La Civiltà Cattolica, anno 57°, vol. III (fasc. 1345, 26 giugno 1906, pagg. 3-23), Roma 1906.
DEL PROGRESSO EVOLUTIVO NELLA CHIESA CATTOLICA
Quale problema di non facile soluzione, nè di piccola importanza, ci si presenta ai nostri giorni la tanto agitata questione dell'attitudine della Chiesa cattolica dinanzi al progresso ed alla turbinosa evoluzione, in cui sembra dover ogni cosa essere avviluppata e travolta. Col volgere dei tempi, col succedersi le generazioni e trapassare, coll'urto reciproco degli uomini e degli elementi nel campo delle industrie e delle scoperte moderne, mentre tutto intorno si modifica e si rinnovella, dovrà la Chiesa mantenersi immobile sempre ed immutata? immobile nella sua costituzione, immutata nel dogma, nella morale, nella ierarchia, nel culto?Tale il quesito, per verità, non punto moderno, come quello che fu agitato già nel quinto secolo a' tempi di Vincenzo di Lerino, e trattato da vari teologi in tempi più recenti come il Newman, il Franzelin e il Mazzella; ma che a' nostri giorni è vociferato con tanto calore di appassionamento, per le bocche e le penne di una eletta di gente ammodernata, come se dall'entrata della Chiesa nella via del progresso, della evoluzione, e per tanto dell'accomodamento alle novità dei secoli, dipendesse la sua conservazione, la sua rifioritura, la sua durazione perenne. Si vede proprio, che per conto di cotesti apostoli novelli, lo stesso Spirito Santo è invecchiato!
La questione prese l'aire dalla scoperta, detta così, fatta da Carlo Darwin verso il mezzo del secolo scorso, colla quale volevasi la molteplice varietà di tutte le specie della fauna e della flora, essere provenuta dalla successiva trasformazione di una prima specie, mediante la selezione, e la trasmissione per eredità. Dalla storia naturale la teoria dell'evoluzione passò in tutti gli ordini delle scienze, e persino nella morale. Le quali teorie, insegnate in tutte le università di Europa, si riversarono poi nella pubblica opinione siccome patrimonio scientifico acquistato: il che formò quel mezzo, in mezzo al quale educati e cresciuti molti uomini, i quali da Cicerone direbbonsi novi, iuvenes et imperiti, sperimentarono la legge di adattamento, e si fecero apostoli di progresso e di evoluzione, che ora vogliono a tutti i costi veder seguiti ed abbracciati dalla Chiesa cattolica, sotto pena d'incorrere insieme col loro corruccio il pericolo dell'isolamento nel bel mezzo dell'universale progresso.
Se non che la Chiesa ascolta sì veramente le voci e gli avvisi dei fedeli, la cui universalità il progresso non vuol più denominata chiesa ammaestrata ma discente e docente insieme [1]: si adatta con una potenza di elasticità meravigliosa a tutte le condizioni, scienze, scoperte, forme governative dei tempi, degli uomini, e dei luoghi, le quali non contengono nulla di riprovevole dinanzi alla ragione sana e dinanzi alla fede manifestamente: non però per subirne in modo alcuno influenza d'intrinseca modificazione o nel suo essere o nel suo operare, sì bene per accogliere sotto la sfera della sua azione di ordine superiore, universale, e trascendente, quanto le scienze, le scoperte, e le condizioni intellettuali degli uomini possano presentare: la Chiesa tutto accoglie, tutto benedice e seconda.
In questa sua attitudine la Chiesa non cambia mai: ma non può dirsi così delle conquiste, almeno in gran parte, che si dicono scientifiche: le quali non hanno il dono dell'immobilità. Chè anzi accade spesso, che una scoperta, annunziata oggi, ben presto è sottoposta al dubbio, e poscia abbandonata siccome insussistente e falsa. E tanto è accaduto della trasformazione delle specie animali del Darwin, e del trasformismo più radicale dell'Haeckel: oggimai coteste teorie, impugnate già nel loro apparire da scienziati di prim'ordine, sono a poco a poco cadute di valore e di stima, e pressochè disdette dalla scienza, e abbandonate [2].
Eppure s'insiste tutto giorno da alcuni predicatori di cose nuove, perchè la Chiesa smetta la sua attitudine di immobilità, e si adatti alle novità della scienza e alle teorie dei fatti acquistati e compiuti. Per la qual cosa siamo venuti nel consiglio di trattare con una certa ampiezza la questione, e d'investigare quanto e come la Chiesa cattolica possa e debba essere suscettibile di evoluzione, di progresso, e di riforma.
I.
Per la prima cosa reputiamo necessario di premettere la spiegazione dei termini, a fine di acquistare e dar luce maggiore alle cose che tratteremo, e di evitare la confusione, che quasi sempre suole accompagnare le questioni complesse, delle quali per non comprendere se non una parte, ed ordinariamente è la parte esterna e superficiale, accade che molti parlino e schiamazzino senza intendere in tutta la sua portata il tenore di quello che dicono.Tralasciando per ora le varie specie di evoluzione fisica, che si presentano in natura e che sono conosciute da tutti, dobbiamo dire qualche cosa della evoluzione in senso sociale o morale, che solo può riferirsi alla Chiesa od al dogma.
Evoluzione morale è quella, per cui un ente morale, detto società, acquista una modificazione di grandezza; si dirà intrinseca, quando di un corpo morale si accresce la comprensione, ed estrinseca quando la estensione in numero.
Ne' corpi morali, detti società, vanno accuratamente distinte due nozioni, vale a dire la loro comprensione, e l'estensione. La prima è il complesso delle note costitutive di una data società, per le quali essa si definisce e si distingue da tutte le altre. Così sono costituite le società commerciali, finanziarie, militari, religiose, massoniche eccetera. Ossia quelle note determinano il fine a cui una società è destinata, e le leggi onde deve vivere ed agire socialmente. La seconda designa le parti soggettive, ossia gl'individui che ricevono i costituti della società, e ne formano l'associazione concreta.
Evidentemente la comprensione di un corpo sociale rimane sempre invariata, nè può ricevere accrescimento o modificazione alcuna nelle sue note fondamentali: altrimenti cambierebbe altrimenti cambierebbe natura: laddove la estensione può crescere e moltiplicarsi indefinitamente. Così un esercito è costituito quando abbia un capo, sottofficiali, e soldati; col crescere del numero delle cerne [= truppe, N.d.R.] l'esercito si evolve, vale a dire la sua mole diventa maggiore; ma la sua costituzione di esercito, ossia la sua comprensione rimane invariata, il più o meno numero non variando la specie.
Anche i corpi morali sono capaci di quella evoluzione che abbiamo denominato morfica, e che succede in modo analogo alle trasformazioni di ordine fisico. Ciò accade quando una società da imperfetta diviene perfetta, o da uno stato figurativo passa allo stato figurato. Un tale passaggio, o evoluzione, si fa in un modo intrinseco, per una trasformazione etica che un popolo subisce, quando da un ordine politico e religioso passa ad un altro più perfetto, come fa la ninfa quando diventa crisalide. Così i popoli barbari si trasformarono, quando per opera lenta del cristianesimo s'indocilirono e divennero civilizzati. Così il popolo ebreo, lasciato il mosaismo in cui tutto era figura, si dovea trasformare in popolo novello per la costituzione del nuovo patto, al quale le figure antiche si riferivano.
II.
Applicando ora alla Chiesa queste nozioni, dobbiamo vedere le evoluzioni per le quali essa sia passata ne' tempi andati; quelle, di cui altri potrebbe dirla suscettibile o bisognosa nel tempo presente; e quelle, alle quali verrà assoggettata nel tempo avvenire.La Chiesa infatti ci si presenta in una triplice diversità di tempo. Sempre una nella sua origine, nel suo svolgimento mondiale, nel suo fine prossimo ed ultimo, essa ci appare tuttavia in un essere ed in un atteggiamento diverso, quando la ravvisiamo ne' suoi tempi di preparazione, quando la consideriamo nel suo stato di virilità perfetta, e quando la contempliamo nell'ultima trasformazione de' suoi compiuti destini.
La Chiesa abbraccia tutta la pienezza dei tempi. Dal primo uomo, e massimamente dal segnatore dell'antico patto sino alla venuta di Gesù, essa occupa il tempo dell'antica legge e può quindi denominarsi la Chiesa antica. Trasformatasi con e per la venuta di Gesù Cristo nell'era nova del novo testamento, essa distende il suo reame sopra tutto l'universo e comprende la età che durerà quanto il mondo lontana, e può denominarsi Chiesa presente. Trasformandosi poi novissimamente col suo ingresso nel regno della gloria, la Chiesa ottiene il suo sbocciamento finale, ed inizia l'ultima fase della sua destinazione, quella cioè del coronamento, del termine, del gaudio eterno. Per riguardo a questo ultimo stadio, può denominarsi la Chiesa avvenire.
Abbiamo dunque nella Chiesa tre stati diversi di società: l'antico che finì, il presente nel quale viviamo, ed il futuro a cui aspirano i desiderii dell'umana natura. Abbiamo una evoluzione già compita nella Chiesa, ed un'altra a cui è destinata.
Questa doppia evoluzione è parte dell'oggetto di questo studio: col quale ci spianiamo la via a scorgere e ad investigare se nella Chiesa presente si possa dare l'uscita a qualche progresso, a qualche altra evoluzione, che sia richiesta o dalla sua natura, o dalle leggi di adattamento, o dagli schiamazzi di gente progressista che forse non sa quello che si dice, ma che colle sue voci di progresso e di riforma sappiamo che fa molto di male agl'individui di essa Chiesa.
Fine supremo della Chiesa cattolica, nel corso di tutta la sua carriera, fine a lei comune in tutte le parvenze della sua manifestazione nella terra e nel cielo, fu, è, e sarà uno solo: l'avvenimento del regno di Dio o del regno dei cieli. Tra le quali due espressioni passa sì veramente una differenza, il regno di Dio riguardando propriamente la terra, la durata della vita umana nella età del tempo, e l'esercizio morale delle facoltà dell'uomo, colle quali adempie in terra la legge proclamata dalla costituzione di quel regno; e il regno dei cieli riferendosi strettamente alla vita di trasformazione ultima, nella quale l'umanità rinnovellata, fuori di tempo, fuori di libertà di operare il male, fuori di merito, inizia la vita del premio dopo la lotta, accoglie in sè l'irradiazione della divinità svelata, ossia la beatitudine suprema, il termine, il riposo, la fruizione eterna nel seno di Dio: il vero regno dei cieli. I due regni hanno per soggetto l'uomo, e Dio per fine: sono congiunti insieme come due fini, dei quali uno è l'ultimo, e l'altro gli è subordinato come mezzo alla consecuzione del primo: in quest'altro è la prova, in quello il coronamento; nella terra quel regno è presentato al libero arbitrio, nel cielo è goduto in modo soverchiante la libertà; nella terra si semina il merito, nel cielo si raccoglie la palma; nell'uno si esercita la grazia, nell'altro sfavilla la gloria.
Tali sono le attitudini dei due regni, riguardati nel soggetto che è l'uomo, nel fine ch'è Dio, nel luogo che sono la terra ed il cielo. Considerandolo nel suo essere morale, o in se stesso, il doppio regno ci si presenta in un modo proporzionatamente diverso e strettamente congiunto. Il regno di Dio in terra è conosciuto dalla sua costituzione, ossia dal complesso di quelle leggi che la compongono: la sua carta sono il decalogo, il vangelo. Coll'osservanza di quanto comanda il decalogo, e colla pratica di ciò che si contiene nel vangelo, si ottiene in terra il regno di Dio, e si è incamminati al possesso del regno dei cieli. La morte segna il punto del passaggio dall'uno all'altro regno, congiunge con quel punto i confini del cielo e della terra, e compendia i destini di tutta la creazione.
A cagione dunque delle loro attinenze, e dell'ordine intrinseco che obbliga l'un regno all'altro, la nozione dell'uno richiama necessariamente l'idea dell'altro. Il perchè li possiamo comprendere entrambi in una comune denominazione col solo vocabolo di regno di Dio [3].
Al regno di Dio nella presente economia della Provvidenza, si oppone un altro regno dalle tendenze contrarie e dai diversi destini, il quale comprende tutta la parte del genere umano, che in un modo o in un altro (parlo massimamente delle nazioni civilizzate) non osserva il decalogo, guerreggia il vangelo, misconosce e dispetta Cristo. È questo il regnum Satanae, come lo disse Gesù, il regno in cui ha impero il princeps huius mundi, o l'antico avversaro come lo disse Dante Alighieri. — Così, a dirla di passata, l'universo ci si presenta sotto l'aspetto di un immenso campo di battaglia, nel quale si accolgono e si attendano tutte le generazioni umane. In esso esercitano la capitananza Cristo e Satana; e la gente universa, spartita in due schiere, milita la vita aggirandosi attorno allo stendardo che nell'uno e nell'altro campo sventola simboleggiando le due opposte milizie. L'universo futuro ci porge somiglianza di un gigantesco quadro, il cui campo e pieno della gloria dei vincitori, e sul cui sfondo si proietta la fosca tenebra dei perduti. È questo il pensiero grande, teologico, e mondialmente storico, il quale forma l'ordito di quel capolavoro di S. Agostino, che s'intitola De civitate Dei.
Ora del regno di Dio dobbiamo considerare la genesi e la costituzione, per istudiarne poi la suscettibilità di progresso e di evoluzione, prima della trasformazione ultima od escatologica, come la denominano neotericamente.
III.
Il regnum Dei in terra ha Gesù Cristo per generatore, il quale gli ha data tale costituzione, per ogni parte così determinata, e così assoluta, da non comportare nella sua comprensione nè progresso nè evoluzione di sorta alcuna.L'Autore, la vita e l'anima, il legislatore, il conservatore, il consumatore del regno di Dio era, è, e sarà Gesù Cristo, figliuolo di Dio, il Messia. il legislatore, il Redentore, il giudice escatologico, il Re. Egli animò tutto il mondo antico della speranza della sua prima parusia o venuta sopra la terra: ma in modo specialissimo la idea, la figura, l'irraggiamento di lui venturo occupò le anime di tutto un popolo, le cui fortune, la cui costituzione politica, la cui stessa ragione di essere s'incentravano in lui, in lui tendevano, e lui idoleggiavano in quella guisa, che le forze seminali di un frutto spinte da un arcano impulso vitale, secondate dai succhi alimentatori della terra e dell'acqua, e riscaldate dall'almo sole, tendono ad impersonarsi, se è lecito dir così, nelle ultime forme del loro compimento definitivo.
Quel popolo, nel quale l'idea dominatrice era l'idea del Messia, si formò e si svolse vivendo una vita del tutto soprannaturale, sia perchè Iddio fu il suo formatore, il suo legislatore, e la sua guida: sia perchè era l'erede portatore nel suo seno della grande promessa, che a lui solo in modo chiaro e solenne era stata affidata: sia perchè il suo organismo sociale era nelle leggi, nella religione, nel costume, nelle memorie nazionali mosso e regolato dalla presenza del Messia venturo. Vale a dire, il Messia regnava già in quel popolo, ma in figura, in isperanza, in fede, in amore. Egli stesso, prima che nascesse, impresse la sua immagine, delineò la sua figura, riaccese il desiderio di sè in tutte le generazioni di quel popolo con molti e svariati modi. Abele, Isacco, e Giuseppe ne figurarono la persona e le sorti; l'agnello, il passaggio nel deserto, la pietra zampillante acqua viva, il simulacro di bronzo, il capro espiatore delle colpe sociali, ne accennavano le virtù taumaturghe: e le bocche dei profeti ne delineavano le fattezze, le fortune, e i portenti, come se la stessa persona dell'aspettato, moventesi tuttavia nella lontananza dei secoli, stesse loro dinanzi allo sguardo.
Israele, che denominossi il popolo di Dio, era veramente la chiesa antica, l'antico testamento, il primo regno di Dio. Gesù Cristo, era nel loro mezzo, ma in figura; eppure anche così la fede in lui, espressa dai popoli, era l'unico mezzo, allora come sempre, della loro salute, vale a dire della loro giustificazione; Gesù invocato dalle voci, dai segni come a dire convenzionali, quali erano la circoncisione, l'espiazione, e gli altri riti cerimoniali dell'antica legge, si sporgeva dal balzo dell'avvenire e profondeva in quelle anime coll'onda della grazia santificante la salute e la pace. Quei segni invocatori, o se si vuole quei richiami, non erano essi pure se non figure di altri segni sensibili produttori della salute, ossia dei sacramenti. E quel popolo colle sue ceremonie, colle sue patrie memorie, co' suoi segni santificatori in qualche modo, non era esso stesso se non una figura del futuro popolo di Dio, ossia quel popolo era il regno di Dio in figura.
Ma venuta la pienezza dei tempi, nacque l'Aspettato; e colla nascita di lui fu collocata la pietra angolare del nuovo edifizio, la cui ampiezza si doveva estendere quanto il mondo lontana: e la cui altitudine, come di gigantesca piramide, si ergerà sino al cielo, per toccare coll'estrema punta del suo vertice il vertice estremo della piramide celeste, la quale da quel confine colla terra protende ed allarga la sua distesa nel seno dell'infinito.
Gesù nella carriera della sua vita di 33 anni [4] svolse e compì l'antico regno, impose fine alle figure, fece tacere per sempre le allegorie antiche, e stabilì realmente il regno di Dio in terra. Di questo regno di Dio in terra, fondato da Gesù, bisogna con tutta esattezza determinare le basi, e ben conoscere tutte le parti.
La costituzione di un regno abbraccia il legislatore, le leggi, il reame: il fine, la sanzione, il giudice: la morale, la vita sociale, i mezzi della vita.
Del regno di Dio in terra Gesù fu il legislatore, la sua legge fu la buona notizia o il Vangelo, i sudditi ossia il suo reame gli uomini di tutto l'universo nella durata di tutto il tempo, il fine la perfezione morale dell'individuo. Di sanzione strettamente detta (prescindendo qui dal fatto che omnis potestas è stata conferita da Dio a Gesù, e da Gesù alla sua Chiesa), vale a dire di una pena ai trasgressori della sua legge, Gesù non ne ha assegnato in terra: perchè la sua legge è supremamente una legge di amore, la quale tende a trasformare le anime, e per conseguenza esige l'esercizio pieno del libero arbitrio, per quindi presentare la base alla sanzione finale, la quale base è il merito dell'individuo. Il regno di Dio è perciò un regno interno (regnum Dei intra vos est), ciò vuol dire ch'esso si esercita nel mondo delle anime, la cui massa, se così mi posso esprimere, esso regno tende a pervadere e ad occupare così, che se la assimili adequatamente. Questa osservazione è importantissima, 1°) perchè ci disvela la divinità del legislatore del regno di Dio, non essendo mai esistito nel mondo un uomo che abbia aspirato alla dominazione intima delle anime di tutto l'universo; 2°) perchè dimostra, che la virtù cristiana ha la sua sede nell'anima, essenzialmente: tutto l'apparato esterno non contando nulla, se non sia informato da motivi specificatori che movono dall'anima.
La legge data da Gesù al suo regno, sono i precetti del Vangelo, nel quale si trova la costituzione di esso regno, e il suo codice. Questo nella sua semplicità è vastissimo, e comprende in somma i due precetti massimi, i quali compendiano tutta la legge, e sono l'amare Iddio sopra tutte le cose, e il prossimo come se stesso. Questi due precetti bene stabiliti divengono due centri, d'onde pigliano vita e movimento tutti i doveri che obbligano l'uomo verso Dio, verso se stesso, e verso il prossimo: a Dio il riconoscimento del dominio di tutta la creazione, il culto interno ed esterno, l'adequata osservanza della legge sia naturale, sia rivelata, a sè la negazione di ogni godimento indebito, l'umiltà virtù novissima, che consiste nel giudicar se stesso secondo le norme della verità e della giustizia, e il considerarsi siccome pellegrino sulla terra: al prossimo la stima e l'amore, il soccorso positivo, il non vendicarsi, il perdono delle offese.
Colla pratica della legge così compendiata si ottiene il fine immediato di essa, che non e altro se non la perfezione cristiana, ossia la rispondenza della vita alle norme prescritte.
Il fine supremo della legge evangelica tocca le fortune escatologiche del regno, ed è in relazione intima colla sanzione ultramondana a tutto il reame imposta, e col giudice supremo che ne sarà l'applicatore.
Quella sanzione è il perno massiccio nel quale tutta la legge s'incardina, intorno al quale si aggira tutta la estensione della vita umana, ed alla cui suprema forza morale il legislatore Gesù ha raccomandato l'osservanza della sua legge. Quella sanzione è la rimunerazione ultima, la quale consiste nel possesso della felicità eterna data da Dio, o nell'eterna pena da Dio pure ordinata; Gesù stesso sarà il giudice, che pronunzierà la sentenza. Nulla di più semplice, nulla di più chiaro di questa sanzione; ma nulla di più formidabile, ed insieme nulla di più certo, avendola Gesù stesso proclamata ad ogni piè sospinto nella sua legislazione.
La morale, ossia il complesso delle norme che devono informare le azioni della vita cristiana, risulta da ciò che chiamasi lo spirito della legge: il quale si sente benissimo nell'anima cristiana, nelle cui facoltà si sparge come un profumo indistinto, e ridotto in esercizio compone la morigeratezza cristiana.
Tutto ciò forma il corredo regolatore della vita, ed è come si vede cosa estrinseca al reame considerato nel complesso delle persone che esso reame compongono, e non è che l'applicazione delle dottrine che ne costituiscono il patrimonio privativo. Ora dobbiamo considerare la composizione stessa di questo reame ed il suo programma scientifico, ossia studiarne l'essenza, e quindi la dottrina, le parti, l'ordine, e la correlazione di organismo che le varie parti collega in un tutto perfetto. In altri termini dobbiamo vedere la costituzione intrinseca del regno di Dio in terra, ossia la formazione materiale della società fondata da Cristo, che è la Chiesa universale. La Chiesa universale, come uscì dalla mano di Gesù, comprende nella sua essenza le seguenti cose: la morale evangelica, il dogma, la gerarchia, i sacramenti.
La morale evangelica, che del dogma costituisce pure una parte sostanziale, è il codice regolatore della vita che si ha a condurre secondo Cristo, e ne abbiamo fatto parola.
Il dogma è quella dottrina che ogni cristiano, per essere tale, deve credere ed essere disposto a professarne anche esplicitamente quegli articoli, la cui esterna professione sia necessaria alla salute: la quale dottrina forma del patrimonio scientifico cristiano la prima base, costituisce la società cristiana professionalmente, e la distingue da ogni altra società umana vivente sopra la terra: ossia il dogma appartiene alla essenza del cristianesimo. Cosiffattamente, che chiunque un solo dogma rigetti, o di esso una parte anche sola, cessa di far parte della società cristiana, o meglio di appartenere alla Chiesa cattolica, e diventa eretico, scismatico, infedele, membro assiderato o divelto.
Notisi strettamente, in primo luogo, che il dogma, ossia il vero nel dogma contenuto, è parola di Dio, dottrina sostanzialmente soprannaturale [5]: ciò torna a dire, che la ragione umana co' soli presidii delle sue forze naturali non l'avrebbe potuta conoscere mai, nè, conosciutala comecchessia, vi potrebbe aderire soprannaturalmente coll'assentimento dell'intelletto, nè colla energia della volontà: è quindi dottrina rivelata, cioè proposta a essere creduta siccome una verità, inconcussa, alla quale il motivo dell'adesione intellettuale è la stessa autorità di Dio, già proposta storicamente [6]. Si osservi per seconda cosa, che il dogma ha una origine sola, e questa e l'avere Iddio rivelato tale verità; in noi pero deriva per doppia provenienza: dalla parola scritta, o dalla parola detta agli apostoli e dagli apostoli legittimamente sino a noi tramandata. Da ciò segue: 1°) che il ciclo della rivelazione si e chiuso colla scomparsa dalla terra dell'ultimo apostolo: 2°) che a vigilare il sacro deposito della rivelazione divina, consegnato in terra, ed a governarne la economia, è necessario che il Legislatore divino ne abbia confidato il magistero vivo e perenne alla sua Chiesa, vale a dire ai suoi vicari nell'incarico di dirigerla. — Per ultimo si attenda l'animo ad un corollario d'importanza capitale, che dal detto intorno al dogma si deduce. Nel Regnum Dei in terra, ossia nella Chiesa fondata da Gesù, la rivelazione officiale è chiusa, come pure all'introduzione di nuovi dogmi è chiusa la porta. Se un dogma ci venga proposto a credere da Colui, al quale il deposito della fede è stato affidato, esso sarà cavato dal prontuario del verbo divino scritto già o tramandato, ma non verrà altrimenti introdotto per nuova rivelazione: ogni vero, o definito o definiendo siccome dogma di fede, è consegnato già nella Scrittura o nella tradizione apostolica. Ciò dimostra, in un modo quasi perentorio, che il regno di Dio, o la Chiesa fondata da Gesù, e fornito in modo compiuto di tutto il corredo che il suo Fondatore ha giudicato dover essere conveniente e necessario alla sua amministrazione, e conservazione, e funzionamento. Esso regno dunque, essa Chiesa di Gesù durerà così com'è, immobile ed immutata, sino alla seconda parousia, o venuta di Gesù, dei tempi escatologici.
La ierarchia non è altro se non l'acconcia disposizione mutua dei vari membri componenti il regno di Dio, o la Chiesa, in ordine al retto funzionamento delle parti sociali che lo integrano, ed alla più agevole consecuzione del fine alla società proposto. La ierarchia comprende dunque la serie dei ministri, ai quali e assegnato il governo e la direzione del regno o della Chiesa. Il quale, avendo la natura comune a tutte le società, è evidente che esso pure si compone di governanti e di governati; ma atteso il fine speciale che Gesù gli ha dato, e la delicatezza insieme e la rilevanza degli uffizii, onde Gesù volle rivestiti i ministri del suo regno, in ordine appunto alla migliore conducenza al conseguimento di esso fine, ne segue necessariamente nella costituzione dei ministri una qualità diversa da quella dei ministri delle altre società. Del rimanente la ierarchia essendo un fatto, e un fatto che ha Gesù per autore, essa sarà tale, almeno nelle sue linee maestre, quale Gesù fondatore ha voluto che fosse.
I sacramenti, socialmente parlando, sono il cemento che congiunge le pietre dell'edifizio colla base e colla cima. Fuori di figura, sono gli strumenti effettivi della perfezione dell'individuo cristiano, e quindi strumenti consecutori del fine del regno di Dio in ogni individuo ad esso appartenente. Abbiamo detto il fine del regno di Dio essere la perfezione individuale di ogni membro; questa perfezione si opera formalmente coll'infusione nell'anima del principio formalmente perfezionatore, che è la grazia santificante: ora i sacramenti sono stati istituiti da Gesù siccome veri strumenti che la grazia santificante infondono nell'anima: dunque i sacramenti sono gli strumenti effettivi della perfezione formale cristiana, che si dice santificazione, o giustificazione del cristiano, che è tutt'uno.
Ho parlato dei sacramenti, come entranti nella comprensione dei costitutivi del regno di Dio, non però della grazia: perchè questa è invisibile, e non appartiene, per così esprimermi, alla modanatura esterna dell'edifizio piantato da Gesù; sebbene la grazia ne informi il santuario intrinsecamente, sia come a dire l'anima del cristianesimo, come un vero rispecchiamento della stessa divinità nella sostanza dell'anima giusta, e adempia la significazione di quell'onda salutare onde l'orto cattolico si riga.
Invece i sacramenti appartengono storicamente alla costituzione del regno, avendoli Gesù storicamente istituiti, comecchè sieno cose sostanzialmente soprannaturali.
IV.
E qui non posso non notare la vera insipienza di alcuni nuovi esegeti, cattolici, i quali si sono proposti seriamente non già di escludere, almeno a parole, la soprannaturalità dai fatti evangelici che pigliano a commentare; ma per un lavoro di mente, che dicesi precisione, o atto di prescindere nello studio di una cosa un rispetto da un altro, attendono a separare in un fatto il lato storico dal soprannaturale, fermandosi a considerare il fatto solo storicamente, e prescindendo dalla vestitura del soprannaturale onde quell'avvenimento possa essere coperto. Costoro usano un tal metodo in un modo universale e come un universale canone di ermeneutica, che applicano a tutto studio nell'interpretazione dei fatti evangelici, ed in un modo speciale nello esame dei miracoli operati da Gesù, e nella fondazione dei sacramenti. Così nella risurrezione di Lazzaro ti presentano il sepolcro, gli uomini circostanti e le donne lagrimose, Gesù atteggiato a mestizia, e poi un movimento materiale, e Lazzaro in compagnia delle sorelle. Nella fondazione dell'Eucaristia, tu vedi Gesù in piedi col pane e col calice in mano, lo odi pregare e parlare, stabilire il segno di una memoria: ossia hai dinanzi agli occhi gli scheletri dei fatti di Gesù!Cotesti nuovi interpretatori applicano la loro critica ed il loro criterio sopra la storia evangelica, come usa l'anatomico del suo bisturi sopra il tessuto di una carne vivente, il quale disgrega le parti, discerne nervi e tendini, sfiora le ossa e cava il sangue dalle vene; ma di vita, di anima, di soffio spirituale agitante la mole carnosa, il chirurgo non si cura più che tanto, prescinde, e trincia, come se non ci fosse. Del pari il neoterico esegeta adopera il suo acume nell'accumular fatti e circostanze locali, nel presentare gli elementi tutti di un fatto, e discernerli e lumeggiarli materialmente; ma dell'anima ossia del soprannaturale che quei fatti penetra come vita la carne, egli non si occupa altrimenti, egli prescinde, e tira innanzi.
Che s'ha egli a dire di cotesto metodo? S'ha a dire che è un metodo, il quale riflette l'idea protestantica, un metodo falso in sè, pericoloso ed assurdo in un interprete cattolico.
Un tal metodo è ora in uso nel mondo intellettuale del protestantesimo; se non che, come metodo protestantico non solo è legittimo, ma trovasi in perfetta consonanza logica coi principii di quella grande eresia, la quale ai nostri giorni fa tavola rasa del soprannaturale. Questa verità spaventosa è una verità di fatto, invalsa dallo Strauss, nel mezzo del secolo scorso, e continuata fino ai Sabatier e agli Harnack de' giorni nostri: e qui mi basti l'averla asserita come fatto, intorno al quale non può cadere ombra di dubbio. Il cattolico, che nell'interpretare il verbum Dei vuole compiere la significazione del suo nome, non può negare apertamente ciò che nel Vangelo è soprannaturale, perchè sarebbe un negare addirittura il Vangelo stesso sostanzialmente, essendo il soprannaturale la stessa sostanza del Vangelo, la stessa sua natura. Ma imbevuto com'è di umore protestantico, il cattolico neoterico troverà un mezzo di non negare il soprannaturale colle parole, ma di negarlo col fatto. Un tal mezzo è il metodo del prescindere dal soprannaturale nella esposizione dei fatti evangelici.
Ora un tal metodo è falso, anche storicamente parlando.
Infatti altra cosa è prescindere, ed altra cosa è escludere. Il primo è lecito in ogni questione, secondo l'adagio «abstrahentium non est mendacium»: ma si suole far sempre, in una speculazione filosofica, per transennam, per mo' d'ipotesi, per metodo dimostrativo, sempre però colle dovute presupposizioni. Invece altra cosa è l'escludere, o il non tenerne conto per modum facti, la esistenza di una cosa che è il substratum comune a tutte le considerazioni rispettive che sopra di essa si possono fare per abstractionem mentis. Quando per es. una cosa è tutta intellettuale, tutta volitiva, tutta spirituale, come l'anima umana, si può prescindere per abstractionem mentis dall'uno di questi concetti o dall'altro, mentre la mente si fissa in uno di essi; ma non si può, senza commettere una falsità, escludere, neppure per un momento, il fondo a tutti e due comune, che è la natura spirituale dell'anima, questo fondo trovandosi imbibito nel concetto reale di tutti e due. In ciò consiste la differenza tra il prescindere e l'escludere, il primo non commette errore, bensì il secondo. Così nello studiare fisiologicamente il tessuto di una mano viva, si può prescindere dalla vita, ma non la si può escludere in modo alcuno.
E tanto accade nel separare la soprannaturalità da un miracolo riferito storicamente: si commette un errore contro la legge della storia, la quale esige menzione adequata di tutti gli elementi che costituiscono un fatto: ora, essendo verissimo che il soprannaturale s'identifica sostanzialmente col miracolo che è un fatto, perciò appunto il soprannaturale non può essere escluso in nessun modo dalla relazione storica che se ne faccia. Quando io considero per es. la risurrezione di Lazzaro, non posso, nella relazione della parte storica che concerne quell'avvenimento, prescindere dal nesso che congiunge il fatto di un cadavere tornato a vita colla causa produttrice di quel fatto, che è la parola «Lazare, veni foras». Il prescindere da quel nesso, vale a dire il non considerare in quel fatto la causa di esso effettiva, in quanto effettiva, è un togliere o tralasciare nello stesso fatto un elemento storico, poichè nel fatto stesso entra come parte integrante quell'elemento che lo ha prodotto. D'altra parte quell'elemento produttore del fatto, vale a dire la parola umana che comanda ad un morto di farsi vivo, è una causa sproporzionata a quell'effetto; per conseguenza in quella causa, o in quella parola, si deve trovare una forza superiore la quale elevi quella causa, ossia la renda proporzionata all'effetto. Ora quella forza è cosa del tutto soprannaturale, ossia soperchiante la potenza di una semplice parola; dunque non può venir pretermessa nella relazione storica del fatto, senza mancare alla legge della storia. E per tanto non si può, nella relazione storica di un fatto miracoloso, prescindere dal soprannaturale, anche storicamente parlando.
Che poi un tal metodo sia pericoloso, anzi assurdo in un esegeta cattolico, non è difficile a dimostrare. Infatti nella stessa erezione del regnum Dei o della Chiesa, ogni cosa è soprannaturale: esso Fondatore nella sua lunga aurora, nel suo formarsi e nel suo primo sorgere, nel suo essere teantropico, nella sua dottrina, nel dogma, nei sacramenti, nel fine immediato ed ultimo del suo regno. La nostra aggregazione al regno, il vivere in esso, l'uso dei mezzi per crescere nel suo seno e vigoreggiare... costituiscono come una vera atmosfera, nella quale viviamo, ci muoviamo, e stiamo in un modo del tutto soprannaturale. L'economia presente, secondo la quale Iddio creatore e riscattatore del genere umano conduce e governa i destini della umana famiglia, è, per confessione di tutti i teologi, soprannaturale. Essendo così la cosa, può il semplice senso comune permettere o anche solo suggerire ad un esegeta cattolico il prescindere dal soprannaturale nel trattar di una cosa che è tutta intimamente soprannaturale? Sarebbe come il trattare della circonferenza prescindendo dalla rotondità, di un triangolo prescindendo da' suoi tre angoli, del lume prescindendo dalla luce, dell'intelletto umano prescindendo dal senso comune.
Studiar dunque il regnum o il verbum Dei ed insieme prescindere dal soprannaturale non è lecito assolutamente, non lo acconsente la teologia, nè il senso comune, a nessun esegeta cattolico, tanto quanto che sieno conosciuti i termini della questione, e ch'egli voglia conservar fiore del nome cattolico.
Una tale opera invece è lecita ad un protestante, il quale è condotto ad una tanto enorme abdicazione del sentimento cristiano per un discorso di logica molto bene filata. Quindi giustamente scriveva il teologo protestante David Federico Strauss nella ultima edizione della sua Vita di Gesù: «Il cristianesimo intero corre pericolo di naufragare, sotto la pressione incalzante dello spirito moderno, se non e distaccato dal soprannaturale... Deve valere il seguente giudizio: l'investigazione storica e il mezzo più sicuro di rinfrancamento per tutti coloro, che sentono come una oppressione l'idea dell'avere il cristianesimo in conto di rivelazione soprannaturale, di attribuirgli a fondatore l'Uomo-Dio, e di reputar la vita di esso fondatore una serie non interrotta di fatti miracolosi.»
Questo e uno scrivere da sapiente loico [= logico, N.d.R.], da figlio genuino del protestantesimo. Il quale da questo primo passo, dell'essere cioè la investigazione storica il mezzo più efficace per la distruzione del soprannaturale, è condotto a regalarci il primo frutto logico di una tale storica investigazione, ed è, che di storia nel Vangelo non ce n'è punta. «Una cosa, dice egli, si può scorgere indipendentemente (dalle controversie intorno ai sinottici), ed e che la storia evangelica non esiste.» E per un tal passo logico egli fu condotto ad un esito tale con un argomento, il quale schiettamente ha dello sbalorditoio. Eccone le parole: «Per il nostro punto di vista, che non è puramente storico, che non è rivolto verso il passato (addio storia!), ma verso l'avvenire, un tal risultato negativo è precisamente il punto essenziale. E consiste nel riconoscere, che non vi fu nella persona e nell'opera di Gesù nulla di soprannaturale, nulla che legittimasse una fede cieca, nulla che imponesse alla umanità sopra le spalle il pondo di un'autorità immutabile [7]».
Così il teologo di Ludwigsburg assurdissimamente, ma protestanticamente bene: e tal sia di lui, e di qualche cattolico annacquato per ciò che riguarda quell'«autorità immutabile» che si vuol far riuscire gravosa siccome una piaga della Chiesa cattolica, nell'immaginazione di un «Santo» certamente spurio. Pure sulle pedate di lui incamminatisi, i dottori protestantici dell'età nostra ne hanno ritrovato le orme, ed i Sabatier, gli Harnack, e gli altrettali hanno condotto la Riforma protestantica al punto culminante della sua traettoria: al semplice deismo nel dogma, e alla filo-tero-antropia nella morale, come vedremo.
Ma ritorniamo alla costituzione del regnum Dei da Gesù eretto sopra la terra.
Il dogma e la morale evangelica, la ierarchia, i sacramenti abbiamo detto costituire il regnum Dei in terra, e comprenderne adequatamente tutte le parti che ne integrano l'edifizio. Sono le note che compongono la comprensione essenziale della società cristiana, eretta da Gesù in quel corpo sociale formato da lui e distinto da tutte le altre società umane, e denominato da lui medesimo regnum Dei o Chiesa cattolica. Come questa uscì dalle mani di Gesù, e come era in quel primo momento che iniziò la sua origine nel mondo, così ora si mostra dilatata e sparsa in tutto l'universo. Essa può venir paragonata ad un corpo vivente, nel quale il dogma e la morale insieme costituiscono come a dire l'anima ed il cuore, i sacramenti sono il sangue, la ierarchia i centri nervosi e il sistema circolatorio, e i fedeli ne compongono le membra e ne formano tutto il tessuto.
Quanto siamo venuti esponendo non è se non la rappresentazione grafica del regno di Dio o della Chiesa, come si ricava dallo studio obbiettivo dei fatti evangelici; per conseguenza la costituzione della Chiesa, nella comprensione delle sue note fondamentali, non può esser soggetta a dubbio o a polemica. Ora dobbiamo aggredire altra questione, che può essere materia di controversia; quella cioè di una qualche evoluzione, lungo la quale la Chiesa sia passata per giungere dalla sua nascita, alla sua perfezione adulta; e quella di una evoluzione o progresso, di cui ora sia capace o bisognosa sino al tempo della sua trasformazione escatologica. — Lo faremo in un prossimo studio.
[CONTINUA]
Prospetto degli articoli della Civiltà Cattolica sul modernismo: | Fascicolo | Data: | Anno | Volume |
Del progresso evolutivo nella Chiesa Cattolica | 1345 | 26 giugno 1906 | 57° | III |
L'evoluzione della Chiesa | 1348 | 8 agosto 1906 | 57° | III |
Della evoluzione del dogma | 1350 | 4 settembre 1906 | 57° | III |
Decreto Lamentabili, testo, traduzione e commento | 1371 | 24 luglio 1907 | 58° | III |
Enciclica Pascendi testo latino | 1374 | 18 sett. 1907 | 58° | III |
Enciclica Pascendi traduzione italiana | 1375 | 28 sett. 1907 | 58° | IV |
Il modernismo filosofico (I parte) | 1377 | 22 ottobre 1907 | 58° | IV |
Il modernismo filosofico (II parte) | 1379 | 28 novembre 1907 | 58° | IV |
Motu Proprio Prestantia Scripturae Sacrae lat./it | 1379 | 27 novembre 1907 | 58° | IV |
Il modernismo teologico (I parte) | 1381 | 26 dic. 1907 | 59° | I |
Il modernismo teologico (II parte) | 1382 | 8 genn. 1908 | 59° | I |
Il modernismo teologico (III parte) | 1384 | 5 febbr. 1908 | 59° | I |
Il modernismo teologico e il Concilio Vaticano | 1386 | 12 marzo 1908 | 59° | I |
Il modernismo teologico e il suo sistema di conciliazione | 1388 | 10 aprile 1908 | 59° | II |
Il modernismo ascetico | 1390 | 6 maggio 1908 | 59° | II |
Il modernismo apologetico | 1391 | 29 maggio 1908 | 59° | II |
Il modernismo riformista | 1401 | 29 ottobre 1908 | 59° | IV |
NOTE:
[1] La divisione ordinaria dei membri componenti la Chiesa, soleva essere di una parte detta docente, e dell'altra denominata edotta o ammaestrata. Se non che uno scrittore inglese ebbe a dire con una certa lepidezza, che la Chiesa cattolica tiene somiglianza di un treno della via ferrata, il quale sarebbe tirato dal Papa come da locomotiva, ed in cui i vescovi, i preti, ed i laici non la farebbero che da carrozzoni. Allora il Weekly Register nel suo n. de' 19 luglio 1901, credette miglior senno, che invece di edotta la parte della Chiesa che va ammaestrata si dicesse chiesa discente, docens discendo: nomenclatura, che non manca di sale nuovo. Cf. Magnier, Dissertations et discussions éxégetiques (1904). II, 205; Bainvel, De magisterio vivo et traditione (1905), p. 116.[2] Carlo Darwin (1809-1882) pubblicò il famoso libro «On the origin of species» nel 1859, e «The descent of man» nel 1870. Il Quatrefages, dell'Istituto di Francia, nel suo Cours d'anthropologie (ann. 1889) ne confutava le dottrine in modo competente: «... La variation est partout (dans les espèces): et la trasmutation, le passage d'une espèce à une autre, le transformisme, nulle part. Les transformistes les plus consciencieux en font l'aveu.» — Nel giorno 20 gennaio di quest'anno 1906, nella prolusione al corso di zoologia e anatomia comparata dell'università di Padova, il ch. prof. Carazzi dichiarava provando solennemente, che la dimostrazione delle specie derivate da una specie stipite, del Darwin, è dimostrata per le moderne indagini una grande quanto geniale illusione. E delle teorie del neo-darwinismo, come la cernita germinale del Weissmann, la teoria della mutazione del De Vries, la somatometria, o l'applicazione delle misure matematiche alle scienze biologiche, l'ortogenesi dell'Eimer... espose la fallacia o la contraddizione. E dopo aver provato, che nella paleontologia e nella embriologia si trovano contro la teoria trasformistica le più insuperabili difficoltà, concluse egli stesso con queste parole: «Come si originarono le specie? Risulta da numerose prove, che molte si estinsero: ma non possediamo un fatto solo, che dimostri l'apparizione di una specie nuova...» (Davide Carazzi, Teorie e critiche nella moderna biologia. Padova 1906, p. 34).
[3] Strettamente il regnum Dei e il regnum coelorum denominano la Chiesa in tutta la sua estensione nel tempo e nella eternità, comprendendo quindi la militante, e la gloriosa cogli Angeli eletti e le anime beate. Noi qui ne restringiamo il senso alla chiesa militante, e alla gloriosa per modo di chiarezza, essendo pur chiaro che nel linguaggio evangelico le due nozioni, atteso la loro stretta connessione, sono adoperate indifferentemente per significare la stessa cosa.
[4] Nel dare a Gesù la vita di trenta tre anni, non intendo di entrare nella spinosa questione intorno alla data precisa della sua nascita e della sua passione: seguo ne più ne meno l'opinione popolare. Dagli ultimi lavori dei sapienti risulta che l'anno in cui morì, oscillante finora tra gli anni 29-32 dell'era nuova, possa definitivamente fissarsi all'anno 30 della sua vita vissuta in terra. Ma ogni lettore intenderà non essere qui il luogo opportuno per portare un giudizio su tale controversia.
[5] Rigorosamente i teologi per dogma intendono ogni proposizione de fide catholica, la quale cioè sia di fede non solamente in sè stessa ma eziandio relativamente a noi: e pertanto non solo sia divinamente rivelata, ma inoltre a tutti i fedeli proposta, per essere creduta siccome tale, dalla Chiesa sia coll'ordinario ed universale suo magistero, sia con qualche iudizio solenne. (Ved. Conc. Vatic. Sess. III, cap. 3). Quindi anche una verità di evidenza naturale può essere proposta dalla Chiesa a essere creduta per motivo soprannaturale, come per es. l'esistenza di Dio (Conc. Vatic., Sess. III, cap. 2).
[6] Vedi l'esempio dell'eunuco della regina Candace, al quale Filippo dopo la spiegazione del famoso passo d'Isaia conferisce il battesimo (Act.. VIII, 30-37).
[7] Strauss, Nouvelle vie de Jésus (traduz. dal tedesco di A. Nefftzer e C. Dolfus (1865), vol. I. p. X, XII, XIII.