domenica 1 settembre 2013

L'ira non è un male

Siccome viviamo in un'epoca in cui il moderatismo arazionale la fa da padrone, eccovi un testo da studiare, meditare, comprendere, mettere in pratica: un piccolo stralcio dalla Summa Theologiae sull'ira.



IIª-IIae, q. 123 a. 10
Se l'uomo forte nel suo agire possa servirsi dell'ira. 
Sembra che l'uomo forte nel suo agire non possa servirsi dell'ira.
 
 
INFATTI:1. Nessuno deve prendere come strumento del proprio agire una cosa di cui non può usare a proprio piacimento. Ora, l'uomo non può servirsi dell'ira a piacimento, in modo da assumerla e deporta a volontà: poiché, come dice il Filosofo, quando una passione corporale è scatenata, non si calma come uno vuole. Dunque il forte non deve servirsi dell'ira nel proprio atto.

2. Chi basta da solo a compiere un'azione non deve cercare l'aiuto di cose più deboli e più imperfette. Ora, la ragione basta da sola a compiere atti di fortezza di cui l'ira è incapace. Seneca infatti scrive : «La ragione basta da sola non solo a prevedere, ma anche a compiere le cose da fare. E che c'è di più stolto che chiedere soccorso alla collera? Non è come se la stabilità chiedesse aiuto all'incertezza, la fedeltà all'infedeltà, e la sanità alla malattia?». Perciò la fortezza non deve servirsi dell'ira.

3. Se è vero che alcuni compiono con più violenza atti di fortezza, è anche vero che altri lo fanno per il dolore, o per la concupiscenza.Infatti il Filosofo fa osservare, che «le belve sono spinte ad affrontare i pericoli della tristezza, o dolore, e gli adulteri compiono molte imprese temerarie per la concupiscenza». Ma la fortezza non si serve nel proprio atto né del dolore, né della concupiscenza. Dunque per lo stesso motivo non deve servirsi dell'ira.

IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna, che «il furore è ausiliario dei forti».

RISPONDO: Come abbiamo già notato, a proposito dell'ira e delle altre passioni i Peripatetici e gli Stoici espressero opinioni diverse. Infatti gli Stoici escludevano l'ira e tutte le altre passioni dall'animo del sapiente, ossia del virtuoso.
Invece i Peripatetici, alla cui testa è Aristotele, attribuivano alle persone virtuose l'ira e le altre passioni, però moderate dalla ragione. Può darsi che in sostanza non ci fosse divergenza, se non per il modo di esprimersi. Infatti i Peripatetici chiamavano passioni, come abbiamo visto, tutti i moti dell'appetito sensitivo, buoni o cattivi che siano: e poiché l'appetito sensitivo si muove sotto il comando della ragione, per cooperare ad agire con maggior prontezza, essi ritenevano che le persone virtuose dovessero servirsi delle passioni, moderate dal comando della ragione. Invece gli Stoici chiamavano passioni gli affetti disordinati dell'appetito sensitivo (che denominavano malattie o morbi): e quindi li escludevano del tutto dalla virtù. - Perciò il forte nel suo agire si serve dell'ira, però moderata, non già di quella sregolata.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTA':

1. L’ira moderata è soggetta al comando della ragione. E quindi uno può servirsene come vuole: invece non è cosi per l'ira sregolata.

2. La ragione non si serve dell'ira nel suo atto per averne un aiuto; ma perché si serve dell'appetito sensitivo come di uno strumento, come si serve delle membra del corpo. E non c'è niente di strano, se lo strumento è più imperfetto dell'agente principale, cioè se il martello è più imperfetto del fabbro. - Seneca, si sa, era uno Stoico, e indirizza espressamente le parole riferite contro Aristotele.

3. La fortezza avendo, come abbiamo visto, due atti, cioè resistere e aggredire, non si serve dell'ira nel resistere, poiché codesto atto è compiuto direttamente dalla ragione; ma nell'aggredire. E in tale atto la ragione si serve più dell’ira che delle altre passioni, poiché è proprio dell'ira scagliarsi contro ciò che rattrista, e quindi nell'aggredire coopera direttamente con la fortezza. Invece la passione della tristezza, o dolore, di suo soccombe sotto il male, e solo indirettamente aiuta ad aggredire: o in quanto il dolore, come sopra dicemmo, è causa dell'ira; oppure perché uno si espone al pericolo per liberarsi dal dolore. Parimente, anche la concupiscenza di per sé tende al bene dilettevole [cioè al piacere], che di suo è incompatibile con l'affrontare i pericoli: ma talora indirettamente coopera ad affrontarli, in quanto uno preferisce esporsi al pericolo che rinunziare al piacere. Di qui le parole del Filosofo, il quale nota che tra tutti gli atti di fortezza derivanti dalle passioni, «il più naturale è l'ira: e se la fortezza che ne deriva è deliberata e ordinata al debito fine, diventa vera virtù».