lunedì 23 settembre 2013
Alla caccia dei "briganti".
Dall'aprile 1863 il generale Pallavicini dà la caccia ai briganti del Cerretese e della Valle Telesina senza risultati concreti; legnaioli, carbonai e contadini fanno a gara per segnalare i movimenti della truppa. ...Dei briganti nessuna traccia; hanno l'abilità di volatilizzarsi per la via dei monti. Si decide perciò in data 18 novembre 1863, lui il generale che dovrebbe essere un fuoriclasse nella lettura interpretativa delle carte topografiche, a chiedere al sottoprefetto di Cerreto Sannita, una descrizione geografica tale da illustrare il passaggio attraverso il Matese, accompagnata da un piano
concentrico dei militari stanziati nei paesi della zona (1). L'intendente con estrema chiarezza, gli fa capire una volta per tutte, come avvenga la ritirata strategica dei briganti. Dunque la montagna del Taburno è alla sinistra del fiume Calore, quelle della Parata, Chiaie ed Erbano sono alla destra del fiume e si ricongiungono al Matese. Cosa fanno i malandrini? Quando si trovano sul Taburno, passano il Calore ed arrivano sulla Parata - Chiaie - Erbano; se trovano lì le pattuglie, invertono la rotta ripassando il fiume e tornando sul Taburno. Quale strada fanno? E' semplice seguono la serie delle collinette che iniziano da Faicchio fino alla destra del Calore attraverso il bosco Caldaie presso Telese, passando sopra S. Salvatore in località detta Epitaffio.
Insomma, tutta la zona da Taburno a Matese, si può dividere in due quadrilateri. L'uno: Morcone - Pontelandolfo - Cerreto - Cusano con le montagne della Parata - Chiaie che dal settentrione e per mezzo delle montagne di Pietraroja comunica con la giogaia del Matese. L'altro: tramite il monte Erbano, Cerreto - Cusano - Gioia Sannitica - Faicchio, comunica pure con il Matese. Per accerchiare i briganti, bisogna chiudere i varchi, presidiando i boschi dell'Acerone e la strada da Cerreto a Civitella per impedire il passaggio al monte Erbano; a ciò bastano i distaccamenti di Cusano e Pietraroja. Non è difficile che i birbanti passino in mezzo alla truppa senza essere avvistati, ma al varco del Calore, non dovrebbero sfuggire. Il generale non faccia sorvegliare tanto le scafe, il ponte Torello presso Amorosi, gli altri due ponti in ferro, quanto i quattro punti in cui il fiume è guadabile
anche quando è in piena, per raggiungere il Taburno, o viceversa il convento di Santa Maria della Strada in tenimento di S. Lorenzo Maggiore, allorchè i briganti si accingono dal Taburno a ritornare sul Matese. Il generale Pallavicini, finalmente edotto, in data 23 novembre 1863 tempesta il sottoprefetto che a scanso di equivoci, per scagionare i sindaci da ogni eventuale responsabilità, condensa loro in una riservata confidenziale, delle sagge disposizioni elencate in 14 punti:
1) I coloni dovranno sgombrare tutte le masserie delle quali fu già proposta la chiusura e tutte quelle altre che nei territori montuosi sono situate un miglio al di là dei centri abitati.
2) Al di là di un miglio dai centri abitati non andranno i pastori a
pascolare, nè i carbonai, nè i legnaioli.
3) Di concerto col Comandante Militare locale ogni giorno le Guardie Nazionali occuperanno permanentemente quei luoghi che l'esperienza o sicura relazione avranno additato come facile e frequente ricovero o punto di passaggio dei briganti.
4) Più volte al giorno saranno visitate le masserie, nessuna eccettuata.
5) Nei luoghi ove non esista truppa e le Guardie Nazionali siano costrette a far servizio da sole, i rispettivi picchetti e distaccamenti dovranno necessariamente essere comandati da ufficiali e sottufficiali vestiti in uniforme per evitare scambi o altri deplorevoli avvenimenti.
6) Nei luoghi dove esiste truppa, ogni movimento delle Guardie Nazionali dovrà essere concertato col Comandante Militare.
7) Ogni persona sospetta, ove mai i sospetti siano gravi e fondati, potrà essere arrestata e il Sindaco dovrà riferirne immediatamente alla
sottoprefettura.
I viandanti saranno richiesti delle generalità e perquisiti per verificare
se portano armi o carte compromettenti
9) Perquisire le case all'interno del paese, se si dia il sospetto che vi si
trovi qualche brigante.
10) Siano impiegati esploratori per riferire i movimenti dei briganti.
11) Ogni sera i Comandanti della Guardia Nazionale a conclusione di qualunque servizio operato nella giornata, ne dovranno partecipare il Sindaco che farà immediato rapporto alla sottoprefettura.
12) Chiunque procurerà 1'arresto di un brigante riceverà dalle 30 - 40 - 60 piastre (pagabili dal Generale Pallavicini)
13) Nell'Ufficio di ogni Comune dovrà essere sempre pronto un conveniente numero di corrieri a disposizione dei Comandanti militari.
14) Il Generale Pallavicini si impegna ad ottenere una ragguardevole
diminuzione della pena per i briganti che spontaneamente si presentassero. Saranno trattati con la maggiore possibile umanità.
Il piano militare elaborato da una Autorità Civile, riesce anche in considerazione del fatto che a Cusano dal 13 settembre sono in carcere 33 conniventi del brigantaggio. Su questi, 15 carbonai, un falegname portavoce dei briganti (ne esagera le gesta quando confabula con individui reazionari), un calzolaio con un figlio profugo arruolato sotto le armi pontificie e spargitore di notizie false, un pastore, 13 contadini, 2 donne. Sul totale dei 33, 12 sono spie; tutti carbonai meno un pastore. Il tenente colonnello Fontana il 4 dicembre '63 spedisce un messaggio trionfante: le comitive sui monti di Vitulano, Solopaca e Taburno si sono sciolte; il destinatario è il Generale Pallavicini che si trova a Baselice. In pari data, da S. Lupo il Colonnello Fontana informa il suo superiore gerarchico di aver preso i seguenti provvedimenti:
1) Le perlustrazioni in grande nei boschi si faranno ogni 5 o 6 giorni. 2) Ogni due giorni (il terzo di riposo) si faranno pattuglie di Pubblica
Sicurezza. 3) La pattuglia sarà costituita da 5 uomini e un graduato. 4) Ogni pattuglia sarà affiancata da 2 Guardie Nazionali pratiche del paese e conoscitrici di tutti gli individui che popolano la zona. Essi verranno richiesti al Sindaco. 5) Per non esporre a vendetta la Guardia Nazionale il Comandante potrà autorizzarla a vestire l'abito militare.
6) Ogni capo pattuglia dovrà annotare i componenti delle singole famiglie in ogni masseria per sesso o età approssimativa e fare in seguito verifica. Verificare le mani: i briganti le hanno bianche e non callose come i contadini. La loro espressione indica sfacciataggine o dubbiezza.
7) Qualunque sospetto, non nominativamente conosciuto da una delle Guardie Nazionali, verrà condotto davanti al Sindaco che ne vaglierà l'identità. Potrà essere rilasciato, o tenuto agli arresti per
essere spedito con processo verbale al Giudice di Mandamento. Il rapporto sarà trasmesso ogni 2 giorni a San Lupo (2). Sempre in pari data, ma con comunicazione separata, informa il Generale di aver arrestato il brigante Giuseppe Guerrasio (3). Peccato non avesse opposto la minima resistenza e fosse senza armi; altrimenti l'avrebbe fatto fucilare. Si fucili, si fucili ogni brigante, risponde il Generale Pallavicini. Così si esegue. L'otto dicembre 1863 sono fucilati alla schiena i briganti: Giuseppe Forgione, Francesco Trevisonna, Giovanni Leone da Solopaca; Gennaro Cusano da Pietraroja, Domenico Conte e Pasquale Franco da Cerreto; i sei hanno fatto fuoco per circa 15 ore contro il 45° di fanteria comandato dal Capitano polacco Potosky (4). Fucilati altri due briganti a Cusano, fucilato Liberato De Lellis capobanda. Stesso giorno, stesso mese, stesso anno (5). Frattanto il Capitano della Guardia Nazionale di Pietraroja, di concerto con il Sindaco, la sera stessa mostra a Nicola Amato, fratello del disertore brigante Francesco Amato, una moneta da 100 piastre. L'avrà se farà presentare il fratello con i compagni. Alle due di notte Nicola ritorna, senza fratello si intende, ma le 100 piastre gli fanno gola; dice di aver scovato un nascondiglio dove stanno rintanati ben otto briganti. E' la grotta delle Fate, anche nota con il nome di grotta di Caccaviola compresa tra il Monte denominato Macchia dalla parte di Pietraroja e un costone: le due masse formano una gigantesca lettera "V"; nello spigolo v'è la grotta sopraelevata da terra con al disotto un ruscello di acqua perenne (6). Il giorno 9 dicembre il Capitano Amato pone l'assedio. Di quali briganti si tratta? Ah, quelli della banda Varrone operante nel Cerretese e Matese fin dal 1861, di 19 uomini all'inizio, responsabile inoltre di grassazione ed incendio di pubblico archivio, dell'aggressione il 13 agosto al Comune di Cantalupo e al posto di Guardia Nazionale nel corso del quale morì il tenente Francesco Mancini... Sapete della banda, fa parte un certo Brillo Paolo da Roccamandolfi; uccise il sacerdote don Gregorio Rizzi il 14 agosto '61 (7). Il capitano della Guardia Nazionale di Pietraroja cerca di dare la scalata alla grotta: impossibile. I malandrini hanno tagliato le corde, tolti i ramponi. Sorvegliano senza pericolo il fondo del burrone e l'opposta pendice. Anzi prendono il capitano a schioppettate. Sette per l'appunto; ma senza toccarlo. Nella grotta hanno provviste, acqua e munizioni. Da burloni, si divertono a sparare; quando non mangiano, suonano la chitarra e il tamburo. Se la passano a suonare, cantare e far fuoco. Avanti la grotta Guardie Nazionali e truppe, avanti il ruscello soldati e soldati. Truppe di Pietraroja, Cusano e Civitella; sono qui il luogotenente Michele Iassogna, Arcangelo Cefarelli, il sottotenente Nicola Bianco. La compagnia undicesima del 49° fanteria arriva alle sei pomeridiane del 10 dicembre; il Comandante dei bersaglieri non sa come dirigere le sue forze contro la grotta delle Fate (8). Fra tanti militari guardinghi, un coraggioso si slancia; è il carabiniere Giacomo Mennone che viene ferito. Morrà il giorno 12 dicembre (al militare della Guardia Nazionale di Cerreto, Biagio Gagliardi che lo trascinò lungo il costone fuori dal tiro dei briganti, toccheranno di poi L.400 per l'atto valoroso) (9). Ma insomma che fanno questi otto briganti? E' il caso di mandare a chiamare il generale Pallavicini. Il generale Pallavicini arriva; siamo al giorno 15 dicembre. Dinanzi alla grotta ci sono proprio tutti; gli alti ufficiali dell'esercito, il Reggente Homodei della Prefettura di Benevento (10); i paesani rinserrati nelle case se la ridono di cuore. Il capitano Diaz prende l'iniziativa; sa che fra gli otto asserragliati vi è un certo Lancieri, soldato disertore della sua compagnia. "Lancieri, vieni fuori", gli urla. Al richiamo, Lancieri appare e si mostra al suo capitano. "Consiglia a Varrone di arrendersi". "Signor capitano, non è uomo da arrendersi". Fatto il suo nome, Varrone contrariato viene fuori e dice che non si arrenderà mai; lui e i compagni hanno riservato per sè l'ultimo colpo. A commento del suo dire, indirizza due schioppettate al capitano Diaz.
Fortunatamente vanno a vuoto. Il generale Pallavicini sulla cresta opposta, ripete le esortazioni di resa e grida a Lancieri di persuadere i compagni. Il brigante a questo punto ha un'idea. "Signor Generale, datemi il vostro berretto, lo farò vedere ai compagni; essi non credono che voi siate il Generale". Il Generale cede il berretto. Premuroso il Diaz si toglie il suo e lo dà al Signor Generale. Sul campo, alla presenza delle autorità civili e militari, degradazione involontaria da generale a capitano. - Pazienza; ne capitano di belle in questa provincia, avrà pure egli pensato. Ma tant'è! Si volta a guardare Diaz che ahimè, è rimasto con la pezza in testa. Già, con quel fazzolettone di tela che gli cinge la fronte a metà e gli ricade al di sopra le orecchie fino alle spalle. Il fazzolettone destinato durante la campagna a preservare la giubba dalla polvere sollevata dagli zoccoli dei cavalli (11). A più di qualche Autorità Civile spunta il sorriso. Diaz non ne può più; non pensa a levarsi la pezzuola; si divincola da quanti lo vogliono trattenere e va all'assalto, inerme. "Un grido di ammirazione echeggia nel crocchio degli ufficiali che circonda il Generale. Costui si volta, comprende, misura il pericolo, scuote mesto il capo. Bell'atto di coraggio, mormora, ma il Capitano Diaz non lo rivedremo mai più!" (12). Che accade frattanto nella grotta? I briganti scattano; Diaz li guarda e li fulmina con lo sguardo. "Arrendetevi, il Generale Pallavicini vi raccomanderà alle Autorità per una diminuzione della pena, se cedete le armi". I briganti che in fondo non sono cattivi ed ammirano il coraggio dell'avversario, si commuovono, si arrendono. "Voi, Varrone, volete regalarmi quel fucile? E' buono?". "E' buono". "Bene, lo terrò per memoria. Voi, qui, cedetemi il vostro pugnale, voi la la Pistola". Lo accontentano. Sotto sono trepidanti per Diaz; cinque bersaglieri vanno alla carica. I briganti gridano al tradimento. Diaz non perde il controllo. Fa uscire dalla grotta tutti i briganti. Lo applaudono; il Generale lo abbraccia, lo bacia; lo chiama eroe. Sono le ore 14 del 15 dicembre 1863. Nella grotta si trovano 21 panelli di pane di manifattura di Pietraroja. Più tardi tutte le notabilità vanno a pranzo in casa del Sindaco di Pietraroja. Contrariamente alla usanza di non strapazzare gli ufficiali davanti alla truppa o ai civili, il Generale Pallavicini si scarica e rimprovera affettuosamente il Diaz. Se i briganti lo avessero tenuto in ostaggio, egli doveva piegarsi e scendere a patti con quei masnadieri per salvargli la vita. "No, generale, mi sarei fatto ammazzare". Si intromette nel dialogo un giovane ufficiale ungherese che aveva seguito il Pallavicini da Benevento, con un commento in brutto italiano. "Cenerale, io vorria meritarmi da lei questi rimproveri" (13). Che fa il generale, mantiene la promessa fatta ai briganti? No. I briganti di Cusano: Angelo Varrone di 48 anni, Vincenzo Cassella stessa età, Felice Cassella di 22, Raffaele Pascale di 39, portati a Pietraroja, dietro subitaneo consiglio di guerra vengono immediatamente fucilati nella schiena (14). Giovanni Barletta di 26 anni da S. Marco dei Cavoti, riesce a fuggire ingannando un caporale. Arcangelo Lancieri da Salerno, è tradotto a Benevento a disposizione del Comandante la zona militare; sarà condannato a venti anni di lavori forzati, poi ridotti a quindici (15). Cocca Domenico si dà parimenti alla fuga. Il signor Franco Santagata da Cusano riferisce a chi di dovere che ha trovato rifugio in casa di Pietro Orsini costretto ad ospitarlo. Il 27 dicembre 1863, Cocca Domenico viene preso e passato per le armi (16). Pietro Orsini riceve adeguata ricompensa: lire duecento.
NOTE:
1) Sottoprefetto Cerreto Sannita a Generale Pallavicini: lunga relazione
illustrante le località tra Cerreto, Matese e Valle Telesina. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Cerreto Brigantaggio 1863.
2) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Tenente Colonnello Fontana a Generale Pallavicini - Dispaccio in copia Sottoprefettura Cerreto e Prefettura Benevento. 4 dicembre 1863.
3) Dispaccio Fontana - Pallavicini, 4 dicembre '63 - Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento, brigantaggio '63. Carte della Prefettura di Benevento.
4) Tra le sentenze profertesi dal Tribunale Militare di guerra Caserta -
Cartella 36 - Archivio Centrale dello Stato Roma.
5) Come da nota precedente.
6) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio Pietraroja '63 - Pianta della grotta delle Fate.
7) Come da imputazione della Procura generale della Corte di Appello di Napoli in data 26 aprile 1865 per altri eventuali superstiti. Riservata e pressante al Sottoprefetto di Cerreto. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio '65.
Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - S. Lupo, Sindaco a Sottoprefetto di Cerreto, li dicembre '63.
9) Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento - Brigantaggio Cerreto 1863 - Lettera del Comandante della Guardia Nazionale di Cerreto a Sottoprefetto di Cerreto.
10) Cfr. Carte Prefettura Benevento Brigantaggio 1963. Museo Biblioteca Archivio Storico del Sannio Benevento.
11) Il fazzolettone di tela era staccato dal cappello.
12) Cfr. Ilvio Marinoni, L'Episodio della Grotta delle Fate nel 1863 - Foligno 1900. Trattasi di un opuscolo rarissimo; più agevolmente si può consultare il Giornale del Soldato, Milano 11 novembre e segg.
13) Come da nota precedente.
14) Sentenze profertesi dai Tribunali Straordinari di Guerra di Caserta,
Cartella N. 36, Archivio Centrale dello Stato Roma. I militari vanno così di fretta nella fucilazione che sbagliano anche le date di nascita. Ho creduto opportuno riportare quelle indicate dal Sottoprefetto di Cerreto, anche perchè moltissime volte ha seccamente rintuzzato gli Ufficiali per inesatte descrizioni e mancanza di altre notizie, quando invece si doveva provvedere ad operare più scientemente le annotazioni per l'Ufficio di Stato Civile.
15) Archivio Centrale dello Stato - Roma. Cartella N. 20 - Sentenza del
Tribunale Militare di Guerra in Caserta contro Lancieri Arcangelo di anni 30, da Salerno, bracciante e soldato del 39° Reggimento Fanteria Lancieri fu condannato a venti anni di lavori forzati il 16 febbraio 1864. Con Regio Decreto in data 22 aprile 1868, ebbe ridotta la pena a quindici anni.
16) La fretta degli Ufficiali, cambia anche di nome al fucilato, indicato come Cocco Giovanni e non Cocca Domenico.