Russell Kirk ( 19 Ottobre 1918 – 29 Aprile 1994)
Nessuno, almeno in Italia, ha ancora affermato apertamente che vi sia un "partito stupido", come John Stuart Mill definì i conservatori, ma l'accenno insistente sulla mancanza di una cultura in grado di opporsi a quella progressista è un luogo comune che riesce a far breccia anche nella destra italiana. A quella dichiarazione di sfida seguì nel mondo anglosassone una reazione che fece fiorire riviste, case editrici, scuole e università portando alla luce l'evidenza del contrario, cioè che è semmai il pensiero moderno a vivere parassitariamente sullo scontro dialettico con la cultura del kosmos, non potendo opporle altro che l'anelito verso il chaos.
Fra coloro che hanno raccolto la sfida, Russell Kirk ha mostrato l’organicità del pensiero conservatore all'interno della "grande tradizione" classica e cristiana, e le sue opere sono state una "bibbia" per il pensiero di destra americano.
Nato nel 1918 in un sobborgo di Detroit, Kirk, dopo aver insegnato per breve tempo Storia della civiltà presso il Michigan State College, si è ritirato nella casa degli avi del piccolo villaggio di Mecosta, nel Michigan, per svolgere in completa indipendenza la professione dello scrittore e dello studioso, dando alle stampe 30 volumi e numerosissimi saggi e articoli. La sua fama e la sua influenza — esercitatesi nei campi della storia delle idee, della filosofia politica, del costituzionalismo, dell’educazione, della critica letteraria e della narrativa — ne hanno fatto per decenni una delle figure più importanti del panorama culturale statunitense e, dopo la scomparsa avvenuta nel 1994, un punto di riferimento intellettuale imprescindibile per le nuove generazioni.
Nel desolato panorama ideologico europeo, la diffusione dei saggi di Kirk potrebbe ridare vigore a una ripresa del pensiero forte, facendo magari inorridire tanti progressisti. Un ottima occasione per dare scandalo è la traduzione, con la bibliografia completa delle opere dell’autore, di uno dei testi più famosi di Russell Kirk, Le radici dell'ordine americano. La tradizione europea nei valori del Nuovo Mondo (a cura di Marco Respinti e con un epilogo di Frank Shakespeare, Leonardo Editore-Mondadori, Milano 1996, pp. 564, L. 42.000), uscito per la prima volta nel 1974 negli Stati Uniti d’America e poi ripubblicato in tre edizioni. Kirk considera il patrimonio di cultura avuto in eredità dal Vecchio Mondo come le radici di una civiltà nuova, quella americana, appunto, che viene indagata a partire da esse.
Se è vero che ognuno va a cercare il proprio sogno in America e spesso ve lo trova già confezionato come in un grande supermarket, è altrettanto vero che sugli scaffali non ci sono esclusivamente Martin Luther King e la saga dei Kennedy. E non sono rari gli intellettuali statunitensi che non riescono davvero a comprendere come qui in Italia si dedichino viali e piazze a personaggi considerati nella loro patria come fenomeni di secondo piano.
Per scoprire l'America che esiste, invece di illuderci che essa sia quel sogno rappresentatoci fino a oscurare la realtà, sarebbe utile intanto convincersi che l'Europa non è obbligatoriamente un mercato terminale di mode importate e accorgersi, in secondo luogo, che la nostra identità europea è così "forte" da dar vita a un ordine tanto stabile da rimanere in piedi anche dopo che il nostro è crollato sotto i colpi della Rivoluzione. E che la nostra identità è passata negli Stati Uniti d’America non perché fosse una bella invenzione, ma perché coincideva con il diritto naturale, quindi anche con tutti i contenuti della Rivelazione data da Dio a Mosé sul Sinai, perché "l'ordine morale americano non sarebbe affatto nato se non fosse stato per il retaggio lasciato da Israele", dice Russell Kirk iniziando la lunga analisi delle fonti che hanno contribuito a costruire le basi per la futura nazione americana ancor prima che il viaggio di Cristoforo Colombo fosse in previsione.
Invece che di civiltà, dunque, Kirk parla di "ordine", perché si tratta del riflesso sociale dell'ordine morale dell'individuo. Ciò che gli uomini costruiscono, quindi anche le Costituzioni, le leggi, l'ordinamento politico, sociale, economico, porta il marchio della loro struttura interiore e della gerarchia dei valori che essi riconoscono. Non sono novità, tiene a sottolineare Kirk. Mentre la Legge di Dio veniva rivelata tramite i dieci comandamenti al popolo d'Israele, nell'Ellade, per intuizione di Solone la costituzione ateniese veniva improntata all'equilibrio tra l'ordine interiore e quello esteriore che ne doveva essere la proiezione. Tutt'altro che cow-boy spuntati dal nulla, gli statunitensi attingono a piene mani a Platone e ad Aristotele per costruire un modello di Stato "medio" e necessariamente pluralista, fondato sull'equilibrio dei poteri, benché senza una religione ufficiale come invece nelle polis greche, ma con la saldezza derivante dalla religiosità cristiana degli individui e delle famiglie. E, guarda guarda, salta fuori anche Roma antica, non solo dagli scritti di Edward Gibbon, ma persino negli studi dei dirigenti della Convenzione costituzionale degli Stati Uniti d’America, che adottano il sistema istituzionale dei pesi e dei contrappesi proprio della divisione fra autorità consolare, senato e comitia. Fra gli autori più letti, Virgilio, Cicerone e gli stoici. In particolare Marco Aurelio lo era "sin dall'insediamento delle prime colonie inglesi e l'imperatore fu caro a John Smith, comandante delle milizie cittadine dei primi virginiani, più di qualsiasi altro autore".
Fra l'altro, visto che i tempi previsti per le riforme in Italia sembrano concedere comodamente la lettura del testo, se ne potrebbero giovare anche molti ingegneri costituzionalisti dei nostri giorni, se li si informasse che "in America le conseguenze dell'accentramento romano contribuirono a scoraggiare i progetti favorevoli al governo centralizzato come alternativa a quello federale, esattamente come la mancanza di unità greca a-limentò le argomentazioni contrarie a una confederazione dai tenui legami". Il diritto romano approda in America nella formulazione ciceroniana, attraverso il common law e con un particolare accento posto sulla legge di natura, definito da Kirk "l'immaginazione morale che ci mette in grado, attraverso la ragione, di esercitare il diritto consuetudinario e quello statutario con umanità".
Nonostante la storia non sia da considerarsi fra le discipline più frequentate da certi americani contemporanei, è un fatto che gli Stati Uniti d’America si siano avvantaggiati di tutti i passaggi critici compiuti dall'umanità, di ogni leap in being — il "balzo dell'essere" nel campo religioso, filosofico, storico o politico di cui parlava Eric Voegelin —, e particolarmente di quello che avviene con il cristianesimo. Al sant'Agostino che oppone la città di Dio a quella terrena, nella quale gli uomini comunque non possono fare a meno dello Stato, si aggiungono i contributi degli altri padri e dottori della Chiesa, uomini che, proprio grazie alla connessione che videro "fra la salvezza personale e l'ordine pubblico", ebbero una tale influenza sulla società da frenarne il ritorno alla barbarie e favorire la crescita di una civiltà cristiana nel Medioevo. "Per gli uomini che fondarono la Repubblica americana l'eredità medievale era così scontata che non si preoccuparono neppure d'elogiarla in modo adeguato", scrive Kirk, che vede nel diritto inglese uno degli elementi di maggiore continuità fra il mondo medioevale, soprattutto britannico, e l'impianto giuridico caratteristico degli Stati Uniti d’America. L'influenza di san Tommaso d'Aquino risulta invece di portata forse più limitata: lo stesso Kirk non ne riconosce il contributo diretto nella formazione delle istituzioni americane. Il cristianesimo si fa ispiratore dell'ordinamento civile e della giustizia soprattutto attraverso le dottrine protestanti, ma l'autore non crede di individuare potenziali differenze fra un'ipotetica colonizzazione cattolica e quella avvenuta storicamente, anche perché la portata delle dottrine di derivazione calvinistica in America Settentrionale viene — secondo Kirk — temperato sia dall’incontro con un ambiente selvaggio (spesso assai ostile) che ne riduce l’utopismo a favore di un realismo de facto, sia dall’influenza dell’anglicanesimo (massicciamente presente nelle Colonie), confessione in cui bene o male permangono forti elementi cattolici. Secondo lo studioso, l’impatto con il "Mondo Nuovo" portò a un fattuale (e magari inconscio) recupero di "virtù classico-medioevali" che attutirono molti dei toni rivoluzionari propri del protestantesimo europeo.
In primo piano si situano le ripercussioni della "Rivoluzione Gloriosa" del 1688 in Gran Bretagna, così come i primi insediamenti delle denominazioni protestanti nelle tredici Colonie inglesi, avvenimenti che hanno permesso che alcuni elementi rilevanti del pensiero cristiano sull'uomo e sulla società si traducessero in leggi e determinassero gli sviluppi difformi di teorie come quella del contratto sociale. Gli scritti di John Bunyan, scrittore puritano inglese del '600, e del suo contemporaneo anglicano sir Thomas Browne moderano le tendenze che emergono in tutta Europa a formulare tesi di contratto sociale basate sul puro individualismo razionalistico. Più rispettosa del diritto naturale, l’ipotesi contrattualistica presentata dall’anglicano Richard Hooker si oppone decisamente a quella elaborata da Thomas Hobbes. Soltanto con il loro continuo riferimento alle istituzioni della madrepatria, le Colonie inglesi in America riusciranno a temperare anche le dottrine dei gruppi religiosi più radicalmente evangelici o, sul versante opposto, di John Locke e più tardi dei deisti del Settecento. Kirk insiste spesso sulla funzione avuta dalla tradizione cristiana, affermando l'efficacia della "via media" (che egli descrive il un continuum che da Aristotele giunge al pensiero medioevale inglese), sia nell'evitare fughe fondamentaliste sia nel rinnovare la struttura sociale con uno spirito di autonomia, la quale favorisce la nascita di forme giuridiche e rappresentative ispirate al passato, ma adeguate alla nuova realtà. Il mondo delle Colonie inglesi ci viene descritto come un tentativo di dar vita a una società gerarchica anche in assenza di una nobiltà nominata da un re, ma fornita di tutte le caratteristiche di virtuosità e di autorevolezza necessarie a un'élite destinata a governare, un elemento, questo, magnificamente colto — sia detto di passaggio — da Plinio Corrêa de Oliveira in un’appendice all’edizione statunitense della sua opera sulla nobiltà (cfr. The United States: An Aristocratic Nation Within a Democratic State, in Idem, Nobility and Analogous Traditional Elites in the Allocutions of Pius XII. A Theme Illuminating American Social History, Hamilton Press, Lanham [Maryland] 1993, pp. 133-330). Fra i padri nobili degli Stati Uniti d’America, Kirk annovera il francese Charles de Secondat, barone di Montesquieu, accanto a David Hume e a sir William Blackstone, ma soprattutto a Edmund Burke, a cui ha dedicato anche una parte importante della sua opera fondamentale The Conservative Mind: From Burke to Eliot (7a ed. riv. e accresciuta, Regnery Publishing, Washington, D.C. 1993) e lo studio Edmund Burke: A Genius Reconsidered (2a ed. riv., Sherwood Sugden & Co., Perù [Illinois] 1988). Così il lungo viaggio attraverso lo sviluppo delle istituzioni statunitensi acquista anche il significato di un ripasso delle tappe che, mentre dividevano l'Europa, ne esportavano sia le virtù che i vizi. Proprio l'analisi delle idee e dei fatti, come la Dichiarazione d’Indipendenza e la Costituzione degli Stati Uniti, che esse hanno prodotto consente a Kirk di abbattere definitivamente l'analogia fra la Rivoluzione americana e quella francese. Poi verrà l’età contemporanea e Orestes A. Brownson (1803-1876) è l'ultimo dei filosofi politici a cui si affida l'America nel mutamento in corso nell'Ottocento; ed è un intellettuale approdato al cattolicesimo dopo un lungo peregrinare per comunità protestanti e ideologie secolariste a scorgere la pericolosità del liberalismo e del marxismo, e che proprio per questo denuncia gli abusi del potere del denaro. A trattenere gli Stati Uniti d’America dal divenire preda del disordine dovranno venire altri che si pongono sulla sua stessa linea. Russell Kirk è uno di quanti possono fornire strumenti utili al ristabilimento dell’ordine.
Andrea Morigi