figli hanno il privilegio di bagnare col proprio sangue» 266.
Cesare Ricotti-Magnani | Padre Rosario Esposito | S\ Maria Rygier |
Curiosa anche la notizia che la Rygier fornisce sulla «Milizia» fascista: «Abbiamo affermato che il Pentagramma è il segno caratteristico dei soldati in Italia. C'è tuttavia un'eccezione, una sola, che però conferma la regola: la "milizia" fascista non porta le stellette. Mussolini ha profanato la maggior parte dei simboli cari all'Italia: anche il segno del braccio teso, che egli, nella sua ignoranza, ha preso per il "saluto romano", e che era invece il gesto del giuramento tra i Quiriti; quel gesto che eravamo tanto felici di fare, prima della "marcia su Roma", in onore della bandiera nazionale, al passaggio dei reggimenti, perché solo i colori della Patria possono essere salutati con un gesto che conferma la promessa di fedeltà. Qual mai potenza misteriosa ha trattenuto il "Duce", all'inizio del 1923, quando le "camicie nere" ricevettero uno statuto legale e furono assimilate agli altri corpi militarizzati, di dare alle sue brigate di assassini e di ladri, la Stella a cinque punte, conosciuta non solamente dai massoni, ma da tutti gli iniziati, in Oriente come in Occidente? Non mi incaricherò di rispondere a questa domanda. Mi limito solo a notare il fatto e a rallegrarmi che un grande infortunio sia stato risparmiato all'Italia: quello di esser causa, perché aveva adottato il Pentacolo dei Magi per suo emblema nazionale, di una profanazione ben più imperdonabile di tante altre» 267. Un'altra informazione data dalla Rygier riguarda le elezioni che avrebbero poi portato alla dittatura: «Il 6 aprile precedente (1924), la Massoneria aveva dato il suo appoggio "discreto" alle candidature antifasciste, soprattutto a quelle dell'opposizione liberale. Quest'ultima aveva anche voluto ornarsi di un emblema rivelatore dei suoi legami con la Massoneria. Siccome la legge italiana prescriveva che le schede elettorali di ogni partito portassero un disegno simbolico, affinché gli elettori illetterati potessero facilmente distinguerli dalle liste concorrenti, la democrazia liberale del Sud, che riconosceva come suo capo F\ Amendola, adottò come segno rappresentativo la Stella a cinque punte, cosa che aveva numerosi precedenti nelle passate battaglie elettorali. La democrazia liberale del Nord, raggruppata intorno all’ex presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, fu ancora più audace: prese apertamente per insegna la Stella fiammeggiante, che mai fino allora era apparsa in Italia su stampe destinate a profani» 268.
Quando il massone presta giuramento promette di non rompere il silenzio rivelando ai «profani» i «misteri» a cui viene iniziato, pena il castigo sopra descritto.
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Vogliamo chiudere questa monografia, come l'abbiamo aperta, con un'altra citazione dell'allora Gran Maestro Giordano Gamberini, nella prefazione all'opuscolo celebrativo del primo centenario della Loggia Sabazia, a Savona, il 15 giugno 1969: «La Massoneria ha un solo modo di vincere: quando il mondo profano accoglie i suoi principî, quando questi divengono patrimonio definitivo e inalienabile dell'intera umanità, quando anche gli avversari si contraddicono e li professano come proprî» 269. Vorremmo che quanto abbiamo scritto servisse a mettere in guardia tanti, anche cattolici, che, sprovvedutamente, esaltano e reclamizzano certe idee, anche buone, ma fatte proprie dalla Massoneria solo per il raggiungimento dei suoi scopi. In parole povere, quello che occorre sempre, ma specialmente oggi, sono i principî chiari e precisi, con tanto amore per tutti; senza nessuna «chiusura» prefabbricata, ma anche senza «aperture» imprudenti con «dialoghi» che sono nient'altro che abbassamenti di... bandiera, per non usare la frase di Perpetua che ci stava per uscire dalla penna 270. Certe realizzazioni massoniche vengono aiutate proprio da tanti, anche cattolici, almeno così si dicono, che non tengono conto della «filigrana» sulla quale sono impresse, col bel risultato che, così, aiutano la Massoneria a... vincere! Il trionfo definitivo sarà, certamente, quello di Cristo e della Sua Chiesa, come ci ha promesso il Signore: «Le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa» (Mt 16, 18). Ma sarebbe troppo comodo dormire e lasciar fare tutto a Dio. La nostra cooperazione volenterosa sarà sempre necessaria e meritoria.
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Note
160 Cfr. S. Farina, op. cit., pagg. 33-34.
161 Cfr. A. Pontevia, Cattolicesimo e Massoneria, Atanòr, Roma 1948, pag. 72.
162 Cfr. Paradiso, V, 18-24.
163 Cfr. A. G. Bovio, op. cit., pagg. 14-15; cit. in P. G. Caprile s.j., Orientamenti fondamentali della Massoneria, pag. 369, nota nº 56.
164 Cfr. Lumen Vitæ, agosto-settembre 1954, pag. 11.
165 Cfr. La Massoneria, Firenze, pag. 130.
166 Ibid.
167 Ibid., pag 70.
168 Cfr. Primo Convegno Nazionale Massonico dei Professori e Docenti Universitari, Roma 1954, pagg. 38, 41.
169 Cfr. La Massoneria, Firenze, pag. 72.
170 Cfr. S. Farina, op. cit., pag. 412.
171 Cfr. Età Nuova, novembre-dicembre 1950, pag. 18.
172 Cfr. Guadium et spes, § 4.
173 Ibid., § 17.
174 Ibid., § 13. L'Autore cita in positivo un documento del Concilio Vaticano II, il quale in altri punti del medesimo documento o in altre dichiarazioni (vedi Dignitatis Humanæ o Nostra Ætate) si avvicina non poco a concezioni massoniche quali la libertà religiosa o la dignità dell'uomo. Non a caso, dopo il Concilio, diversi religiosi fino a quel momento ostili alla sètta, ne sono divenuti i referenti favorevoli ad una riconciliazione (N.d.R.).
175 Cfr. A. Lantoine, Le società segrete attuali in Europa e in America, Edinac, Roma 1949, pag. 49.
176 Ibid., pag. 49.
177 Cfr. L'Acacia Massonica, 1949, pag. 137.
178 Cfr. Balaustra nº 1, del 12 aprile 1951, nº 3.
179 Cfr. S. Farina, op. cit., pag. 93.
180 Cfr. La Massoneria, Firenze, pag. 70.
181 Cfr. La Massoneria rivelata agli italiani, pag. 70.
182 Cfr. Onoranze al Gran Maestro della Massoneria Italiana Ugo Lenzi, pag. 26.
183 Cfr. P. G. Caprile s.j., La Massoneria Città di Satana, Sala Francescana di Cultura, Assisi 1961, pag. 24. Lezione tenuta dall'Autore il 9 novembre 1958.
184 Del 4 agosto 1968, pagg. 57-62.
185 Cfr. Mondo Domani, del 13 ottobre 1968, pagg. 3-4.
186 Cfr. Mondo Domani, del 1º settembre 1968, pag. 2.
187 Cfr. Rivista della Massoneria Italiana, settembre 1968, pagg. 431-432.
188 Cfr. S. Farina, op. cit., pag. 400.
189 Ibid., pag. 401.
190 Cfr. P. V., «Lo Stato nello Stato», in Rivista della Massoneria Italiana, del 15 gennaio 1879, pag. 5.
191 Cfr. La Massoneria, Firenze, pag. 178.
192 Cfr. Era Nuova, giugno 1956, pag. 19.
193 Cfr. Don V. Longo, La Massoneria speculativa, Passicomo, Genova 1896, vol. III, pagg. 420-421.
194 Ibid., vol. III, pagg. 421-422.
195 Ibid., vol. III, pag. 422.
196 Ibid., vol. III, pag. 423.
197 Cfr. Lumen Vitæ, 1956, pag. 150.
198 Cfr. U. Gorel Porciatti, Simbologia Massonica: Massoneria Azzurra, pag. 38.
199 Ibid., pag. 39.
200 Cfr. Relazione della Riunione Annuale della Gran Loggia di Palazzo Giustiniani, del 30-31 ottobre 1954, pagg. 54, 62.
201 Cfr. U. Gorel Porciatti, Simbologia Massonica: Massoneria Azzurra, pag. 28.
202 Cfr. G. Ciano, Diario 1937-1938, Cappelli, Bologna 1948, vol. I, pag. 217.
203 Cfr. U. Gorel Porciatti, Simbologia Massonica: Massoneria Azzurra, pag. 26.
204 Cfr. A. Lista, Le basi spirituali della Massoneria Universale, Ankh, Roma 1946, pag. 22.
205 Cfr. U. Gorel Porciatti, Simbologia Massonica: Massoneria Azzurra, pag. 39.
206 Ibid., pag. 26.
207 Ibid., pagg. 26-27.
208 Cfr. A. Lista, op. cit., pag. 20.
209 Cfr. Lumen Vitæ, 1959, pagg. 131-132.
210 Cfr. U. Gorel Porciatti, Simbologia Massonica: Massoneria Azzurra, pagg. 51-52.
211 Così Eliphas Levi.
212 Cfr. U. Gorel Porciatti, Simbologia Massonica: Massoneria Azzurra, pagg. 53-54.
213 Ibid., pag. 54, nota nº 15.
214 Atanòr, Todi 1922, pag. 102.
215 Cfr. E. Levi, Dogme de la Haute Magie, pag. 125.
216 Cfr. A. Lista, op. cit., pagg. 59-60.
217 Cfr. Mons. H. Delassus, Il problema dell'ora presente: antagonismo fra due civiltà, Desclée, Roma 1907, vol. I, pag. 611.
218 Cfr. Civiltà Cattolica, s. XII, vol. V, pag. 11, 12-13.
219 Ibid.
220 Ibid., pagg. 16-17.
221 Cfr. P. J. Berteloot s.j., op. cit., vol. I, pag. 67.
222 Cfr. Rituali Massonici del Primo e del Trentesimo Grado, Roma 1874, pag. 7,
223 Ibid., pag.100.
224 Cfr. Lumen Vitæ, 1959, pag. 132.
225 Cfr. Il Regno, maggio 1960, Bologna, pag. 4.
226 Cfr. R. Ascarelli, op. cit., pag. 132. Leggere al contrario è una pratica tipica dell'interpretazione magica (cabalistica).
227 Cfr. L'Acacia massonica, ante 145.
228 Cfr. Rivista della Massoneria Italiana, del 1º settembre 1876, pag. 2.
229 Ibid., pag. 4.
230 Cfr. Civiltà Cattolica, s. X, vol. I, pag. 108.
231 Cfr. Voce Pelasga, del 16 agosto 1876, pag. 9.
232 Cfr. La Massoneria, Firenze, pag. 62.
233 Cfr. S. Farina, op. cit., pag. 328.
234 Cfr. U. Gorel Porciatti, Simbologia Massonica: Gradi Scozzesi, pag. 152.
235 Ibid., pagg. 163-164.
236 Ibid., pag. 164, nota nº 18.
237 Ibid., pag. 166.
238 Ibid., pag. 167.
239 Ibid., pag. 170.
240 Ibid., pag. 170, nota nº 23.
241 Ibid., pag. 177, nota nº 28.
242 Cfr. A. Luzio, La Massoneria e il Risorgimento Italiano, Zanichelli, Bologna 1925, vol. I, pag. 55 e nota nº 1.
243 Cfr. S. Farina, op. cit., pag. 68.
244 Cfr. Rivista della Massoneria Italiana, del 15 febbraio 1879, pag. 43.
245 Cfr. P. Maruzzi, Opere per una biblioteca massonica, Tip. del Senato di Giovanni Bardi, Roma 1921, pag. 78, nº 475.
246 Cfr. U. Bacci, op. cit., vol. II, pag. 312.
247 Ibid., pag. 269.
248 Cfr. C. Patrucco, Documenti su Garibaldi e la Massoneria nell'ultimo periodo del Risorgimento, Boffi, Alessandria 1914, pag. 11.
249 Imprimerie Polyglotte, Roma 1913.
250 Cfr. L'Acacia massonica, 1948, pag. 142.
251 Cfr. Rivista della Massoneria Italiana, 15-30 luglio 1879, pag. 215.
253 Cfr. Rivista della Massoneria Italiana, 1970, pag. 105.
254 Cfr. U. Gorel Porciatti, Simbologia Massonica: Massoneria Azzurra, pag. 114.
255 Cfr. A. Mellor, op. cit., pag. 257.
256 Ibid.
257 Cfr. Revue Internationale des Sociétés Secretes, del 7 giugno 1925, pag. 396.
258 Cfr. Acacia, dicembre 1913, Roma, pag. 201. Rivista mensile massonica del Rito Simbolico Italiano.
259 Cfr. Revue Internationale des Sociétés Secretes, del 7 giugno 1925, pagg. 396-397.
260 Cfr. U. Gorel Porciatti, Simbologia Massonica: Massoneria Azzurra, pag. 112.
261 Maggio 1966, Milano, pag. 4.
262 Cfr. P. R. F. Esposito, op. cit., pag. 273.
263 1950, pag. 663.
264 Cfr. M. Rygier, op. cit., Gloton, Parigi 1930, pag. 32.
265 Ibid.
266 Ibid., pag. 33.
267 Ibid., pag. 34.
268 Ibid., pagg. 259-260.
269 Cfr. Valle del Letimbro: Primo Centenario della Risp. Loggia Madre "Sabazia" all'Oriente di Savona, Grafica L.P., Genova 1869/1969, pag. 5.
Fonte: