Fin dall’epoca apostolica invalse la consuetudine che il corpo episcopale avente giurisdizione, si riunisse in speciali adunanze, eminentemente ecclesiastiche, sia per i membri che le componevano, sia per le materie che vi si dibattevano, onde regolare questioni di gravità eccezionale: i Concili ecclesiastici.
Tali riunioni di Vescovi possono essere sia particolari (provinciali, nazionali) sia generali o ecumeniche. Queste ultime sono le più importanti e si possono definire «l’assemblea solenne dei Vescovi di tutto il mondo, che si riuniscono su invito e sotto l’autorità e la presidenza del Pontefice romano per deliberare e legiferare assieme su questioni che interessano la Cristianità intera».
Il Sommo Pontefice, supremo gerarca della Chiesa, ha esso solo il potere e la facoltà formale di convocare e presiedere i Concili Ecumenici, nonché ratificarne i decreti.
Si tratta, infatti, di un’istituzione squisitamente ecclesiastica, che vede radunato assieme al Papa il corpo episcopale, ossia raccoglie l’unione, almeno morale, della Chiesa Docente.
Sembrerebbe a tutta prima che il potere temporale dei sovrani cattolici non abbia relazione alcuna con tali assise. Eppure la storia della Chiesa dimostra il contrario, presentando un’apparente contraddizione tra il principio teologico (solo il Pontefice Romano ha formalmente il potere di indire tali riunioni) e la realtà dei fatti.
I primi otto Concili Ecumenici della Chiesa, da quello di Nicea del 325 al Costantinopolitano 4° dell’anno 870, furono, infatti, convocati dagli Imperatori cristiani.
Da alcuni eminenti autori, tra cui S. Roberto Bellarmino, è stata avanzata la spiegazione, che tali convocazioni avvenissero in virtù di una sorta di delega, più o meno tacita, da parte del Papa a vantaggio dei Principi: «per un diritto in certo modo ‘ministeriale’ delegato dal Sommo Pontefice».
«Gli Imperatori – così riassume tale ipotesi J. Forget nel D.T.C. - convocando questi Concili, non agivano di propria autorità, ma per conto del Pontefice Romano, dal quale avevano ricevuto il mandato, o almeno dal quale avevano ottenuto, o presumevano di aver ottenuto, il consenso. La convocazione da parte dei Principi non sarebbe stata, né imperativa, né indipendente, ma semplicemente enunciativa o promulgatrice e ‘ministeriale’, fondandosi su di una delega espressa o tacita».
I documenti ufficiali, tuttavia, come le lettere di convocazione e i decreti stessi di quei Concili, mostrano con tutta evidenza che i sovrani cattolici agivano «sulla base di un diritto che ritenevano connaturato alla loro funzione di Imperatori cristiani».
«È incontestabile che gli Imperatori, convocando di fatto, fino al secolo IX, i Concili Ecumenici, intendevano usare un diritto proprio inerente alla loro carica. La loro convinzione si ricava dalle loro lettere di convocazione, dalle dichiarazioni scritte od orali ai concili riuniti ed in particolare dagli atti e dalle parole di Costantino a proposito del 1° Concilio di Nicea».
In tali documenti «non solo i loro autori danno ordini perentori, ma vi si cercherebbe invano la traccia d’una delega ricevuta dal pontefice romano o anche del suo consenso espresso o supposto. Al contrario, la convocazione è chiaramente e esclusivamente presentata come un atto dell’autorità imperiale; ed è semplicemente motivata dalla cura e dallo zelo degli interessi religiosi, considerati come inseparabili da quelli civili, di cui gli Imperatori sono i guardiani naturali».