Le primizie del Concilio: Enzo Bianchi e la comunità di Bose
Quando so di aver commesso qualche peccato un po’ troppo grosso – come atto di dolore – sfoglio il Corriere della sera, sperando di trovare qualche articolo scritto da Enzo Bianchi. Così – il 24 settembre scorso, aprendo il Corriere a pagina 37 – ho letto: Il balzo in avanti di papa Giovanni nell’annuncio del Vangelo eterno. Con il Vaticano II una nuova pentecoste per la Chiesa cattolica. Ecco ciò di cui avevo bisogno per rimettere in regola – almeno in parte – la mia anima col buon Dio.
Più che analizzare l’articolo nella sua completezza (i miei peccati sono gravi, ma non così tanto da dover commentare per intero un articolo del priore di Bose), mi soffermerò sul lunghissimo titolo celebrativo.
Partiamo un po’ da lontano, precisamente dal 7 dicembre 1965. Si è appena concluso il Concilio Vaticano II ed Enzo Bianchi – autonominatosi di fresco Fratel Enzo – si ritira (l’8 dicembre) in una cascina del piccolo paese di Bose. Ben presto, giungono uomini e donne di diverse confessioni per vivere assieme una vita di comunione – puramente umana – e di preghiera.
Arrivati a questo punto, è necessario aprire una parentesi: abbiamo cercato di raccogliere informazioni precise su come si svolgano le preghiere interreligiose della comunità di Bose, ma non abbiamo ottenuto risposte soddisfacenti. Abbiamo quindi formulato due ipotesi che proponiamo al lettore. Ipotesi 1: a Bose si prega a targhe alterne per evitare l’inquinamento religioso: nei giorni pari pregano i cattolici mentre, in quelli dispari, i protestanti. Ipotesi 2: non esiste più alcuna differenza tra cattolici e protestanti e, quindi, si prega assieme senza alcuna difficoltà. Personalmente, propendiamo maggiormente per l’ipotesi numero 2. Chiusa la parentesi, torniamo ad analizzare il titolo di Enzo Bianchi.
Su tre concetti esposti, il priore di Bose ne sbaglia quattro e, in parte, capiamo anche il perché: per Enzo Bianchi, il periodo 1962 – 1965 rientra sotto la categoria “formidabili quegli anni” dove tutto è soffio dello spirito profetico (mai che si parli di Spirito Santo), apertura al mondo e novità.
Più che un salto in avanti, quello del Vaticano II fu un salto nel vuoto. Si cercò, per la prima volta nella storia della Chiesa, di confezionare una religione adatta alle esigenze dell’uomo moderno. Ma l’uomo moderno, lo sanno anche le patate, ha bisogno di una via sicura da seguire e non di una “teologia del dubbio” capace di far impallidire perfino Cartesio; ha bisogno di verità a cui aggrapparsi mentre il mondo che lo circonda non riconosce più alcuna verità e, infine, ha bisogno della certezza che la vita dell’uomo non può finire con la morte, che deve per forza esistere un’altra vita. L’uomo moderno, insomma, ha bisogno di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, incarnato e morto sulla Croce per noi. Questa verità la può comprendere chiunque non scriva sul Corrierone e sia dotato di un cervello regolarmente fabbricato dal Creatore.
In questi giorni cade la festa degli Angeli Custodi: innalziamo al buon Dio una vecchia preghiera – un pochino aggiornata (non preoccupatevi: è un sano aggiornamento) – per proteggerci dalle calamità moderne: a fame, a peste, a bello, a Bose libera nos, Domine!
Matteo Carnieletto