La Civiltà Cattolica, anno 57°, vol. III (fasc. 1348, 8 agosto 1906, pagg. 411-422), Roma 1906.
L'EVOLUZIONE DELLA CHIESA
V.
Intorno allo svolgimento, o meglio allo spargimento della Chiesa in tutta la terra, come intorno alla sua prima formazione ed alle trasformazioni progressive che possa incontrare nella carriera del tempo e dello spazio, non manca una certa varietà di opinioni. Per ragione di brevità distribuiremo gli opinatori in due classi: nella prima militano quelli che reputano avere la Chiesa già subìto qualche trasformazione, ed essere non solo suscettibile di qualche tramutamento perfettivo per ragione di adattamento o d'influenza di mezzo, ma richiederlo eziandio: a questi diamo il nome generico di progressisti. La seconda classe è di coloro che negano alla Chiesa ogni mutamento qualsiasi nella qualità delle parti che ne integrano la costituzione, che ebbe e che ha: li chiameremo col nome di conservatori.Primo quesito, che merita una qualche considerazione, è di sapere se la Chiesa, o il regnum Dei, che Gesù fondò nel tempo della sua carriera mortale, ed in quello assai breve che scorse tra la sua risurrezione ed ascensione al cielo, ebbe una formazione embrionale, anzi se ebbe una infanzia: nel caso affermativo, la Chiesa avrebbe accolto già una prima trasformazione, che sarebbe quella della sua genesi.
A questo scopo sogliono essere arrecati due paragoni: dei quali uno è evangelico, quello cioè del grano di senapa che diventa albero grande: e l'altro, arrecato sovente dagli studiosi del progresso, è quello del bambino, anzi dell'embrione animale, che svolgendosi diventa uomo od animale adulto.
Disse Gesù in sentenza, secondo i sinottici: il regno di Dio è simile al granello di senapa, il quale è il più minuto di tutti i semi, eppure gittato in terra germina in albero così grande, che gli uccelli vengono a posare sopra i suoi rami [1].
È questa una similitudine, cioè una allegoria che Gesù fa tra la sua Chiesa ed il seme di un arbusto; quindi, secondo il proprio di tutte le similitudini, basta che il figurato quadri colla figura, secondo una qualche sua parte, perchè l'autore ottenga il suo scopo, senza che si abbia tra i due termini una rispondenza adequata. Ora schiettamente che cosa intendeva Gesù collo stabilire quel paragone? Intendeva di dimostrare la tenuità del suo regno ne' suoi primordii, il quale col progresso del tempo sarebbe divenuto vastissimo ed avrebbe accolto nel suo giro e sotto la sua, ombra infiniti uomini. Con ciò il paragone è esaurito, e non richiede altro avveramento.
Ma nel passaggio del piccolo seme in albero grande accade il caso di una vera evoluzione morfica, come abbiamo denominato lo svolgimento del seme per impulso di quella virtù seminale che in esso è racchiusa dalla mano del Creatore. Deve dunque il paragone del seme col regno di Dio essere spinto ad avverarsi anche per questo lato? Ossia oltre l'intendimento del fatto, che è il divenir grande una cosa piccola in entrambi i termini, aveva Gesù nella mente anche il modo di quell'ingrandimento?
Per ciò che riguarda l'ingrandimento del regno di Dio in terra, quell'applicazione ci sembra assurda. Primo, perchè il seme è gittato in terra, si corrompe, e nello svolgersi si esinanisce [= si annichila, si annienta. N.d.R.]: i quali fenomeni evidentemente non quadrano in modo alcuno col crescere della Chiesa, nè di nessun corpo sociale. In secondo luogo quel paragone diverrebbe ibrido, perchè stabilito tra il modo dello svolgersi di un corpo fisico, e quello di un corpo morale. Infatti il seme nel diventar pianta adulta cambia natura, là dove una società si accresce senza perdere nessuna delle parti che la costituiscono, e diventa grande rimanendo nelle sue note fondamentali quella dessa che era essendo piccola [2].
Con ciò è pure esclusa la similitudine del nascente regnum Dei con quella massa embrionale piccolissima che si dice feto: la cui prima formazione, il congiungimento cioè dell'ovolo collo spermatozoo, e il successivo svolgersi coll'assimilarsi gli elementi del sangue materno, allontanano vieppiù ogni riscontro ragionevole tra i modi diversi dello svolgimento dei due termini collocati in paragone. Tra lo svolgersi di un embrione animale in corpo organizzato e maturo, e l'ingrandirsi di un corpo sociale non si può scorgere altro punto di contatto all'infuori di un concetto comune, dell'essere cioè entrambi divenuti grandi da piccoli che erano. Ogni altro riscontro più intimo è addirittura una goffaggine.
Come poi possa dirsi che la Chiesa abbia avuto una infanzia, vedremo quindi a poco.
Per ora basti il notare, che il paragone di un bambino colla crescente Chiesa proverebbe troppo. Siccome dal bambino si svolge l'uomo adulto, così dall'uomo adulto si fa il vecchio disseccato e cadente, e poi il cadavere. La qual parte del paragone evidentemente non credo che sia nella mente di alcun progressista il volerlo applicare alla Chiesa, la quale non può diventar nè morta nè cadavere. A ogni modo se vale il primo riscontro, altrettanto ovvio è il secondo.
Intanto mi piace di suggellare questo punto con una osservazione di un critico moderno, che non manca di sale: «Grande impedimento si avrebbe in quel simile factum est regnum coelorum, che ricorre sei altre volte in questo capo (Matth., XIII), se si volesse vedere la Chiesa, trionfante o militante che sia, nell'uomo che semina il grano, nel granello di senapa, nel lievito, e nelle altre persone o cose, che sono i soggetti principali delle rispettive parabole. Si riuscirebbe a stiracchiature puerili, come quelle in cui cade chi di tutte le circostanze anche menome pretendesse l'applicazione, non badando che, come notano gl'interpreti più assennati, il più di quelle vi stanno per compimento ed ornato della parabola. Pertanto il simile factum est... importa soltanto: Egli avviene pel regno dei cieli, come se ecc. Ciò fu espresso da Marco (IV, 24) in soggetto identico, quando scrisse così: Sic est regnum coelorum, quemadmodum si homo, etc.» [3]. E così dicasi delle altre similitudini col regno di Dio, della sagena [= rete. N.d.R.], dei pesci, della margarita [= perla. N.d.R.], del tesoro, delle vergini stolte e prudenti...
VI.
Il tempo dell'infanzia che si vorrebbe dare alla Chiesa, è indubitatamente quello del suo primo esser nata, vale a dire quel primo tempo nel quale ebbe sortito tutto l'organismo integrante la sua persona morale, in quella guisa che l'infante o il bambino, quando è tale, possiede già tutto l'organismo della persona fisica che si dice homo sapiens. Vedremo poi se e come da bambina o da infante la Chiesa siasi sviluppata in adulta.Nei tre anni della sua vita didattica o ammaestrativa, Gesù diede al suo regno tutto il corredo dottrinale, onde lo volle fornito per la sua costituzione sociale ed etica, per la sua conservazione, e per il conseguimento del fine che gli ebbe assegnato. Il qual corredo è formato dal dogma e dalla morale, e si trova registrato nei quattro evangeli. Ma altre ed infinite cose egli affidò ai suoi apostoli coll'organo della viva voce, le quali non furono registrate nei vangeli ma commesse e consegnate al collegio apostolico per essere applicate a suo tempo, nell'esplicar che farebbe il suo apostolico ministero. Tutto quel corredo, orale e scritto, constituisce il depositum fidei, lasciato da Gesù alla sua Chiesa. Insieme egli ebbe in quel tempo comunicato agli apostoli gli strumenti necessari alla formazione e conservazione della vita nova, che dovevasi vivere nel novo regno; furono quelli i sacramenti da lui istituiti (e non potevano essere istituiti se non da lui), della maggior parte dei quali si fa menzione sufficiente nel racconto evangelico, come del battesimo, dell'eucaristia, della penitenza, del matrimonio, dell'ordine. Ed in oltre aveva già eretto egli stesso le parti principali, ossia le colonne dell'edifizio dando la direzione della sua Chiesa e la primazia ad uno degli apostoli: con ciò ebbe stabilito la gerarchia, o la disposizione dei ministri, la distribuzione e la varietà degli uffizi da esercitarsi rispettivamente dai membri del novo regno.
Nella sua ossatura, nel suo organismo, nella sua integrità costitutiva, il regnum Dei o la Chiesa, era un'opera già compiuta, quando Gesù lasciò la terra. E notisi bene, essere opinione di tutti gli antichi, che nei quaranta giorni che Gesù dimorò in terra dopo la sua ascensione, egli adoperasse tutto quel tempo nel dare l'ultima mano alla composizione e alla finitezza del suo edifizio, e nell'istruire gli apostoli eziandio delle cose di ragguaglio, le quali dovessero giovare al funzionamento pratico dell'opera oramai compiutamente architettata e stabilita [4]. Le quali ultime disposizioni tutte, osserva acconciamente un valoroso cultore di studi biblici, «trasmesse dagli apostoli ai loro successori, e da questi ai loro, e così appresso insino a noi, costituiscono quel tesoro di Tradizione, che è fonte di fede divina altrettanto autorevole che la Scrittura. Da ciò si vede quanto fosse grave l'errore, onde dagli eterodossi della così detta Riforma si pretese, che tutta la fede si dovesse trovare nella Bibbia [5]» .
La nave dunque è oramai allestita, abbiamo presenti i nocchieri, apparecchiati gli attrezzi: che cosa più manca per essere varata, e per dar principio alla sua eterna navigazione nel fortunoso mare della vita?
In fatto di allestimento e di ogni maniera apparecchi interni ed esterni non le mancava più nulla, lo abbiamo veduto. Pur tuttavia mancavale una cosa, senza la quale tutto il lavorio passato e tutte le disposizioni presenti sarebbero andati a finire in nulla. Gli apostoli ancora non conoscevano lo spirito intimo del regno di Dio, nè quello della loro missione. Cosa addirittura sbalorditoia [= sbalorditiva. N.d.R.]: dopo aver visto, sentito, e toccato con mano tante maraviglie, dopo gli ultimi ammaestramenti intorno alla natura del regno suo, dati loro da Gesù risorto e glorioso, ancora immaginavano un regno terreno, nel quale Israello fosse richiamato alla gloria davidica, e restituito ad autonomia nazionale collo spezzamento del giogo romano. Infatti avendo Gesù adunato in grandissimo numero tutti i suoi, per dar loro l'ultimo commiato, e detto loro di aspettare il battesimo dello Spirito Santo, essi lo interrogarono seriamente «si in tempore hoc restitues regnum Israel». [«Signore, renderai tu adesso il regno ad Israele?» Atti I, 6. N.d.R.]
In quell'ultima parlata Gesù manifestò loro chiaramente la natura del suo regno e del loro ministero, e loro annunziò come una soprannatura, onde doveva la loro anima venir come rivestita e ritemperata per virtù dello Spirito suo, il quale discenderebbe sopra di loro, e li abiliterebbe così alla produzione di un effetto, a cui erano impari tutte le forze del mondo creato. «Voi riceverete la potenza dello Spirito Santo, il quale verrà sopra di voi, e farete testimonianza di me... fino agli estremi della terra, usque ad ultimum terrae». Si raccogliessero intanto nella ritiratezza e nella preghiera, aspettando quella venuta.
Il giorno memorando se altro mai, nel quale Gesù volle promulgare nel mondo il regno di Dio, fu l'ultimo dei giorni festosi ne' quali il popolo commemorava la promulgazione della legge del timore fatta sul Sinai; e siccome dall'uscita dall'Egitto sino alla promulgazione di detta legge passarono cinquanta giorni, il cinquantesimo (πεντεκοστὴ ἥμερα) chiudeva le feste. Lo Spirito di Dio discese in quel giorno in modo repentino e gagliardo a guisa di fragoroso vento, ed investì penetrandole di sè le anime dei destinati a spargere il regno di Dio sino agli ultimi confini del mondo.
A tanta novità di spettacolo essendo accorsa grande moltitudine di gente, che era convenuta in Gerusalemme da varie parti del mondo in occasione della festa, Pietro varò la nave: promulgò il regnum Dei con quel discorso maraviglioso, nella bocca di un pescatore trepido e rozzo, col quale per la prima volta annunziò al mondo Cristo risorto, e in nome di lui appose nel nuovo regno circa tre mila anime.
VII.
Ed ora ci si para innanzi il regnum Dei, che quinci in poi denomineremo la Chiesa, già costituito nella sua comprensione od organismo sociale, ed incorporato già in un numero distinto di associati, ossia già vigente nella sua estensione. Ora è dunque il tempo di studiare il suo progresso e la sua evoluzione nell'avvenire.I fasti delle sue conquiste, ossia del suo spargimento, ne' primi trent'anni della sua vita sociale, ci sono narrati da S. Luca negli Atti apostolici, e da S. Paolo nelle sue lettere: sono i due più vetusti, più autentici, più venerandi monumenti della storia della Chiesa primitiva.
Dagli Atti abbiamo: l'accrescimento de' primi proseliti nel numero di cinque mila uomini, fatto pochi giorni dopo la promulgazione del regno, il qual numero col contare le famiglie di quegli uomini va portato ad un quindicimila (capo I). Vige nella Chiesa mirabile concordia, comunanza di beni, operazione di prodigi: comincia la persecuzione per parte dell'ebraismo: Pietro e Giovanni sono carcerati (II-V). Succede il primo gran fatto d'ordine interno: la istituzione dei diaconi (IV). La Chiesa allarga la sua dominazione per tutta la Samaria, sino a Cesarea (VII-VIII). Conversione di Paolo (IX). Primizie del gentilesimo, che si converte nella persona di Cornelio, centurione romano (X). Il regno di Dio si estende in Antiochia, dove i fedeli sono per la prima volta denominati cristiani (XI-XII), deliberazione dell'opera apostolica verso il gentilesimo per cura di Paolo (XIII). Predicazione paolina nell'Asia minore (XIV). Primo grande atto costituzionale della Chiesa, concilio di Gerusalemme intorno all'uso del giudaismo come porta di introduzione al cristianesimo, anno 51° di Cristo, 9° di Claudio, 14° della conversione di Paolo (XV). Paolo in Macedonia, in Tessalonica, in Atene (XVI-XVII). In Corinto, in Efeso, nell'Achaia, per ogni dove la predicazione di Paolo è attraversata dall'opposizione giudaica (XVIII). In Efeso pericoloso tumulto per Diana efesina (XIX). Paolo in Efeso, in Mitilene, in Mileto, pensiero di andare a Roma (XX). Scompiglio in Gerusalemme per opere dei giudei contro Paolo (XXI). Il quale è flagellato (XXII). È trasferito in catene a Cesarea, dinanzi a Felice preside della Giudea (XXIII), geme nella carcere per lo spazio di due anni (XXIV-XXV), appella a Cesare (XXVI), parte per l'Italia, viaggio fortunoso nel mare (XXVII): Paolo arriva in Roma, dove dal suo domicilio coatto predica e insegna la dottrina di Cristo per due anni (XXVIII).
Tali i fasti, che ci presentano il primo svolgimento e la maravigliosamente progressiva propagazione della Chiesa, nella prima trentina d'anni, che trascorsero dal suo iniziamento felice nel giorno di Pentecoste. Credo che verso l'anno 66-67 d. X., nel quale, secondo la testimonianza di tutta si può dire l'antichità, gli apostoli Pietro e Paolo cementarono col loro sangue il novello edifizio, il Vangelo era sparso nella massima parte del mondo romano. Oltre Luca negli Atti, sappiamo dall'ultimo versetto di Marco, che essi (gli Apostoli) predicarono per ogni dove: Illi autem profecti praedicaverunt ubique (XVI, 20): le quali parole certissimamente furono scritte prima dell'anno 66-67. Collo scomparire dalla terra dell'ultimo Apostolo, che accadde verso il 101-102 dell'êra nuova, la moltiplicazione delle chiese fu maggiore certamente: allora si chiuse il ciclo apostolico.
In quel tempo le chiese principali di tutto il mondo, più famose ed illustri, erano fondate, quali le chiese di Gerusalemme, di Antiochia, di Roma, di Alessandria, di Efeso, di Cesarea, di Corinto. Nelle quali tutte si viveva la vita cristiana, praticandola in tutta l'ampiezza della sua significazione: e siccome questa vita cristiana, in tutta la sua ampiezza, sarà pur quella che si praticherà nelle chiese che nel succedersi dei primi secoli e nell'avvenire dei seguenti saranno fondate in tutte le parti del mondo, è inutile il farne qui la descrizione; quello che troveremo vero nelle prime chiese e ne' primi tempi, lo troveremo pure avverato nelle chiese moltiplicate nel corso dei tempi seguenti.
Ecco dunque la Chiesa da picciol seme divenuta albero gigantesco, sotto la cui ombra trovano e troveranno riposo e riparo infiniti viventi. Or che progresso fu questo? ed in un tale progresso che evoluzione si deve attribuire alla Chiesa? Le si deve attribuire un grande progresso di accrescimento, e nessuna evoluzione.
Vale a dire, la Chiesa crebbe, si svolse, progredì in estensione, rimanendo la sua comprensione immobile ed immutata. L'accrescimento in estensione fu ottenuto allora, e si può tuttavia ottenere, col moltiplicarsi di soggetti individui i quali della Chiesa accettarono le leggi, la dottrina, la morale, i mezzi della vita; conforme sempre accade nell'accrescimento di qualsiasi corpo associato, il quale è detto moltiplicarsi colla moltiplicazione de' suoi membri. Ma la costituzione della Chiesa, che si ragguaglia nella comprensione degli elementi sostanziali che la compongono e la distinguono siccome società, non si accrebbe altrimenti, non si moltiplicò, non si svolse; ma rimase colla e nella moltiplicazione delle parti soggettive, immobile ed immutata come nel primo giorno della sua promulgazione. Così fu, nè poteva essere altrimenti, tenendo i corpi sociali un modo di propagarsi, simile a quello onde un esemplare di arte riproducendosi in copie infinite, col moltiplicarsi di queste, rimane sempre immoltiplicato, invariato, uno, immutato, ed immutabile.
Ma illustriamo storicamente questa distinzione tra le parti soggettive e la comprensione di un ente morale, che di tutto questo argomento forma la chiave, e la cui buona intelligenza toglie ogni dubbio e dissipa le oscurità.
Secondo la verità sociale e storica, la Chiesa fondata da Gesù Cristo e consegnata in iscritto ed a voce a' suoi apostoli come il suo Testamento, si trovò stabilita ed eretta di fatto, in tutte le sue parti, adequatamente, nel giorno di Pentecoste. Allora la Chiesa ebbe una dottrina, dogma e morale; una ierarchia, un capo che era Pietro, più ministri che erano gli apostoli, un soggetto che furono le tre mila anime acquistate in quel giorno, ebbe i sacramenti, di due dei quali si fa menzione esplicita, del battesimo cioè e della frazione del pane.
Trasportando il pensiero da quel giorno al giorno 1° gennaio dell'anno 1906, io chieggo a tutta la schiera dei riformisti: che cosa ha di più, nella sua costituzione, ai giorni nostri la Chiesa di Gesù Cristo? che cosa ha di meno, di quello che ebbe allora? Se vogliono appartenere alla cerchia di quella Chiesa, è necessità strettissima per loro il confessare, che in essa non trovasi nè un elemento di più nè un elemento di meno, che non vi si trovasse nel giorno memorabile di Pentecoste dell'anno di grazia 33° dell'era cristiana.
Non c'erano i diaconi, si risponderà per la prima cosa a questa nostra categorica affermazione.
Si noti in anticipato, che noi qui discorriamo con cattolici, ai quali per conseguente non possiamo, nè manco in via d'ipotesi, attribuire il pensiero od il fatto della negazione di qualsiasi articolo di fede. Ciò posto chiediamo, se, prima che dagli apostoli fossero costituiti a dispensatori del pane materiale e del pane eucaristico i primi sette diaconi, esistesse nella costituzione della Chiesa il sacramento dell'Ordine. Se rispondono di sì, sono costretti a confessare che dunque esisteva anche il diaconato, sebbene non esistessero tuttavia i diaconi. Se rispondono di no, vorremmo sapere allora da chi fu stabilito quel sacramento: non da Gesù, perchè non era più in terra; dunque dagli apostoli? ma ciò è un assurdo!
Tutti i sacramenti avendo Gesù per autore, e solo lui per autore, segue necessariamente che prima di salire al cielo Gesù medesimo ebbe fondato il sacramento dell'Ordine, dato agli apostoli la potestà ministeriale di conferire i vari gradi di quel sacramento nel tempo, nel modo, ed a quelle persone, ch'essi giudicassero conveniente, opportuno, e necessario. E così di fatto gli apostoli operarono. Cresciuto a dismisura il numero dei credenti, e sollevatosi per parte degli ebrei grecizzanti mormorio dell'essere le loro vedove non trattate a misura di uguaglianza colle vedove ebree nelle comuni sovvenzioni, gli apostoli giudicarono di costituire alcuni uomini idonei, i quali li aiutassero in una qualche parte del ministero apostolico. E così, scelti dalla comunità sette uomini segnalati per virtù, essi imposuerunt eis manus [imposero loro le mani, N.d.R.]: vale a dire gli apostoli trasmisero a quei sette quella dignità sacramentale, che Gesù aveva loro consegnata in antecesso. In ciò fare gli apostoli non aggiunsero alla costituzione della Chiesa nulla di novo, nè la Chiesa fu accresciuta di una dignità novella, ma vide spartita in un numero maggiore d'individui quella stessa dignità che si trovava ristretta in uomini meno numerosi. In altri termini la potestà dell'Ordine, rimanendo invariata nella sua comprensione, venne moltiplicata extensive, vale a dire acquistò estensione maggiore nelle parti soggettive che quella potestà incorporarono. Così a mo' d'esempio non si aggiunse nulla, nè nulla si sottrasse alla Trasfigurazione di Raffaello, quando per la prima volta se ne riprodusse la copia intera in altre tele, e quando di quel quadro immortale gli artisti ricopiarono e trasfusero nel metallo, o nel marmo, o nelle lastre incise non più che la persona di Gesù illuminato di gloria, o quella di Pietro sbalordito, o del giovane smaniante.
Nè in questa propagazione o trasfusione di potestà si può scorgere realità alcuna di evoluzionismo, chi voglia giudicare coll'intelletto sano e non giocare di fantasia. L'evoluzione è propria di corpi fisici, si esercita per impulso di forze fisicamente meccaniche, o fisiologicamente vive, e compie la sua azione in un medesimo soggetto, il quale è modificato, è accresciuto, è esinanito [= annichilato. N.d.R.] e trasformato. Alla Chiesa, società in tutti i suoi punti perfettissima, non si può assegnare nulla, nel suo prodigioso estendersi sulle moltitudini umane a traverso la successione delle generazioni e del tempo, nulla che dimostri in lei uno svolgimento di evoluzione propriamente detta. Ogni nota che appartiene alla sua comprensione è di natura sua immutabile. A toglierne solamente un apice, sarebbe mestieri che Dio fondi una nova economia, diversa affatto da quella onde è governata la presente per leggi determinate e chiare.
Ed eccoci alla questione, a' nostri giorni tanto strapazzata, vale a dire della evoluzione del dogma.
[CONTINUA]
NOTE:
[1] Matt. (XIII, 31) «simile est regnum coelorum...»; Marc. (IX, 30) «cui assimilabimus regnum Dei? sicut granum sinapis:...»; Luca (XIII, 20) «cui simile aestimabo regnum Dei?...»[2] Forse queste similitudini hanno condotto vari SS. Padri ad applicare a Gesù medesimo la parabola del granello di senapa; tali S. Ilario (in Matth., cap. XIII), S. Gregorio M. (Moral., libr. 19, cap. 2), S. Agostino, (De Sanctis, Serm. 33). E siccome Gesù è la causa esemplare della trasformazione escatologica del regnum Dei nel regno della gloria, così la similitudine potrebbe applicarsi a questa acquistando certamente estensione maggiore.
[3] Curci, Il nuovo Testamento volgarizzato ed esposto, I, 84.
[4] «Per dies quadraginta apparens eis, et loquens de regno Dei» Act. I. 3.).
[5] Curci, Nuov. Test., II, 170.