lunedì 29 ottobre 2012

La Civiltà Cattolica anno IV, serie II, vol. I, Roma 1853 pag. 626-647. R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio D.C.D.G. DI DUE FILOSOFIE (Parte 3°)

 


 

 

§.V

Altre certezze a conforto della filosofia.

1. Si riassume il già detto. — 2. Il dubbio non ha limiti. —3. Problema. — 4. Giova confortare l'evidenza con altre certezze. — 5. Senza confondere certezza ed evidenza. — 6. I dogmi di fede non sono di Aristotile. — 7. Necessità di lemmi e citazioni. — 8. Funzione dell'autorità in filosofia.
1. Dal detto nei precedenti articoli, il lettore avrà potuto comprendere tutte le filosofie essere necessariamente e inquisitive e dimostrative, giacchè tutte vanno in traccia di qualche verità, s'ingegnano di renderla evidente, e l'evidenza produce necessariamente la certezza: esservi per altro questa differenza importantissima fra i due metodi contemplati dalla Revue, che certe scuole comprendendo la necessità di muovere dalla certezza quando si vuol dimostrare, hanno dovuto ammettere altri principii di certezza, che sostentino quella proposizione donde parte il raziocinio dimostrativo; all'opposto la scuola che asserì, vera filosofia non essere se non quella che incomincia dal porre in dubbio tutto ciò di che può dubitare per qualsivoglia anche menoma ragione [1], perfino le sensazioni, perfino le verità matematiche: questa scuola, avendo potuto dubitare di tutto, niuna verità certa ha più potuto presupporre; e così ha dovuto mettersi a tutte ricercarle [2]. E poichè niuna verità può dimostrarsi senza una premessa certa, questa scuola si trovò ridotta a sempre cercaresenza trovare giammai. Ed ecco perchè ella può prendere meritamente come suo proprio e caratteristico il nome di inquisitiva.
2. Potrà forse parere ardita la nostra affermazione, che l'uomo, volendo, può dubitare di tutto:e veramente ardita sarebbe se parlassimo di un dubbio assoluto ed attuato nella pratica: giacchè un tal dubbio produrrebbe l'inerzia assoluta e la morte, per così dire, dell'uomo morale, non essendo possibile che l'uomo voglia muoversi, se col suo atto non vuole ottenere qualche cosa, nè potendo volere senza credere almeno all'apparenza di quella cosa che vuole.
Ma quando un filosofo, seguendo il consiglio cartesiano, si riserva il dritto di operare al di fuori come s'egli credesse, e propone frattanto di tenere per falso specolativamente tutto ciò di che può avere il menomo sospetto di dubbio; allora specolativamente egli può sempre trovare ragioni per dubitare, sì in forza della sua facoltà conoscitrice, sì in forza degli obbietti conosciuti. Giacchè questi obbietti non possono conoscersi perfettamente, essendo la perfetta cognizione propria solo del Creatore, o di chi in Lui riguarda gli obbietti creati: qualunque altra cognizione lascia sempre una parte dell'obbietto nell'oscurità dell'incomprensibile, e per conseguenza somministra un motivo di dubitare intorno a ciò che s'intende. Quanto alla facoltà conoscitrice poi (oltre che essa pure non è da noi conosciuta appieno, epperò possiam dubitare quando affermi il vero), quella stessa parte di cognizione che ne abbiamo, mostrandocela limitata, ci somministra sempre almeno un picciolissimo sospetto d'incertezza.
Una tale filosofia può dunque sempre dubitare; se può, vuole; se vuole, dubita; ed è per conseguenza condannata a cercare sempre, ad essere sempre inquisitiva.
3. Chiarite in tal guisa le due prime delle quattro proposizioni da noi stabilite sul principio di questo articolo, ci sarà facile spiegare oggi le due seguenti [3]. E in primo luogo vede ciascuno che, se il filosofo dimostrativo accetta la prima certezza da altri elementi che non sono la dimostrazione, egli può ragionevolmente tornare ad invocare questi stessi elementi per accertare viemeglio le illazioni, anche dopo averle rese evidenti col raziocinio. Vero è che tal conforto sarebbe inutile se l'uomo fosse infallibile nel raziocinare, in quanto l'evidenza vera sempre include la certezza. Ma egli che non è sicuro di una somma aritmetica, se non la conferma con la riprova, come potrà presumersi infallibile e ricusare i conforti di altre certezze nei tanto più difficili raziocinii metafisici?
Ecco per qual motivo il filosofare degli Scolastici, sebbene movesse sempre dall'evidenza di ragione e non dall'autorità della fede, pure le tante volte dalla fede e da ogni altro elemento di certezza tornava ad implorare conforto all'evidenza del già dimostrato.
E ciò con molta sapienza. Perciocchè essi distinguevano la certezza dalla evidenza, e molte evidenze vedeano riuscire non di rado apparenti e fallaci, e così erano lietissimi quando una qualunque verità resa evidente dai lor raziocinii, la vedeano accertata da altri argomenti potenti e specialmente dai potentissimi dell'infallibile rivelazione. E così appunto procede l'Aquinate nella Somma contro i gentili;nella quale non potendo presupporre come certi gli articoli di fede, perchè parla a chi non li crede, incomincia dal dimostrare colle ragioni quelli che sono dimostrabili, citando poscia i testi della Scrittura che accertano coll'autorità divina le verità divenute evidenti pel raziocinio umano. L'autorità divina certamente non producea, secondo lui, l'evidenza intrinseca, ma confortava potentemente la volontà a non contrapporsi e ad accettare la dimostrazione accivita [= ottenuta, n.d.R.] daltronde, senza perfidiare da sofista: e la volontà quanta forza esercita sulla ragione!
Un tal metodo di confortare l'evidenza con altre certezze è usitatissimo anche nelle scienze più rigorose. Quante volte il fisico da una legge già discoperta un'altra ne arguisce che giudica aver dimostrata; eppure ricorre tosto al nuovo sperimento per vederla applicata? Credete voi che fosse uguale la certezza dell'astronomo che fu primo a calcolare un eclisse, e quella ch'egli oggi accorda alle formole già sperimentate? e Archimede non ricorreva ad un mezzo meccanico per accertare la proporzione del diametro colla circonferenza? e i raziocinii di Colombo sopra la sfericità della terra non s'ingagliardirono quando toccò colla prora il nuovo mondo? e le dimostrazioni del Torricelli intorno alla gravità dell'aria, non vennero da lui confermate colle successive esperienze del mercurio, prima nei piani più bassi, poi nelle sommità delle montagne? e i calcoli del Leverrier non guadagnarono l'assenso al comparir di Nettuno?
4. Se dunque anche le scienze più esatte ricorrono a fatti per confermare i loro raziocinii, qual meraviglia che in materia tanto più astratta, più ardua, più incircoscritta gli Scolastici fossero lieti di confermare la lor teoria con un fatto così indubitato come è la rivelazione di un Dio o il decreto di un Concilio? Certamente non era un decreto di un Concilio quel che rendeva evidente il corpo umano essere in ogni suo punto avvivato dall'anima: ma quando il Concilio di Vienna definiva: anima est forma substantialis corporis, l'evidenza delle ragioni acquistava per essi molto maggior certezza. Non era la verità della Chiesa che dimostraval'uomo serbarsi libero sotto il concorso dell'Onnipotente: ma quanta forza acquistavano le ragioni quando la Chiesa condannava l'errore opposto! Nel che la rivelazione divina diede alla filosofia cattolica un vantaggio impareggiabile sulla pagana, vantaggio che merita di essere ponderato da tutti i veri amatori del progresso scientifico. La pagana, appoggiata unicamente sulla potenza filosofica di un uomo, mai non aveva una ragione sufficiente per dirsi immobile nelle sue sentenze: all'autorità di Socrate affermante poteva appareggiarsi quella di Platone negante, a questa quella d'Aristotile, di Zenone, di Plotino e così di mano in mano. Ed avessero pur tutti consentito in un qualche pronunziato, niuno stava pagatore non fosse per venire un bel giorno ed ottenere assenso universale un Cartesio, o un Wronski, annunziatori al genere umano di un nuovo fiat lux, che splenderebbe fra le tenebre eterne del passato. Quindi nel momento stesso che il pagano si credea persuaso da Platone esser l'anima immortale, da Aristotele esser dovere la giustizia, da Epitteto la pazienza ecc.; sempre pero dovea tenere sospeso e precario questo assenso, e ad ogni nuova obbiezione rimettere in problema il teorema; appunto come oggidì la filosofia inquisitiva. Il che fece dire all'Apostolo, che i Greci e i miscredenti degli ultimi giorni sempre sarebbero in atto di cercar la sapienza, senza mai raggiungerla: Graeci sapientiam quaerunt (I Cor. I, 22). In novissimis diebus erunt homines... semper discentes et nunquam ad scientiam veritatis pervenientes (II Tim. III, 1, 7). All'opposto il Cattolico, trovata una volta la dimostrazione di una verità che venga assicurata dalla fede, potrà dubitare di avere errato nella dimostrazione, ma la verità rimane ferma, irremovibile: cotalchè sempre da questa potrà prendere le mosse facendola servire e di controprova alle dimostrazioni con cui tentasse di renderla evidente, e di base alle nuove verità che potrebbe dedurne. E così il progresso vero divien possibile avendo un puntoarchimedeo atto ad appoggiarvi l'uno dei piedi, mentre l'altro s'inoltra; quando all'opposto la filosofia pagana, quasi sopra il pendio di un diacciaio [= ghiacciaio, N.d.R.] o di un tufo sdrucciolevole per pioggia recente, più si ingegna di piantare fermo il piede, più lo sente scivolare abbasso. E siccome i dogmi di fede hanno attinenze strettissime con ogni ordine di verità; così in ogni ordine il Cattolico trova quasi additata la via di tratto in tratto dalle biffe piantatevi per man della Chiesa, o piuttosto di Dio medesimo ristoratore dei danni recati alla ragione dalla colpa di origine.
5. Le precedenti osservazioni sopra il valore accordato dagli Scolastici all'autorità in filosofia, applicar si possono sotto certo aspetto anche all'autorità del Peripato donde gli eretici hanno tratto tanti argomenti di bestemmia, e i pusillanimi Cattolici tanti di vergogna e di scandalo. «La Chiesa, disse per bocca del Sarpi l'eresia, avrebbe qualche dogma di meno, se qualche libro di meno avesse scritto Aristotile»: e certi pusillanimi per riscuotersi dall'obbrobrio, si diedero a gridar maledizioni e vituperii contro gli Scolastici da disgradarne qualsivoglia protestante. Pensava forse frà Paolo che fosse l'autorità dello Stagirita quella che dettava i dogmi? Oh! sì, davvero! appunto come a tempi nostri il Cuvier o il Deluc ci dettano i dogmi della creazione o del diluvio. Anche oggidì un teologo ricorre alle dottrine di simili autori, riguardati come oracoli di quelle scienze in cui primeggiarono: ma sapete perchè? Pensate voi che i teologi pareggino Cuvier e Deluc al Genesi o ai Sapienziali? Certo che no. Ma, come voi ben sapete, ogni scienza, e per conseguenza anche la teologia, in forza dell'armonia cosmica è costretta nelle sue dimostrazioni ad assumere da altre scienze certi lemmi, che s'incrociano colle verità da lei dimostrate. Vorreste voi che in questi casi una scienza fosse costretta per conforto di quel lemma a darne fin dagli elementi la dimostrazione? Starebbero freschi i trattatisti!
6. Ad evitare questo sconcio, voi sapete come fanno oggidì: prendono quella proposizione straniera al soggetto della propria scienza da qualche autore dei più accreditati che l'abbia trattata ex professo: e chi vuol vederla dimostrata consulti quell'autore. Il teologo ricorrerà al Cuvier per la stratificazione terrestre, il moralista al Cuiacio o al Sirei per le verità giuridiche, lo storico al Champollion, al Rossellini per le tradizioni geroglifiche: insomma finchè non trovate il modo che una sola testa comprenda come Dio tutto lo scibile, la sapienza di un dotto non potrà giungere alle scienze straniere senza il conforto di altri dotti; e fra questi preferirà sempre naturalmente i più noti ed accreditati.
7. Ciò che facciamo oggidì faceano a tempo loro ancor gli Scolastici: e poichè notissimo ed accreditatissimo fra tutti i filosofi era il Maestro di color che sanno;dall'opere di lui traevano i lemmi filosofici, allorchè ne abbisognavano per mettere in evidenza una verità teologica. Ma l'evidenza, ricordiamcene, era tutt'altro che la certezza: la proposizione era certaper rivelazione divina, divenivaevidente pel raziocinio umano, al quale si additava col solo citare il Filosofo. Vede dunque ognuno l'insipienza del Sarpi e degli altri eretici, dei quali egli è l'organo. Se Aristotele avesse scritto meno, i teologi avrebbono forse mancato di qualche mezzo termine per rendere evidenti le loro inferenze; gli eretici cavillando meno non avrebbono forse dato occasione a certe definizioni più esplicite; ma i dogmi sarebbero nè più nè meno di quelli che la Scrittura e la Tradizione serbarono e serbano nella Chiesa; e le difficoltà proposte dagli eretici in formole non peripatetiche, avrebbero avuto in termini diversi, sempre coerenti al dogma, le stesse risposte.
8. Dal che vi si fa chiaro in qual maniera potessero entrare nei raziocinii e filosofici e teologici quelle traditions universelles citate dalla Revue (pag. 441), e da noi ricordate nell'articolo precedente. Mentre i concetti comuni e le persuasioni naturali somministravano la base della certezza prima, la filosofia dimostrativa accettava poi dalla storia, dalla mitologia e da ogni altra autorità la confermazione di sue evidenze. Ma se questi due mezzi di cognizione andavano di conserva al conquisto del sapere, non per questo ne confondeano le funzioni o snaturavano le indoli proprie di ciascuno: la certezza continuava a prodursi da tutti gli elementi del conoscimento umano, autorità, sensazioni, emblemi, monumenti ecc., mentre l'evidenza era riservata ai primi principii e alle conseguenze che con rigorosa logica se ne inferivano.
In questo campo sterminato gl'ingegni filosofici godeano libertà pienissima, e moveano alla conquista del vero con que' vantaggi immensi di energia e di fecondità, che vedremo appresso; e che riuscivano tanto più sicuri e pratici, quanto più ferme le certezze donde erano partiti.

§. VI.

Influenze sociali delle due filosofie.

1. Ogni verità tende al pratico — 2. Il sistema cartesiano all'orgoglio — 3. e all'avventatezza. Esempio. — 4. Altro esempio nella scienza politica. — 5. Inconvenienti del metodo prodetto: 1° contraddizione. — 6. 2° Dubbio nei sapienti. — 7. 3° Presunzione negl'ignoranti. — 8. 4° Pericoli preveduti dal Bossuet e dal Leibnitz. — 9. 5° Impotenza dei buoni contro i tristi. — 10. Obbiezione — 11. applicabile anche ad altre scienze. — 12. La filosofia è necessaria per l'energia pratica — 13. anche nella religione. — 14. È necessaria alla fecondità, — 15. giacchè senza evidenza le verità sono infeconde. — 16. Dunque la filosofia è utile.
1. Descrivemmo finora la differenza teorica fra la filosofia inquisitiva e la dimostrativa. Ma ogni teoria, persuadiamcene, sia pure astrattissima sempre accenna alla pratica: chè troppo sente la verità i proprii diritti al governo dell'universo. Or qual è la pratica a cui vien guidata la scienza dai due opposti principii e metodi? Se la filosofia inquisitiva è persuasa, i concetti comuni, la sperienza, sensibile, l'autorità degli uomini e dei libri doversi inchinar riverenti al suo quinto grado di sapienza incomparabilmente più alto e sicuro, voi già vedete come ella dovrà comportarsi nel formolare le sue equazioni, i suoi problemi. Tocca egli all'incerto di determinare il certo o viceversa? Ognun lo sa: il certo è regola, l'incerto regolato. Dunque in ogni problema la filosofia inquisitiva seguirà il suo maestro francese, piantando per principio infallibile la propria evidenza mentale, e adattando ad essa ogni altro fenomeno.
2. Il che, come vedete, è un innestare l'abito di un orgoglio senza limiti e di un'avventatezza senza pari in ogni filosofante. Parliamo, ricordatevene di grazia, parliamo dell'indole della scienza, non del carattere personale degli scienziati. Gli scienziati potranno essere per virtù umilissimi, ma la scienza per sè tende così a formare un abito di orgoglio; giacchè quale orgoglio maggiore, che mettere la propria evidenza in trono sì alto, che a lei debbano inclinarsi tutta l'antica sapienza e tutti i dettati del senso comune? Potrà darsi certo un qualche caso rarissimo in cui un ingegno portentoso sarà destinato, non già a dimostrar false le nozioni comuni, la sperienza dei sensi, e il consentimento di tutti i dotti, ma a dimostrare che queste autorità vennero mal comprese in una data circostanza, applicandole a sostegno dell'errore. In questi casi per altro se lo scopritore di tale errore ha pari all'ingegno la saviezza, sarà sempre così disposto, che alla propria evidenza desideri il conforto di quelle altre certezze fin dove si possono ottenere. In ogni caso poi, il ridurre questa eccezione, che può aver luogo raramente per alcuni ingegni o casi straordinarii, a regola costante di ogni mediocre filosofo, anzi a precetto elementare per ogni sbarbatello che mette il primo piè nella scuola, egli è un rendere la filosofia natural figlia dell'orgoglio, e di un orgoglio smisurato. Altro è dire ai giovani: la certezza delle tradizioni, della storia, dell'autorità non sono evidenze filosofiche; altro suggerire a codesti principianti, già troppo inchinevoli alla superbia: il giudice di tutte le verità è la vostra evidenza.
3. E a tale orgoglio si accoppia naturalmente uguale imprudenza ed avventatezza: stantechè qual filo di prudenza rimane in chi preferisce quella scintilla infinitesima del proprio intelletto, alla luce smagliante, non dico solo di quella somma di milioni che furono e sono fuori di lui le intelligenze pari alla sua, ma a quella anche maggiore che risulta dal riverberarsi di un'intelligenza su l'altra, e dal custodirsene le tradizioni scientifiche d'una generazione in un'altra? Or quest'orgoglio e quest'imprudenza sgorgano per necessaria conseguenza da quella filosofia, che mette l'idea chiara e distinta per base di ogni altra certezza e verità: il che val quanto dire, che la filosofia in tal guisa ammodernata ha un'indole così essenzialmente opposta al cristianesimo, come essenziale è al cristiano l'umiltà a cui si contrappone l'orgoglio. Gli scienziati cristiani potranno certamente vincere l'albagia filosofica colla virtù soprannaturale, come colla fede rinnegano il dubbio. Ma niuno, crediamo, vorrà negare che quella tendenza filosofica, requisito necessario di tal filosofare, sia per sè in opposizione diretta col sentimento cristiano: e non è chi non sappia a che sconciature di aborti ridicoli sia giunta in pratica una tale dottrina. E non abbiam noi veduto pocanzi quella specie di monomania cospiratrice degli eclettici francesi cogli hegeliani tedeschi per fabbricare la storia a priori, vero delirio di un cartesianismo rigorosamente logico, che all'idea chiara e distinta sottopone l'autorità storica? E non fu strettamente logico l'Hegel medesimo allorchè, come dice il Balmes. «egli si propose niente meno che costruire col suo sistema (colla sua idea chiara e distinta) tutte le scienze naturali? Nell'opere sue, soggiunge il filosofo spagnuolo, s'incontrano applicazioni alla meccanica, alla fisica, alla geologia, ch'egli pretende fondare sulle sue teorie metafisiche.... Disgraziatamente quell'anno appunto ch'egli avea dimostrato a priori niun altro pianeta poter rotare fra Martee Giove, dal celebre Piazzi venne scoperta Cerere ivi appunto, ove niun pianeta poteva capire secondo Hegel [4].» Così il Balmes: e il vedere giunta a tal delirio l'arroganza di quel Tedesco ci parrebbe incredibile, se non avessimo veduto il medesimo fino dai primi passi che diede il Cartesio nella filosofia novella, come fra poco diremo.
Ma questi sono saggi di scienze naturali, più ridicoli forse, ma meno nocivi.
4. Prendiamone un altro negli ordini sociali. La scuola dimostrativa osservò il fatto della società, fatto universale, costante, indeclinabile: dunque, disse, la natura conduce l'uomo alla società: e diedesi a cercarne le cause. Ma ecco un filosofo inquisitivo che imbrunito da mestizia la fronte, solleva il guardo dalle sponde del Lemano e mirando tutto l'uman genere associato e la società ordinata dai governanti, le scaraventa contro il fulmine della sua sentenza:L'uomo per natura è libero, eppure dapertutto è nei ferri. L'uomo è libero: ecco l'idea chiara e distinta pel Rousseau: egli è schiavo di fatto, ecco il problema. Come spiegherem noi questo problema? I lettori già sanno che la spiegazione fu scritta da Giangiacomo nelContratto sociale, al quale andiam debitori di que' miracoli di rigenerazione, che ci han fatto pagare sì caro la fiducia del Ginevrino nella sua idea chiara e distinta.
Bastino questi esempi per antipasto; chè ne avremo ben altri da raccontare se proseguirem questi articoli. Questi due soli abbiamo addotti perchè facciano comprendere la diversa maniera di teorizzare, a cui vengono condotte dagli opposti loro principii e metodi le due filosofie. L'inquisitiva, tracciando la certezza e potendo tutto rivocare in dubbio fuori dell'Io, nell'Io trova l'ente necessario e certo; e a questo stiracchia tutto l'incerto Non-Io. La dimostrativa all'opposto arrendevole ai principii indimostrabili e tracciando per questa via, non la certezza che può venire d'altronde, ma l'evidenza che solo in essi riposa, accetta la certezza dal naturale impulso, dalla sensazione esterna, dalle narrazioni della storia, aggiungendovi del suo la luce delle spiegazioni, non l'autorità infinitesima del suo individuo.
5. Da questa doppia maniera tenuta dalle due filosofie nel piantare e risolvere i problemi, non è difficile il ricavare nuovi caratteri dei due spiriti, che esse debbono infondere nella società. Credete voi facile all'uomo il negare la propria natura? In quanto a me son persuaso essere applicabile alla natura il detto del Redentore negli Atti Apostolici: Duro è dar calci allo sperone. Cacciala pure a tua posta, armati contro di lei di forca e peggio: tu te la vedrai tornar contro a tuo marcio dispetto: Naturam expellas furca, tamen usque recurret. Ma per altra parte non è punto più facile alla ragione il dar calci alla logica, o all'amor proprio il disdire le proprie opinioni, le quali si sono arrogate di condannar la natura. Ecco dunque la filosofia inquisitiva introdotta in quella lotta che nella prima Serie dimostrammo essere la condizione necessaria della politica eterodossa, distruggente per man di natura ciò che fabbricò cogli argani della teoria. Tale è, tale debb'essere una filosofia che vuol correggere la natura: nè può recare meraviglia che il principio medesimo della indipendenza naturale produca nelle due scienze i medesimi effetti; poichè la politica altro non è in sostanza che un ramo applicato di filosofia, ovvero un ramo di filosofia applicata. Lotta delle teorie contro la natura, ecco dunque la condizione abituale della filosofia inquisitiva.
6. Or ditemi, di grazia: come chiamerete voi la disposizione di un intelletto che viene strascinato irresistibilmente da due forze uguali e contrarie? È questo, se non erro, lo stato di dubbio: e tale debb'esser la disposizione abituale del filosofo inquisitivo: dubitare di tutto, esitare perpetuamente. Proponetegli qual più vi pare dei grandi problemi onde pendono le sorti dell'uomo, della società, dell'umanità intera; e se il filosofo è insieme buon cattolico farà uno sforzo adorando in primo luogo l'articolo di fede, se la Bontà divina si degnò rivelarlo. Ma pagato questo ossequio alla virtù del cristiano, in tutto il rimanente non vedrà che incertezze. «I cinque sensi, dirà biascicando, affermerebbero; ma qual certezza nei sensi? E poi chi può negare ai magnetizzatori la possibilità di un sesto senso, il quale senta anche alla distanza del sole, anche a traverso alla densità del globo terraqueo? Così sospettò il Roedern, nè l'ipotesi è impossibile.... E se l'uomo potè accorgersi solo dopo sei o settemila anni di avere sei sensi invece di cinque, quante altre facoltà può egli avere in corpo senza saperlo?». Parlategli delle idee; che laberinto! «Se conosciamo le idee, è chiaro che non conosciamo il mondo esterno, ma solo l'interno.... Eh veramente il ponte di D'Alembert ancor non è fabbricato.... E che gran male sarebbe, che l'uomo non conoscesse altro che spiriti? Se uno spirito oppone resistenza ad un altro, questi crederà d'incontrare una resistenza corporea. Ma forza non è corpo.... Il problema è oscuro, è insolubile».
Così dee ragionare un filosofo inquisitivo lottante fra l'impulso di natura e la teoria rinnegatrice, s'egli è persona cui non manchi levatura d'ingegno ed acutezza di discorso per vedere le tante difficoltà che si presentano in ogni quistione filosofica, e le tante ipotesi diverse e contrarie con cui si potrebbe risolverla. Non avendo punti fissi, ogni difficoltà produce esitazione: e perciocchè tutto in natura è involto nel mistero, ogni certezza per lui divien dubitabile. Il fatto è qui coerente ai principii; nè se ne distingono i più savii di quella scuola, che vi danno francamente per frutto di lor dottrine e per indizio di grande ingegno l'avere imparato a dubitare, citando in tal proposito il detto di Socrate e gli esempii dei suoi discepoli. Il che dimostra quanto male accorto fosse il Cartesio nel giudicare i proprii seguaci e le proprie dottrine, allorchè condannava come inconseguenti certi autori e libri i qualipotrebbero, dice, introdurre l'incertezza e il dubbio nel mio modo di filosofare (da dove attentamente ho procurato io di bandirgli), se si ricevessero i loro scritti per miei o come delle mie opinioni ripieni. Il dabben filosofante biasimando in tal guisa i suoi seguaci, non sapea ben distinguere lo spirito delle sue dottrine dal dogmatismo del suo cervello: e perchè costoro non vedeano chiare e distintetutte quelle asserzioni che tali a lui erano sembrate, ne rinnegava la sequela, dimenticandosi ch'egli stesso avea lor detto: Niuna per vera ne ricevano ne' miei scritti se non la veggono chiarissimamente [5]. Erano costoro, com'egli stesso li nomina, uomini d'ingegno, ed ecco perchè giunsero di galoppo al termine delle conseguenze.
7. Non così i filosofanti posteriori, i quali credono saper tutto perchè neppur sospettano ciò che ignorano. Questi imitatori fedeli del loro maestro, piuttosto che ragionatori conseguenti, ogni sogno del loro cervello te l'avventano in faccia come chiarissimo ed evidentissimo; e qualunque stravaganza ti abbiano pronunziato, saranno capaci di aggiungere con una sicumera portentosa: I veri principii per cui si può al più alto grado di sapienza pervenire sono quelli che da me sono proposti: e la prima ragione è che egli sono chiarissimi per la maniera, onde gli ho ritrovati, cioè rigettando tutte le cose delle quali poteva dubitare: la seconda è che da essi se ne possono tutte le cose dedurre; e già moltissime ne ha dedotte; nè sono ancor così vecchio che diffidi delle mie forze, nè così lontano ciò che resta che non osassi d'intraprendere di dar fine ecc. [6].
A questi sentimenti intollerabilmente orgogliosi che dal Cartesio venivano pubblicati nel 1600, vedete come corrispondono a capello i sentimenti di un vivente filosofo pervenutici caldi caldi da Parigi ove furono pubblicati nel 1852. Il signor Hoëné Wronski al suo libro intitolato Philosophie absolue de l'histoire ou Gènèse de l'humanité, premette in forma di prefazione il seguente laconico avviso: Le lecteur apprendra deux choses; 1.° Que la vérité n'est pas découverte jusqu-à ce jour, et 2.° Qu'en fin aujourd'hui, on la découvre dans cet ouvrage. Intonate qui meco un Tedeum per questa grande scoperta: anche il secolo nostro ha il suo Cartesio illuminatore dell'antica ignoranza e creatore di tutto il sapere. Ma credete voi che a parlare in tal guisa saranno soli i dottoroni, i capiscuola? Oibò!
Così la discorrono ugualmente i cervelli superficiali e fantastici nei quali l'arroganza pareggia l'ignoranza. E questi poi sono coloro che si credono luminari spediti dal Cielo per guidare l'umanità nelle vie dell'avvenire, che sentenziano in teologia senza studiarla, che s'improvvisano legislatori e Generali per sacrificare le genti e gli eserciti, che pubblicano sistemi filosofici e teorie economiche e morali per mandare al fallimento gli erarii e al patibolo i moralisti.
8. Tali sono pur troppo le conseguenze naturali di una filosofia che invita dall'un canto a dubitare di tutto, e dall'altro non dubita, anzi afferma audace checchè le sembri evidente a dispetto dei sensi, dei concetti universali, delle tradizioni storiche, dell'autorità dei sapienti: che insomma dubita di quei veri innegabili cui tutti consentono, e consente solo alla propria presunzione di cui anzi tutto dovrebbe dubitare.
Quello per altro che in un lettore cattolico dee produrre ponderazioni più serie e trepidazioni più angosciose, egli è il riflettere al pericolo che dee nascere per la fede e per la religione da tutto il complesso di queste apostasie dalla natura. E di vero chi non vede quello che al principio abbiamo accennato, quanto debba riuscire difficile e ripugnante un atto di fede a chi venne educato in questo sistema di dubbio! Quanto difficile cattivar l'intelletto sotto dogmi incomprensibili, dopo aver dato all'evidenza dell'intelletto l'assoluta autorità di distruggere ogni altra certezza! Quanto a prima vista dee parer riprovevole il dogmatismo della Chiesa che grida: fuor di Me non v'è salvezza, dopo aver posto ogni sapienza nel dubitare! Quanto ardua l'umiltà e l'obbedienza, formato l'abito della indipendenza e dell'orgoglio! Se questo antagonismo fra la natura corrotta e il sentimento cattolico, è già si temibile in forza anche solo della universal corruzione, quale sterminio produrrà quando a conforto della corruzione medesima si potrà invocare la teoria filosofica, quando questa teoria sarà universaleggiata coll'istruzione pubblica, quando con tal mezzo dominerà le classi più istruite, quando la tirannia verrà stabilita precocemente nei giovinetti iniziati appena agli studii filosofici!
Queste calamità erano già state prevedute da que' due grandi ingegni del Bossuet e del Leibnitz, allorchè sotto nome di filosofia cartesiana vedeano sorgere persecutori alla Chiesa e incendiatori delle quattro parti del Mondo. E il loro contemporaneo Daniele Huet, illustre combattitore del Cartesio, già si doleva che gl'incredulitrovano importanti contro la religione le più meschine obbiezioni, le congetture meno fondate, le più semplici apparenze [7]. Ma qual meraviglia? Essi applicavano il principio cartesiano: «Dubitare per qualsivoglia menomo sospetto che renda possibile il dubbio». Ma dopo che quegli intelletti presaghi lessero questi insegnamenti nei principii cartesiani, sopravvennero a chiosarli stragi ed incendii così chiari e distinti, che ormai ogni ragionator mediocre applica a quelle dottrine ciò che il Condorcet dicea di Voltaire: il n'a pas vu tout ce qu'il a fait, mais il a fait tout ce que nous voyons. Una generazione d'uomini, nella quale i più sapienti imparano a dubitare di tutto, i più ignoranti a tutto presumere non potea certamente portare altro frutto.
9. Mentre questi secondi tutto osano ed intraprendono, i sapienti timidi e vacillanti, senza principii fissi, senza dettami risoluti, incapaci di ribattere i sofismi, di resistere alla violenza, di determinarsi ad un partito, di concepire un impeto generoso, di congiungersi in una unità di sentenza, di arrischiarsi ad un sacrifizio eroico, doveano naturalmente ricovrare nell'ombra, implorare un asilo dal disprezzo dei loro avversarii, e meritarselo col tener le mani alla cintola ed offerire il collo al giogo, lietissimi di camparlo dalla mannaia, lasciando ai loro avversarii libero il campo e sicura la vittoria. Che ve ne pare, lettor mio? Osereste voi negare che il dubbio, l'esitazione, l'incapacità di unirsi, di difendersi, di trionfare sia stata finora la grande sventura della società degli onesti? Ecco le conseguenze sociali del dubbio universale. Lo vedete: la disposizione che esso produce è eterodossa pel dubbio della mente e l'orgoglio del cuore, antisociale per l'impulso che dà ad universale sconvolgimento, impraticabile per l'impotenza a cui riduce gli onesti.
Questo quadro spaventevole ci potrebbe dispensare dal rispondere ad una difficoltà che potrebbe opporcisi. Ma in soggetto sì rilevante nulla dee trascurarsi; e noi per altra parte abbiam promesso al fine del paragrafo precedente di spiegare più ampiamente i copiosi frutti, che la filosofia può e deve raccogliere nel vasto campo della evidenza, raccomandato alla sua coltivazione; e questo faremo rispondendo alla difficoltà.
10. Se la filosofia, potrà obbiettarsi, non produce la prima certezza per suo proprio scopo; se anzi possiamo e dobbiamo essere certi di molte verità indimostrabili; se anche le dimostrabili possono accertarsi, per tutt'altra via; a che faticare sì a lungo e stillarsi il cervello in quelle sottilissime astruserie metafisiche? Lavorar tanto per nulla più che un po' di evidenza? pare a voi che la mercecorrisponda al prezzo, il prodotto alla fatica?
11. Così c'interrogherà forse qualche lettore poco uso a penetrare le molle segrete del cuore umano, e le ragioni filosofiche dell'ordine sociale: e noi cominceremo a rispondergli, raccontandogli ciò che udimmo intorno all'insegnamento dei giovani americani negli Stati Uniti da un viaggiatore che esaminò attentamente alcune scuole di quel paese. «Quei giovani, diceva egli, sono curiosissimi: quando studiano la geometria e l'algebra, mentre il povero professore si sbraccia, si sfegata per rendere evidenti le sue dimostrazioni: sig. Maestro, dicono talvolta interrompendolo, che servono tutte queste sottigliezze? diteci addirittura come si misura l'area di quel poligono, o l'altezza di quella torre; come i talleri si riducono in scellini o come si riparte il lucro di una società commerciante: questo è utile; il rimanente sono fantasticherie e perditempo». Così ne raccontava quel valent'uomo, e: tanto, soggiungea, sono pieni colà dello spirito mercantile anche su i banchi della scuola.
12. Il lettore avrà già capito l'apologo; quando non si cerca se non gl'interessi materiali, non occorre brigarsi di metafisica, la quale non porge a questi immediatamente alcun sussidio. Ma se voi pensate agl'interessi morali, come non iscorgete la immensa differenza fra l'operare della evidenza verace, e l'operare della pura certezza? Credete voi forse uguale l'energia delle passioni, quando l'obbietto, benchè certo, è lontano, e quando è presente? Uguale per esempio l'energia della vendetta contro il malfattore sentenziato, e contro l'assassino che sotto gli occhi vostri sta scannandovi un figlio? Or fate conto che l'evidenza della verità è alla volontà ragionevole ciò che la presenza dell'obbietto alla passione: e chi è che non l'abbia sperimentato talvolta? Chi è che non abbia veduto uno scienziato convinto di una sua dimostrazione, divincolarsi, accalorarsi, irritarsi quasi, se non riesce a farla penetrare in chi l'ode? E donde muove il fuoco del proselitismo, se non dalla profonda comprensione della verità che si vuol propagare?
Odonsi talvolta le persone dabbene lamentare la freddezza e l'indolenza odierna delle società incivilite ovunque non trattasi d'interessi materiali. Ma qual meraviglia? In quanto a noi stupiremmo piuttosto che dopo tre o quattro anni di studio, mediante il quale altri è giunto a persuadersi che tutto è dubbioso nella scienza, che in ogni questione si può difendere con uguale probabilità il pro e il contra, vi fosse un dabben'uomo che per una probabilità simile volesse riscaldarsi. Sapete chi si riscalderà? si riscalderà un ingegno vivace, un Lamennais per es., che s'immagini di avere scoperto e di dover correggere un errore universale. Oh questi sì (permettetemi l'espressione pur troppo vera nel caso nostro) questi sì che si darà al diavolo per far proseliti; e questi si scalderanno e si agiteranno per propagare il loro convincimento. Ma per una probabilità... Dio buono! la sarebbe pazzia: non ci credo io, e vorrei scaldarmi perchè ci credano gli altri?
13. Mi direte che senza evidenza si riscalda il proselitismo del cattolico, del predicatore, del missionario. Ma io vi domanderò se tra i cattolici odierni, tra quelli specialmente su i quali più influisce lo spirito filosofico, sia sempre caldissimo il proselitismo? Si riscalda sì; ma sapete in chi? In chi colla meditazione rende alla propria mente evidenti le verità che per fede eran certe: si riscalda in chi tocca con mano gli esterni vantaggi del credere, i pericoli imminenti dell'empietà. E se oggi in Francia vi è tanto zelo per la religione perfino in certi che forse non la credono, sapete a chi ne andiam debitori in molta parte? alla evidenza del pugnale mazziniano e alla fiaccola incendiaria del socialista. Oh come l'energia si destò a quel baleno! e Dio voglia che in costoro come un baleno già non sia sparita, appena ringuainato il pugnale e smorzata la fiaccola. Ma prescindendo anche da queste ragioni, e parlando cattolici a lettore cattolico, non sapete voi, risponderemo per ultimo, esservi una quasi evidenza soprannaturale per la fede; detta dal catechismo dono d'intelletto a cui potrebbe applicarsi ciò che dice l'Apostolo in altro proposito, rendersi per lui visibile l'invisibile? [8] Il qual dono, come dice il Dottore angelico, fa penetrare e capire quelle cose a cui assente la fede: Ad fidem pertinet eis assentire, ad donum vero intellectus pertinet mente penetrare ea quae dicuntur [9]. Ma sia pure che una provvidenza soprannaturale mantenga fra' cattolici l'energia della fede, dobbiam noi chiederne miracoli anche per la società? E se ne fu lecito sperarli quando la necessità era urgente e per noi involontaria, non dobbiam noi renderli men necessarii adoperando quei mezzi che stanno in nostra mano? Or principalissimo tra questi mezzi è l'evidenza dei convincimenti. Laonde sarebbe maleaccorto consiglio l'abbandonare ogni pensiero di evidenza filosofica sotto pretesto ch'essa non è necessaria ad aver la certezza. Se senza evidenza possiamo esser certi, mai però non saremo efficaci ed energici in ciò che riguarda ordine ed interessi sociali: e basterebbe questo a farci comprendere che la certezza nostra neppure riuscirebbe feconda; giacchè qual fecondità può sperarsi ove manca l'attività?
14. La fecondità per altro rinviene nella evidenza delle dottrine un altro elemento importantissimo, a ben considerarsi, ed è ladeduzione.
Le verità primitive che l'uomo conosce non sono molte; ma crescono smisuratamente per via di raziocinio, e solo con questo mezzo s'infiltrano largamente nella pratica. Conosce il volgo ed è certo ch'egli vive in società, che nella società regna un ordine, che l'ordine governasi da un'autorità, che questa autorità colle leggi assicura a ciascuno il proprio diritto contro la violenza. Ma queste verità triviali formano, diciamo così, un catechismo ad uso del popolo senza che questo nulla mai vi aggiunga, se non l'atto pratico col quale osserva le leggi, mantiene i diritti, riverisce l'autorità, ama la società ossia la patria.
15. Ma questo catechismo sociale mettetelo in mano al filosofo, e fate che analizzando le idee di società,autorità, legge, diritto ecc. se ne formi un concetto evidente; e scorgerete immediatamente germogliare da quelle, come radici, una propagine innumerevole di teoremi, intorno ai quali il popolo andrà, secondo l'occorrenza, ad interrogare ora il moralista, ora il giureconsulto, ora il pubblicista, i quali nel sentenziare sopra mille interrogazioni svariate, tutte le loro risposto ravvisano nella evidenza dei principii onde muovono. Togliete una tale evidenza, e sarete costretto a ritornare a quel catechismo elementare; e se vorrete aggiungervi una qualche sentenza, la sarà un dado gittato a caso, o piuttosto una bastonata avventata da un orbo; che buon per voi se non vi fiacca la nuca.
16. Sieno salvi adunque alla filosofia i suoi vanti e i suoi diritti. Mentre diciamo ch'ella non ha per ufficio di piantare la prima base di ogni certezza, non la riduciamo all'apatia dell'inerzia, nè alla inutilità di un balocco: analizzando le idee ella le rende evidenti; l'evidenza dell'idea cresce energia alla volontà e insieme fecondità alle dottrine: e se dal molto conoscere e dal fermamente volere nasce la grandezza dei divisamenti pratici e la fortezza nel condurli a termine, ognun vede che ristorata sulle basi della certezza naturale l'evidenza filosofica, sarebbe nata fatta per tornare alla grandezza antica e alla antica energia l'inerte grettezza della generazione presente: e un tal proponimento sembraci più che bastevole a promuovere lo zelo di chi studia quella scienza, senza che sia mestieri attribuirle un officio per cui non ha forza, od una forza ch'ella disdice coi fatti.

§. VII.

Conclusione.

1. La filosofia cattolica è essenzialmente dimostrativa.— 2. La pura inquisitiva è essenzialmente anticattolica. — 3. Applicazione di un testo del marchese di Valdegamas.
1. Da quanto abbiam detto l'illustre De Broglie potrà comprendere che la filosofia dimostrativa ridotta alle formole nostre è appunto uno dei primi effetti di quell'azione ristoratrice, che egli chiede alla Chiesa confortandola a risuscitar col suo spirito la letteratura, la filosofia, la società presente: ella è intimamente connessa con quello spirito di semplice credenteche solo, a parer suo, dobbiamo imitare del medio evo, che solo può far la grandezza e l'influenza della Chiesa [10].
2. La filosofia inquisitiva che muove dal dubbio, che mira a trovar la certezza, che a questa toglie ogni puntello fuor della ragione individuale; questa filosofia è quella appunto del secolo XVIII, da cui l'attuale società francese null'altro redò se non negazione e dubbio, superficialità e derisione, come egli saviamente lamenta. Vuole egli che lo spirito sempre attivo del cristianesimo torni a dominare la società? Uopo è ch'esso restituisca la certezza ai principii, l'evidenza alle dimostrazioni, la riverenza al senso comune; affinchè i dotti forti dell'unità di dottrina tornino a muovere le moltitudini; e queste persuase di loro ignoranza non pretendano esser sovrane in filosofia, donde nasce poi il pretendere sovranità anche in politica. Tornando così la fede e il senso comune a somministrare la base di ogni certezza, l'evidenza del sapere sarà madre di energia e pegno di fecondità. E se l'energia e la fecondità torna in mano ai credenti e ai sapienti, non è chi non veda come la Chiesa avrà ripigliato il suo ascendente per dominare moralmente la società intera. Allora sì ch'ella potrà accettare ed avvivare, come l'A. desidera, tutti i moderni trovati: e noi avremo una filosofia veramente moderna, introducendo nella nostra la certezza e la fede, spiritodel medio evo. Ma se la Chiesa, maestra certa ed infallibile, accettasse pur essa una filosofia dubitatrice ed erronea, che altro sarebbe se non quel sale infatuato, che nulla più potrebbe nè preservare nè condire?
3. È questo, crediamo, il sentimento che all'illustre marchese di Valdegamas dettava i seguenti periodi cui, prendendo la luce del cielo nel senso da noi spiegato, trascriviamo per riassunto e per conclusione di questo articolo, senza restar pagatori di qualche esagerazione con cui il celebre pubblicista abbia meritato le censure del filosofo francese. «Io stimo non avervi maggiore somiglianza tra la discussione cattolica e la filosofia di quello che ne corre tra la libertà cattolica e la politica. Per questo capo ecco come procede il cattolicismo. Esso prende un raggio di luce che gli viene dall'alto, e lo dona all'uomo, perchè egli lo fecondi colla sua ragione; ed il piccolo raggio di luce, mercè la fecondazione intellettuale, è convertito in torrenti di splendore che empie gli spazii fin dove si stende la vista. Il filosofismo per contrario comincia dal gettare astutamente un denso velo sulla luce di verità venutaci dal cielo, e propone alla ragione un problema insolubile, del quale questa potrebb'essere la formola: Trarre la verità e la luce dal dubbio e dall'oscurità, che sono le sole cose assegnate alla fecondazione intellettiva».
Così quel gran pubblicista e filosofo. E noi persuasi pur troppo, che la filosofia inquisitiva sotto l'aspetto da noi dichiarato, altro non è che la conseguenza di quello, che il ch. P. Felix saviamente appella il protestantismo in filosofia [11], speriamo che i buoni cattolici saprannoci grado se abbiam procurato in questo articolo, e se continueremo in altri susseguenti a porre in chiaro queste influenze eterodosse nella filosofia, come in tutta la 1.ª Serie ci sforzammo di chiarirle nella politica.


Da sinistra: Georges Leopold Chretien Frédéric Dagobert Cuvier (1769 – 1832), biologo francese; Jean-André Deluc (1727 – 1817) geologo svizzero.


Da sinistra: Iacopo Cuiacio (Jacques Cujas), giurista francese (1522 - 1590);Jean-Baptiste Sirey, giurista francese (1762 - 1845); Ippolito Rosellini, talora citato come Rossellini, egittologo italiano(1800 – 1843).


 «Il dono dell'intelletto ha per oggetto, come la fede, i primi principi della conoscenza soprannaturale, però in maniera diversa. La fede infatti ha il compito di aderirvi; mentre il dono dell'intelletto ha quello di penetrare mentalmente le cose rivelate.» Summa th. IIª-IIae q. 8 a. 6 ad 2

Fine...

NOTE:

[1] «Dubitare di tuttociò in cui avvegnachè picciolissimosospetto d'incertezza rinveniremo... Ributtare come false tutte queste cose». Cartesio Principii P. I, §. 1 e 2.
[2] Jusqu'ici, a-t-il écrit (M. Proudhon), toute philosophie avait commencé par poser un dogme qui, servant de base et de point de départ, ne se prouvait par lui même; notre principe à nous au contraire est la négation de tout dogme, notre première donnée le néant. — Revue des deux Mondes, tom. XVI, nouvelle période, pag. 1115.
[3] Le ripetiamo qui per maggior comodo dei lettori. «La filosofia dimostrativaper accertare nelle sue sentenze invocava a sostegno qualsivoglia elemento ragionevole: l'inquisitivane accetta un solo, il raziocinio.»
«La dimostrativa produceva negli animi una disposizione cattolica, sociale, pratica: l'inquisitivauna disposizione eterodossa, antisociale, impraticabile.»
[4] Balmes, Cartas á un ésceptico; pag. 185.
[5] Cartesio, Lett. al Trad.
[6] Cartesio, Lett. cit.
[7] Huet, Dimostrazione evangelica; Introd.
[8] Invisibilem tanquam videns sustinuit.
[9] Summa, II p., quaest. VIII, a. VI.
[10] Il n'y a donc rien à imiter du moyen âge, rien si ce n'est l'esprit même qui a fait dans les temps passés, et qui seul peut faire la grandeur et l'influence de l'église. (Revue pag. 444.)
[11] Comme le protestantisme, qui est le rationalisme des théologiens, se retranche et se réfugie sans cesse dans le libre examen; le rationalisme, qui est le protestantisme des philosophes, se retranche et se réfugie dans la raison souveraine.... De même donc que la théologie aux prises avec le protestantisme, doit se prendre tout d'abord au libre examen de l'Écriture, la philosophie aux prises avec le rationalisme, doit s'attaquer tout d'abord à la souveraineté absolue de la raison. Felix. Trois Articles. Art. II, pag. 15.