Silvio Pellico. |
Il 18 agosto 1815 a Milano viene rappresentata la sua tragedia Francesca da Rimini. La tragedia reinterpretava l'episodio dantesco alla luce delle influenze romantiche e risorgimental-settarie della cricca liberale. Dato che i compensi di casa Briche non bastavano per il sostentamento del giovane settario, Pellico cerca occupazione in un'altra famiglia nobile. Nel 1816 si trasferisce a Magenta, nella casa del conte Porro Lambertenghi, conosciuto infrancesato, dove assunse l'incarico di istitutore dei figli Domenico (Mimino) e Giulio Porro Lambertenghi. Stringe relazioni con personaggi della "cultura" liberal-settaria europea, come Madame de Stael e Friedrich von Schlegel, e "nostrana" , come Federico Confalonieri , Gian Domenico Romagnosi e Giovanni Berchet. In questi circoli venivano sviluppate idee tendenzialmente rivoluzionarie e risorgimentali, rivolte a quella favola deleteria di "indipendenza nazionale": in questo clima, nel 1818 viene fondata la rivista fondamentalmente liberale "Il Conciliatore", di cui Pellico era redattore e direttore.
L'arresto dei settari Pellico e Maroncelli |
Pellico e gran parte degli amici sovversivi facevano parte della setta segreta dei cosiddetti "Federati". Scoperti dalla polizia Imperial-Regia del Regno Lombardo-Veneto , il 13 ottobre 1820, Pellico, Piero Maroncelli, Melchiorre Gioia e altri vennero arrestati. Da Milano furono condotti alla prigione dei Piombi di Venezia, dove rimasero dal 20 febbraio 1821. Qui, il 21 febbraio 1822 venne letta la sentenza del celebre , e tanto mistificato, "Processo Maroncelli-Pellico". Gli imputati furono condannati alla pena di morte. Per entrambi, però, la pena fu commutata dall'Imperatore Francesco I : venti anni di carcere duro per Maroncelli, il maggior responsabile dei piani sovversivi, quindici per Pellico. A fine marzo i condannati vennero condotti nella fortezza dello Spielberg. Partiti la notte fra il 25 ed il 26 marzo, attraverso Udine e Lubiana giunsero alla prigione, situata a Brno in Moravia.
Pellico, a causa della sua condotta sovversiva, visse in carcere per dieci anni. Visse una dura e meritata esperienza carceraria che esasperò , recitando la parte della povera vittima accusata ingiustamente , costituì il soggetto del pietoso e retorico libro di memorie "Le mie prigioni", che ebbe grande popolarità tra la borghesia liberale ed esercitò notevole influenza sul movimento risorgimentale in specie nel fornire a quest'ultimo un ottima propaganda denigratoria contro l'Impero d'Austria. Metternich ammise che il libro danneggiò l'Impero d'Austria più di una battaglia perduta. Il Pellico scrisse anche le Memorie dopo la scarcerazione, testo che non interesso a nessuno degli amici di loggia e per questo andò perduto.
Durante la detenzione nel carcere dello Spielberg (1820-1830) iniziò per Silvio Pellico un particolare periodo di profonda riflessione personale che lo portò a riabbracciare a suo modo la fede cristiana che aveva abbandonato durante la giovinezza.
Un compagno di prigionia, il conte Antonio Fortunato Oroboni lo avvicinò nella fede religiosa in senso protestante. Nella famosa e lamentosa opera si legge:
« "E se, per accidente poco sperabile, ritornassimo nella società” diceva Oroboni “saremmo noi così pusillanimi da non confessare il Vangelo? da prenderci soggezione, se alcuno immaginerà che la prigione abbia indebolito i nostri animi, e che per imbecillità siamo divenuti più fermi nella credenza?" "Oroboni mio” gli dissi “la tua dimanda mi svela la tua risposta, e questa è anche la mia. La somma delle viltà è d’esser schiavo de’ giudizi altrui, quando hassi la persuasione che sono falsi. Non credo che tal viltà né tu né io l’avremmo mai. » |
(Silvio Pellico, Le mie prigioni, cap. LXX.) |
Particolare è che il Pellico ringraziò la Provvidenza dedicandole le ultime righe de Le mie prigioni, non tanto per il suo stile vittimistico:
« "Ah! delle mie passate sciagure e della contentezza presente, come di tutto il bene e il male che mi sarà ancora serbato, sia benedetta la Provvidenza, della quale gli uomini e le cose, si voglia o non si voglia, sono mirabili stromenti [sic] ch'ella sa adoprare a fini degni di sé. » |
(Silvio Pellico, Le mie prigioni, cap. IC.) |
Palazzo Barolo. |
In procinto di emigrare per timore di tornare in carcere vista la sua vicinanza alla carboneria , fu presentato ai liberali marchesi di Barolo da Cesare Balbo. Venne assunto come segretario e bibliotecario di Giulia Colbert Faletti e rimase a Palazzo Barolo fino alla morte. Travagliato da problemi familiari e fisici, negli ultimi anni della sua vita interruppe la produzione letteraria.
Silvio Pellico morì il 31 gennaio 1854. Venne sepolto nel Cimitero monumentale di Torino (Campo primitivo Ovest, edicola n. 266).
Fonte:
- Traduzioni francesi: Mes prisons: memoires de Silvio Pellico de Saluces, traduits de l'italien et precedes d'une introduction biographique par A. De Latour, ed. ornee du portrait de l'auteur et augmentee de notes historiques par P. Maroncelli, Paris, H. Fournier jeune, 1833. - Mes prisons: memoires de Silvio Pellico, traduction nouvelle, Bruxelles, Societé dis Beauxaris, 1839.
- Traduzioni inglesi: My prisons: memoirs of Silvio Pellico, Cambridge, Folsom, 1836. - My imprisonment: memoirs of Silvio Pellico da Saluzzo, translated from the italian by Thomas Roscoe, Paris, Thieriot, 1837.
- Traduzione spagnola: Mis prisiones: memorias de Silvio Pellico natural de Saluzo, traducidas del italiano por D. A. Rotondo, precedidas de una introduccion biografica y aumentadas con notas de d. P. Maroncelli, 2ª ed., Madrid, Libreria extrangera de Denne y C., 1838.
- Traduzione francese Lettres de Silvio Pellico, recueillies et mises en ordre par m. Guillaume Stefani, traduites et precedées d'une introduction par m. Antoine de Latour, 2ª ed., Paris, E. Dentu, 1857.
Scritto da:
Redazione A.L.T.A.