lunedì 22 ottobre 2012

La Civiltà Cattolica anno IV, serie II, vol. I, Roma 1853 pag. 481-506. R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio D.C.D.G. DI DUE FILOSOFIE (2)

 

 

§. III.

Punto di partenza.

1. Doppia proposizione, –– 2. Riguarda lo spirito generale delle scuole –– 3. Scolastici calunniati –– 4. anche senza volerlo dai buoni.–– 5. La filosofia non appoggia l'evidenza sulla fede –– 6. ma su principii evidenti. –– 7. La moderna muove dal dubbio –– 8. addottrinata a ciò dal Cartesio. –– 9. Non indaghiamo le sue intenzioni –– 10. ma accettiamo le espressioni. ––11. Esse produssero il dubbio moderno. –– 12. col razionalismo lo dilatarono. –– 13. Equivoco onde nacque il dubbio –– 14. esposto dal Cartesio medesimo –– 15. che scambiò l'evidenza colla certezza –– 16. strascinato dal piacere dell'evidenza. –– 17. Disinganno.
1. Prendendo nel precedente articolo a contornare con precisione l'idea delle due filosofie, dimostrativaed inquisitiva, piantammo quattro proposizioni, destinate a far comprendere, che la loro diversità non è un affare di forme che possano variarsi per moda, ma è una diversità sostanzialissima, per cui la Chiesa mai non potrà accettare il consiglio suggeritole dal ch. Alberto De Broglie di adottare nella sua famiglia, come al medio evo la dimostrativa, così oggidì l'inquisitiva. Dichiariamo oggi le due prime di quelle proposizioni, dimostrando 1° carattere dell'antica filosofia dimostrativa essere stato il muovere dalla certezza, come della moderna il muovere dal dubbio: 2° quella aver mirato come a proprioscopo a produrre l'evidenza, questa a produrre la certezza.
2. È inutile il dire, che chi parla di una data filosofia, abbraccia generalmente lo spirito di tutta una scuola e prescinde da quelle mezze tinte che mai non mancano, quando molte teste abbracciano un principio medesimo, alterandolo e modificandolo nell'intelligenza e nelle conseguenze con tutti gli svariatissimi elementi delle individualità che se lo hanno appropriato. Vi pongano mente, di grazia, i lettori: giacchè a più d'uno potrebbe intervenire di credersi addetto ad una scuola, mentre veramente non avrebbe coraggio di seguirne risolutamente fino all'ultimo i dettati; e per l'opposito potrebbegli accadere di seguire i dettati della scuola contraria, credendo di riprovarli. Così, per cagion d'esempio, nel nostro proposito un savio ragionatore potrebbe credersi nel numero degli inquisititivi, solo per ciò che con giusta critica esamina i fatti, ovvero perchè nell'ammettere i principii secondarii, s'ingegna di ridurli ai principii supremi, affinchè splendano di maggiore evidenza e manifestino l'intima loro natura: il che è proprissimo, come vedremo, della filosofia dimostrativa. Altri all'opposto potrebbe credersi di appartenere alla scuola dimostrativa, perchè sente intimamente l'assurdità del sempre cercare, trovandosi frattanto nell'attuale disposizione di sofisticare sopra di tutto, tutto rivocando in dubbio invece di ricercarne semplicemente le cause. È chiaro che noi non possiamo qui ragionare di queste varietà individuali: le due proposizioni che togliamo a dimostrare, riguardano lo spirito delle due scuole, quale esso regna nel complesso delle loro dottrine, quale ha dritto a regnarvi in forza dei loro principii severamente applicati, qualunque sia l'incoerenza dei particolari filosofi, qualunque il punto a cui ciascuno viene arrestato dalla indomabil forza della natura veridica.
Premessa questa osservazione, incominciamo a chiarire la prima delle due proposizioni.
3. L'antica filosofia, diciamo in primo luogo, moveva dal certo: ma questa proposizione abbisogna di qualche spiegazione a fine di raddrizzare le sentenze che vennero falsate anche negli animi più sinceri da tre secoli di maldicenza e di calunnia, con cui il protestantesimo fece di tutto per trasformare la dottrina scolastica in un mostro non sapremmo se più ridicolo o più deforme. Noi non istaremo a ritrarre qui col pennello della storia le fattezze di questa Befana fantasticata dai nemici della Chiesa e dai creduli per essi abbindolati [1]; bastandoci le parole del periodico francese per dimostrare quanto male venga oggi inteso il metodo filosofico del medio evo: il quale credente alla semplice, dice il De Broglie, e talora anche credulo, aveva in ogni ricerca filosofica per base e per principio la fede dogmatica; e tutta l'opera sua facea consistere nello spiegare questa fede. La société du moyen âge, simplement croyante et par foi crédule, avait dans toute recherche philosophique, la foi dogmatique pour base et pour principe. Expliquer la foi c'était toute son œuvre (Revue des deux mondes vol. XVI, pag. 440).
4. Lungi da noi l'attribuire ad ignoranza e molto meno a mal animo dell'illustre A. l'aver travisato in queste parole le prime mosse della filosofia scolastica. Egli ci sembra scusabile nei suoi abbagli in quanto combattea l'Oratore teatino: il quale predicando dal pulpito non usa sempre quel linguaggio esattissimo che adoprerebbe forse insegnando dalla cattedra: e più d'una volta adopera la parola fede per indicare quell'assenso che, anteriormente a qualunque dimostrazione, l'intelletto dà ai principii supremi e indimostrabili. Appellar fedequesto assenso, egli è un travolgere il vocabolo precisamente all'estremo opposto dell'idea che volgarmente egli esprime; stantechè mentre la fede accetta quelle verità che non possono dimostrarsi per la troppa loro oscurità, si adopra il vocabolo stesso per esprimere l'assentimento alle verità più lampanti, che riescono indimostrabili per troppa luce.
5. Questo linguaggio equivoco che il P. Ventura non ha forse adoprato se non ad hominem, come suol dirsi ragionando contro gli eclettici, che molte volte ne abusarono in questo senso e non senza vantaggio della loro empietà; questo linguaggio, diciamo, pare aver dato luogo all'abbaglio della Revue;ove l'illustre A. sembraci confondere la filosofia dimostrativa colla teologia scolastica. Questa sì, che piantava come principii gli articoli di fede: sicut aliae scientiae non argumentantur ad sua principia probanda, sed ex principiis argumentantur ad ostendendum alia in ipsis scientiis; ita haec doctrina (theologica) non argumentatur ad sua principia probanda, quae sunt articuli fidei; sed ex eis procedit ad aliquid ostendendum. Così san Tommaso [2]. Ma la filosofia non partiva dalla fede quasi da principio di dimostrazione, ma solo talvolta come da base della certezza per ogni cattolico. Volea bensì che anche la filosofia avesse i suoi concetti comuni a tutti gli uomini e gli accettasse come preliminari di ogni dimostrazione. Metaphysica disputat contra negantem sua principia, si adversarius aliquid concedit; si autem nihil concedit, non potest cum eo disputare; potest tamen solvere rationem ipsius [3]. Ma questo assenso ai concetti universali, alle verità prime, ella lo chiedea non come un atto di fede a Dio rivelante, ma come un atto voluto dalla natura, la quale impone quelle verità senza veruna dimostrazione ad ogni intelletto non ammalato per cavillosità o sofismi, come fa vedere la luce ad ogni occhio non infermo, senza bisogno di un'altra luce che la renda visibile.
Lascisi dunque in disparte la rivelazione e la fede, quando trattiamo del principio donde movea quella filosofia, se non si vuole confonderla colla scienza teologica. Vedremo fra poco la cagione dell'equivoco che le fece attribuire un tale procedere: per ora basta l'avere stabilito coll'autorità del primo fra gli Scolastici ciò che la Revuemedesima dice colle parole del suo avversario alla pagina 441: «ridicolo sarebbe alla filosofia prendere le sue armi (proprie e caratteristiche) nella Scrittura santa, nella tradizione cristiana: per convincere chi non ammette tali autorità vuolsi ricorrere alla ragione». Il serait ridicule à la philosophie de prendre ses armes dans l'Ecriture sainte, dans les décisions des Papes el des Conciles, dans la tradition chrétienne: pour convaincre ceux qui n'admettent ni l'ancien ni le noveau Testament, il est nécessaire de recourir à la raison naturelle.
6. Ma se la filosofia dimostrativa non si appoggia sulla fede, dovrem noi dire che ella muove dal dubbio? No, prosiegue la Revue colle parole dell'Oratore medesimo: la filosofia ha dei concetti comuni, delle tradizioni universali, delle generali persuasioni, che precedono e dominano ogni sua ricerca. Elle a ses croyances générales, ses conceptions communes à tous les hommes, ses traditions universelles, qui précédent et dominent toute recherche. Eliminatene, di grazia, per un momento quelle traditions universelles cui chiariremo altrove, e le parole citate esprimeranno con piena esattezza l'idea che abbiamo proposta della filosofia dimostrativa: ella parte dal certo, e il suo certo sono appunto quei concetti comuni, quelle generali persuasionicui se un avversario sofistico pretenda tutti negare o mettere in dubbio, l'antica filosofia si riconosceva impotente a ristorarli: Non potest cum eo disputare. Non per questo cedeva ella le armi, pronta sempre a difendersi contro quegli avversarii se pretendessero cavillando smuoverla dalle sue basi. Ma convincerli senza principii certi, oh questa impresa era da lei riconosciuta superiore alle sue forze! Si nihil adversarius concedit non potest cum eo disputare. E come mai convincere colle ragioni chi dubita della ragione medesima? Come dimostrare una verità, senza appoggiar le premesse ad altra verità certa? Convinceremo noi con una ragione fallace e inferiremo certezza da premesse dubbiose?
7. Tale era il sentimento degli Scolastici: e, fosse o no ragionevole, esso fornì universalmente alla loro filosofia il suo punto di partenza. Ma sopravvenne ad iniziare un metodo opposto la filosofia moderna e prese per punto di sua partenza il dubbio: le doute est son point de départ, comme la foi était celui du moyen âge (pag. 440). «La filosofia critica (così il Bertini) crede che questa veracità della umana intelligenza sia un... primo teorema da dimostrarsi prima di ogni altro, e da propugnarsi contro lo scettismo che il nega. Per filosofia critica intendo quella che ad ogni altra ricerca filosofica vuol premettere la critica delle facoltà conoscitive dello spirito umano; il Galluppi e il Rosmini appartengono a questa scuola [4]». Così il Bertini.
8. Patriarca di tale scuola fu, come oggidì quasi tutti consentono, Renato Cartesio, sia egli o non sia voluto giungere a tali conseguenze estreme. Persuaso che tutti i filosofi fino al suo tempo aveano errato, fra i quali, dic'egli, i primi e principali di cui abbiamo gli scritti sono Platone ed Aristotile; e che la maggior parte di coloro che in questi ultimi secoli hanno voluto esser filosofi cecamente si sono messi a seguire Aristotile... e quelli che seguitato non l'hanno essendo stati nella loro gioventù delle di lui opinioni preoccupati, non hanno potuto alla cognizione dei veri principii arrivare: persuaso, dico, nella sua modestia di tutto questo, pensò d'introdurre la filosofia per una tutt'altra carriera, intimandoci che mentre non si ha che le cognizioni, le quali si acquistano coi quattro gradi di sapienza (nozioni comuni, sperienza dei sensi, conversazione degli uomini, lettura dei libri); dubitar non si dee delle cose che vere sembrano per quel che al regolamento della vita appartiene; ma neanche debbonsi così certe stimare, che non si possa mutare opinione allorchè vi si scorge una qualche evidente ragione [5]. Come disse così fece: leggete la parte prima dei Principiie troverete sul margine stesso del libro come dovendosi alcuna verità ricercare, fa di mestiero... per quanto è possibile, mettere in dubbio tutte le cose: anzi è utilissimo il considerare come false tutta quelle cose di cui si può dubitare..... perfino la verità delle cose sensibili, e delle dimostrazioni di matematica[6].
9. Fin qui il Cartesio: e noi abbiamo voluto riferirne le proprie parole per non arrogarcene l'interpretazione, sapendo benissimo quanto e dai contemporanei e dai posteri siasi disputato per indovinare ciò ch'egli pensasse. Se credessimo necessario di abbracciare qui una sentenza, inchineremmo a credere che nol sapesse interamente egli stesso, tanti sono i suoi detti e le sue disdette. Ma poichè questo è già stato chiarito da uno che si dà per suo confutatore, eppure è forse in qualche parte suo seguace [7]; e poichè all'assunto nostro nulla monta questo indovinamento dei pensieri personali; contentiamoci di abbracciare il sentimento oggidì universale fra i dotti, figlia di Cartesio essere la filosofia moderna, ed emancipata per lui la ragione dei filosofi. Egli è questo il carattere attribuito costantemente da tutti e seguaci ed avversarii alla filosofia del Cartesio: la quale non è propriamente sì encomiata e sì salda da quasi tre secoli per veruno dei suoi dogmi speciali, ma per quello spirito, per quell'impulso che egli diede alla scienza di non accettare dottrina alcuna come certa, se non in quanto se ne renda ragione colla dimostrazione.
10. Questo, che al dire di molti fu un estendere alla filosofia la dottrina del senso privato, introdotta già da Lutero in teologia [8], fece si che i filosofi si sperperassero in mille svariatissime sentenze (quantunque il buon Cartesio s'immaginasse aver costituita laconcordia tra i filosofi [9]) come quelli che ragionevolmente si credettero affrancati da qualsivoglia autorità pel principio cartesiano«quello solo esser vero che veggo chiaro e distinto:» illud esse verum quod clare distincteque percipio.
E in verità quando tutta la moderna scuola protesta di prender le mosse dal dubbio, ed avere emancipata la ragione umana da ogni autorità; quando di tal dubbio ed emancipazione si professa debitrice al Cartesio cui riconosce suo maestro; quando aprendo i libri di tal maestro io vi leggo infatti dubbio e libertà; quando veggo da quel momento incominciare di fatto un torrente di discordie tra i filosofi; non so come possa negarsi che se non lo spirito di Renato, certo lo spirito delle sue espressioni è quello che anima tutta la moderna filosofia; la quale ragionevolmente, secondo quelle parole, accetta il dubbio dovunque lo può trovare e dal dubbio prende le mosse per rifabbricare tutto il suo edifizio.
11. Se non che la potenza di dubitare è, come ogni altra potenza, varia nelle varie persone. Ondechè se il Cartesio non potè dubitare del proprio essere e delle deduzioni che ne trasse, Iddio fonte di verità non aver creato il nostro intelletto di tale natura che si possa ingannare nei giudicii chiari e distinti [10]; vi ebbero altri sofisti più potenti di lui che riuscirono a dubitare coll'Hume, se l'Io che pronunzia: dunque esisto, sia quel medesimo che pronunziava: Io penso; a dubitare col Kant se l'intelletto nostro possa mai azzeccare in un giudizio sopra il mondo esteriore; a dubitare coll'Hegel, anzi piuttosto ad affermare che l'essere può insieme non essere:e disgraziatamente codeste potenze dubitatrici ottennero nella società universa tal riputazione, che resero probabilissimi i loro dubbii a tutti i cervelli balzani e a tutti gl'ingegni pecorini.
12. Questo dubbio, il quale è, per vero dire, piuttosto una malattia di mentecatto che un errore di sofista, mai non avrebbe attecchito in tanta moltitudine, se questa non fosse stata preparata di lunga mano: non essendo possibile che una gran moltitudine d'uomini rinneghi la natura se non strascinata da altro elemento naturale mal concepito. E in questo i principii di Renato (comunque da lui s'intendessero) prepararono potentemente l'età moderna, giacchè fornivano nel loro concetto tali appoggi al dubbio, che sarebbe miracolo se essa ne fosse campata [11].
13. Ed ecco, per quanto ne pare, chiarita abbastanza la prima delle nostre proposizioni: la filosofia dimostrativao antica partire dal certo, la moderna o inquisitiva dal dubbio. Solo ci sembra dover chiarire in qual modo il buon Renato s'inducesse a far gettito di ogni certezza redata dalle generazioni preterite, costringendo così la povera e nuda filosofia a rifarsi, come dicono,dagli zolfanelli. Di questo ci dà egli il racconto nella sua lettera al Traduttore francese dei suoi Principii.
14. Narra egli quivi come datosi un giorno a specolare intorno ai supremi principii delle cose, si avvide che coloro che professano di esser filosofi sono bene spesso meno ragionevoli degli altri, che giammai non si sono a questo studio applicati; e che per conseguenza niuno fino al suo tempo era riuscito nel disegno di ricercare le prime cagioni. Or, prosegue egli, tutte le conclusioni che si deducono da un principio che evidente non sia non possono essereevidenti: laonde ne siegue che tutti i ragionamenti sopra tali principii non hanno potuto dargli certa conoscenza di alcuna cosa. Fin qui il Cartesio, e voi già vedete in queste parole come egli confondesse la certezza colla evidenza, giacchè conclude dal non evidenti al non certa.
Distrutta così la certezza del senso comune, dei sensi esterni, dell'autorità umana, si diede a cercarla nella personale evidenza, credendo di trovare in questa col ricercare le prime cagioni e i veri principii di tutto ciò che si può sapere un quinto grado di sapienza incomparabilmente più alto e sicuro degli altri quattro.
Incomparabilmente più sicuro! Di grazia signor Renato, intendete voi quel che dite? Sarete più certo, più sicuro della infallibilità vostra speculatrice, che di tanti milioni d'uomini che vi precedettero e che diedero il loro assenso alle verità di senso comune, alle sensibili, alle storiche, indottivi dalla irresistibile natura!
15. Una tal prosunzione sembrerebbe impossibile, se non si comprendesse che il novatore ha scambiato l'appagamento prodotto dalla evidenza colla ragionevole tranquillità della certezza. Certamente l'intuizione del vero evidente procaccia all'intelletto il suo riposo, come lo procaccia ad ogni facoltà e ad ogni passione il conseguimento del proprio obbietto: anzi molto più soave, essendo l'intelletto la più sublime delle facoltà, e l'atto d'intendere scevro da quelle brutture e rimorsi che ad altri soddisfacimenti si accoppiano. Or questa soavità di adesione, ad un uomo pieno di sè e che fuor di sè dubitava di tutto, parve il supremo grado della certezza; e perchè non avea dubbio della propria infallibilità, credette esserne realmente in possesso. Egli preludeva così negli ordini intellettuali alle dottrine che gli utilitarii suoi discendenti introdussero poi negli ordini morali: egli colla sua infallibilità dell'evidenza diceva in sostanza vero essere in metafisica quello che fa sentir gradevolmente l'intelletto; gli utilitarii soggiunsero, quello essere vero in morale ossia onesto che fa sentire gradevolmente l'appetito.
16. Quindi quelle meraviglie, che egli va predicando in tutta quella lettera, dell'allegrezza e del piacere di un tal filosofare. Primo frutto, dic'egli, de' miei principii si è il piacimento che proverassi: imperciocchè quantunque la verità tanto non ismuova l'immaginazione come le finzioni, tuttavolta l'allegrezza ch'ella dà è sempre più durabile ed intera. E poco prima: il piacere, dicea, che si sente nel vedere tutte le cose che la nostra vista discuopre non è comparabile alla soddisfazione che dà la notizia di quelle che filosofando da noi si rinvengono. Vedete qual estasi trasportava il dabben filosofo! E nell'estasi egli diviene profeta ed annunzia non esservi bisogno di altri principii (che i suoi) per giungere alle più alte cognizioni di cui sia l'umano ingegno capace: molti secoli dover passare prima che tutte le verità si deducano: ma sino a qual grado di sapienza, a qual perfezione di vita, a qual felicità possono condurre?
Egli nol vide, epperò potè gridare: il maggior bene che aver si possa in uno Stato, si è veri filosofi avere: ma voi, lettore, che avete sperimentato che cosa sia uno Stato governato da filosofi cartesiani, non troverete forse la profezia molto veridica: e tanto peggio per voi. A noi basta l'avervi fatto comprendere l'ebbrezza della gioia, in cui si trovava il buon uomo trasportato così al suo quinto cielo, incomparabilmente più alto e sicuro che i Platoni e gli Aristoteli, gli Agostini e gli Anselmi, i Bonaventura e i Tommasi, dei quali niuno è, dic'egli, che abbia per principii della filosofia riconosciute le verità da me fra i miei principii inserite.
17. A dir vero l'estatico francese non potè durare nell'estasi tutta la vita: chè si avvide ben presto l'evidenza poter essere non di rado apparente e fallace: di che nacquero poi quelle infinite ricerche delCriterio, con cui si assicurasse all'uomo la sospirata infallibilità. Ma non per questo si tornò indietro: il crollo alle certezze naturali era dato, la filosofia dimostrativa avvilita e rigettata; si scavò nell'origine delle idee, nella critica della ragione, nella necessità dell'assoluto; e si giunse a quel punto dove Hegel ci lasciò dubitando se una cosa può essere nel tempo stesso e non essere: e di qui deve oggi prender le mosse ogni filosofia se vuole adattarsi al secolo: ella debb'essere inquisitiva.

§. IV.

Scopo e funzione della filosofia.

1. L'evidenza riverberata splende per luce dei principii. ––2. La filosofia inquisitiva dee dimostrarli. –– 3. Zelo del conte De Broglie.–– 4. Scambia lo scopo della filosofia collo scopo del filosofante. –– 5. Lo scopo della filosofia è universale –– 6. epperò costante. –– 7. L'uso può variare. –– 8. Omiopatia filosofica. –– 9. Ammaestrare i giovani al dubbio non medica l'incredulità. –– 10. È opposto all'economia della fede. –– 11. Il metodo filosofico nasce dalla natura della scienza. –– 12. L'antica filosofia cercava la dimostrazione –– 13. Metodo e criterio che ne conseguiva. –– 14. Esempi. –– 15. Opposizione dei due metodi. –– 16. È irragionevole abbandonar la certezza posseduta. –– 17. Altro è cercare se sono certo, altrocome sono certo. –– 18. Spiegazioni del Balmes.
1. Abbiamo piantata in tal guisa la prima proposizione: abbiam dimostrato che la filosofia antica era dimostrativa, la moderna inquisitiva. La seconda proposizione che cioè la dimostrativamirava a produrre l'evidenza e la inquisitivamira a produr la certezza, questa seconda proposizione, diciamo, non è chi non veda essere un corollario inevitabile della prima. Se la filosofia dimostrativa movea dal certo non dovea trovare la primacertezza, ma potea proseguire riverberando la prima come raggio collo specchio su tutte le conseguenze mediante la logica connessione: cotalchè tutte le conseguenze fino all'ultima divenissero evidenti illuminate dai primi principii; cessando tal luce, ricadessero nell'ombra. Fate di comprendere bene, lettor cortese, questo artificio della dimostrazione, perchè più di una volta potrà riuscirvi giovevole l'averlo compreso: ed a farvene capace eccovi uno sperimento che potrete fare sopra di voi medesimo per poco che abbiate studiato di geometria. Tornate col pensiero sopra a qualcuno dei teoremi meno elementari, per es. sulla famosa proposizione che costò a Pitagora una ecatombe. A quest'ora avrete forse dimenticati i mezzi termini con cui in essa si dimostra l'uguaglianza fra il quadrato maggiore e la somma dei due minori; onde sarete certodi quella verità per via di memoria, ma non la vedrete colla intuizione intellettiva. Or bene, togliete fra le mani Euclide, rifate la costruzione geometrica, rammentate le uguaglianze e proporzioni dei lati e degli angoli; e vedrete che al momento in cui sulla proposizione di uguaglianza splenderà la verità dei principii per voi ricordati; al momento in cui i due parallelogrammi nei quali dividesi il quadrato maggiore vi si affacceranno come rispettivamente uguali ai quadrati minori, la chiarezza della vostra comprensione tornerà a produrre gagliardissima la adesione; e l'uguaglianza fra i quadrati verrà da voi consentita perchè la vedete, non già perchè vi ricordate di averla veduta.
2. L'Evidenza deduttiva si appoggia dunque tutta intera sulla evidenza dei principii; tolti i quali tutte le conseguenze si oscurano, benchè la memoria possa ritenerle per certissime. Posto dunque che la filosofia moderna esclude tutto ciò di che può dubitare, ed è riuscita insieme a dubitare se possa una cosa essere ad un tempo e non essere; nulla ella può più affermare finchè non trovi un principio certo. Eccola dunque necessariamente inquisitiva:eccola mettersi in traccia della verità e della certezza: eccola chiamare al suo tribunale la propria ragione per esaminarne i titoli e la veracità. Questa è divenuta la funzione della filosofia a' di nostri: e siccome la certezza religiosa presuppone naturalmente la ragione umana, tolta a questa la certezza, i buoni cattolici dovettero raccomandarsi alla filosofia inquisitiva perchè somministrasse dei puntelli alla fede e alla pietà. Ed è questa appunto la ragione principale per cui il cattolico scrittore della Revuesostiene, come testè vedemmo, la necessità a' tempi nostri di una filosofia inquisitiva: une philosophie rationnelle et par consequent inquisitive, une philosophie partant de la raison pour s'élever jusqu'à la foi, est aujourd'hui autant dans les vrais intérêts du christianisme, que dans la tendence et la nécessité de l'esprit moderne (pag. 442).
3. Sia lode, chè ben la merita, all'illustre filosofo che con tali intendimenti vuol coltivata una scienza, usa da lungo tempo in Francia all'empietà della bestemmia e del sarcasmo! Ma mentre a lui tributiamo questo giusto omaggio, ci ci permetta d'interrogare se lo zelo cattolico dell'A. non ha qui preso un abbaglio, scambiando l'uso che si fa di una scienza colla funzione propria della scienza medesima. Sembrano queste a noi due cose onninamente diverse, e non è chi nol veda, nell'uso ed abuso che si fa oggidi d'ogni mezzo e sacro e profano dai varii partiti che gareggiano per la conquista del mondo.
4. Gl'Illuminati di Weishaupt adoprarono ai loro intenti le scuole minervali e le Università germaniche; Lalande, Bailly, Laplace consecrarono la matematica all'empietà; i comunisti e socialisti usarono le associazioni di artieri; i democratici spagnuoli guerra ed eserciti: direm noi per questo che la funzione delle Università e delle scuole, le scienze matematiche, l'apprendimento delle arti, la tattica militare debbano oggi cambiare i loro metodi d'insegnamento, le loro teorie, il loro scopo? Gli uomini sì, debbono cambiar l'intento con cui adoprano quelle arti: ma le arti medesime se erano efficaci in altri tempi e ad altri intendimenti, tali continuano ad essere oggigiorno, senza che vi si richieda altra mutazione se non di aggiungervi, senza abolire le verità antiche, quei nuovi incrementi che vannosi da quelle naturalmente esplicando come germe dal seme, o virgulto dal germe.
5. Quando dunque si cerca qual sia la funzione della filosofia (le rôle de la philosophie) dee mettersi in disparte l'epoca in cui viviamo, il mondo che ci attornia, l'uso che ne premeditiamo. Dee studiarsi la scienza in tutta la sua estensione ed evidenza, in guisa da averla pronta alla mano in qualsivoglia emergenza: giacchè sarebb'egli savio consiglio studiar solo la scienza contro gli scettici e trovarci sprovveduti per es. contro i materialisti? Questo sbaglio, ci si permetta il dirlo, è divenuto oggidì assai famigliare a certi scienziati cattolici, i quali, come osserva l'E.mo Wiseman, quando temono per es. che dalla geologia o dal dritto naturale si traggano obbiezioni contro la fede o contro la verità, consigliano che non si studii geologia, non si erga cattedra al Diritto: quasichè ogni studio dovesse ridursi a polemica in favor della religione. Errore nato da buon zelo, ma improvvido, di cui nemmeno la Teologia sembra andare esente; stantechè in certi Studii, invece di adoprarla a far comprendere al Clero la qualità de' dogmi e la dottrina che ne conseguita, l'intima natura della morale, della disciplina, delle istituzioni cattoliche, i giovani Chierici vengono addestrati quasi esclusivamente alla scherma polemica, or contro eretici dei secoli già defunti, or contro una eterodossia con cui non si azzufferanno forse giammai; lasciandoli sprovvisti frattanto di quella scienza fondamentale, colla quale in ogni tempo e in ogni luogo per sè e per altri avrebbono giovato all'intima comprensione delle verità.
Il che sarebbe appunto come se gli educatori destinati ad allevare la gioventù, riducessero tutta la pedagogia a formare per es. dei buoni soldati perchè siamo in tempo di guerra, o dei buoni finanzieri perchè lo Stato è minacciato di un fallimento. No, non confondiamo le funzioni e gli ufficii, le specialità coll'universale, il tetto colle fondamenta: usisi dal cattolico a suo tempo la scienza contro gli avversarii della fede: ma per bene usarla poi, studiisi prima in sè stessa quale ella è sostanzialmente, senza modificarla precariamente con mire accidentali. La filosofia è scienza, e proprietà della scienza è l'eternità, essendoscienza, rigorosamente parlando, la cognizione ragionata delle verità necessarie, le quali hanno per loro proprio carattere l'immutabile eternità. Le dimostrazioni di Euclide vivono oggi ancora nel Legendre: l'etica di Aristotile ammaestra forse, tuttavia le Università inglesi: Ippocrate e Galeno non hanno cessato di essere oracoli in medicina. La filosofia dunque come ogni altra scienza fu e sarà sempre la medesima. Ben potranno gli uomini applicarsi piuttosto allo studio di questa o di quella parte, usare questo o quel metodo, questa o quella lingua: ma stabilito l'obbietto della scienza, questa è essenzialmente una in ogni tempo ed in ogni luogo, siccome uno è l'obbietto che la determina.
6. La quistione dunque proposta dall'A. implicitamente in quelle due parole le rôle de la philosophienon può risolversi partendo dall'elemento contingente di tempo, di luogo, di persone ecc., ma partendo dagli elementi necessarii, i quali sono il conoscente, e l'oggetto conosciuto. Il conoscente è l'intelletto umano la cui natura è immutabile; l'obbietto da conoscersi sono i supremi principii logici ed ontologici dell'universo: la scienza che conduce l'intelletto a questi principii è la filosofia: il condurvelo è la sua funzione.
Quindi apparisce, che se la filosofia del secolo XIII riusciva in questa funzione, riuscirebbe ugualmente adoprata che fosse nel XIX: se nel XIX non riesce, era difettosa fin dal XIII. «Una prova» dice il Gioberti, «che ieri era salda, giusta, evidente, idonea a persuadere un Dante, un Eulero, un Haller, un Anquetil, un Muratori, non potrà più produrre oggi e domani i medesimi effetti? [12]»
7. Vero è ciò che afferma l'A. che se il Dottor d'Aquino vivesse a' dì nostri, la sua polemica contro gl'increduli moderni non partirebbe certamente dai dogmi di fede: che sarebbe petizione di principio (pag. 432).
Infatti mentre nella Somma teologica stabilisce molte volte gli articoli di fede come principii della dimostrazione evidente; nellaSomma contro i gentili i dogmi di fede vengono dopo la dimostrazione e quasi corollari di questa. Ma quelle due Somme sono elleno trattati di filosofia, o non piuttosto di teologia? Ma è egli una cosa medesima insegnar filosofia e combattere increduli? Se il santo Dottore cangiava le armi nella polemica proporzionandole alle varietà de' nemici, non per questo avrebbe cambiato sostanzialmente l'insegnamento della scienza; giacchè se innegabili riuscivano le analisi e le dimostrazioni delle supreme verità insegnate da lui nell'Università di Parigi ai suoi scolastici, innegabili riuscirebbero oggidì insegnate agli scolari del Cousin e del Damiron.
Dirà forse il lettore volersi dalla Revue non già una mutazione sostanziale della filosofia, ma una semplice mutazione di metodo, la quale anche noi concediamo poter riuscire talvolta indifferente e talor vantaggiosa. Ma la replica non potrebbe ammettersi, nulla essendovi di più sostanziale in filosofia, che la verità e la certezza, nulla di più vano, che l'errore e il dubbio. Una filosofia dunque, che stabilisce tutto essere incerto finchè non è dimostrato, e rende per conseguenza impossibile ogni certezza, come è erronea in ciò che asserisce, così rimane priva di ogni realtà in ciò che dimostra. Asserire che una tal filosofia, senza convincimenti e senza base, differisca solo pel metodo da quella che ammette i principii intuitivi e dimostra le conseguenze innegabilmente, sarebbe altrettanto che dire non esservi differenza, se non nella maniera di tenere i conti fra due negozianti, uno dei quali sia fallito, e l'altro abbia pieno di monete lo scrigno.
Se dunque la società in Francia è per sua sventura incredula, ne siegue certamente che quando avremo ad affrontarla per intimarle che ceda ad un Dio che parla, ci fia mestieri presentarle il chirografo di questo Dio medesimo, e autenticarne la firma: e questo appunto è ciò che vedemmo farsi dai Boulogne, dai Frayssinous, dai Ravignan, dai Lacordaire parlando all'incredula gioventù parigina. Ma se ciò dee farsi rispetto ad una generazione che ha snaturato l'intelletto, ne segue egli che lo stesso metodo debba tenersi nell'ammaestrare la generazione crescente? che questa sia la funzione propria della filosofia? Se voi nutrite di latte e vegetali un infermo il cui sangue sia acceso dalla flogosi o corrotto dall'erpete, ne siegue egli che di latte e vegetali debbano alimentarsi i corpi incorrotti di morigerata e robusta gioventù? Non potrebbe anzi accadere, secondo il sistema omeopatico, che s'ingenerasse nell'uomo sano con una qualche medicina quel malore ch'essa curerebbe nell'infermo?
8. Ed è questo appunto il caso nostro; mercecchè chi parla delle funzioni proprie della filosofia, la riguarda propriamente nel suo stato regolare, e in quanto ella si adopera a sviluppare mediante l'insegnamento gli intelletti non viziati. Questo è il principale ufficio della filosofia, o almeno l'aspetto principale sotto cui noi dobbiamo contemplarla: e sotto tale aspetto l'iniziare i giovani agli studii filosofici coi principii del dubbio e col metodo inquisitivo; il dir loro coll'autore degli Appunti di Filosofia che si avvezzino per tempo a discutere le altrui sentenze, e quello soltanto affidino alla persuasione che fu dapprima convincimento dell'intelletto [13]; l'invitarli col Kant a non fidarsi della ragione finchè non ne hanno dimostrata la veracità; il cominciar la filosofia dal dimostrare (!) che esiste una qualche verità; egli è un cominciare dall'innestare loro la malattia del secolo per aver poscia il vanto di averla curata. Se per formare dei filosofi capaci in appresso di convincere gl'increduli fosse mestieri condurli prima a traverso alle sirti della incredulità, trista sarebbe la condizione di un professore di filosofia!
9. Ma noi non veggiamo una tale necessità; e siamo anzi persuasi tanto essere più gagliardo un ragionatore, quanto più ferma è in lui la persuasione dei suoi principii. Perlochè dalla condizione presente della società francese lungi dall'inferire la necessità di una filosofia dubitatrice nell'insegnamento, inferiremo anzi pel secolo nostro precisamente il contrario. Si faccia di tutto perchè i giovani comprendano la necessità di ammettere dei principii indimostrabili; e invece di abituarsi a perfidiar contro la natura, tutto ponendo in dubbio, prendano l'uso di consentire a quelle verità che la luce di evidenza rende innegabili, se vogliono fabbricare sopra fondamento inconcusso l'edifizio di una scienza qualunque; e si avvezzino per tempo a distinguere la certezza delle verità dalla evidenza delle dimostrazioni: si avvezzino a riconoscere la debolezza natia del loro intelletto, ravvisando in esso non già la tendenza al falso, ma la possibilità di fallire: comprendano che siccome non potranno mai dirsi filosofi se non in quanto ravvisano, nella evidenza dei principii e nella logica connessione del raziocinio, evidenti le verità che studiano, così non potranno dirsi uomini assennati se porranno in dubbio, per qualche difficoltà ch'essi provano a comprenderle, quelle tante verità che la sapienza di cento generazioni, la penetrazione di mille ingegni sublimi, l'autorità di una Chiesa infallibile, e la parola della Verità per essenza hanno diritto d'imporre, specialmente ad uno sbarbatello che dai fantastici regni del Parnaso giunge per la prima volta sulle soglie del tempio di Verità.
10. Si deve insomma procedere nell'insegnamento per una via contraria a quella che strascinò la generazione presente all'incredulità. Avvertano a questo di grazia i sinceri cattolici, e ponderino attentamente l'opposizione che corre oggi fra gl'insegnamenti della Chiesa in materia di religione, e gl'insegnamenti dei filosofi rispetto ad ogni verità, e le conseguenze pratiche che da questa opposizione debbono ridondare nella società.
Qual è l'obbligo del cattolico nell'esame della sua fede? Lo insegnano tutti i moralisti: la Chiesa, dicono, non teme, non proibisce, anzi desidera che gl'intelletti capaci studino profondamente e rendano quanto si può evidenti le sue dottrine. Ma badate bene! Voi non dovete dubitarne un momento: guai a voi se istituite un tal esame per dubbio di essere ingannato dalla Chiesa! Tale è l'insegnamento cattolico: ma diteci in fede vostra: con qual sentimento credete voi che sia per essere accolto un tal precetto da quegli scolaretti che assisi sul banco della logica udirono dal professore fra mille inchini alla indipendenza della ragione, nulla doversi ammettere per vero se non è evidente; prima di tutte le evidenze essere l'evidenza filosofica; sulla evidenza filosofica doversi appoggiare la credibilità della fede? Ognun vede che il dire al filosofo: non devi credere se non all'evidenza, e poi dire al cattolico: non devi dubitare benchè neppure abbi studiata la religione; egli è un esporre a duro cimento la fede degli studianti. Laonde non a torto il Gioberti: Il processo metodico, dice, e il dubbio assoluto che Cartesio fa precedere alla sua filosofa non si può per verun modo accordare co' principii cattolici [14]. All'opposto quando il metodo della filosofia era quello che abbiam detto dimostrativo e non inquisitivo, filosofia e religione erano in piena armonia. La filosofia diceva al giovane: la verità che t'insegno è certa per mille ragioni, ma io te la renderò evidente colla dimostrazione: la religione soggiungeva al cattolico: tutto ciò che finor t'insegnai fin dalla tua infanzia è certissimo per autorità infallibile della Chiesa; ma per meglio penetrarne il sentimento interroga la teologia, ed essa te ne darà la dimostrazione.
Così tutto armonizzava nelle scienze razionali: e la filosofia lungi dal prepararci generazioni incredule, predisponeva la gioventù allo studio della religione. Laonde la ragione per cui il ch. De Broglie vorrebbe oggidì accettata dalla Chiesa la filosofia inquisitiva, è anzi la più forte ragione che aver possiamo ad escluderla; ragione che possiamo compendiare in questa formola: pessima filosofia è quella che ad un vizio morale somministra l'appoggio teoretico del raziocinio: ora il vizio morale dell'epoca nostra, secondo l'A. medesimo, è il dubbio (pag. 440), che viene autenticato dalla filosofia inquisitiva: questa è dunque la pessima di tutte le filosofie per la società moderna[15].
11. Ma tutto ciò sia detto per togliere alla sentenza contraria l'appoggio che ne forma il principale sostegno agli occhi di ogni buon cattolico, la necessità dei tempi nostri: e resti fermo tra noi che la funzione della filosofia non deve determinarsi dalle accidentali ragioni di luogo e di tempo, ma dalle intime e necessarie della scienza e dell'intelletto conoscente. E furono queste in verità le ragioni che introdussero questo metodo nella scuola emancipata dal Cartesio: il quale, avendo per abbaglio confuso ogni certezza colla evidenza, giunse per ultimo a perdere insieme colla evidenza medesima ogni principio di certezza.
Nella qual perdita possiam ravvisare il gastigo dell'orgoglio umano postosi al disopra della natura, la quale è stata all'universale sì prodiga di certezza, sì avara di evidenze razionali, perchè ben può l'uomo vivere ed operare senza tali evidenze, ma senza certezza morrebbe nell'impotenza e nell'inerzia. La scienza medesima, la quale senza certezza nei principii è morta, può vivere e prosperare senza l'evidente intuizione dei suoi principii, purchè possa averli per certi. E ne abbiamo degli esempi palpabili non solo nella teologia, ove i dogmi incomprensibili per es. della Trinità, dell'Incarnazione, somministrano poi evidenze palpabili nelle illazioni (per es. nel Verbo incarnato la comunicazione degli idiomi); ma anche in filosofia e perfino in matematica, ove sono evidentissime le dottrine che consieguono dalla congiunzione per es. del libero arbitrio colla prescienza divina, benchè questa congiunzione sia un mistero così profondo della natura; ed evidentissime sono molte leggi del moto, benchè il moto stesso e la sua comunicazione, quanto sono certi per evidenza di fatto, altrettanto sieno oscuri nel loro concetto.
La rinunzia dunque delle certezze naturali fu insieme un eccesso di orgoglio e di stoltezza, per cui la Scuola moderna dovette perdere e il dono gratuito di natura, e la potenza di ristorarlo col raziocinio.
13. Non così l'antica Scuola: la quale ponendo come indubitato l'intelligenza nostra tendere al vero e le prime verità essere indimostrabili, non poteva assegnare alla filosofia come propria sua funzione lo stabilire col raziocinio le basi di ogni certezza. Ben potea variare certi principii delle dispute a seconda degli avversarii diversi, accettando per es. dal materialista come indubitata l'esistenza dei corpi, dall'idealista l'esistenza degli spiriti. Ma qualche certezza dovea presupporsi per entrare nell'arringo delle dimostrazioni. Quindi non definiva la filosofia ricerca della certezza, ma ricerca delle cause: Rerum cognoscere causas: il che vale quanto dire che ella cercava la dimostrazione, affine di ottenere lascienza. Avvertasi peraltro, che questo vocabolo scienzanon indicava nel frasario degli Scolastici una cognizione qualunque, quale potrebbe aversi dai sensi, dalle autorità ecc.; ma una cognizione apodittica, una cognizione dimostrata ad evidenza. Perlochè il sillogismo filosofico veniva da essi definito un raziocinio che produce evidenza (syllogismus faciens scire).
13. Questo era il vero scopo di chiunque volesse filosofare sopra materie anche certissime: penetrar nelle cause ed acquistar evidenza. Al quale intento, determinando colla definizione e notomizzando coll'analisi ogni idea ed ogni vocabolo del soggetto che prendeano a trattare, come il matematico determina rigorosamente ogni dato del suo problema, s'ingegnavano di estrarne quella indefinita serie di verità, che ogni idea contiene come in fonte inesausto. Laonde il criterio di queste verità secondarie era per essi la logica bene usata, come per l'aritmetico il criterio di un vero prodotto o di un vero quoziente è la sicurezza di aver fatta bene l'operazione di moltiplicare o dividere: il criterio poi delle prime verità era l'impossibilità che prova ogni intelletto sano di resistere alla luce stessa dell'evidenza. Mancando questi due criterii, se non mancava la certezza acquisita d'altronde, mancava l'evidenza, la scienza, l'atto proprio della filosofia. Riuscissero in questo o non riuscissero, fossero saviamente analitici o cavillosamente sofistici, ciò non decidiamo per ora perchè non fa al caso nostro. L'importante è che si comprenda qual fosse allora il fine della filosofia: la quale, ammessi certi principii indisputabili, assumeva una materia da discutere, non già perchè dubitasse di sua certezza, ma solo affine di penetrarne l'intima natura, esaminando tutte le cause donde il suo soggetto risultava [16]. Così per cagion d'esempio, senza avere il menomo dubbio sopra l'esistenza dei corpi, s'ingegnava di penetrare in che consistesse l'essere di corpo, e come un corpo si trasmutasse in un altro, e a qual fine mirassero queste trasmutazioni e così via via; facendo però sempre ogni sforzo affinchè le proposizioni successive nulla mai ammettessero che non fosse evidentemente incluso o nel fatto della esistenza dei corpi ammesso come certo, o nei principii indisputabili, al lume dei quali quel fatto veniva esaminato.
14. Ed appunto per questo chiunque ha una pratica mediocre delle loro scritture avrà potuto osservare, che nella tesi assunta a dimostrarsi essi distinguono molte volte la certezza della tesi dalla sua dimostrazione [17] filosofica. E per non recarne altro esempio che il Principe della scuola al quale c'invita il De Broglie, aprite qual più vi piace fra gli articoli della sua Somma;dappertutto voi incontrerete, prima le obbiezioni che rendono dubbie le tesi, poi qualche ragione che la rende più o meno certa, più o meno probabile, finalmente la teoria razionale ossia dimostrazione di quella proposizione e la risposta che se ne inferisce per risolvere le difficoltà proposte. Apriamo a caso per es. la 1.adella IIa parte, q. LXXIX Sulle cause esterne del peccato; ed ecco l'articolo primo che interroga, se sia Dio questa causa: e dopo aver proposte le difficoltà che inclinerebbero al sì, stabilisce il no con due testi di Scrittura, dimostrandolo poscia colla teoria, che Dio è ordine, la colpa disordine. Leggete il secondo articolo e troverete dopo le difficoltà un testo di Agostino, che può riuscire equivoco e viene chiarito colla teoria soggiunta, distinguendo l'atto assoluto dal difetto che lo accompagna. Nella Quest. seguente, interrogando se il demonio possa indurre alla colpa internamente, dopo le obbiezioni, stabilisce il sì col semplice fatto che tutti veggono, inducendo egli a molte colpe, senza apparizione esterna. E così in altri casi ora cita un filosofo, ora un giurista, ora un fatto notorio o un sentir comune della natura; insomma una pruova qualunque, che renda in qualche modo probabile l'asserzione. La dimostrazione poi viene appresso, non propriamente e direttamente per ottenere l'assenso ossia la certezza, ma per ottenerne l'evidenza, facendone penetrare intimamente le cause. Vero è che dalla evidenza verace la certezza non potrà mai discompagnarsi: ma ben può dalla certezza discompagnarsi l'evidenza; intendendo per evidenza non una qualunque ma quella che riguarda il chiaro e distinto concetto. Oltrechè ben può l'evidenza stessa parere e non essere. Distinguendo dunque l'una dall'altra, i filosofi della scuola attribuivano a ciascuna (permetteteci l'espressione) i propri suoi fattori.
Tale era il procedimento degli Scolastici, o per lo meno, tali erano i precetti co' quali essi determinavano lo scopo e il metodo del filosofare. Che questo fosse il vero contrapposto del sistema cartesiano, crediamo essere evidente: resta solo che esaminiamo quale dei due sia più sapiente, vale a dire più ragionevole nella sua natura e più conducente al suo fine.
16. Or la naturale ragionevolezza non mi sembra difficile a determinare, per poco che consultiamo la natura dell'uomo e della scienza. È egli savio consiglio quello del cane d'Esopo, abbandonare un bene che possediamo per correre dietro un'ombra che fugge? Gittare la carne nel fiume per addentarne l'immagine? Un uomo assennato stenta ad arrischiare una piccola somma per guadagnarne una grossa; ma gittare il tutto per ricuperarne stentatamente una parte, oh questo non l'udrete mai d'uomo accorto rispetto ad interessi materiali! Solo pel supremo bene dell'intelletto, solo per la verità si abbracciò all'impazzata questa singolarissima sapienza, dicendo alla natura:«Tenetevi la vostra certezza, che saprò ben io fabbricarmi la mia».
17. Potete voi, savio lettore, comprendere una simile prodigalità? Inquanto a noi comprendiamo benissimo, che ammessa la certezza naturale come sommamente ragionevole, io domandi a me medesimo quali sieno le cause per le quali ella è tale. Ma quando una volta avrò dubitato, non già come sia ragionevole la certezza, ma se tale ella sia, donde potrò io muovere alla conquista della certezza, se non da qualche premessa incerta? E qual sara la conseguenza di una tale dottrina, se non quella appunto che accenna il Bames, dicendo lo scetticismo problema e piaga caratteristica dell'epoca nostra [18]? Il P. Chastel non sembra qui d'accordo col Balmes, col Baldacchini e col Bertini; giacchè, secondo lui, lo scetticismo teorico non è del nostro secolo: Le scépticisme en theorie ... n'est point de notre siècle [19](R. e T. p. 18). E noi saremmo tentati di credere, che la Francia in questo si vantaggi della sua esperienza sulla Spagna e l'Italia, se non avessimo letto nell'articolo del conte di Broglie quelle tante espressioni citate finora, ove egli consente a puntino col filosofo spagnuolo. Or possiamo noi dubitare che quell'illustre scrittore non conosca la Francia? Pur troppo dunque lo scetticismo è piaga dell'epoca nostra.
Ed è questa pur troppo l'impresa a cui si accingono generalmente tutti i filosofi della Scuola Critica e, più o meno, moltissimi di altre scuole, come bene osserva il Bertini [20].
18. Ma guai a noi se il tesoro della certezza non ci venisse abbondantissimo dalla mano stessa del nostro Fattore. «Siccome la certezza» diceva quel sommo filosofo spagnuolo rapitoci immaturamente dalla morte «siccome la certezza è condizione necessaria all'esercizio di tutte le facoltà e intellettuali e sensitive, senza la quale la vita sarebbe un caos, così noi la possediamo istintivamente prima d'ogni riflessione, usufruttuando questo beneficio del Creatore, come i tant'altri che egli congiunse inseparabilmente alla nostra esistenza [21]. L'umanità cammina in materia di certezza per tutt'altra via che la filosofia: il Creatore che tutti gli esseri trasse dal nulla diè loro tutto il necessario per esercitare le proprie funzioni; ed una delle prime necessità dell'essere intellettivo era la certezza di qualche verità. E che saria di noi se al germogliare delle prime idee nell'intelletto c'imbattessimo nel travaglioso cómpito di foggiarci un sistema per asilo contro l'incertezza? L'intelligenza nostra morrebbe sul nascere; chè, avvolta nel caos dei proprii cavilli, mai non giungerebbe a dissipar le nubi, che finirebbero coll'inabissarla in una profonda oscurità [22]. Che può ella dunque proporsi in tal materia la filosofia? Di produrre la certezza? ... Se punto nulla in tal materia avesse potuto produrre la filosofia, null'altro sarebbe stato che lo scetticismo, poichè l'immensa varietà ed opposizione dei sistemi era più atta a ingenerar dubbi che a dissiparli. Fortunatamente la natura resiste allo scetticismo con una forza insuperabile, e i sogni del gabinetto non trapassano pei filosofi e molto meno pel volgo negli usi della vita. Il solo oggetto ragionevole, che la filosofia può proporsi in tale quistione è di conoscere le fondamenta della certezza per meglio conoscere l'intima natura dello spirito, senza nulla alterare nella pratica: appunto come gli astronomi osservano l'orbita degli astri e le leggi che la governano, senza presumere di alterarle» [23]. Fin qui quell'altissimo intelletto, a cui non so se l'Europa moderna abbia avuto l'uguale fra gli scrittori filosofi, o nella sublimità delle vedute, o nella aggiustatezza dei concetti, o nella temperanza delle teorie procedenti sempre rasente i due scogli contrarii senza urtare giammai o nell'uno o nell'altro.
NOTA. –– Fu detto a pag. 223 di questo volume che nelle Università inglesi non si studia Aristotele come filosofo. A pag. 495 di questo art. abbiam detto che forse vi si studia l'Etica di Aristotele. Più accurate ricerche ci pongono in condizione di dichiarare meglio questa espressione. Nelle Università d'Inghilterra non si fa studio particolare di Metafisica, sì bene si dà una buona logica aristotelica, benchè Aristotele non sia il testo. Ma l'Etica di Aristotele è il libro favorito di Oxford e di ciò si vantano gli Osfordiesi a confronto dell'altra Università di Cambridge. Lo studio principale a Oxford (oltre ai classici greci e latini) è l'Etica; a Cambridge è la Matematica. Gli Osfordiesi si vantano di avere un metodo di studio che avvezza a sentire la forza degli argomenti di morale evidenza; quei di Cambridge riguardano il loro metodo come più acconcio a formare ragionatori di forma stretta e severa. In questa occasione rettifichiamo una inesattezza corsa nella pagina antecedente alla citata. Non gli Ordini sotto condizione, ma sì veramente il battesimo sotto condizione si amministra agli Anglicani convertiti. Gli Ordini sacri, quando occorre, si amministrano semplicemente, come a qualunque altro Cattolico.

*«Come le altre scienze [quelle profane, N.d.T] non argomentano per dimostrare i propri principii, ma dai loro principii argomentano per dimostrare altro ancora nell'ambito di quelle stesse scienze, così tale dottrina [la teologia, N.d.T.] non argomenta per dimostrare i propri principii, che sono gli articoli di fede, ma da essi procede per dimostrare qualcosa.» Summa Theol. p. I, q. I, art. VIII [traduz. C.S.A.B.].


 Continua...

 

NOTE:

[1] Chi volesse saggiarne alcun che vegga per es. la Storia del Concilio di Trento del Cardinal Pallavicino.
[2] Summa Theol. p. I, q. I, art. VIII.
[3] Ibid.
[4] Bertini, Idea di una filos. della vita. Vol. I introd. pag. 9.
[5] Vedi lettera del Cartesio al Traduttore francese dei Principii. ––Usiamo la traduzione italiana della sig. Giuseppa Eleonora Barbapiccola.
[6] Vedi i Principii della filos. Par. I.
[7] Vedi Gioberti Conf. del Cartesio. Introd. tomo I, nota 19.
[8] Grazie a Cartesio siamo tutti protestanti in filosofia, come, grazie a Lutero, tutti filosofi in religione. Così il Globe citato dal VenturaRag. 3, n. 3. La fede di Cartesio non differisce da quella di Lutero. Gioberti Introd. tom. I, nota 19.
[9] Le verità (dei miei libri) essendo chiare e certe, toglieranno ogni motivo di controversia e disporranno gl'ingegni alla concordia(!!!) Lett. al Trad. Franc. verso il fine.
[10] Lett. al Trad. Franc.
[11] Troviamo nella recentissima opera del signor Ernesto Havet, citata dall'Ami de la religion dei 29 Gennaio 1853 (Pensées de Pascal avec un commentaire suivi –– Paris 1852) anche il Pascal collocato fra gli scolari di Cartesio nelle libertà e nel dubbio: Descartes fut (aussi) le maître de Pascal à deux titres, par sa liberté d'éxamen et par son esprit géometrique, l'une qui n'accepte aucun préjugé et resiste par le doute jusqu'à la preuve; l'autre qui poursuit cette preuve par la voie du raisonnement et de l'abstraction. Dalla scuola di Cartesio, soggiunge l'Ami de la Relig., passò a quella di Giansenio.
[12] Gioberti Introd. pag. 665.
[13] Vedi Civiltà Cattolica; Prima serie vol. XI, pag. 41 e segg.
[14] Gioberti L. cit. nota 19.
[15] Vedasi in tal proposito l'articolo di rivista sul Baldacchininella Civiltà Cattolica; Vol. I, della II Serie pag. 305 e segg.
[16] Così usiamo, osserva il Balmes, in qualsivoglia disciplina anche oggidì. En todos los estudios ejecutamos á cada paso esto mismo. Son vulgares las expressiones: «esto es así, es evidente; pero supongamos que no lo sea;» que resultera? ... Por manera que para la investigacion de la verdad prescindimos frecuentemente de lo que sabemos y hasta suponemos lo contrario de lo que sabemos. Balmes Filosofia fundamental; Tom. I, pag. 158.
[17] Spesse volte la dimostrazione incomincia appunto con quelle parole:ad cuius evidentiam considerandum estecc. ovvero: ad cuius intellectum. V. per es. I. p. q. 3, a. 3; q. II, a. 3; q. 12, a. 11; q. 13, a. 7, ecc.
[18] «Escepticismo este es el problema de la época... Una de la plagas caracteristicas». Balmes–– Cartas á un esceptico en materia de Religion pag. 1 e 16.
[19] Chastel Les Rationalistes et les Traditionalistes, pag. 18.
[20] Bertini l. c.
[21] Balmes –– Filosofia fundamental, Lib. I, C. III, n. 16.
[22] Ibi, n. 31.
[23] L. c. dal n. 33 al 35.