sabato 14 settembre 2013

Dignità umana e coscienza: analisi di un equivoco


CONCILIO
dignitatis_humanae
Dalla Lettera di Bergoglio a Scalfari: “… la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire.”
Occorre premettere che ogni albero produce i frutti suoi propri e che la Dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae sia appunto l’albero dal quale oggi possiamo raccogliere i frutti di cotanto personalismo laicizzante. Questo per evidenziare come Josè Maria Bergoglio non stia facendo altro che portare avanti la rivoluzione promulgata nel 1965. Veniamo agli interrogativi che questa vicenda ha sollevato, per poi tornare a riflettere sull’ albero. La giustezza delle azioni viene creata ogni volta dalla “coscienza” e solo se si conforma ad essa è tale? Cosa è davvero la coscienza retta? La coscienza retta è tale perché si regge da sè o perché è retta proprio dal suo “essere CUM” (co-scienza)?
 Nel commento del Dragone al Catechismo di San Pio X si ribadisce che:
“Per aversi peccato mortale occorre la “piena avvertenza” ossìa che chi pecca avverta pienamente la malizia del suo atto … L’uomo è responsabile dei suoi atti solo se li compie coscientemente e con volontà … il peccato è un atto cattivo contrario alla Legge di Dio, fatto da chi ne conosce la malizia e lo commette egualmente … gli atti cattivi in se stessi, ma compiuti senza sapere che sono tali, o non voluti liberamente, non sono peccato. Sono peccati materiali, cioè in quanto contrari alla Legge di Dio, ma non formali, cioé imputabili a chi li compie…”.
Non essendo ora rilevanti i casi di pazzìa che ovviamente escludono la malizia, occorre chiedersi se l’aver scelto di recedere dal cristianesimo possa diventare addirittura una esimente per i peccati che si commetteranno.
Occorre quindi chiedersi se ad una persona come Eugenio Scalfari, per esperienza, cultura ed intelligenza e per essere vissuto tutta la vita in un Paese che ogni 50 metri presenta chiese e cattedrali, intriso di storie e tradizioni di santi, luogo dove esiste addirittura il papato, possa riferirsi il caso limite dell’ ignoranza invincibile, come se il Megadirettore e Papa del Laicismo fosse uguale a quell’aborigeno di mondi lontanissimi che pur si salva vivendo bene ed amando in modo sovrannaturale Dio remuneratore, col desiderio di battezzarsi.
No, basti dire che quell’aborigeno che rispetta la Legge Naturale scritta nella sua coscienza, appartiene al Corpo Mistico della Chiesa avendo il desiderio del battesimo e la fede in Dio remuneratore, mentre chi è battezzato in acqua e poi RIFIUTA la fede conosciuta o facilmente conoscibile e i sacramenti di cui avrebbe DIRITTO, cade in una condizione di disgrazia e di apostasìa, ove pubblicamente professasse il proprio ateismo.
Qualcuno potrebbe eccepire che un atto malvagio potrebbe essere non considerato più tale da una psiche ormai ateizzata, ma questo toglierebbe il libero arbitrio del soggetto ed andrebbe contro la Rivelazione per cui “Senza la fede è impossibile piacere a Dio” (Eb XI, 6).
La consapevolezza che Dio dà a TUTTI le grazie attuali per potersi salvare è certezza di Fede come insegna Sant’Alfonso Maria de Liguori da Breve dottrina cristiana: ” Iddio vuole salvi tutti: Omnes homines vult salvos fieri. 1 Tim. 2. 4. E vuol dare a tutti l’aiuto necessario per salvarsi; ma non lo concede se non a coloro che lo dimandano, come scrive S. Agostino: Non dat nisi petentibus. In Psalm. 100. Ond’è sentenza comune de’ Teologi e Santi Padri, che la Preghiera agli Adulti è necessaria di necessità di mezzo, viene a dire, che chi non prega, e trascura di dimandare a Dio gli aiuti opportuni per vincere le tentazioni, e conservare la grazia ricevuta, non può salvarsi.”
Appare chiaro come lo stesso Vescovo di Ippona ribadisse in tal senso: “Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te [Sant'Agostino, Sermo CLXIX, 13], a voler significare che occorre CORRISPONDERE alle grazie attuali che Dio ci elargisce.
Ho voluto porre l’accento sull’aspetto della coscienza umana anche nella materia sacramentale. Per quanto concerne la prima condizione del sacramento della Confessione e, cioé, quella dell’Esame di Coscienza il Dragone chiarisce come: “… il peccato è la libera e cosciente trasgressione della Legge di Dio in qualche cosa di comandato o di proibito … per ricordare i peccati da confessare dobbiamo perciò richiamare alla mente la Legge di Dio espressa nel Decalogo, nei Precetti della Chiesa e negli obblighi del proprio stato…”.
Coscienza retta è pertanto CUM-SCIENTIA, ossìa adesione alla Verità, non invece mera “coscienza psichica”. Ora dunque, se occorre esaminare la nostra coscienza appare chiaro come essa non sia uno specchio che si autogiustifica, dovendo avere dei “parametri” di rettitudine che sono evidentemente POSTI non dall’arbitrio cangiante del qualunque soggetto. Pertanto il CONOSCERE che quel dato atto è peccato, come può scusare davanti a Dio se la propria psiche (sana e in condizione di poter e dover conoscere che è peccato) si rifiuta di detestarlo?
Torniamo adesso a considerare ciò che ho accennato all’inizio e cioé l’albero, dal quale i frutti del personalismo laicizzante provengono.
Al termine della Dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa, infatti, si legge: “Tutte e singole le cose stabilite in questo Decreto sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in virtù della potestà Apostolica conferitaci da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e le stabiliamo; e quanto stato così sinodalmente deciso, comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio“.
Appare chiarissimo come, al di là delle ricorrenti polemiche sulla mera pastoralità del CVII, tale documento si presenti come insegnamento vincolante, retto dalla Rivelazione su materia connessa alla Fede. J.M. Bergoglio non fa altro che applicare in concreto i principii di DH .
In verticale antitesi Leone XIII nella Immortale Dei: “Poiché si afferma che il popolo contiene in se stesso a sorgente di ogni diritto e di ogni potere, di conseguenza la comunità non si riterrà vincolata ad alcun dovere verso Dio; non professerà pubblicamente alcuna religione; non vorrà privilegiarne una, ma riconoscerà alle varie confessioni uguali diritti affinché l’ordine pubblico non venga turbato. Coerentemente, si permetterà al singolo di giudicare secondo coscienza su ogni questione religiosa; a ciascuno sarà lecito seguire la religione che preferisce, o anche nessuna, se nessuna gli aggrada. Di qui nascono dunque libertà di coscienza per chiunque, libertà di culto, illimitata libertà di pensiero e di stampa. Posti a fondamento dello Stato questi principi, che tanto favore godono ai giorni nostri, si comprende facilmente in quali e quanto inique condizioni venga costretta la Chiesa….L’intelletto e la volontà che aderiscono all’errore e al male DECADONO dalla loro dignità nativa e si corrompono
 Arai Daniele in “L’eclisse del pensiero cattolico” opportunamente commenta: “L’insegnamento tradizionale parte dal primato della verità in rapporto alla libertà … la DH riconosce il diritto esterno, di ogni uomo, alla libertà religiosa come diritto inalienabile della persona … Se la scelta della religione e della morale fosse un diritto, chiunque dica che “Extra Ecclesia nulla Salus” dovrebbe essere messo al bando e Dio stesso che punisce l’ateo e il peccatore, sarebbe dunque un tiranno dal quale liberarsi.” Pertanto lo si trasforma da “tiranno preconciliare” in “buonista” e “permissivo”, in modo da salvare la falsa libertà religiosa o la falsa coscienza degli atei militanti.
   
La Dichiarazione DH può essere considerata a buon titolo “figlia di Maritain”, con la conseguenza che lo stesso Bergoglio si ritrova ad essere a sua volta “Nipote di Maritain”. Don Curzio Nitoglia nei suoi studi filosofici ricorda come Julio Meinvielle accusò il filosofo Maritain di aver dato un valore assoluto alla persona umana, scindendola in “uomo individuo” (sottomesso allo Stato) ed “uomo persona” (superiore allo Stato), ma quello dello Stato è fenomeno politico, di unione di più persone in vista di un fine (agire), non metafisico e pertanto i rapporti tra cittadino e Stato si risolvono nella filosofìa morale che è scienza pratica e non dalla metafisica. Maritain mette in opposizione individuo e persona e quindi Stato e persona laddove il tomismo armonizza i rapporti nella subordinazione dell’inferiore al superiore, della parte al tutto.
 
Gli equivoci filosofici del personalismo laicizzante risiedono proprio dall’aver abbandonato la concezione della DIGNITA’ UMANA propria del tomismo che differenzia la DIGNITA’ MORALE dalla DIGNITA’ ONTOLOGICA:
 
Per San Tommaso d’Aquino (II II, 64,2) l’uomo giunge alla sua “dignità morale prossima o totale” SOLO se agisce in conformità al suo fine. La dignità piena è data dall’agire umano e cioè di conoscere il vero per amare e praticare il bene. Pertanto gli atti cattivi privano l’uomo della sua dignità totale o piena, rendendolo peccatore e quindi facendolo decadere dalla dignità umana, per cui “un uomo cattivo è peggiore di una bestia”.
La “dignità ontologica o radicale” viene invece dal fatto di sussistere in una natura razionale e qualsiasi uomo la possiede: tutti gli uomini in questo sono uguali e tale dignità è inscindibile da essi né può essere perduta, in quanto Dio infonde ad ogni uomo l’anima razionale.
 La dignità appartiene alla natura in primo luogo e poi alla singola persona e pertanto bisognerebbe parlare non della “dignità della persona umana” ma di quella della natura umana in cui sussiste la persona. La persona non ha un dignità assoluta essendo la stessa relativa alla natura umana e non una qualità del soggetto.
 Allora il diritto di agire si fonda non sulla dignità radicale della natura umana, ma dalla dignità totale con la conseguenza che non esiste alcun “diritto” di professare l’errore fondato sulla “dignità della persona” che in realtà ha smarrito la sua dignità totale.
La Rivoluzione insegna che: G.S. 22 “Cristo svela l’uomo all’uomo”. Gesù più che  redimere, avrebbe semplicemente ricordato agli uomini quanto essi siano degni.
Lettera alle famiglie di GP2: “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un certo modo ad ogni uomo….la persona non può mai essere un mezzo ma solo IL FINE di ogni atto.” Le conseguenze sono tutte riscontrabili negli equivoci sulla coscienza retta confusa con la mera coscienza psichica autoredentrice.
 
Giovanni Paolo II in Amore e responsabilità: “ Nessuno ha diritto di servirsi della persona, neppure Dio suo creatore … Egli le ha conferito i poteri di assegnarsi da sola i fini dell’esistenza”.
Le conseguenze o i frutti sono leggibili nella Lettera di Bergoglio a Scalfari e negli equivoci di un personalismo laicizzante, foriero di confusione dottrinale.
 
Anche se spesso le conclusioni possono ancora ritenersi conformi alla fede e alla morale, come avviene nella bioetica, è il “procedimento” logico ad essere mutato. La contraccezione ad esempio viene certo condannata, in quanto escluderebbe il dono sincero e totale di sè tra gli sposi, ma non più come pratica contraria alla natura e al fine primario del matrimonio. Si passa così da un punto fermo ed oggettivo e cioè la natura, ad uno psicologico e soggettivo, traballante: la mancanza del dono di sè potrebbe verificarsi anche in un atto aperto alla procreazione, laddove il trasporto emotivo e totale vi potrebbe essere anche al di fuori del matrimonio.
Ancora G.S. 24: “L’uomo, il quale sulla terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa”.
La Rivelazione insegna invece che: “Il Signore ha operato tutte le cose per se stesso” (Proverbi 16,4) e Sant’Ignazio nei suoi Esercizi Spirituali, come poi il Catechismo di San Pio X insegnano, che l’uomo è creato per conoscere, amare, lodare e servire Dio e mediante questo salvare la sua anima.
Del resto fummo avvisati … “Cose spaventose e strane sono successe in terra: i profeti profetavano menzogne e i sacerdoti li applaudivano con le loro mani; e il mio popolo ha amato queste cose. Che castigo non seguirà tutto questo?” (Geremia 5, 30-31).             
                          
Pietro Ferrari (http://radiospada.org/)