L’uomo mediocre non avverte né la grandezza, né la miseria, né l’Essere, né il nulla; non è né estasiato né decaduto: resta sul penultimo gradino della scala, incapace di salire e troppo pigro per scendere. Nei suoi giudizi come nelle sue azioni, sostituisce la convenzione alla realtà, approva ciò che trova posto nel suo casellario, condanna ciò che sfugge alle denominazione e alle categorie che conosce, teme la meraviglia e, non avvicinandosi mai al mistero terribile della vita, evita le montagne e gli abissi lungo i quali essa accompagna i propri amici. L’uomo geniale è superiore a ciò che compie: il suo pensiero è superiore alla sua opera. Il mediocre è inferiore a ciò che compie; la sua opera non è la realizzazione di un’idea, è un lavoro eseguito secondo certe regole. L’uomo di genio lascia sempre incompiuta la sua opera; l’uomo mediocre è pieno della propria, pieno di se stesso, pieno di niente, pieno di vuoto, pieno di vanità. Quest’odioso personaggio sta interamente in queste due parole: freddezza e vanità!
Lo spirito del male dice: “riposati, che farai nella mischia?… Il male è sempre esistito ed esisterà sempre… Il demonio dice: “Lasciati cullare; non far niente, non amar niente e sarai unito a me, perché io sono il Niente”. Così l’uomo, non avendo voluto unirsi d’una viva unione con quelli che abitano nell’amore, discende a poco a poco, durante il sonno, in quell’indifferenza glaciale, placida e tollerante, che non si indigna di niente, perché non ama niente, e che si crede dolce perché è morta. E il demonio, vedendo quest’uomo immobile, gli dice: “Tu gusti il riposo del savio”; vedendolo neutro tra la verità e l’errore, gli dice: “Tu domini entrambi”; vedendolo inattivo, gli dice: “Tu non fai del male”; vedendolo senza risorsa, senza vita, senza reazione contro la menzogna ed il male, vedendolo destituito dalla collera dell’Amore, gli dice: “Io t’ho ispirato una filosofia savia, una dolce tolleranza, tu hai trovato la calma nella carità”, perché il demonio pronuncia spesso le parole di tolleranza e carità.
Chiunque ama la verità detesta l’errore. Ciò è più prossimo al candore che al paradosso. Ma il detestare l’errore è la pietra di paragone dalla quale si riconosce l’amore per la verità. Se non amate la verità, potrete anche dire, fino ad un certo punto, che l’amate ancora e anche farlo credere: ma siate sicuri che in questo caso vi mancherà l’orrore per ciò che è falso, e grazie a questo segno si conoscerà che non amate più la verità. Quando un uomo che amava la verità cessa di amarla, non dichiara la sua defezione, ma inizia a detestare meno l’errore. È questa mancanza che lo tradisce. Ordinariamente, quando un uomo perde l’amore per la dottrina – buona o cattiva – che professava, conserva abitualmente il simbolo di questa dottrina. Tuttavia, sente morire in lui ogni avversione per le dottrine contrarie.
Il mondo, che ha lo spirito del nemico, non chiederà mai che si abbandoni la cosa alla quale tiene. Esso chiederà unicamente che si patteggi con la cosa contraria. E allora dichiarerà che voi gli fate amare la religione, vale a dire che gli diventate piacevole, smettendo di essere un rimprovero per lui. Affermerà che somigliate a Gesù Cristo, il quale perdonava i peccatori. Tra le confusioni che il mondo ama, ce n’è una che ama in modo particolare: esso confonde il perdono con l’approvazione. Per il fatto che Gesù Cristo ha perdonato molti peccatori, il mondo ne vuole concludere che Gesù Cristo non detestava il peccato. Il crimine del diciannovesimo secolo è quello di non odiare il male e di fargli delle proposte. Non c’è che una proposta da fargli: quella di sparire. Ogni compromesso concluso con il male somiglia non solo al suo trionfo parziale, ma al suo trionfo completo, giacché il male non chiede sempre di cacciare il bene, ma vuole il permesso di coabitare con lui. Un istinto segreto lo avverte che chiedendo qualcosa, chiede tutto. Appena non lo si odia più, esso si sente adorato.
A cura di Marco Massignan