giovedì 11 ottobre 2012

La Monarchia Sacra Parte terza : La Monarchia Sacra e la Teologia: La monarchia sacrale e la Comunione al Calice


File:Maximilian II imperator.jpg
Massimiliano II d'Asburgo (Vienna, 31 luglio 1527Ratisbona, 12 ottobre 1576) primogenito dell'imperatore del Sacro Romano Impero Ferdinando I d'Asburgo e gli successe sul trono nel 1564 (dopo essere già stato eletto re di Germania e Boemia nel 1562 e d'Ungheria nel 1563).



La monarchia sacrale cattolica volle conservare la prerogativa che fra tutte la distingueva dal semplice stato laicale e che dimostrava il possesso, seppure in grado minore, di una connotazione sacerdotale: il potere di toccare i vasi sacri.
L’Imperatore – lo si è visto – partecipava alla Messa della sua Incoronazione, non come semplice fedele, bensì come un Suddiacono, offrendo al Pontefice, all’Offertorio, il Calice e l’acqua per il Sacrificio.
I monarchi non pretesero certo d’essere impiegati ordinariamente quali Suddiaconi nella Messa papale, ma vollero conservare, anche in altre solenni circostanze, quel rito che, scaturendo dal loro ministero suddiaconale, li palesava sacri e non semplici laici: la Comunione sotto le due Specie, che comportava il contatto con il sacro Calice.
A partire dal XI secolo infatti, nella Chiesa Latina, cominciò a diffondersi il rito di comunicare i fedeli con la sola specie del Pane, riservando il Calice ai Sacerdoti.
Motivi pratici e ragioni dottrinali spinsero la Gerarchia in tale direzione. La Comunione al Calice era praticamente difficoltosa, nonostante i vari accorgimenti escogitati.
Inoltre, poiché chi riceveva una sola Specie, riceveva anche l’altra, il conferimento del Vino diveniva inutile.
Infine, restringendosi la Comunione sub utraque Specie ai soli Sacerdoti, a coloro che soli godevano del potere consacratorio, se ne sottolineava meglio la specificità ministeriale e la gerarchia rispetto al semplice laico.
I sovrani più consapevoli, comprendendo che a mano a mano che l’antica prassi andava in desuetudine a vantaggio del Clero, essi rischiavano di veder, in un certo modo, menomata la propria aura sacrale, si rivolsero all’autorità ecclesiastica perché il rito fosse loro confermato come in antico.
Così i Re di Francia, che, come il Sacro Imperatore, si comunicavano sotto entrambe le Specie il giorno dell’Incoronazione, ottennero nel 1344 con Filippo VI (1328- 1350) da Papa Clemente VI (1342-1352) di poter comunicare al Calice senza limitazioni.
Sul finire del ‘300 tuttavia, il diffondersi dell’eresia hussita, che si proponeva, con speciose argomentazioni, la restaurazione integrale dell’antica prassi, fece sì che i Papi guardassero con diffidenza le eccezioni alla norma, che voleva riservata ai soli sacerdoti la Comunione al Calice.
Gli eretici, in effetti, giustificavano il ritorno all’antico rito, in quanto rigettavano erroneamente la distinzione tra laici e sacerdoti, mettendo in discussione la natura sacramentale dell’Ordine Sacro. Tutti erano sacerdoti nella chiesa immaginata da Huss: tutti dovevano quindi comunicarsi sotto le Due Specie.
Anche i Sovrani pagarono le spese di tale torbidi religiosi. Così, l’Imperatore Federico I I I d’Austria (1440- 1493), incoronato a Roma il 15 marzo 1452 da Papa Niccolò V (1447-1455) rinunciò alla Comunione al Calice.
Tuttavia il rito appariva troppo essenziale alla natura sacrale dei Principi per scomparire del tutto. Così, quando, con il Concilio di Trento (1542-1564), la reazione cattolica alla ben più grave eresia protestante confermò la prassi liturigica, che escludeva i semplici fedeli dalla Comunione al Calice per i semplici laici, i Sovrani tornarono alla carica.
Il Re di Francia vide confermato per sè e i suoi discendenti la Comunione sotto entrambe le Specie il giorno della Consacrazione ed in punto di morte.
Gli Imperatori-Suddiaconi invece, oltre che al momento della loro Consacrazione,rinnovavano il rito al Calice nella solennità del Giovedì Santo.
Sicuramente Papa Pio IV (1559-1565) confermò l’usanza all’Imperatore Massimiliano I I (1564- 1576) usanza che rimase in vigore fino al 1918, quando cessò la monarchia austro-ungarica erede del Sacro Romano Impero.
Francesco Giuseppe I (1848- 1916) e Carlo I (1916- 1918) quindi comunicarono al Calice ogni Giovedì Santo dei loro anni di regno. Non senza profondo significato, infatti, la cerimonia avveniva in quella solennità.
Il Giovedì Santo è la festa ‘sacerdotale’ per eccellenza della liturgia cattolica.
Nella Missa in Coena Domini si commemora fastosamente l’Istituzione da parte del Signore Gesù del Sacerdozio e della Santo Sacrificio della Messa.
Il Vescovo, poi, benedice gli Olii santi: Olio degli infermi, Olio dei Catecumeni e Sacro Crisma “unde unxisti Sacerdotes, Reges, Prophetas et Martyres” [col quale ungesti sacerdoti, Re, profeti e martiri] che sarebbero impiegati nell’amministrazione dei Sacramenti, o nella consacrazione di persone o cose.
In quella solennità, ove risplende nell’azione liturgica, quasi ad ogni passo, la potestà sacerdotale che s’esercita nel Sacrificio Eucaristico, proprio allora gli Imperatori si comunicavano al Calice, toccando i Vasi sacri.
La natura sacrale della loro autorità era ancora riconfermata, come nel giorno dell’Incoronazione.
In quella medesima solennità i Re Cristiani compivano, come i Sacerdoti e i Vescovi, il Mandatum, ossia la Lavanda dei Piedi, a dodici poveri.