Breve critica del culto conformistico e dei suoi “santi”:
la dubbia canonizzazione della modernità
di Andrea Giacobazzi
1. Introduzione. I divi moderni tra apologetica e propaganda.
«Idee confuse e acque torbide sembrano profonde» scriveva Gomez Dàvila.
Partendo da questa torbidezza, risulta difficile non scorgere nell’avanzamento della modernità la progressiva sostituzione della santità intesa in senso tradizionale con un raffazzonato insieme di “santi” laici e conformisti, elevati a modelli di riferimento per larga parte della società.
Quello che è stato correttamente definito come il “ceto medio semicolto” pare abbeverarsi a queste fonti con l’ineludibile superficialità che accompagna chi – in forza della scolarizzazione di massa – si sente parte di un’élite inesistente nella realtà. Tra un improbabile vernissage e una puntata di Che tempo che fa, tra un articolo de L’Espresso e la presentazione di un libro pseudoimpegnato, si forma - almeno in campo italofono – la cultura del soggetto di cui stiamo parlando. I miti che ne illuminano il cammino sono spersonalizzati, depurati di ogni complessità, liofilizzati e serviti con capillare distribuzione, icone pop che nella loro banalizzazione finiscono per far torto innanzitutto alla memoria di chi rappresentano.
Lo sviluppo di questi modelli (per dirne alcuni: Einstein, Che Guevara, Allende, Voltaire, il Dalai Lama), ovviamente, non può reggere un’analisi che approfondisca minimamente la loro natura. La nuova religione, tutta moderna, che li annovera tra i “guru irrinunciabili” si trova costretta a impegnare i suoi quasi ignari sacerdoti (giornalisti, scrittori, conduttori televisivi) più nel celare i caratteri effettivi di questi personaggi che non nel promuoverne l’autentica conoscenza. Oltre ad un clero disorganizzato, questa fede mondana, moderna e mediatica, non si esime dal proporre alcuni dogmi, con relative pregiudiziali politiche: generalmente “antifasciste” quando si guarda a “destra”, “antistaliniste” (se non “antisovietiche”) quando si volge a “sinistra”. Abbondano, comprensibilmente, adepti “più realisti del Re”: si pensi, tra i tanti casi che si possono citare, alle puntuali amnesie che toccano i contatti di Gandhi (esponente di spicco del pantheon conformistico) con l’Italia fascista e le foto che lo ritraevano sorridente al fianco delle camicie nere.
Pur tenendoci a debita distanza da un complottismo sterile, risulta difficile non notare come la graduale sostituzione dei modelli di riferimento per il popolo abbia accompagnato la disastrosa rivoluzione spirituale[1] cui stiamo assistendo nell’ultimo secolo. Riprenderemo il tema nelle conclusioni, passiamo ora a vedere alcuni esempi relativi alla sostanziale incoerenza di questi personaggi rispetto alla stessa fede che li vuole incensare sugli altari della modernità.
2. Einstein e la “razza”
“Einstein, quando cercò rifugio in America, dovette compilare un modulo. Alla voce: razza? rispose: umana”.
Questo è il mantra che viene ossessivamente ripetuto nella larga maggioranza dei casi in cui si cita lo scienziato ebreo-tedesco. Per alcune sue battaglie e per la sua storia personale non poteva non diventare un’icona dell’antirazzismo e del dirittoumanismo.
La situazione – è facile immaginarlo – non è così lineare in tutta la vita del Nobel.
Come riconosce con lucidità John Stachel (Direttore del Center of Einstein Studies – Boston University) nel suo Einstein from B to Z, il fisico – quando ancora viveva in Germania – “pareva aver accettato l’allora prevalente visione razzista, invocando spesso i concetti di razza e istinto e sostenendo che gli ebrei formavano una razza”[2]. L’anno prima (1920) di diventare premio Nobel, scriveva:
“L’antisemitismo come fenomeno psicologico resterà con noi finché ebrei e non-ebrei sono mescolati insieme. Dov’è il male in questo? Può essere grazie all’antisemitismo che saremo in grado di preservare la nostra sopravvivenza come razza, questo è in ogni caso ciò che credo”[3].
In un’altra occasione rifletteva: “Le Nazioni con differenze razziali sembrano avere istinti che lavorano contro la loro fusione. L’assimilazione degli ebrei nelle nazioni europee… non riesce a sradicare la sensazione di mancanza di parentela tra loro e quelli tra i quali vivono. In ultima analisi, la sensazione istintiva di mancanza di parentela è riconducibile alla legge della conservazione dell’energia. Per questo motivo non può essere cancellata da qualsiasi quantità di pressione. Le nazioni non vogliono essere fuse, vogliono andare ciascuna per la sua strada. Uno stato di pace può essere ottenuto solo se le une e le altre si tollerano e rispettano”[4].
Parlando di alcuni effetti dell’assimilazione degli studenti ebrei tra i loro coetanei arrivò a parlare di diverse “associazioni di studenti” e di “riserbo cortese ma coerente rispetto ai Gentili [non ebrei]”: “Dobbiamo essere consapevoli della nostra razza straniera e trarne le logiche conclusioni. È inutile cercare di convincere gli altri della nostra uguaglianza spirituale e intellettuale con argomenti razionali, quando il loro atteggiamento non nasce affatto dalla ragione. Piuttosto dobbiamo emanciparci socialmente, soddisfare i nostri bisogni sociali e noi stessi. Dobbiamo avere le nostre società di studenti e adottare un atteggiamento di riserbo cortese ma coerente rispetto ai Gentili. Vivere in conformità col nostro stile e non imitando costumi che sono estranei alla nostra natura. È possibile essere un europeo civilizzato e un buon cittadino e al tempo stesso un Ebreo fedele che ama la sua razza e onora i suoi padri. Se ricordiamo questo e agiamo di conseguenza, il problema dell’antisemitismo, per quanto può essere di natura sociale, è risolto”[5].
Einstein ebbe anche significativi contatti con i vertici sionisti. Risulta particolarmente curiosa una dichiarazione contenuta in una missiva inviata dal dirigente tedesco Kurt Blumenfeld al futuro presidente israeliano Chiam Weizmann il 15 marzo 1921. Lo scienziato era descritto come “uomo dei più alti onore e solidità”, “interessato alla nostra causa più fortemente a causa della sua repulsione per l’ebraismo assimilato”[6]. Parlando poi di eventuali discorsi che avrebbe potuto tenere, Blumenfeld mise in guardia il suo interlocutore: “Einstein is a poor speaker and often says things out of naiveté that are unwelcome to us”[7].
Le simpatie sioniste non devono stupire: nel giugno 1921 aveva specificato, similmente a quanto già riportato, che “l’antisemitismo in Germania ha anche conseguenze che, da un punto di vista ebraico possono essere benvenute. L’ebraismo tedesco deve la sua esistenza continuativa all’antisemitismo”[8].
Seppure non senza oscillazioni ideologiche e con un’atteggiamento “binazionale”, sul tema dell’adesione del fisico al “progetto nazionale ebraico” sono necessarie diverse precisazioni. Ad esempio, la famosa lettera al New York Times del 2 dicembre 1948 – firmata da molti altri ebrei di spicco – in cui si attaccavano i “fascisti del sionismo” del partito israeliano neorevisionista Herut (guidato da Menachem Begin, poi primo ministro negli anni ‘70), non era, come a volte si sente, una condanna delle politiche del governo dello Stato ebraico ma semplicemente un attacco ad un partito minoritario. Quando la lettera fu pubblicata, le efferatezze del governo laburista-sionista, consumate nel primo conflitto arabo-israeliano, si susseguivano da molti mesi ma i firmatari non le avevano sostanzialmente prese in considerazione. Fatta salva la conformistica condanna per quella compagine d’opposizione “che nella organizzazione, nei metodi, nella filosofia politica e nell’azione sociale appare strettamente affine ai partiti Nazista e Fascista”, l’appello fu ipocritamente privo di riferimenti agli altri movimenti che, essendo al potere, guidavano la pulizia etnica della Palestina. Se questo non significa che Einstein approvasse quei metodi, va detto che in ogni caso, quando lo Stato ebraico venne fondato, lo scienziato “salutò l’evento con entusiasmo e offrì generosamente il suo tempo per la raccolta di fondi”[9]. Lo scienziato nel 1948 arrivò a parlare, in relazione a questo evento, del “compimento di un antico sogno”[10]. Non solo: alle elezioni americane dello stesso anno supportò il Progressive Party di Henry Agard Wallace, caratterizzato da posizioni nettamente filoisraeliane, certamente più di quanto non lo fosse la dubbiosa amministrazione di Washington.
Albert Einstein con i leaders sionisti Ben-Zion Mossinson, Chaim Weizmann (primo presidente israeliano) e Menachem Ussishkin, nel 1921. (Library of Congress, Bain Collection)
3. Voltaire: processabile per incitamento
Del contributo illuministico all’avanzamento del razzismo moderno già molto si è scritto. Si va dall’assunzione “dell’inferiorità naturale dei negri rispetto ai bianchi [in Hume], all’equiparazione della nigrizia con la stupidità [in Kant], alla generale accettazione dell’inferiorità dei negri [in Monstequieu e Jefferson]”[11]. Lo stesso Voltaire pare affermare una forma di “suprematismo bianco”.
Carlo Ginzburg rifletteva su questo tema: “Voltaire, che era senza dubbio un razzista in senso lato, non aderì mai pienamente al razzismo in senso stretto: ma vi arrivò molto vicino ogni volta che si trovò a parlare dei neri. «La maggior parte dei negri, e tutti i cafri, sono sprofondati nella stessa stupidità», scrisse nella Philosophie de l’histoire. Pochi anni dopo, nel 1775, aggiunse: «E vi marciranno per molto tempo»”.
Aggiungeva che questo atteggiamento “nei confronti della questione della razza, e più specificamente nei confronti dei neri, era largamente condiviso dai philosophes”[12].
Con gli ebrei probabilmente era utilizzata una durezza persino maggiore. Oggi scatterebbero “allarmi antisemitismo” per affermazioni ben più moderate. Pur chiarendo che “non bisognava mandarli al rogo”, parlava dei giudei dicendo: “Voi non troverete in essi che un popolo ignorante e barbaro, che raggiunse dopo lungo tempo la più sordida avarizia e la più detestabile superstizione e il più invincibile odio per tutti i popoli che li tollerano e li arricchiscono”[13]. Alla voce “antropofago” del Dizionario filosofico disse che l’antropofagia era la sola cosa mancate al popolo israelitico “per essere il più abominevole popolo della terra”[14].
Cesare Medail, nel 1997 sul Corriere della Sera, riferiva l’uscita in libreria di un’operetta di Voltaire, che l’editore Gallone aveva sottotitolato: Il manifesto dell’antisemitismo moderno a cura del padre della tolleranza. Una “bestemmia laica”, ma il testo (la voce Juifs del Dizionario filosofico) era per lo meno ambiguo, “se è vero che fu usato contro gli ebrei nella Francia di Vichy”[15].
D’altro canto è bene ricordare che non tutti gli ebrei si lanciarono entusiasticamente tra le braccia degli illuministi.
Diversi anni dopo la morte di Voltaire, in seguito ai fatti del 1789, se una parte rilevantissima del giudaismo soccombette all’avanzata della rivoluzione e ne ratificò gli esiti (si pensi al Sinedrio rabbinico convocato da Napoleone), un’altra parte – affatto trascurabile – si oppose, in nome della tradizione, al dilagare della “modernità” che gli editti e le baionette francesi propagavano.
L’eminente rabbino Shneur Zalman di Liadi (detto l’Alter Rebbe - il Vecchio Rebbe - capostipite dell’importante dinastia Chabad) non ebbe dubbi nell’appoggiare lo zar Alessandro I quando Napoleone marciò sulla Russia: “Se Bonaparte sarà vittorioso, gli ebrei saranno più ricchi e la loro posizione sociale migliorerà, ma il cuore del nostro Padre celeste si allontanerà da loro. D’altro canto se il nostro Zar Alessandro sarà trionfante, il cuore degli ebrei si avvicinerà al Padre celeste, sebbene la povertà d’Israele aumenterà e la situazione sarà peggiore”[16].
Questa posizione è leggibile sia nell’ottica della consolidata abitudine rabbinica all’ossequio del potere sia, lo abbiamo detto, nella comprensibile resistenza antimoderna che le comunità più ortodosse erano pronte a portare avanti. Il prof. Israel Shahak ci presenta non pochi esempi di come gli israeliti europei accolsero con freddezza e disappunto la nuova mentalità e le nuove norme “illuminate”. Giusto per citare un caso, secondo Shahak, “Nicola I di Russia era notoriamente antisemita e promulgò leggi antiebraiche in tutti i suoi stati, ma, al tempo stesso rafforzò “legge e ordine”, non solo la polizia segreta ma anche quella regolare e le gendarmerie locali, con il risultato che era difficile ammazzare gli ebrei per eseguire gli ordini dei loro rabbini, cosa che, nella Polonia di prima del 1795 era invece facilissima. La storiografia “ufficiale” ebraica condanna Nicola sia per il suo antisemitismo sia per aver impedito l’assassinio degli ebrei condannati a morte dai rabbini”.
Ma torniamo alla controversa icona di Voltaire. Lo scrittore francese passò alla storia come uno dei più fieri critici del Cattolicesimo Romano, la forza dei suoi attacchi era tale che lo portò a definire con orrore e disprezzo la “setta cristiana”. Fu riconosciuto da molti come il padre degli anticlericali ma – aspetto meno noto – alla fine dei suoi giorni probabilmente tornò in comunione con la Chiesa. La genuinità di questo evento è accettata da alcuni e respinta da altri, fatto sta che in Le creature: ampio libro dell’uomo si riferisce che “si contano due ritrattazioni di Voltaire, l’una del 30 marzo 1769, l’altra del 2 marzo 1778. […] Nel 1778 dichiarò di essersi confessato dall’Ab. Gauthier, e di aver domandato perdono a Dio ed alla Chiesa degli scandali che avesse potuto dare”[17]. Il testo della ritrattazione fu pubblicato anche da Correspondance Littéraire, Philosophique et Critique, VOL. 12, (1753-1793), pp. 87-88.
4. Dalai Lama e Tibet: teocrazia, conservatorismo, legami con la CIA
Altro santino frequentemente ritrovabile nelle tasche del “ceto medio semicolto” è quello Dalai Lama: dalla sua immagine viene fatto irradiare un non meglio precisato dirittoumanismo misto ad una certa dose di inopportuno Peace&Love.
Tra i suoi sostenitori “progressisti” è probabilmente poco noto che nel 1939 fu ribattezzato “Sacro Signore, Gloria gentile, Compassionevole, Difensore della fede, Oceano di saggezza”[18]. I tibetani non mancano di rivolgersi a lui come “Sua Santità” o Yeshe Norbu che significa “gemma che realizza i desideri”.
Se risulta veramente ardua un’apologia della politica sociale e religiosa della Repubblica popolare cinese, non può non essere riconosciuto il carattere oppressivo del Tibet prima del definitivo intervento di Pechino. Il governo era amministrato da ufficiali laici e monaci. Gli ufficiali laici erano normalmente reclutati dall’aristocrazia terriera ed ereditaria che consisteva di circa 150-200 famiglie. Queste erano internamente differenziate in un piccolo gruppo alto-aristocratico di circa 30 famiglie definite Depön Mitra e altre 120-170 “comuni” o basso-aristocratiche. Le più alte normalmente possedevano più proprietà mentre le altre una sola. Sebbene l’aristocrazia fosse ereditaria, vi erano famiglie che occasionalmente venivano aggiunte a questi ranghi, ad esempio ogni famiglia di ogni nuovo Dalai Lama era elevata alla nobiltà. Questa novella aristocrazia veniva dotata di possedimenti terrieri e servi della gleba: in questo modo inevitabilmente sviluppava gli stessi interessi della vecchia aristocrazia[19]. Ordinariamente i tibetani erano de facto servi della gleba che lavoravano la terra a beneficio del “padrone” monastico. Sebbene ci fosse un minuscolo “ceto medio” di mercanti e un ancora più piccolo gruppo di “liberi contadini”, molti tibetani vivevano come “schiavi virtuali” del proprietario terriero che poteva (e talvolta voleva) maltrattarli in modo orribile. In larga misura, gli insegnamenti buddhisti erano utilizzati per mantenere questo sistema sociale ingiusto e inumano[20].
Ai giorni nostri, in campo etico, la dottrina del Dalai Lama rimane sostanzialmente conservatrice. Un’intervista di Alice Thomson, pubblicata su The Daily Telegraph fu riportata su La Stampa del 3 aprile 2006[21]. “Troppe persone in Occidente hanno rinunciato al matrimonio”, disse il leader tibetano. Sulle coppie omosessuali pare non avere dubbi: “Il mio è un no assoluto. Senza sfumature. Una coppia gay mi è venuta a trovare, cercando il mio appoggio e la mia benedizione. […] Una donna mi ha presentato un’altra donna come sua moglie: sconcertante”. Sulla certa sessualità slegata dalla procreazione: “Lo scopo del sesso è la riproduzione, secondo il buddhismo. […] Non posso condonare questo genere di pratiche”. Sull’aborto non sembra più morbido: “Incontro donne che in passato hanno abortito perché pensavano che un figlio avrebbe rovinato le loro vite. Un bambino sembrava loro insopportabile, ma adesso sono diventate più vecchie e incapaci di concepire. Mi sento così triste per loro”. Ancora nel 2012 rispondendo a una domanda sul contrasto tra religione e scienza durante la conferenza stampa tenuta oggi al Forum di Assago di Milano: “Meglio evitare in linea generale le pratiche dell’aborto, della clonazione e dell’eutanasia. Però i casi sono specifici e vanno analizzati uno per uno”[22].
Gli aspetti storici e dottrinali, rappresentano ovviamente solo una parte della questione. Se, come accennato, la figura del buddhista viene spesso associata ad un sostanziale pacifismo buonista, risulterà interessante osservare determinati rapporti politici e militari tenuti in passato.
A Camp Hale in Colorado era presente un’area di addestramento della CIA in cui venivano preparati i guerriglieri tibetani. Il programma iniziale terminò nel dicembre 1961 anche se il campo rimase aperto fino ad almeno il 1966. Dopo la guerra Cina-India, la CIA sviluppò una stretta relazione con i servizi indiani nell’allenare e rifornire i militanti del Tibet. La CIA Tibetan Task Force continuò fino al 1974 l’operazione – nome in codice St Circus – con il fine di infastidire i cinesi. Pare che negli anni ’60 l’operazione tibetana costasse a Washington più di 1,7 milioni di dollari all’anno, essi includevano 500.000 dollari per i guerriglieri (di cui 2.100 armati) e 180.000 al Dalai Lama[23].
Quanto scritto fu ribadito recentemente anche da Webster Tarpley su Russia Today. Persino La Repubblica riferì, nel giungo 2012, di un’ampia inchiesta della Sueddeutsche Zeitung che confermava e approfondiva questi fatti. Nell’articolo venne riportata la dichiarazione di un veterano della resistenza tibetana: “Uccidevamo volentieri quanti più cinesi possibile, e a differenza di quando macellavamo bestie per cibarci, non ci veniva di dire preghiere per la loro morte”[24].
5. Allende, massoneria ed eugenetica
Sebbene venerato per anni come uno degli ispiratori del progressismo, anche Allende dovette passare al vaglio della storiografia. Nel 2005 uscì il libro di Víctor Farías intitolato Salvador Allende, antisemitismo y eutanasia. Secondo l’autore la tesi di laurea con cui il giovane Allende si laureò si sarebbe ispirata alle teorie positiviste di Cesare Lombroso, a quelle razziali di Nicola Pende – che firmò in Italia il Manifesto della razza – e alle teorie eugenetiche diffuse in Europa negli anni Trenta. Nel libro si sostiene tra l’altro che vi fu un periodo della vita di Allende in cui questi ”raccomandò la sterilizzazione e l’eutanasia, condannò l’omosessualità, manifestò sentimenti antisemiti”. Il testo causò l’indignazione della Fondazione Allende e un acceso confronto.
Se è vero che nel 1937 fu tra i firmatari di un telegramma al governo tedesco in cui si protestava contro la persecuzione degli ebrei, il suo “antisemitismo” riguarderebbe in particolare la sua reazione alla richiesta che Simon Wiesenthal gli rivolse nel 1972 per chiedergli l’estradizione di un esponente del regime nazionalsocialista – Walter Rauff – residente in Cile da alcuni anni.
Annota Sergio Romano sul Corriere della Sera:
“Quando Wiesenthal chiese al Cile la sua estradizione, verso l’inizio degli anni Sessanta, Rauff fu salvato da una sentenza della Corte suprema che revocò il suo arresto. E quando il grande cacciatore di criminali di guerra ripeté la richiesta, dieci anni dopo, Allende rispose che non poteva contraddire il verdetto della corte: una decisione obbligata secondo alcuni, una evidente dimostrazione delle sue vecchie simpatie naziste secondo Farías. Siamo quindi di fronte a un processo indiziario in cui i lettori del libro, probabilmente, saranno colpevolisti o innocentisti a seconda delle loro convinzioni politiche”[25].
Aggiunge in seguito:
“L’eugenetica, negli anni Trenta, andò molto di moda anche nei Paesi democratici (la Svezia ad esempio) e non è sorprendente che un giovane medico, curioso e ambizioso, ne fosse attratto. In secondo luogo è difficile comprendere l’ospitalità offerta ai rifugiati tedeschi dal Cile e da altri Paesi della regione senza tener conto della grande simpatia che la Germania suscitò per molto tempo in America Latina e della grande influenza delle comunità tedesche nel continente.
Per il Cile la Germania industriale, militare, accademica e scientifica fu un modello. Verso la fine degli anni Sessanta, quando il presidente cileno era il cristiano-democratico Eduardo Frei, assistetti a Santiago a una grande parata militare e vidi sfilare di fronte al palco delle autorità un esercito in cui tutto (stivali, alamari, passo di parata e persino «elmetti col chiodo ») sembrava uscito da un manuale del Reich guglielmino. È probabile che la comunità tedesca cilena abbia protetto Rauff e gli abbia assicurato l’impunità anche durante il regime socialista di Allende. Ma conviene ricordare che la stessa ospitalità fu garantita nel 1993, quando il generale Pinochet era ancora una personalità dominante della vita cilena, al leader della Repubblica Democratica Tedesca Erick Honecker che persino la Russia, due anni prima, aveva espulso dal suo territorio”[26]*.
Per il Cile la Germania industriale, militare, accademica e scientifica fu un modello. Verso la fine degli anni Sessanta, quando il presidente cileno era il cristiano-democratico Eduardo Frei, assistetti a Santiago a una grande parata militare e vidi sfilare di fronte al palco delle autorità un esercito in cui tutto (stivali, alamari, passo di parata e persino «elmetti col chiodo ») sembrava uscito da un manuale del Reich guglielmino. È probabile che la comunità tedesca cilena abbia protetto Rauff e gli abbia assicurato l’impunità anche durante il regime socialista di Allende. Ma conviene ricordare che la stessa ospitalità fu garantita nel 1993, quando il generale Pinochet era ancora una personalità dominante della vita cilena, al leader della Repubblica Democratica Tedesca Erick Honecker che persino la Russia, due anni prima, aveva espulso dal suo territorio”[26]*.
Fin qui il dibattito. A lato di quanto scritto, paiono necessarie alcune integrazioni. Se leggiamo direttamente la tesi di Allende è facile notare come essa riferisca idee oggi considerate censurabili. L’ “omosessualità” interpretata come malattia e alcuni tentativi di cura descritti in quelle pagine lasciano poco spazio ai dubbi sullo spirito del tempo. Pur senza addentrarsi troppo in determinate questioni e senza immedesimarsi troppo, il futuro presidente del Cile, descriveva un tentativo di terapia che preveda “l’inserimento di pezzi di testicoli nell’addome” del paziente.
Due anni prima che uscisse il libro di Farías, Ricardo Cruz-Coke sulla Revista Médica de Chile scriveva che “Allende nacque in una famiglia borghese positivista e radicale del secolo XIX. Uno dei suoi bisnonni, il Dr. Vicente Padin, fu decano della Facoltà di Medicina nel 1863-64. Suo nonno, il Dr. Ramón Allende Padin (1845-1884), medico capo nella Guerra del Pacífico e suo padre, Salvador Allende Castro, avvocato, massone e radicale, fu tenente di artiglieria della battaglia di Concón, nel 1891. [...]. Il futuro presidente cileno, ripreso più volte in foto che lo ritraevano coi paramenti massonici, entrò in loggia “nel 1929 e formò parte del gruppo socialista Avance“[27]*.
Per quanto concerne le sue posizioni scientifiche si ribadiva: “Allende approfondì lo studio delle cause della criminalità, studiando con i medici della Liga de Higiene Mental i progressi scientifici dell’epoca. Le cause della criminalità si attribuivano all’azione dell’eredità innata e alla sua interazione con fattori ambientali e sociali. Allende proponeva per la prevenzione della criminalità la correzione dei fattori sociali negativi e la sterilizzazione degli insani affinché non trasmettessero i loro difetti ai discendenti, questo concetto era molto in voga, in quell’epoca, in Germania e negli Stati Uniti”[28].
Tra la fine degli anni Trenta e i primi anni Quaranta Allende fu ministro della Salute nel governo del Fronte Popolare guidato da Pedro Aguirre Cerda. In quegli anni “in Cile si creò una istituzione denominata Defensa de la raza y aprovechamiento de las horas libres (Difesa della razza, e miglioramento delle ore libere, 1939), su iniziativa del presidente Aguirre Cerda e altri. Nel frattempo Allende, designò, in qualità di ministro, una commissione che studiasse un Proyecto de Ley de Esterilización (Progetto di legge di sterilizzazione, 1940). Si tenga conto che mentre in Cile governavano i progressisti, in Argentina no, Nell’uno e nell’altro Paese si definivano e delineavano formulazioni eugenetiche, come succedeva da altre parti”[29].
Nel 1939 il presidente Aguirre Cerda tenne un discorso segnalando che uno dei sentimenti che doveva unire tutta la comunità nazionale era “l’amore per la razza, la razza cilena”, a quel gruppo sociale, che “per noi è tutto il nostro orgoglio, che ammiriamo e a cui vogliamo bene, nonostante i difetti che può avere, come lo si fa verso la madre e la bandiera. Fortificare la razza, formarla sana e fiorente, darle la gioia di vivere, l’orgoglio di essere cileno è un sentimento che nessuno dovrebbe negare a nessuno, indipendentemente dal mezzo che uno o l’altro vedono come il più appropriato”[30].
L’adesione di Allende alla massoneria, i progetti del governo di cui fece parte e alcune sue posizioni che oggi risulterebbero sgradite a certi ambienti progressisti non devono colpire, già abbiamo visto il caso di Voltaire e dell’Illuminismo francese.
6. Che Guevara, “omofobo”[31] in Rolex
Tra gli dei del pantheon moderno, quello che può vantare l’iconografia più ampia è certamente Ernesto Guevara de la Serna: il volto del Che – su bandiere e magliette – è tra i più stampati della storia. Dalle manifestazioni filo-omosessualiste a quelle anti-banche l’effige di Guevara risulta immancabile.
Partiamo dai “gay”. Aviva Chomsky in A History of the Cuban Revolution sottolinea come la sessuologia sovietica insieme al machismo rivoluzionario cubano comportarono la repressione (ufficiale e non) della non conformità sessuale nei primi decenni del nuovo governo, toccando l’apice nella decade iniziale[32]. Come noto, in una parte rilevante di questo periodo, Guevara ebbe un ruolo importante nella dirigenza del Paese.
Non pochi furono i maricones (termine con cui erano abitualmente definiti) che furono deportati nelle Unidades Militares de Ayuda a la Producción (UMAP), i campi di concentramento installati sull’isola[33].
Disse Fidel Castro nel 1965: “Nulla impedisce ad un omosessuale di professare l’ideologia rivoluzionaria e, come conseguenza, di esibire una corretta posizione politica, eppure noi non arriveremo mai a credere che un omosessuale possa incarnare le condizioni ed i requisiti di condotta che ci possano permettere di considerarlo un vero rivoluzionario ed un vero militante comunista. Una devianza di quel tipo si scontra con il concetto che abbiamo di ciò che un militante comunista deve essere”[34].
La questione della conformità sessuale nella rivoluzione cubana non è certamente il solo tema che farebbe storcere il naso dei radical chic e dei manifestanti “antifascisti” con la maglietta del Che. Sebbene non classificabili come strettamente razzisti, alcuni suoi commenti sui negros sembrano ben lontani dal politicamente corretto. Il biografo Jon Lee Anderson ricorda che quando, nel suo viaggio giovanile, Guevara arrivò nel quartiere negro di Caracas espresse pareri stereotipici che riflettevano “l’arroganza e la sufficienza” bianca e “in particolare argentina”[35].
Disse in quell’occasione: “I negri, quei magnifici rappresentanti della razza africana che hanno conservato la loro purezza razziale a causa di una mancanza di affinità col lavarsi, hanno visto il loro territorio invaso da un nuovo tipo di schiavo: il portoghese. E le due antiche razze hanno iniziato una difficile vita insieme caratterizzata da liti e sciocchezze di ogni genere. Il disprezzo e la povertà li uniscono nella lotta quotidiana, ma il diverso modo di affrontare la vita li separa completamente, il negro indolente e sognatore, spende i suoi soldi nel bere e nelle frivolezze, l’europeo ha una tradizione di lavoro e di risparmio, che lo segue fino a questo angolo d’America e lo spinge a progredire, anche indipendentemente delle proprie aspirazioni individuali”[36].
Anche quando nel 1965 il Che prese parte alle lotte del Congo in sostegno dei Simba, il giudizio sugli africani che combattevano al suo fianco non era dei migliori, parlando della prevalente carenza di disciplina, ricordava che in una specifica occasione fu impossibile utilizzare tiratori congolesi, i quali “non sapevano tenere le loro armi e non volevano imparare”[37]. Il 5 ottobre diede anche una lavata di capo ai dirigenti locali sottolineando “mancanza di disciplina, atrocità commesse, caratteristiche parassitarie dell’esercito”[38].
Leggendo i diari di Guevara in Congo, il Che emerge come uomo d’ordine. Complessivamente il suo percorso politico e militare pare più prossimo a certi esponenti del fascismo di quanto non lo sia ai radical chic che lo sbandierano. Del resto lo stesso socialismo sovietico ha caratteri più sovrapponibili a certo nazionalismo sociale che non alla “sinistra europea”.
Per quanto sui generis, il Che fu anche banchiere. Il 25 novembre 1959, fu nominato presidente della Banca nazionale cubana. Nemmeno pareva tormentato da smanie pauperiste: “Guevara aveva comprato un certo numero di Rolex in Germania e li aveva dati ai suoi uomini più fidati, tenendone uno per sé”[39].
7. Conclusioni
I titoli che sono stati scelti per i paragrafi, sono volutamente pungenti ma utili a bilanciare l’ipocrisia storiografica di chi canonizza queste figure. Il Che certamente non può essere storicamente archiviato come un semplice “omofobo in Rolex” ma ancor meno può risultare convincente la liturgia politicamente corretta che grava sulla sua persona. Stesso discorso per tutti gli altri.
Uno degli aspetti problematici, lo abbiamo accennato nell’introduzione, sta nella dissoluzione della complessità dovuta alla frettolosa santificazione pubblica di questi soggetti. Particolarmente stridente con la propaganda che li avvolge è anche il fatto che gli elementi descritti in queste pagine fossero spesso già noti al momento della loro collocazione (avvenuta quando erano ancora in vita) nel Pantheon della “nuova religione” moderna.
La lista che abbiamo riportato è ridotta e vale solo a titolo d’esempio: mai come oggi le “pie” congregazioni deputate alla canonizzazione di viventi sono attive e zelanti. Si pensi a ciò che ha rappresentato il “Nobel per la Pace”, titolo affibbiato, tra gli altri, ad diversi criminali di guerra e guerrafondai professionali.
Forse inconsciamente Jovanotti cantava: “Io credo che a questo mondo esista solo una grande chiesa/ che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa/ passando da Malcolm X attraverso Gandhi e San Patrignano/ arriva da un prete in periferia che va avanti nonostante il Vaticano”. Se si seguisse questo principio, il Cattolicesimo e i Suoi santi potrebbero ambire ad essere, al massimo, una parte poco significativa del nuovo culto mondialista, in cui il “prete di periferia” è affiancato al Nobel con le mani sporche di sangue o al massone cileno.
[1] Il tema di una certa “teologia della sostituzione” – in quei casi di stampo olocaustico – era già stato trattato in Antisemitismo e altre fobie. Dall’ebraismo virtuale all’Israel’s never ending Holocaust [Free Ebrei, giugno 2012] e in Lo smarrimento di David, rabbinato, antisemitismo e storia ebraica (con qualche riferimento cinematografico) [Rinascita, 17 maggio 2013].
[2] John Stachel, Einstein from B to Z, Center of Einstein Studies – Boston University, Springer, 2002, p. 68
[2] John Stachel, Einstein from B to Z, Center of Einstein Studies – Boston University, Springer, 2002, p. 68
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] Albert Einstein, The World As I See It, Filiquarian Publishing, 2006, pp. 122-123.
[6] Kurt Blumenfeld, Im Kampf um den Zionismus: Briefe aus 5 Jahrzehnten, Deutsche Verlags-Anstalt, 1976, p. 67. [“Einstein ist von höchster Ehrlichkeit und Gründlichkeit und ist am stärksten für unsere Sache durch die Abneigung gegen das assimilatorische Judentum interessiert”].
[7] John Stachel, Einstein from B to Z, Center of Einstein Studies – Boston University, Springer, 2002, p. 79.
[8] Albert Einstein, Einstein on Politics: His Private Thoughts and Public Stands on Nationalism, Zionism, War, Peace, and the Bomb, Princeton University Press, p. 151; Cfr.:
[9] Joan Comay, Who’s Who in Jewish History: After the Period of the Old Testament, Routledge, 2002, p. 123.
[10] Karen C. Fox, Aries Keck, Einstein A to Z, John Wiley & Sons, p. 145.
[11] Carter A. Wilson, Racism: From Slavery to Advanced Capitalism, SAGE, 1996, p. 14.
[12] Carlo Ginzburg, Il filo e le tracce: vero, falso, finto, Feltrinelli Editore, 2006, p. 123.
[13] Voltaire, Dictionnaire philosophique, Vol. 5, 1829, Parigi, pp. 462-463.
[14] Voltaire, Oeuvres complètes de Voltaire, Vol. 7, Chez Thomine et Fortic, Paris, 1821, p. 274.
[15] Cesare Medail, Voltaire, ovvero la tolleranza si è fermata al ghetto, Corriere della Sera, 9 dicembre 1997, p. 33.
[16] Gerard L. De Gré, The Social Compulsion of Ideas: Toward a Sociological Analysis of Knowledge, New Brunswick: Transaction Book, 1979, p. 48.
[17] Raimondo Sabunde, Le creature: ampio libro dell’uomo, Reggio, 1818, p. 195.
[18] James Z. Gao, Historical Dictionary of Modern China (1800-1949), Scarecrow Press, 2009, p. 90.
[19] Melvyn C. Goldstein, A History of Modern Tibet, 1913-1951: The Demise of the Lamaist State, University of California Press, 1989, p. 6.
[20] Natalie Goldstein, Religion and the State, Infobase Publishing, 2010, p.
[21] Sandro Magister, Parla il papa? No, è il Dalai Lama, http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/
[22] Dalai Lama: meglio evitare in generale aborto, clonazione, eutanasia, 27/06/2012, Libero.
[23] Pushpa Adhikari, China: Threat in South Asia, Lancer Publishers, 2012, p. 27; cfr.: Elizabeth Van Wie Davis, Ruling, Resources and Religion in China: Managing the Multiethnic State in the 21st Century, Palgrave Macmillan, 2012.
[24] Tibet, svelati dossier sulla guerriglia “I soldi della Cia al Dalai Lama”, 09/giu/2012, Repubblica.
[25] Sergio Romano, Allende e i suoi pretesi peccati di gioventù, 18/ott/2007, Corriere della Sera.
[26] Ibidem. *Di certi rapporti tra le dittature militari sudamericane e il blocco sovietico si era già trattato in Note sulla complessità della storia: spunti per ovviare alle semplificazioni propagandistiche [Rinascita, 4 aprile 2013].
[27] Ricardo Cruz-Coke, Revista Médica de Chile, vol. 131, 2013, p. 810.*Il sito della fondazione Allende, sull’adesione alla Massoneria, dichiara: “Allende se une a esta asociación filosófica en 1935”.
[28] Ibidem.
[29] Norma Isabel Sánchez, Alfredo G. Kohn Loncarica, La Higiene Y Los Higienistas En La Argentina: 1880-1943, Sociedad Científica Argentina, 2007, p. 213.
[30] Bernardo Subercaseaux, Historia de las ideas y de la cultura en Chile , Volume 3, Editorial Universitaria, 2004, p. 106.
[31] Inutile dire che è da rigettare totalmente il significato che correntemente viene attribuito a questo neologismo. Sembrava opportuno citarlo e virgolettarlo ad uso di coloro che oggi ne sventolano l’effige avanzando richieste circa i pretesi “diritti omosessuali”.
[32] Aviva Chomsky, A History of the Cuban Revolution, John Wiley & Sons, 2011, p. 146.
[33] Ibidem.
[34] Ibidem.
[35] Jon Lee Anderson, Che Guevara: A Revolutionary Life, Grove Press, 1997, p. 92.
[36] Ibidem.
[37] Ernesto Guevara, The African Dream: The Diaries of the Revolutionary War in the Congo, Grove Press, 2000, p. 38.
[38] Paco Ignacio II Taibo, Senza perdere la tenerezza. Vita e morte di Ernesto Che Guevara, Il Saggiatore, 2012, p. 625.
[39] Juan I. Siles del Valle, Gli ultimi giorni del «Che». Il nostro sogno era così grande, Dalai editore, 2009, p. 17.
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