Enrico IV in penitenza di fronte a Gregorio VII a Canossa, in presenza di Matilde, in un dipinto di Carlo Emanuelle.
Sorta la monarchia sacra con la conversione dell’Imperatore Costantino, i sovrani cristiani, compresi del loro alto ufficio di custodi dell’ordine naturale ed alleati della Gerarchia ecclesiastica nella Chiesa, si interessarono, oltre che della nomina di vescovi ed abati, come abbiamo visto, anche della scelta del Sommo Pontefice. Tocchiamo qui un argomento spinoso, che ha fatto versare fiumi d’inchiostro. Una concezione storiografica influenzata dal processo rivoluzionario anticristiano de- gli ultimi secoli, ha talvolta assuefatto anche gli ecclesiastici di buono spirito, non ul- timi alcuni ‘tradizionalisti’, a giudicare, nella relazione tra Sacerdotium e Imperium dei secoli cristiani, sempre e comunque, l’azione del potere temporale, anche se consa- crato e legittimo, nella sfera religiosa, come uno sconfinamento indebito, immaginan- do la relazione ideale della Chiesa docente con lo Stato cristiano non altrimenti che di semplice obbedienza ad nutum dei voleri pontificali. Molti tra i moderni storici della Chiesa, avendo perduto il senso dell’unità nella distinzione della potestà monarchica e dell’autorità pontificale nell’unica Chiesa di Cristo, influenzati dalla condotta anticattolica dei governi degli ultimi secoli, hanno trasferito, più o meno inconsciamente, anche alle epoche in cui vigeva un regime di concordia tra lo Stato e la Chiesa, il giudizio negativo sulle relazioni tra le due supre- me potestà nell’epoca rivoluzionaria. Basterebbe leggere il lungo e, per altro, ben documentato saggio che nel 1911 il Dictionnaire de Théologie Catholique dedica a tale argomento, per toccare con mano come, ben prima dell’esplosione neo-modernista degli anni ’60 del secolo tra- scorso, molti autori ecclesiastici avessero completamente perduto il senso dell’unità e della concordia dei due poteri nella Chiesa. Il saggio sopracitato, infatti, trasuda di anacronistico nazionalismo anti-tede- sco. Si parla continuamente di imperatore ‘tedeschi’ e si riduce la contesa tra le due potestà, spesso, a una questione nazionale! A leggere certi autori sembrerebbe che personaggi, per altro controversi, come l’Imperatore Enrico IV di Franconia, l’antagonista di S. Gregorio VII nella ‘lotta per le investiture’ del secolo XI, siano da considerarsi quasi alla stregua dei politici laicisti contemporanei, senza tener conto che quel sovrano, compreso da un’alta con- cezione della maestà imperiale cristiana, ingaggiò quella celebre lotta, non certo per negare la religione o distruggerla, ma per difendere una consuetudine che, a torto o a ragione, credeva legittima, ossia il diritto dell’Imperatore Romano ad aver voce in ca- pitolo nella designazione del Vescovo di Roma. Né San Gregorio VII, per quanto persuaso della suprema missione spirituale della Chiesa docente e del Papato in particolare, intendeva misconoscere il principio dell’unità della società cristiana. Si può, infatti, tranquillamente affermare, come vedremo brevemente, che non tutti gli atti dei sovrani cristiani in ordine alla scelta e designazione dei Pontefici Romani, furono indotti soltanto da mere considerazioni terrene, o ispirati dalla bieca ambizione o da volontà di potenza. Spesso fu proprio grazie all’intervento di principi saggi e profondamente religiosi, che l’istituzione papale riuscì a risollevarsi da certi momenti poco felici della sua immortale vicenda, e riproporsi quale degna guida delle popolazioni cristiane del mondo intero. Poiché la dignità di Sommo Pontefice è la più elevata che vi sia sulla terra, l’at- to che determina il soggetto che ne deve essere insignito, riveste una capitale impor- tanza. Con esso, infatti, si individua il Vicario visibile di Gesù Cristo, l’interprete in- fallibile della Rivelazione, il capo della Chiesa militante, il padre, infine, di una molti- tudine immensa di fedeli. Il modo, tuttavia, con cui operare tale fondamentale scelta, non è stato fissato per diritto divino. Gesù Cristo, infatti, non ha trasmesso alcuna prescrizione al riguardo, lasciandone la regolamentazione alla Chiesa. Durante i primi secoli, il Vescovo di Roma era designato allo stesso modo degli altri Ordinari. Fedeli, clero diocesano e vescovi circonvicini erano, seppure a titolo di- verso, i depositari del diritto di nomina. A seguito, tuttavia, dello sviluppo e dell’accrescimento della Chiesa, tale modalità d’elezione cominciò a mostrare dei perico- losi inconvenienti. Se essa, infatti, poteva essere funzionale fin quando i partecipanti alla nomina erano relativamente pochi, diveniva fonte di gravi svantaggi quando tale numero aumentava. Le riunioni divenivano allora tumultuose, a causa dello scontro delle varie fa- zioni, che vi prendevano parte. Ancora al tempo delle persecuzioni, alla morte di Papa San Fabiano (20 gennaio 250) si era visto sorgere un antipapa in Novaziano, che appoggiato da un forte partito, aveva cercato di scalzare dalla sede di San Pietro, il legittimo eletto, San Cornelio. Poco meno di un secolo dopo, morto Papa Liberio nelle catacombe il 24 settembre 366, venne regolarmente eletto a succedergli sei giorni dopo, il 1° ottobre, San Damaso. Ma Ursicino, sostenuto da un forte partito popolare e da qualche prelato, gli si erse contro. Si scatenò una vera e propria battaglia all’interno di San Lorenzo, dove si stava compiendo l’elezione di Damaso. Vi furono parecchi morti, finché non inter- vennero le truppe del Prefetto di Roma, il pagano Protestato, a ristabilire l’ordine. I seguaci di Ursicino, tuttavia, continuarono ancora per parecchi mesi a tenere la città in stato di guerra, spargendo il terrore tra la popolazione dell’Urbe.