La tesi teologica di Padre M.-L. Guérard des Lauriers, domenicano, già docente alla Pontificia Università Lateranense, detta Tesi di Cassiciacum, prende le sue mosse da un dato di fatto: l'insegnamento del Concilio Vaticano II, ad esempio la dichiarazione Dignitatis humanae persona è in opposizione di contraddizione col Magistero infallibile e irreformabile della Chiesa Cattolica Romana, ed è questa la causa principale della "crisi" che la Chiesa stessa sta traversando a partire da quel momento.
La dichiarazione Dignitatis humanae personae, è in opposizione di contraddizione col Magistero infallibile e irreformabile della Chiesa Cattolica Romana, ed è questa la causa principale della "crisi" che la Chiesa stessa sta traversando. La nostra rivista, che difende la Tesi "guérardiana", non può che interessarsi a ogni nuovo fatto che riguardi i rapporti esistenti tra l'insegnamento del Vaticano II e la Tradizione della Chiesa
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È evidente pertanto che la nostra rivista, la quale dal 1985 abbraccia e difende la Tesi "guérardiana", non può che interessarsi a ogni nuovo fatto che riguardi i rapporti esistenti tra l'insegnamento del Vaticano II e la Tradizione della Chiesa, sia nel (vano) tentativo di trovarvi una conciliazione (cf commento al discorso di Benedetto XVI del 22/12/2005, in Sodalitium n. 59, o commento alla dichiarazione della Congregazione della Dottrina Fede sulla formula subsistit in in Sodalitium n. 62), sia quando al contrario si solleva il problema della contraddizione.
L'anno che si è chiuso non è stato avaro da quest'ultimo punto di vista. Persino l'Osservatore Romano ha recensito positivamente la riedizione (o meglio, le riedizioni, poiché ne sono uscite due in contemporanea) del volume di Romano Amerio, Iota unum [1] il cui sottotitolo -perifrasi di un'opera di Bossuet contro i protestanti - è significativo: "studio delle variazioni della Chiesa Cattolica nel secolo XX". Poche parole, queste ultime, che esprimono nel contempo la forza e la debolezza del saggio di Amerio: parlando di variazioni, il filosofo di tendenza rosminiana [2]ammette e dimostra che il Vaticano II e l'insegnamento post-conciliare non sono in continuità bensì in rottura con l'insegnamento della Chiesa cattolica[3];attribuendo però queste variazioni alla Chiesa Cattolica, invece, offende senza rendersene la Chiesa stessa dimostrandola falsa, il tutto per salvaguardare la legittimità di Paolo VI e dei suoi successori. Non a caso, nell'apologetica di Bossuet, le variazioni delle "chiese" protestanti dimostravano non essere esse la vera Chiesa di Cristo; parlare di variazioni della Chiesa Cattolica equivale implicitamente (e involontariamente, penso, nel caso di Amerio) a mettere sullo stesso piano la Chiesa Cattolica e le sette protestanti.
La stessa nota positiva, e la stessa critica radicale, dobbiamo muovere alle ultime opere di Mons. Brunero Gherardini, che sono almeno tre [4], anche se oggetto di questa recensione è solo la prima: Concilio Vaticano II Un discorso da fare (Casa Mariana Editrice, Frigento, marzo 2009). Mi accosto "con timore e tremore" alla figura di Mons. Gherardini, soprattutto nelle critiche che non posso non muovergli. Una conseguenza deplorevole infatti dell'attuale crisi d'autorità (nella Chiesa Cattolica, e anche al di fuori di essa) è la dispersione del gregge del quale è stato percosso il Pastore, per cui ogni pecorella del gregge si erge a Maestro nella Chiesa di Dio, pur senza averne missione, autorità e, sovente, capacità. L'ultimo ignorante, come ai tempi della riforma luterana, oggi discetta di dogmi che ignora, interpreta la Scrittura, si crede teologo, vuol insegnare al prete la liturgia, non crede all'infallibilità del Papa, ma alla propria... Non vorrei pertanto io stesso, che non sono teologo, commettere lo stesso errore nel criticare Mons. Gherardini, che teologo lo è, e teologo serio [5], di quella scuola romana e tomista della gloriosa Pontificia Università Lateranense diretta da Mons. Piolanti, che annoverò tra i suoi docenti Padre Guérard des Lauriers e Mons. Spadafora. Senza la rivoluzione del Vaticano II, gli studi teologici di Mons. Gherardini avrebbero dato i loro frutti maturando al sole del magistero pontificio e della Roma cattolica; così non fu, e dopo aver cercato di giustificare il Vaticano II per quarant'anni, arrampicandosi sugli specchi, secondo l'espressione da lui stesso utilizzata (p. 163), Mons. Gherardini cerca di spiegare ai lettori e soprattutto a se stesso, l'inspiegabile, ovvero la contraddizione in atto tra l'insegnamento conciliare e postconciliare e quello della Chiesa. Perché questo è il tema, lo status quaestionisdel suo libro: bisogna leggere i documenti conciliari secondo la criteriologia classica. Le possibili soluzioni sono le seguenti:
"o la continuità del Vaticano II con la linea del tradizionale insegnamento cattolico,
o il suo dissociarsene.
o la misura della continuità e dell'eventuale discontinuità" (p.45).
Questo è il problema. Si tratta di "verificare se ed in che misura il Vaticano II si colleghi, effettivamente e non solo attraverso le sue dichiarazioni, con le dottrine esposte o conciliarmente o dai singoli Pontefici, o dal ministero episcopale, e trasmesse dalla Tradizione alla vita stessa della Chiesa" (p. 57);"il Vaticano II s'iscrive o no nella Tradizione ininterrotta della Chiesa, dai suoi inizi a oggi?" (p. 84);"il problema è e resta quello di dimostrare che il Concilio non si mise fuori dal solco della Tradizione" (p.87) poiché la continuità non dev'essere"declamata, bensì dimostrata" (p.255).
La questione posta da Mons. Gherardini è già in sé stessa, in nuce, una risposta.
Abbiamo visto la questione che si pone Mons. Gherardini. La pone a sé stesso. La pone ai lettori. La pone ai teologi. La pone, soprattutto, a Benedetto XVI.Mons. Brunero Gherardini
Ma porsi questa domanda considerandola aperta a una delle tre soluzioni, ritenendo cioè possibile la soluzione che implica una rottura tra l'insegnamento conciliare e quello della Chiesa include già una risposta negativa per il Vaticano II. Infatti Mons. Gherardini si pone e non ignora la domanda decisiva:
"qualcuno (...) si è chiesto se un Concilio Ecumenico possa incorrere in errori contro la Fede e la Morale. (...) Il mio parere è che ciò possa verificarsi, ma nel preciso momento in cui si verifica, ilConcilio ecumenicocessa d'esser tale"(pp. 22-23) e, aggiungiamo logicamente noi, ha già cessato d'esser tale, se lo è mai stata, l'autorità che lo ha promulgato "nello Spirito Santo"!
Ma a questa conclusione l'autore non vuole arrivare... Per far ciò (salvare cioè la legittimità dei "papi" conciliari), egli dovrebbe far sua "l'ermeneutica della continuità" del Concilio stesso, che si dichiara in continuità con la Tradizione (pp. 53-57), di J. Ratzinger (da Rapporto sulla fede del 1985 al Discorso alla Curia del 22 dicembre 2005, cf p. 86) seguito da Marchetto (p. 13), Lamb e Levering (p. 26) ecc., in opposizione ai sostenitori della rottura [siano essi modernisti, come Alberigo (p. 15), Melloni ecc., o "tradizionalisti" come Amerio, Dörmann (p. 14), gli autori della Fraternità San Pio X, totalmente ignorati la Lettre à quelques évêques oLucien].
Un cattolico che riconosce l'autorità del Concilio Vaticano II, e dei Pontefici che lo hanno promulgato e sostenuto - come Mons. Gherardini -non potrebbe neppure mettere in dubbio "l'ermeneutica della continuità",dandola per scontata a priori e da difendere semmai a posteriori contro gli avversari della Chiesa, siano essi modernisti o tradizionalisti. Ma non è questa la soluzione che abbraccia Gherardini, almeno: non in tutto il suo libro. Per lui, non basta sostenere l'ermeneutica della continuità, occorre dimostrarla: dimostrazione tutt'altro che evidente, e finora assolutamente mancante, se non con parole "che lasciano il tempo che trovano"(cf pp. 26-27, p. 51, p. 52).
Qual è allora la risposta di Mons. Gherardini: continuità o rottura? Non lo sa neanche lui...
Le contraddizioni di Mons. Gherardini, e i suoi dubbi
La contraddizione è il segno più evidente dell'errore. Leggendo Mons. Gherardini si è colpiti dalle continue contraddizioni del suo pensiero a proposito del Vaticano II, accusato e difeso, dichiarato in continuità o in rottura con la Tradizione, a volte nella stessa pagina del suo libro, a distanza di poche righe. Non penso che tali contraddizioni siano frutto di mancanza di rigore speculativo dell'autore, quanto di confusione e timore nell'affrontare una materia così grave nelle sue conseguenze.Mons. Gherardini non sottace, ma sinceramente confessa, i dubbi che l'attanagliano e i compromessi intellettuali ai quali si è dedicato per 40 anni. Teologo fedele alla dottrina tradizionale della Chiesa, volle accettare la nuova dottrina del Vaticano II: dovette allora convincersi, per poi convincere i suoi allievi, uditori e lettori, di una continuità con la Tradizione che non lo persuadeva affatto: si arrampicava sugli specchi (p. 163). "Parlai -confessa -di continuità evolutiva per scongiurare un tale sospetto (di rottura tra Vaticano II e Tradizione, n.d.a.)e trovare, mediantequesta formula,la possibilità d'agganciare il Vaticano II, con lasua originalità e creatività, alla precedente Tradizione.Confesso però chemai ho cessato di pormi il problemase effettivamentela Tradizionedella Chiesa sia statain tutto e per tutto salvaguardata dall'ultimoConcilio e se quindi l'ermeneutica della continuità evolutiva sia un suo innegabile pregio e si possa dargliene atto"(p. 87). Gherardini dubita di sé stesso, quindi. L'autocritica concerne ad esempio la dichiarazione sulla libertà religiosaDignitatis humanae personae: "Il Vaticano II era da poco terminato quando, nella mia qualità d'Ordinario d'Ecclesiologia e Decano della Pontificia Università Lateranense diressi l'elaborazione d'una tesi di laurea su 'La Libertà religiosa nel Vaticano II'. Il candidato era un giovane sacerdote, intelligente e docile, oggi Vescovo in Austria. Attraverso di lui (...) mi fu possibile per la prima volta tentarel'allacciamento della dirompente dichiarazione DH con l'insegnamento tradizionale della Chiesa. Sì, bisognava arrampicarsi sugli specchi, ma l'impresa non mi parve intentabile. Oggi, sulfamoso decreto conciliare, avrei qualche dubbioin più diquanti non ne avessi allora" (p. 163). Non sappiamo se l'autore si rende conto della sua responsabilità nell'aver taciuto per tanti anni dei suoi dubbi (e solo ora, dopo 40 anni "romper i ponti del silenzio" p. 25) e persino avallato queste dottrine, come fece ad esempio con la Nuova Messa, che oggi critica (p. 154-161) (anche se magari celebra, malgrado i soliti "problemi"che gli suscita) mentre «nell'ottobre del 1984 don Piero Cantoni, che nel 1981 aveva lasciato la Fraternità San Pio X per accettare Vaticano II e Nuova Messa conseguì la licenza in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense con una ricerca su "Novus Ordo Missae" e Fede Cattolica, sotto la guida del professor Brunero Gherardini» (A.Morselli).
Lo studio di don Cantoni, diretto da Mons. Gherardini, e stampato prima dalla rivista del card. Siri, Renovatio,e poi nel 1988 dalle edizioni Quadrivium, aveva lo scopo di dimostrare la perfetta ortodossia del nuovo messale, e servì e serve ancora a questo scopo. Mons. Gherardini e i suoi apologeti nella Fraternità San Pio X forse se ne sono scordati, ma noi no. Padre Guérard des Lauriers, per aver scritto il "Breve Esame critico del Novus Ordo Missae"nel 1969 fu privato della cattedra alla Lateranense, mentre nel 1984 Mons. Gherardini patrocinava tesi di laurea alla Lateranense in difesa della Nuova Messa, malgrado i"problemi" che essa gli poneva; ma "la carriera val bene un incensazione" (p.16). Non me ne voglia Mons. Gherardini per questa critica, rivolta a certi suoi interessati adulatori piuttosto che a chi, come lui, manifesta con sincerità i travagli dell'animo suo.
Sic et non: il Vaticano II in rottura con la Tradizione
Abbiamo parlato di contraddizioni; in effetti Mons. Gherardini afferma che il Vaticano II è, e non è, in rottura con la Tradizione della Chiesa. Vediamo innanzitutto il "non è". Gherardini critica senza dubbio "lo spirito del Concilio", il "postconcilio", i "teologi postconciliari": in questo la sua posizione non andrebbe oltre l'ermeneutica della continuità di Ratzinger, il tentativo di gettare la croce sul solo Rahner, tentativo portato avanti da De Mattei (amico di Gherardini), Padre Cavalcoli (Karl Rahner. Il Concilio tradito. Fede e cultura), Mc Inerny(Vaticano II Che cosa è andato storto?Ed. Fede e cultura) et similia [6].In realtà, Mons. Gherardini afferma molto di più. E non solo perché accusa molti teologi ricompensati dopo il Concilio con la Porpora cardinalizia (de Lubac,Congar, von Balthasar, Danielou: ad es. p. 90) e ricorda come Rahner sia stato recepito dal "magistero" (p. 100). La critica di Gherardini si porta esplicitamente sul Vaticano II, sul "magistero" o il governo conciliare e post-conciliare, su Roncalli (ad es. pp. 31, 74, 149151, 191), Montini (ad es. p. 131, 149, 150, 156-157), Wojtyla (p. 56, 73, 107, 156-157) e persino Ratzinger (cui allude a p. 98). "Come sia possibile un'ermeneutica della continuità attese tali premesse(quelle poste da Giovanni XXIII stesso, n.d.a.) non riesco a capire"(p. 151). Sono i testi stessi del Vaticano II o i documenti "ufficiali" a essere criticati. Ve ne è un elenco impressionante: la costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium (p. 98, p. 203 sul nuovo concetto di appartenenza alla Chiesa, in aperto contrasto con l'enciclica di Pio XII Mystici Corporis, pp. 204-205) inclusi gli attuali tentativi di interpretarla in conformità alla Tradizione (p. 21-22); quella sulla Rivelazione, Dei Verbum, accusata di falsare il concetto di Tradizione (pp. 118, 120, 125126, 128); contro la Riforma liturgica, che riduce il Sacrificio della Messa a una Cena (p. 159) fino a parlare di un "gravissimo errore" (p. 160); contro Gaudium et spes(pp. 36, 69, 190, con l'accusa di "aniropocenirismo idolatrico"; pp. 200-201 con le accuse di naturalismo e sincretismo, fino a confondere la Chiesa con l'umanità); contro una serie di testi e decisioni ufficiali accusati di relativismo (pp. 93-95), quali la comunione in mano, il permesso della communicatio in sacris,l'efficacia salvifica delle confessioni acattoliche e dell'ebraismo, la deriva giudeocristiana, l'accettazione dell'anafora di Addai e Mari priva di consacrazione, la confusione del Dio trinitario con quello di ebrei e musulmani, il culto dell'uomo; contro la dichiarazioneDignitatis humanae sulla libertà religiosa che falsa l'idea stessa di Fede (l'assenso personale previsto da DH 3, cf p. 97, critica originale e interessante), è causa prima "del deprecato relativismo" (p. 170); contro l'ecumenismo di Unitatis Redintegratio edi Giovanni Paolo II (pp. 106107);Unitatis redintegratio, connessa con Lumen Gentium, viene dichiarata contraria alla dottrina di Pio XII: c'è, tra le due dottrine, "un abisso"e non c'è "ermeneutica della continuità" (p. 205). Sul "piano qualitativo"(non meglio definito)"nessun vincolo esiste" tra la dottrina cattolica e l'ecumenismo di UR: "Il dialogo, così come lo si èteorizzato e lo si mette in pratica, è la negazione d'ogni continuità. Dinanzi asé ha un nuovo inizio e ne è lo strumento una Chiesa nuova, non più 'cattolico-romana', ma quella del concilio Ecumenico Vaticano II. Una unità non più legata alla medesima Fede, agli stessi sacramenti e al Sommo Pontefice nella realtà della suasuccessione a Pietro, ma quella allargatadal ConcilioEcumenico VaticanoII. Una nuova regula fidei e un nuovo ipse dixit: il Concilio Ecumenico Vaticano II"(pp. 211-212).Particolarmente articolato e contraddittorio il pensiero di Gherardini sulla libertà religiosa (cap. VII, pp. 163-188), il quale comunque conclude parlando del fatto ineludibiledi un "magistero sdoppiato" (leggi: contrario se non contraddittorio) pur ammettendo che ciò non sarebbe possibile ("Due magisteri allora? La domanda non dovrebbe nemmeno essere posta, perché il magistero ecclesiastico è di naturasua uno e indivisibile, quello creato da Nostro Signore Gesù Cristo") :il fatto però è che "la diversitàè sostanzialee pertanto irriducibile. Diversi risultano quindi irispettivi contenuti. Quelli del precedente Magisteronon trovano nécontinuità nésviluppo inquello di DH"(pp. 187-188). Incompatibili con la dottrina sono le teorie su comunione "piena e non piena" (pp. 205-214) e sulla "gerarchia delle verità" (pp. 214-215). Leggendo UR "si ha l'impressione o che si voglia conciliar l'inconciliabile -fedi almeno nell'essenziale, diverse e tra loro irriducibili - o che si siaperso il contatto con la verità assoluta-la Parola di Dio rivelata, cioè Dio stesso nella suarivelazione - e tutto sia verità e ogni verità possacoesistere con le altre, sul piedistallo d'una medesima dignità e relatività" (p.215). Lo "stupefacente consenso" coi luterani sulla dottrina della giustificazione, tanto caro a Ratzinger, per Gherardini invece ha dato ragione a Lutero sul punto fondamentale della sua eresia (p. 218). Poco parla del rapporto con le religioni non cristiane, giacché a questo tema, e a quello dell'ecumenismo, è interamente dedicato il libroQuale accordo fra Cristo e Beliar? Il titolo dice già tutto...
Sic et non: il Vaticano II in continuità con la Tradizione
Una lettura parziale di Un discorsoda fare porta quindi alla conclusione: il Vaticano II non è in continuità ma in contrasto con la Tradizione e la dottrina della Chiesa. In altri passaggi del medesimo libro, a volte nella stessa pagina, l'Autore sostiene però l'esatto opposto: "il cavallo di Troia non fu propriamente il complesso dei documenti conciliari"(p. 19) anzi, "sotto molteplici aspetti -lo riconosco io pure con fermezza e convinzione- il Vaticano II fu davvero un grande Concilio. Non si è lontani dalla realtà se si riconosca inesso il segno, eloquente e paradossale, dello Spirito Creatore che passa,irrorandoli, lungo i solchi della storia e della Chiesa"(pp. 3434). Le scusanti sono continuamente invocate (ad es. pp. 73,75) e la continuità è esplicitamente affermata: "L'appellarsi pertanto al Concilio per avallar il radicale ribaltamento delle posizioni dottrinali, disciplinari, liturgiche e pastorali della Chiesa preconciliare è sostanzialmente infondato" almeno direttamente (p. 74); questo vale anche per Dignitatis Humanae, la dichiarazione sulla libertà religiosa [7],libertà religiosa che Mons. Gherardini confonde erroneamente con la dottrina tradizionale sulla libertà dell'atto di Fede (ad es. pp. 171-173) per giungere così a dichiarare DH in continuità col magistero precedente: "astrattamente parlando, DHnon fa unagrinza: ripete un insegnamento che, nella sua sostanza, fu sempre quello della Chiesa: il credere 'sponte libenterque fiat, cum nemo credat nisi volens" (p.182; cf p. 178). Anche nel tanto deprecato decreto sull'ecumenismo, UR, per Mons. Gherardini"tutto ben ponderato e solo formalmente parlando si dirà allora che ilvincolo con ilpassato èinnegabile tanto quanto il suo carattere evoluiivo..."(p.211).Imotivi del sic et non:altrimenti si cade nelsedevacantismo
Come spiegare tante oscillanti contraddizioni? L'autore stesso ci dà una chiave interpretativa: "unVaticano II fuori e contro la Chiesa sarebbe stato non solo un assurdostorico-teologico, ma anche un elemento afavore deic.d. sedevacantisti e di quanti -con argomenti diversi -ne seguon l'avventato giudizio sulla non autenticità ecclesiale dell'ultimo Concilio e quindi sulla suamancanza di autorità ecclesiale. Qualcuno non s'esimeva nemmeno dal parlare di Papi illegittimi e d'usurpazione della sede petrina. In effetti l'ermeneutica della rottura non metteva solo qualche freccia in più all'arco del posiconcilio(cioè degli ultraprogressisti, n.d.a.):allontanava dal Concilio stesso. (...) Non vale neanche la pena perciò di spendere qualche altra parolain unanon necessaria dimostrazione del VaticanoII come vero e autentico Concilio Ecumenico e quindi come un fatto -e che fatto! -inequivocabilmente ecclesiale, attinente alla vita, alla Fedee alla storia della Chiesa" (p. 80). Non c'è bisogno di dimostrare... Mons. Gherardini afferma ma non prova, proprio come rimprovera di fare, egli stesso, ai sostenitori dell'ermeneutica della continuità! (la continuità dev'essere "non declamata, bensì dimostrata", p. 255). Eppure abbiamo visto che Mons. Gherardini stesso ha dimostrato l'ermeneutica della rottura (cf quanto detto prima) ed ha affermato che un Concilio può fallire ma, in questo caso, "il Concilio ecumenicocessa d'essere tale" (p.22-23).Mons. Brunero Gherardini ad una cena
presso il Lions club di Prato
Può accadere, quindi, anzi è accaduto, ma Mons. Gherardini non può ammetterlo, neppure a sé stesso: bisogna evitare l'ermeneutica della rottura "dalle possibilitàinterpretative del Vaticano II. Anzi, di qualunque Concilio. E chi in buona fede insistesse nel proporla, senz'accorgersene si metterebbe almeno materialmente al di fuori della Chiesa. Poiché proprio questo fu e continua ad essere l'atteggiamento non solo dei 'sede vacantisti; ma anche d'altri oppositori" cioè i lefebvriani [8],nonché degli ultramodernisti (p. 85). Come facciano, gli "altri oppositori" al Vaticano II, cioè i lefebvriani, messi al di fuori della Chiesa, ad esultare per il libro che stiamo recensendo, è un mistero! Infatti, il rifiuto di tutta la critica "tradizionalista" (inclusa quella della Fraternità San Pio X) al Vaticano II in Mons. Gherardini è netta (p. 22, 26, 33 ecc.): i sostenitori della "tesi di Cassiciacum-Papa formaliter/materialiter" si autogiustificherebbero con le loro contorsioni mentali, è vero, ma anche con i lefebvriani Gherardini picchia duro:"in realtà, la reiterata accusad'illegittimità per ogni pontefice eletto dopo Pio XII altro non è che puro delirio, privo d'aggancio storico e dibase teologica. Edelira delpari chi, pur riconoscendolegittimo ogni successore di quell'immortale Pontefice, gli neghi incondizionata obbedienza per gli esiti negativi verso i quali le sue deviazioni e quelle del Vaticano II avrebbero condotto e condurrebbero la Chiesa"(p. 33). Che poi scrivere più libri di critica ai tanto lodati "Papi" conciliari e al "magistero" del Vaticano II e del postconcilio, come fa Mons. Gherardini, sia un atto di "incondizionata obbedienza" e non lo esponga al delirio di cui sopra, è tutto da dimostrare.
Il metodo per arrivare al sic et non: la fallibilità del magistero conciliare
Sì, avete letto bene: non INFALLIBILITA, come sarebbe normale, ma FALLIBILITÀ. In questo, Mons. Gherardini è senza dubbio lefebvriano. Come conciliare infatti le critiche fatte al "magistero" stesso da Mons. Gherardini, e la sua strenua obbedienza (pena il delirio) dell"`autorità" che ha così errato nel suo insegnamento, e da più di 40 anni erra? I lefebvriani risposero fin dal principio con la tesi del magistero "pastorale non dogmatico". I più recenti teologi della Fraternità e delle comunità amiche vanno oltre: una vera Autorità (Papa, Vescovi, Concilio) non insegna più da oltre 40 anni poiché, essendo liberale e modernista, non intende insegnare [9].Non è questa la tesi di Mons. Gherardini. Per lui il Vaticano II è non solo "magistero supremo ordinario", come fu dichiarato ufficialmente, ma addirittura - come normalmente per un Concilio- "magistero solenne" (pp. 52, 85, per DH p. 165), ovvero la massima espressione del magistero. Nonostante ciò, il Vaticano II non è dogmatico (pp. 49-51) ma pastorale (pp. 23, 58-65, benché non si capisca cosa voglia dire: pp. 47 e 63) ma soprattutto né infallibile, né irreformabile, né vincolante (p. 51) benché lo si debba accogliere come magistero solenne (p. 52): capisca chi può! La stessa cosa Mons. Gherardini disse a suo tempo delle canonizzazioni dei santi ecc.: il motivo? Poter non accettare - e persino poter criticare - un insegnamento ufficiale della "Chiesa" e del "Papa" senza essere costretto a mettere in dubbio la legittimità del "Papa". Poco importa per le contraddizioni e lo svilimento del magistero ecclesiastico, il quale fallibile, riformabile e non vincolante sarebbe inutile e fuorviante.Perconcludere: luci e ombre diun libro
Ci scusiamo con Mons. Gherardini per le punte polemiche di questo articolo, e per le eventuali mie incomprensioni. Il suo libro, e quelli seguenti, richiedono un'attenta risposta in medio Ecclesiae. Esso si rivolge innanzitutto a Benedetto XVI, e si conclude infatti con una "supplica" allo stesso (pp. 253-257). Non risultano finora risposte, se non, come alcuni hanno fatto notare anche su Si si no no, dei fatti ecumenici che sono sostanzialmente un fin de non recevoir e una porta chiusa alle osservazioni accorate del teologo della scuola romana.Tra i "tradizionalisti" (infelice etichetta) l'accoglienza è stata più positiva. Negativa da parte di alcuni sedevacantisti e di alcuni ambienti della Fraternità San Pio X (Saint-Nicolas di Parigi), positiva da parte della maggioranza della Fraternità: Mons. Fellay, l'abbé du Chalard of course,don Pagliarani e la Tradizione cattolica, Sì sì no no (che qualifica il saggio di Mons. Gherardini come "magistrale"). I primi presentano il libro come una difesa dell'ermeneutica della continuità; gli altri come un'ammissione dell'ermeneutica della rottura e una prova del fatto che le cose stanno cambiando se non addirittura sono cambiate.
Mi pare che la nostra risposta debba essere più articolata e complessa, come lo è il libro che abbiamo recensito.
Uno dei libri di Mons. Brunero Gherardini
Se invece il libro di Mons. Gherardini e altri simili è visto come punto d'arrivo e non come punto di partenza, o come un saggio "magistrale" al quale dovremmo accodarci, o come la prova che il "pontificato" di J. Ratzinger è restauratore della Tradizione, allora il nostro rifiuto e la nostra condanna di questa manovra è totale e definitiva. Il tentativo di certe case editrici, di certe congregazioni religiose, di certi rappresentanti vecchi e nuovi del c.d. "Tradizionalismo", di farci accettare in qualche modo il modernismo del Vaticano II sotto forma di "riforma della riforma" che lasci in vita la riforma, deve essere decisamente denunciato e combattuto.
In una parola, va bene che modernisti e liberali si spostino verso la verità (purché non si fermino a mezza strada); non va bene che i cattolici vadano loro incontro spostandosi verso il modernismo e il liberalismo fosse pure "cattolico". Il problema delle contraddizioni interne del Vaticano II non è nostro -di coloro cioé che rifiutano il neo-modernismo -ma loro, di coloro che lo hanno accettato; che alcuni di essi si pongano dei dubbi, è positivo; che noi si debba far loro compagnia e mettere in dubbio ciò che è certo, è un discorso... da evitare.
NOTE:
[1] La prima edizione di Iota unumrisale al 1985, per i tipi dell'editore Ricciardi (dal 1938 appartenente al noto banchiere Mattioli). Le edizioni torinesi Lindau, ne hanno curato, nel giugno del 2009, la riedizione, con una postfazione di Enrico Maria Radaelli. L'edizione Lindau di Iota unum èstata presentata a Roma il 30 ottobre 2009, presso la Biblioteca Angelica, dal prof. Radaelli, da Mons. Livi, da don Nitoglia e da Francesco Colafemmina. Iota unum èstato però ristampato (aprile 2009) anche dalla casa editrice veronese (di cui in una nota seguente) Fede e cultura, con prefazione di Mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino. Fede e cultura è anche l'editore di due opere di Mons. Gherardini. Il catalogo delle edizioni Lindauè molto interessante: abbondano gli autori del "tradizionalismo" più o meno ratzingeriano egli scritti antimusulmani (Del Valle, Bat Ye'or,i foglianti, C. Panella, G.Meotti e G. Israel ecc.) e filo-ebraici. Un marchio però delle medesime edizioni Lindau, dal 2000, èL'età dell'Acquario, specializzato nella pubblicazione di testi massonici, esoterici, teosofici e New-Age. Sarebbe interessante capire chi sono i responsabili delle (almeno apparentemente) contraddittorie scelte editoriali della piccola casa editrice torinese. Una prima risposta l'abbiamo trovata nel constatare che Ezio Quarantelli, direttore editoriale di Lindau, èanche direttore responsabile di Confini. Temi e voci dal mondo della cremazione, pubblicazione della Fondazione A. Fabretti (noto massone risorgimentale) della Socrem (Società per la cremazione). Ucci ucci, sento odor di massonucci! Premesso che credo al 100% alla buona fede dei cattolici che collaborano con Lindau (non è facile trovare un editore per chi, come noi, è privo di mezzi), penso che le considerazioni di questa nota possano essere utili per diffidare, in futuro, di chi si serve di noi e per cercare di capire quale possa essere eventualmente la strategia del nemico nel promuovere paradossalmente autori e libri cattolici.[2] Secondo Mons. Livi, Romano Amerio si inserisce in una corrente di "pensatori come Pascal, Arnauld,Buffler, Reid, Vico, Jacobi, Kierkegaard, Balmes, Newman e Rosmini, tutti pensatori anti-cartesiani e anti hegeliani, ma non anti-moderni". Il rosminianesimo di Amerio è dichiarato, anche se Rosmini fu condannato dalla Chiesa e poi riabilitato da Ratzinger (cf Sodalitium, n. 53 p. 34); un bell'esempio di "variazioni della Chiesa Cattolica (sic) nel XX secolo".
[3] Che, di per sé e speculativamente, Iota unumnon si inserisca nella corrente "ratzingeriana" dell' "ermeneutica della continuità" non è una nostra opinione, ma è tesi difesa dall'Amerio stesso e dai suoi discepoli, come il professore Enrico Maria Radaelli:«L'interrogativo di fondo posto da Amerio in Iota unum -e nel suo séguitoStat Veritas, uscito postumo nel 1997 a cura di Enrico Maria Radaelli - è il seguente: "Tutta la questione circa il presente stato della Chiesaè chiusa in questi termini: è preservatal'essenza del cattolicesimo? Le variazioni introdotte fanno durare il medesimo nella circostanziale vicissitudine oppurefanno trasgredire ad aliud? [..] Tutto il nostro libro è unaraccolta di prove di tale transito" (p. 626 e, nella Postfazione, p. 689). E ancora: "La Postfazione a Iota unum,sintetizzando tutta la tesi del libro, mostra che le ermeneutiche sul concilio Vaticano II oggi sono tre: la prima: è l'ermeneuticasofistica estrema della "scuola di Bologna" (Dossetti, poi Alberigo, oggi Melloni) e in generale di tutta la "nouvelle théologie" (Congar, Daniélou, De Lubac, Ranher, Schillebeeckx, von Balthasar ecc.); è ateoretica; essa promuove e spera la discontinuità e la rottura delle essenze tra Chiesa precedente e Chiesa seguente il Vaticano II sotto la copertura delle equivocità testuali; la seconda:è l'ermeneutica sofistica moderata dei Papi che hanno promosso, attuato e poi seguito il concilio; è anch'essa ateoretica; al contrario però della prima, che peraltro la formò e produsse, essa studia in tutti i modi di dare continuità tra essenza post e pre conciliare, cercando di piegare al senso della Tradizione le anfibologie e le equivocità testuali di cui sopra; laterza: è l'ermeneuticaveritativa di Amerio e, in genere, di tutti i sospinti (ma solo dopo il concilio) nel cosiddetto "tradizionalismo"; è teoretica, dunque inconfutabile e, nella misura in cui si appoggia alla Tradizione, vincolante; essa riscontra e denuncia nel Vaticano II il tentativo di rottura e di discontinuità con l'essenza; va aggiunto, peraltro, che l'irrealizzabilità di tale tentativo è da tutti i resistenti al concilio (all'infuori dei cosiddetti "sede vacantisti") per fedeassolutamente creduta e da Amerio, come visto sopra (primo paragrafo) e come evidenziato nella Postfazione (§ 3 b, p. 698), anche solidamente dimostrata, di modo che il Trono più alto e tutta la Chiesa ne tornino al più presto a beneficiare» (E. M. Radaelli). Le ultime parole di questa lunga citazione evidenziano le contraddizioni di Amerio: il Vaticano II rompe -essenzialmente - con l'insegnamento della Chiesa, ma -rifiutato il "sedevacantismo"- se ne attribuisce l'insegnamento alla Chiesa stessa, in contraddizione pertanto con sé stessa. E allora non è il "sedevacantismo" (o perlomeno, la Tesi di Cassiciacum) a negare quanto "per fede deveessere assolutamente creduto" (ovverosia, l'indefettibilità della Chiesa: le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa) ma i "tradizionalisti" che negano la vacanza della Sede, siano essi seguaci di Amerio o di Mons. Lefebvre, secondo i quali è la Chiesa Cattolica che, subendo una variazione essenziale, è e non è nello stesso tempo la stessa di prima. Per cui, se speculativamente Amerio si oppone al Vaticano II (e non solo ad abusi o fraintendimenti del Concilio) nella prassi, per tutta la sua vita, al contrario di Mons. Lefebvre, accettò le sue riforme (inclusa quella liturgica), la sua disciplina, la sua gerarchia.
[4] Brunero Gherardini, Quale accordo tra Cristo e Beliar? Osservazioni teologiche sui problemi, gli equivoci ed i compromessi del dialogo interreligioso, Fede e cultura, Verona, aprile 2009 e, dello stesso autore, Ecumene tradita, Il dialogo ecumenico tra equivoci e passi falsi, Fede e cultura, settembre 2009.
[5] Così un suo editore, Fede e cultura, presenta Mons. Gherardini: "BruneroGherardini (Prato, 1925), sacerdote (1948), laureato in teologia (1952) con specializzazione in Germania (1954-55), già cattedratico della Pontificia Università Lateranense e decano della Facoltà Teologica, canonico della Basilica di S. Pietro in Vaticano dal 1994, Direttore responsabile della Rivista Internazionale "Divinitas" dal 2000, per un trentennio consultore della Congregazione perle Causedei Santi, ha scritto oltre 80 volumi e varie centinaia d'articoli. Centro della suaricerca, la Chiesa. Collateralmente ma in funzione complementare, ha approfondito la figura e l'opera di Lutero, la Riforma, l'Ecumenismo, la Mariologia e la teologia spirituale. È unadelle voci italiane più note anche all'estero". Possiamo aggiungere che Mons. Gherardini fu postulatore della causa di beatificazione di Pio IX. Al contrario di Amerio, Mons. Gherardini non è rosminiano, ma tomista, seppur della scuola (che pretende aver riscoperto il "tomismo originale" e conciliarlo con Kierkegaard) del padre stimmatino Cornelio Fabro. Padre Guérard des Lauriers non condivideva l'interpretazione che Fabro dava del pensiero di San Tommaso.
[6] Una parola sulla casa editrice Fede e Cultura di Verona, da non confondersi con l'associazione Fede,Cultura e società di don Guglielmo Fichera. F&C non è l'editore del libro qui recensito, ma delle opere susseguenti di Mons. Gherardini: vale la pena- come per le ed. Lindau- di interessarsi all'altro editore, con Lindau e in concorrenza a Lindau- di Romano Amerio. La casa editrice è nata solo nel 2005, ma in pochissimo tempo ha preso un posto di primo piano tra le case editrici vicine al "tradizionalismo". La linea non è affatto quella della "ermeneutica della rottura" ma quella della "ermeneutica della continuità", in pieno sostegno a J. Ratzinger e al Motu proprio Summorum Pontificum, auspicando esplicitamente la Riforma della riforma. La casa editrice si presenta e si riconosce in una citazione di "san" Josemaria Escrivà di Balaguer, ed ha come "Protettore" il "Beato" Antonio Rosmini (condannato dalla Chiesa), "campione della libertà intellettuale e responsabile culturale". Gli è dedicata una collana. Ne deduco che a F&C sono "cattolici liberali". Sono anche decisamente favorevoli al Giudaismo e allo Stato di Israele, malgrado Mons. Gherardini! Tra i "link" amici del direttore della casa editrice, Giovanni Zenone (Premio Attilio Mordini, figura anch'essa nota ai nostri lettori), figura al primo posto, con tanto di bandiera israeliana, il sito di "Israele.net", portale di Israele in italiano. Uno dei libri dello stesso Zenone, Il chassisismo. Filosofia ebraica, pubblicato con prefazione di Massimo Introvigne (ben noto ai nostri lettori) descrive la setta giudaica come "splendido capitolo della religiosità e del pensiero umano" e magnifica il pensiero di Martin Buber. In campo filosofico, al seguito del suo maestro Mons. Livi (già citato a proposito delle ed. Lindau) G. Zenone ha scritto Maritain, Gilson e il sensocomune, elogiando l'umanesimo integrale maritainiano e mettendosi nella linea di pensiero pascaliana. Gli "amici" raccomandati sono- tra gli altri - Cristianità, AlleanzaCattolica (Introvigne collabora a F&C e a Lindau),Lepanto (che ha diritto a una collana), i discepoli di Plinio Correa de Oliveira, i carismatici di Mediugorje... tutto un mondo che certamente non può essere considerato opposto al Vaticano II, ma che è la "destra" dello stesso. Quanto a Mordini, non stupisca la simpatia per Israele di un "premio Mordini" (che militò, durante la guerra, come volontario nell'esercito tedesco) giacché Mordini considerava l'ebraismo e l'islam religioni sorelle del cristianesimo e, come Evola, ammirava la Cabala (cf FRANCO CARDINI, L'intellettuale disorganico,Aragno ed., Torino, 2001, pp. 9, 57-59; F. CARDINI, prefazione a "Francesco e Maria" di A. Mordini, Cantagalli Siena 1986, pp. 8-9); su tutto l'ambiente cf. il sempre attualeCostruiremo ancora cattedrali: l'esoterismo cristiano da Giovanni Cantoni a Massimo Introvigne, inSodalitium, n. 50, pp. 17-34)
[7] Mons. Gherardini -nelle pagine forse peggiori del suo libro - giunge al punto di far sua la critica che DH e il Vaticano II fanno alla prassi della Chiesa, considerata "non conforme" anzi "contraria" "allo spirito evangelico" (cf DH 12; Gherardini p. 170). Così Cristo avrebbe combattuto l'intolleranza precristiana (sia quella pagana che quella veterotestamentaria) anzi sarebbe stato egli stesso vittima dell'intolleranza, mentre"alcuni uomini di Chiesa agirono con lastessa intolleranza che aveva condannato a morte Gesù; ad essi allude DH 12 nel rilevarne la mancata obbedienza all'Evangelo. La pace religiosa di Costantino (313), anche solo per 'lo spazio di un mattino', aveva, sì, privilegiato la Chiesa, ma a carissimo prezzo: l'intolleranza contro eretici e pagani. Una tale intolleranza non corrispondevané all'insegnamento dell'Evangelo, né a quello spirito evangelico sul quale la tradizione patristicaandava già modellando lo standard dell'esistenza cristiana..." (p.171). Dopo aver condannato le conversioni forzate operate da Carlo Magno (transeat, p. 171), Gherardini fa di san Tommaso un campione della tolleranza (confusa con la libertà dell'atto di fede, p. 172) per poi aggiungere incredibilmente: "Diversamente infine la pensarono anche alcuni Papi":i colpevoli di intolleranza antievangelica sarebbero stati Paolo IV (con l'istituzione del ghetto), Gregorio XIII (con l'obbligo per i Giudei di ascoltare le prediche cristiane), l'Inquisizione, che fu "tutt'altro che equilibrata" (p. 172). Benché postulatore della causa di Pio IX, maldestramente da lui difeso (p. 175-177). Mons. Gherardini si dimostra -in queste pagine - per quello che è: un cattolico liberale.
[8] Preciso che utilizzo il termine "lefebvriano" nel senso, non polemico o dispregiativo, di seguace delle dottrine e della spiritualità di Mons. Lefebvre; come si parla di domenicani, francescani, ignaziani, salesiani, tomisti, scotisti ecc. In questo senso il termine non designa solo i membri della Fraternità San Pio X.
[9] Di due cose, l'una. O le "autorità" conciliari non intendono insegnare, e questo in maniera abituale, oppure intendono insegnare. Nel primo caso, non intendono realizzare oggettivamente e abitualmente il bene e il fine della Chiesa, né assumere le funzioni essenziali dell'Autorità, per cui non sono e non possono essere l'Autorità; nel secondo caso insegnando l'errore manifestano di non avere l'infallibilità, la divina assistenza, ma soprattutto e più chiaramente ancora "l'essere con" ("Io sarò con voi...") promesso da Cristo, e quindi non possono essere l'Autorità. In ogni caso, non sono l'Autorità.