lunedì 22 ottobre 2012

La Civiltà Cattolica anno IV, serie II, vol. I, Roma 1853 pag. 369-380.R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio D.C.D.G. DI DUE FILOSOFIE (1)

 

§. I.

Introduzione.

SOMMARIO

1. Difficoltà di far leggere trattazioni filosofiche — 2. mancandovi le attrattive di attualità. — 3. Calcolo dei tipografi nello smaltirle. — 4. E pure il mondo ne parla — 5. almeno per moda. —6. Necessità di parlarne. — 7. Articolo della Revue des deux mondes.

1. Sarebbe pur tempo di attenere la parola, e allentar le briglie alla filosofia che sta alle mosse. Ma oimè! come sperare che dottrine filosofiche, sulle quali sbadiglia talora lo stesso filosofo che le detta in grossi volumi, possano giugnere le ben venute quando vogliano bazzicar pei salotti sulle penne lievi lievi di un periodico, che ogni quindici giorni ne imbandisce un piatto al negoziante affaccendato, al cicisbeo girovago, alla damina filosofessa. Poveretti! M'immagino, che al primo assaggiare l'indigesto manicaretto se l'abbiano a sentire scrogiolar sotto i denti; e gran mercè se riusciranno ad inghiottirne il primo boccone nell'atto di gittar da sè col rimanente dell'ingrata vivanda anche il piatto.
2. Eppure in materie di filosofia astratta, confessiamolo sinceramente, è difficilissimo trovare un sugo, una salsa da condirle, che l'ammorbidisca ai palati men virili. Finchè si trattò di Gius pubblico, di Costituzioni o Statuti, di Giury e Guardie nazionali, di Suffragio universale e di Libero insegnamento, i nostri articoli poteano svolazzare liberamente, non che per salotti e gabinetti, anche per caffè e per taverne, sicuri che al solo pronunziare il loro titolo si cattiverebbono l'attenzione, e che il linguaggio del pubblicista non giungerebbe nuovo al popolo sovrano. Ma questo povero sovrano in giacchetta, è egli così pronto ad esercitar l'intelletto come la sovranità? Vive in dimestichezza uguale col noumeno e col non-io come co' Circoli e colle Camere?
3. Ih! se sapeste la risposta fattaci un dì da uno dei più capaci ed operosi fra i tipografi italiani, a cui proponendo noi certa opera filosofica da riprodurre a suo conto: «Signore, ci rispose, sapete voi qual è la graduale probabilità di smaltimento per nuove stampe, insegnata a noi dall'esperienza? I libri che fanno furore sono i romanzi, e poi le opere di circostanza e di partito, chè queste il diavolo le porta: vengono appresso le opere storiche e i libri scolastici; poi le trattazioni di gius pubblico e di scienze naturali o di letteratura: i libri ascetici, se sono di gran merito e fama, danno ancora allo stampatore una qualche speranza. Ultima classe, finalmente, classe disperata, è quella dei libri filosofici, dai quali se si traggono le spese vuol essere proprio un miracolo del Genio socratico».Oh povera filosofia! davvero che possiam ripetere con pienissimo consenso la sentenza posta in bocca del volgo dal Cantore di Laura:
Povera e nuda vai filosofia!
4. Or dopo tale augurio del tipografo, quale speranza ci resta per questi mal capitati nostri articoli? Una sola noi ne veggiamo; ed è, che da quell'infimo luogo, ove li collocò il tipografo, essi gridino misericordia alla Opinione reina e alle ire agitatrici del mondo, le quali mettendo, come sogliono, il campo a romore e il mare in iscompiglio ben possono alzar da quel fondo ove le gettò il tipografo le scritture filosofiche, benchè gravi, e sollevarle all'altezza del secolo, al livello dell'Opinione, improntandole di una fisionomia di circostanza. Oh manco male! Le scritture di circostanza occupano nella tariffa dei tipografi il secondo luogo: e sarebbe proprio una disdetta se posta su quel candelabro anche la filosofia non sapesse trarre a sè un'occhiata.
5. Or su dunque interroghiamo la circostanza: v'è nessuna quistione che scuota gli animi? Porgete l'orecchio, lettor mio, fuori della vostra fenestra: sentite che strepito, che fracasso?
— Non sento niente.
— Come, non sentite le grida dei Razionalisti? dei Tradizionalisti? dei Classici e dei Santi Padri?
— Niente, vi ripeto; niente.
— E buon per voi, lettor mio, che vivete in Italia ove non è sì facile il divampare delle quistioni: ma se sentiste in Francia che terribilio, che finimondo!
— Oh! oh! Roba di Francia?
— Sì signore, roba di Francia, appunto: e la curiosità si sveglia tosto allora eh?
— Che volete? quei Francesi benedetti hanno l'arte d'inverniciare tutto, perfino le pergamene più tarlate, perfino i quodlibeti e le specie intenzionali!..
6. Or su dunque: scartabelliamo giornali e periodici: sarem noi sì perseguitati dalla mal'uria che, mentre la filosofia vanta fra i suoi meriti quello di ficcarsi da pertutto, non facesse capolino in qualcuno dei periodici francesi...... Oh! eccone uno opportunissimo: La Revue des deux mondes (tome seizième. XXII année. Nouvelle période). Il primo articolo tratta materie filosofiche: è proprio il fatto nostro! una materia trattata dal conte Alberto De Broglie, che chiama a rassegna il Marchese di Valdegamas col P. Ventura e l'Abate Gaume, non può riuscire di nausea ai lettori anche più schizzinosi.
7. Per altra parte ne conforta il riflettere che, mentre la filosofia forma il vanto ormai anche delle infime classi nella società, mentre ogni falegname vuol ragionare colla matematica la forma della pialla, ogni muratore colla statica la sinopia a cui collinea i suoi mattoni, ogni ciabattino colla notomia del tarso e del metatarso la forma delle sue scarpe; non vorranno certamente i gentili nostri lettori essere così retrivi da non conoscere quanta parte aver debba la scienza metafisica nel vero ristoramento sociale. Certamente non sono nè le categorie del Kant, nè i predicamenti di Aristotele, nè l'uno e il molteplice di Cousin quelli che aizzano i comunisti a chiedere dagli abbienti e dai potenti la borsa e il potere: che inuzzoliscono le moltitudini a voler parte nel Governo: che fanno alzare il grido di separazione della Chiesa dallo Stato. Ma chi può negare che in parecchi di codesti più sventurati che scellerati, l'onestà arresterebbe la rapacità, l'ambizione, la ribellione eterodossa se il gergo metafisico del Proudhon e del Borella non scendesse dalle alture del pensiero a medicare col sofisma gli scrupoli di una coscienza non ancora pervertita del tutto? Sì certamente: al comunismo e agli altri errori dei tempi nostri, molto più ragionevolmente si addice ciò che di ogni eresia diceva, or fa due secoli, quel grande pensatore del Pallavicino, non esservene alcuna che mentre rigogliosamente frondeggia in testi di Scrittura e di SS. PP., non si abbarbichi poi segretamente e non attinga il vitale suo succhio nel profondo colà della terra del nostro intelletto: il perchè se queste radichette non si sbarbino di pianta, mai non sarà che l'errore isterilisca e si dissecchi del tutto. Or se questo dicea quel grande delle eresie che menavano vampo di essere tutte fiore di sacra Bibbia e di spirito santo, pensate quanto più dovrem noi dirlo degli errori correnti che vantano sulla fede di nascita padre loro il raziocinio e madre l'indipendenza di ragione!
Qui dunque non c'è rimedio, savio nostro lettore: e se la famigliarità contratta in tre anni di conversazione con esso voi cel permettesse, noi vorremmo dirvi come quel pazzo: «O mangiar questa minestra, o passar per la fenestra.» Qui non c'è mezzo: o dobbiamo sradicare dalla mente del popolo i dettami scellerati, e questo non si fa se le persone locate più alto nella gerarchia sociale non giungono a ragionare per sè pienamente le teorie del dritto, per trasfondere poscia nell'infima classe mezzo digerito e preparato alla debolezza del loro stomaco, l'alimento di verità, come la nutrice, per somministrare al bambolo sotto forma di latte un alimento salubre, dee prima masticarlo ed alimentarne sè medesima: o le persone più capaci e più influenti continuano a fastidire la serietà del vero, ghiotte soltanto degl'intingoli e confetti manipolati nei teatri e nei romanzi; ed allora si rassegnino o tosto o tardi a veder penetrare pel portone nei loro salotti il comunismo irsuto e truculento, voglioso di cacciarneli per la fenestra.
Le costui minacce che appuntano a noi lo sprone perchè parliamo, non basteranno a scusarci presso i lettori, che vi hanno tanto maggiore interesse di noi, se mai tutta l'arte della nostra penna non fosse bastevole a rendere piacevole e saporito anche il discorrere di filosofia?
Or su dunque facciamo di tutto, noi per condire ed inzuccherare il manicaretto, voi, lettor gentile, per armarvi di pazienza e di annegazione che si rassegni ad inghiottirlo: e con tali disposizioni potremo con isperanza di buon successo iniziare anche questa trattazione.
Apriamo dunque la Revue ed attraverso le nevi delle Alpi si degnino aprir la marcia quei nomi abbastanza illustri per chiamare a sè anche gli sguardi degli sfaccendati.
8. Nomi sono questi, che già più d'una volta comparvero forse agli occhi dei nostri lettori in altro proposito. Ma questa volta sapete in quale occasione vengono citati al vostro tribunale? Egli è a proposito di un certo articolo pubblicato non ha gran tempo dall'egregio signor De Broglie in quel grave ed accreditato giornale della Revue [1], chiamando a sindacato i tre autori citati più sopra, i quali si fecero, a dire del loro censore, instauratori del medio evo; il primo in politica, il secondo in filosofia, il terzo in letteratura. L'intero articolo sarebbe degnissimo di nostra attenzione; ma l'analizzarlo tutto riuscirebbe indiscreto verso la vostra pazienza. Lasciam dunque in disparte la politica del Donoso Cortes, e la letteratura del Gaume, e chiamiamo a tenzonar soli al cospetto vostro campioni più analoghi alla materia che trattiamo, il De-Broglie e il filosofo teatino.

§. II

Stato della quistione.

1. Dottrine di Alberto De-Broglie. — 2. Verità del suo principio universale. — 3. Dottrine del P. Ventura. — 4. Combattute dalla Revue. — 5. Sommario delle costei dottrine. — 7. Caratteri della filosofia dimostrativa e della inquisitiva. — 8. La filosofia non è indifferente. — 9. Ragionevolezza dei due nomi.
1. Sotto il titolo di Ragione filosofica e Ragione cattolica, l'illustre Teatino avea pubblicato certe sue Conferenze recitate nella chiesa dell'Assunzione in Parigi, delle quali le prime cinque principalmente erano rivolte a combattere il razionalismo, contrapponendogli una forma di filosofia, ch'egli vorrebbe foggiata su i modelli dell'Aquinate. Il suo antagonista, senza discostarsi punto nulla dal sentimento cattolico che anima le Conferenze, si fa innanzi rivendicando al secolo nostro i suoi diritti di vivere sotto la data in cui lo fece nascere la Provvidenza, chiedendo in grazia che non si confondano insieme due cause fra loro sì diverse, quella cioè del cattolicismo e quella del medio evo: avere la Chiesa, avere la fede tanto in sè di vitalità e di virtù plastica da potere rigenerare la filosofia moderna, senza che le occorra andarne fra la polvere e i tarli a disseppellire i rancidumi del peripato. Contentiamoci di vivere nell'epoca nostra, conclude l'A., e parliamo la nostra lingua, senza nulla imitare del medio evo, tranne quello spirito che fece la grandezza de' tempi andati, e che può rifare a' dì nostri la grandezza della Chiesa e il ristoramento della Filosofia [2].
2. Non vi sarà, crediamo, uomo di senno che non accetti volentieri l'universale principio, invocato qui dall'illustre A.; chè tal è l'indole dei principii universali, atta a farsi riverire ed accettare da chiunque non abbia perduto il senso comune.
Ma le discussioni non nascono ordinariamente intorno a questi principii, sibbene intorno alle dottrine particolari e alle loro applicazioni. E chi sa se anche chi dettò le Conferenze non accetterebbe volentieri quel principio, sostenendo poi di esservisi pienamente conformato? Noi non prendiamo qui a discutere nè difendere le opinioni di lui, essendo persuasi che le quistioni donde può sperarsi un qualche vantaggio alla società, non sono quistioni personali. S'egli giudica che altri non l'abbia capito, se sentesi gravato dalle censure della Revue, non gli manca una buona penna con cui dichiarare le proprie asserzioni. Quello che a noi preme è il vedere qual valore abbiano le dottrine particolari censurate, e le opposte sostenute dal De-Broglie.
3. L'autore incomincia l'analisi delle Conferenze dicendoci che ilsistema scolastico di S. Tommaso è pel R. P. tutta la filosofia; appellata da lui Ragione cattolica, filosofia dimostrativa. A questa si oppone la filosofia inquisitiva; la quale, cercando prove razionali dell'esistenza di Dio, dell'immortalità dell'anima, delle leggi morali, perderebbe il tempo e la fatica, e presto presto anche l'anima come il Cartesio: cui non preservò dalla scomunica la memoria dei complici illustri che ne seguirono le tracce [3].
4. Esposte in tal guisa non senza qualche lepidezza ed artificio le dottrine dell'avversario, il Conte Alberto mette in mostra dapprima la disconvenienza e il pericolo di confondere il cattolicismo col medio evo: esservi stata una filosofia cattolica prima della Scolastica, la Scolastica medesima avere avute le sue varietà e i suoi difetti; oggi poi tale essere l'indole della moderna società da rendere impossibile ed inutile la filosofia che riuscì allora sì vantaggiosa alla Chiesa e alla società. «Quando tutto è cambiato ciò che attornia la religione, uopo è che cambi necessariamente ella pure; non già, tolga il Cielo, nella sostanza, e nè anche nelle forme esteriori che si attengono alla fede, ma sì nelle armi di difesa e nei mezzi d'introdursi. Oggi come al secolo XIII centro del mondo morale è la verità cristiana: ma tutt'altro da quel secolo è lo spirito della società. Or chi naviga verso il faro, altre stelle dee seguire ed altre carte secondo che muove o da Oriente o da Occidente» (pag. 440). Di che l'A. inferisce che se ottima fu nei secoli di fede la filosofiadimostrativa, la quale ferma nelle credenze generali, nei concetti comuni a tutti gli uomini, nelle tradizioni universali, procedeva all'esplicamento delle verità, e ne studiava con analisi la natura; oggi che la società francese figlia dell'incredulità volteriana null'altro ne redò, se non negazione e dubbio, e risposte superficiali e derisorie a tutti i più alti problemi dei destini umani, una filosofiainquisitiva, la quale parta dalla ragione per innalzarsi alla fede, è divenuta un interesse della Chiesa, ed una necessità dello spirito moderno (pag. 441, e 442).
5. Sono queste le dottrine con cui l'egregio filosofo della Revuecensura l'arcaismo dell'oratore teatino: le quali, se mal non ci avvisiamo, alle seguenti proposizioni ridur si potrebbero. «Ogni filosofia è per sè indifferente, nè merita preferenza se non in ragione dell'utilità che può partorire. Ora oggidì la dimostrativasarebbe inutile, l'inquisitivain ragione dei tempi è necessaria: dunque la Chiesa deve accettare oggidì la filosofia inquisitiva, procurando di santificarla ed usufruttuarla». Se le premesse fossero vere, la conseguenza riuscirebbe evidente, non essendovi cattolico che ignori la temperanza così propria di quella società divina, alla quale egli appartiene raffigurata nella celebre visione che fino dai suoi primordii segnò le norme pratiche di condotta al primo dei Pontefici: visione la quale se dovette nel cominciamento applicarsi alle persone che dalla gentilità passarono in grembo alla Chiesa, venne poscia ugualmente applicata a tutte le scienze, le arti, le professioni, le imprese, le istituzioni e checchè altro ravvisar si possa negli ordini del vivere umano; chè tutto, tranne la colpa, venne accolto e purificato in quella sindone che a Pietro orante giù si spenzolava dal cielo.
6. Ma sono elleno vere quelle premesse? L'egregio conte di Broglie ci permetterà di rivocarle in dubbio; e il dubitarne non gli parrà in noi, speriamo, nè arcaismo che vuol risuscitare il medio evo, nè orgoglio che si estolle su i primi uomini dell'età moderna. Molto meno c'imputerà l'arroganza di accusare d'incredulità certe scuole anche cattoliche, quasi che il dimostrare ad un autore che una sua proposizione conduce a conseguenze funeste fosse altrettanto, che gridarlo reo di tali conseguenze; quasi che la logica degli uomini fosse sempre talmente severa da rendere impossibile il negare la conseguenza, ammesso il principio. Nel caso nostro la bisogna va proprio al rovescio, dovendo noi anzi nelle scuole cattoliche che si diedero pedisseque alla filosofia del dubbio, ammirare più che altrove la trionfatrice potenza della Fede: la quale ad intelletti ammaestrati dalla filosofia a nulla ammettere se non dimostrato, seppe imporre il suo giogo; ed intimando che credessero prima di esaminare, ed interdicendo ogni dubbio antecedente all'esame, seppe ottenere il difficilissimo sacrifizio, reso in apparenza irragionevole dagli aforismi abbracciati in filosofia. Il vedere tanta docilità di credente congiunta con tanta indipendenza di filosofo, cresce in noi la riverenza per la virtù di chi seppe in tal guisa immolare la filosofia alla fede.
Lungi dunque da noi ogni taccia di prosunzione ed audacia: quando tutti i savii cattolici lamentano la società impiagata profondamente; quando ne vanno investigando il tossico corruttore nei principii razionali; quando un oratore riverito e reverendo grida averlo trovato nella sostituzione della filosofia inquisitivaalla dimostrativa;niuna superbia può imputarsi a scrittori cattolici se in tal materia espongono essi pure le proprie idee, esaminando l'articolo di un altro filosofo cattolico. Molto più se nel dire il loro parere, schivi dal millantarsi creatori di nuovi sistemi, altro essi non pretendono se non giustificare delle dottrine, o calunniate dai miscredenti, o mal comprese da' credenti, ma confortate da quanto vi ha di più sublime e saldo nelle reminiscenze cattoliche.
Poichè peraltro non sappiamo con quanta esattezza di formole sieno qualificate nelle Conferenzele due filosofie, crediam necessario esporre distintamente il nostro concetto in modo da evitare oscurità ed equivoci, spiegando la natura dell'una e dell'altra.
7. Mostreremo dunque che la filosofia degli Scolastici può comedimostrativa contrapporsi alla moderna inquisitiva per quattro sue proprietà: vale a dire perchè
1.° Quella moveva dal certo, questa dal dubbio:
2.° Proprio scopo di quella era l'evidenza, di questa la certezza:
3.° Quella per accertare nelle sue sentenze invocava a sostegno qualsivoglia elemento ragionevole, questa ne accetta un solo, il raziocinio:
4.° Quella produceva negli animi una disposizione cattolica, sociale, pratica, questa una disposizione eterodossa, antisociale, impraticabile.
8. Se queste proposizioni vengono da noi poste in tutta evidenza, evidente sarà la conseguenza, ogni filosofia non essere indifferente, e l'inquisitiva in particolare non essere propria dei tempi, benchè lodatissima da certuni che si dicono da sè medesimi uomini del nostro tempo.
E chi sa che l'A. medesimo, leggendo le nostre osservazioni non si accorga che questo indifferentismo in filosofia è già per sè medesimo un male, ingenerato in molti intelletti oggidì da quella dottrina appunto che egli vorrebbe raccomandata alla Chiesa? Molti sono che hanno ormai della filosofia tal concetto, quale aver si potrebbe della eloquenza o della poesia, semplici forme o abbigliamenti del pensiero, adattabili ugualmente alla verità e alla menzogna. In queste arti, sì, noi comprenderemmo che potesse dirsi alla Chiesa: «Prendetele quali esse sono ed usufruttuatele». E questo appunto lo diremmo anche noi riguardo ai metodi, alle formole, al linguaggio col quale ella può introdursi e difendersi nella società odierna: si difenda in latino o in italiano, colla sintesi o coll'analisi, con discorsi oratorii o con sillogismi stringati, ciò poco monta. Ma usare questa o quella filosofia, significa asserire certi principii, certe verità, certe teorie esser vereo essere false. Or come può ad uomo assennato ed onesto cadere in pensiero, che sia indifferente asserire il vero o il falso? Che sia falso oggidì ciò che fu vero nel medio evo? O che la verità e la falsità non abbiano in sè ragione alcuna di preferenza o di riprovazione, ma debbano adoperarsi or l'una or l'altra secondo il bisogno [4]? E un tal consiglio si dà alla Chiesa cattolica, colonna e fondamento della verità!
Il fatto potrebbe parere strano a chi non conoscesse il secolo e la sua filosofia: ma a noi sembra un natural fenomeno di quella filosofia appunto, che sotto nome di inquisitivaviene encomiata dall'illustre A. Conciossiachè proprio di questa, come vedrem fra poco, è il dubitare di tutto (fuorchè della fede trattandosi fra cattolici): Elle erre... dans le doute; le doute est son point de départ [5]: or nelle cose dubbie può esser lecito abbracciare or questo or quel partito, specialmente per un fine ragionevole e giusto. Se dunque giustissimo e ragionevolissimo è l'intento di giovare alla Chiesa, nulla vieta che adopriamo or questa or quella ipotesifilosofica, senza giudicar vera nè l'una nè l'altra.
Ecco crediamo noi, l'occulto pensiero inosservato donde muove, senz'avvedersene, l'illustre A., mentre suggerisce alla Chiesa di accettare dal secolo, quale che ella sia, la filosofia che questo vezzeggia, per valersene d'introduttrice e di tutela. Ma se fra le due filosofie corresse quel divario che fra la verità e l'errore, non è chi non veda essere del pari assurda per la Chiesa e l'indifferenza nell'abbracciarle, e la speranza di ugualmente usufruttuarle; essendo evidente che nè la Chiesa può amare la bugia, nè la bugia vantaggiare la Chiesa.
Questo, speriamo, risulterà dalle prove che recheremo delle quattro asserzioni pocanzi proposte. Da queste già il lettore avrà compreso il motivo dei nomi caratteristici delle due filosofie, i quali noi riceviamo dalla Revue come ella dall'Oratore teatino. Dimostrativadiciamo la filosofia degli Scolastici, non già perchè non cercasse e non trovasse anch'ella molte verità, ma perchè non assumea per suo proprio scopo la ricerca di ogni certezza, ma sì l'evidenza dimostrativa. Per l'opposito inquisitivadiciamo la filosofia moderna, non già perchè non pretenda ella pure di dimostrare molte verità, ma perchè partendo dal dubbio, e sentendo per conseguenza che le sue dimostrazioni vacillano, è costretta a sempre nuove ricerche, rifrugando fino all'imo per trovare ove appoggiare un convincimento.
Legittimati così i nomi, dovremmo ora passare alle cose. Ma poichè la trattazione riuscirebbe di lunghezza indiscreta, e noi abbiamo protestato di non volere abusare la pazienza vostra, rimettiamo a due articoli distinti le quattro proposizioni pocanzi annunziate. Noi non sappiamo se riusciremo a mettere la filosofia alla portata dei più: certo faremo ogni opera per riuscirvi. Ma preghiamo i lettori a recare particolare attenzione sopra questo suggetto ed a persuadersi esso essere più grave che a prima vista non pare. Atteso la condizione dei tempi esso è forse il più rilevante di quanti la Civiltà Cattolica ne ha trattati finora.

*Act. X, 10-17 «Et vidit caelum apertum, & descendens vas quoddam, velut linteum magnum, quatuor initiis submitti de caelo in terram, in quo erant omnia quadrupedia, & serpentia terrae, & volatilia caeli. Et facta est vox ad eum: Surge, Petre, occide, & manduca. Ait autem Petrus: Absit Domine, quia numquam manducavi omne commune, & immundum. Et vox iterum secundo ad eum: Quod Deus purificavit, tu commune ne dixeris. Hoc autem factum est per ter: & statim receptum est vas in caelum. — E vide aperto il cielo, e venir giù un certo arnese, come un gran lenzuolo, il quale legato pe' quattro angoli veniva calato dal cielo in terra: In cui eravi ogni sorta di quadrupedi, e serpenti della terra, e uccelli dell'aria. E udì questa voce: Via su, Pietro, uccidi, e mangia. Ma Pietro disse: Nò certamente, o Signore, conciossiachè noi ho mai mangiato niente di comune, e di impuro. E di nuovo la voce a lui per la seconda volta: Non chiamar tu comune quello, che Dio ha purificato E questo seguì fino a tre volte: e subitamente l'arnese fu ritirato nel cielo.»
Mons. Martini, tra l'altro, così commenta: «Vers. 14. Niente di comune, e di impuro. Può anche tradursi niente di profano, e di immondo: imperocchè comuneera il contrario di santo, e chiamavano comuni quelle cose, delle quali si cibavano comunemente le genti, ma non il popolo santo, a cui molte di tali cose erano vietate dalla legge, o dalla tradizione de' maggiori.»
N. T. del S. N. Gesù Cristo secondo la Volgata ecc., tradotto ed annotato da Mons. Antonio Martini, tomo III, Firenze 1790 pag. 109-110.

NOTE:

[1] Revue des deux Mondes Tome seizièmepag. 409 e seg. 1 Novemb. 1852.
[2] Le système majestueux de Saint Thomas d'Aquin, voilà pour le révérend père la philosophie entière:.... Il l'appelle la raison catholique par excellence, la philosophie démonstrative, qui parvient seule à établir une série de vérités certaines, par opposition à la philosophie inquisitive, qui, suivant lui, les cherche toujours sans les trouver jamais (pag. 411).
Soyons de notre temps et parlons notre langue. Il n'y a rien à imiter du moyen-âge, rien, si ce n'est l'esprit même qui a fait dans les temps passés et qui seul peut faire encore la grandeur et l'influence de l'Église (pag. 44).
[3] Qui veut connaître et établir quelque chose par le raisonnement sans l'appuyer sur l'autorité et l'Écriture, perd son temps, sa peine et bientôt son âme. Pur l'avoir tenté Descartes encourt une excommunication majeure, dont ne le préserve pas le souvenir des grands complices qu'il a comptés de son temps (pag. 412).
[4] «Come mai il vero può variare? alterarsi? scadere? mutarsi nel suo contrario, e divenir falso?.... Una prova che ieri era salda, giusta, eccellente, idonea a persuadere un Dante, un Euler, un Haller, un Anquetil, un Muratori, non potrà più produrre oggi e domani i medesimi effetti»? GiobertiIntrod. allo studio della filosofiaTom. II, P. I, pag. 665.
[5] Revue pag. 440.