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Incoronazione di Filippo II di Francia. |
La Consacrazione dichiara, per così dire, la sacralità del Monarca cristiano, che diviene inviolabile, protetto in virtù di essa dalle offese degli uomini, più ancora che dalle leggi dello stato. In lui riposa l’autorità promanante da Dio. La sacralità della figura del Sovrano, tuttavia, per una misericordiosa disposizione del Re del Cielo, non fu soltanto affidata ai sentimenti di devozione e sottomissione dei sudditi o alla suggestione di un rito misticamente fastoso. Se la persona del Re è sacra, se a buon diritto può essere considerato un alter Christus, vicario di Gesù Cristo sulla terra in temporalibus, Dio può servirsene anche per operare azioni soprannaturali, che superano il corso ordinario delle cose di questo mondo. Quale evento dall’origine trascendente è più agevole constatare del miracolo, che per definizione consiste nella verificabile sospensione delle leggi di natura? Quale miracolo, poi, più convincente, più entusiasmante per la nostra povera umanità sofferente della guarigione miracolosa? Così, per lunghi secoli, i Re legittimi di Francia ed Inghilterra stupirono la Cristianità intera per il miracoloso potere di guarire, con il tocco della mano consacrata, i malati di scrofole. I Re inglesi inoltre si applicavano con altrettanta devozione alla guarigione dell’epilessia, o mal caduco. Erano dei Re taumaturghi, figure e tipi di Gesù Cristo, il quale nel corso della vita pubblica aveva così profondamente conquistato il cuore dei suoi contemporanei, oltre che per la divina autorevolezza della dottrina, anche per il suo sbalorditivo potere guaritore. «Tramontato il sole, tutti quelli che avevano infermi, affetti da varie malattie, li conducevano a lui, ed egli, imposte a ciascuno le mai li risanava» (S. Luca, IV, 40).
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Luigi VI di Francia. |
Ma quando hanno inizio in Francia le guarigioni miracolose delle scrofole operate dai Sovrani? La risposta è incerta. L’origine del tocco regale è misteriosa. La prima notizia documentata data, infatti, attorno al 1110. Chi ne scrive è un chierico francese che vive alla corte di Re Luigi VI (1108-1137), Gilberto, abate di Nogent-sous-Coucy. Così afferma nel trattato De Sanctorum reliquis: “Che dico? Non abbiamo visto il nostro signore, il Re Luigi, far uso di un prodigio consuetudinario? Ho veduto con i miei occhi dei malati sofferenti di scrofole nel collo o in altre parti del corpo, accorrere in gran folla per farsi toccare da lui - al quale tocco aggiungeva un segno di croce. Io ero là, vicinissimo a lui, e lo difendevo persino contro la loro importunità. Il Re mostrava verso di essi la sua generosità innata; avvicinandoli con la mano serena, faceva umilmente su di essi il segno della croce. Anche suo padre Filippo aveva esercitato con ardore questo stesso potere miracoloso e glorioso; non so quali errori, da lui commessi, glielo fecero perdere”. Secondo Gilberto, non solo l’allora regnante Luigi VI godeva del singolare privilegio di guarire la scrofolosi. Anche suo padre Filippo I (1060-1108) aveva impiegato “con ardore” quel “prodigio consuetudinario”. L’abate, poi, ci fa sapere che Filippo ad un certo punto, per un’inopinata causa, aveva smesso di toccare e guarire i malati. Quel Re fu, infatti, scomunicato dal Papa per l’adultera relazione con Bertrada di Monfort, e, colpito da malattie ‘ignominiose’, non seppe più avvalersi del tocco guaritore. Si può dire con certezza, quindi, che sia Filippo I (1060-1108) che suo figlio, Luigi VI (1108-1137) guarivano pubblicamente le scrofole. L’autore sottolinea come quelle guarigioni miracolose fossero un “prodigio consuetudinario” dei sovrani Capetingi. Quei re non ne erano stati gli iniziatori, ma l’origine andava ricercata in tempi anteriori. Durante il loro regno, tale prassi aveva già assunto la connotazione di un vero e proprio rito pubblico: il principe toccava con la mano consacrata dall’unzione le parti doloranti del malato con un segno di croce, ad indicare la derivazione tutta religiosa e soprannaturale della cerimonia e del suo effetto taumaturgico. Un testo precedente, infatti, la biografia di Re Roberto il Pio (996-1031) secondo sovrano della dinastia Capetingia e nonno di Filippo I , scritta dal monaco Helgaud, ascrive già a quel monarca il potere di guarire le malattie:
“La virtù divina accordò a quest’uomo perfetto una grazia grandissima: quella di guarire i corpi; toccando le piaghe dei malati e segnandoli col segno della santa croce con la sua piissima mano; egli li liberava dal dolore e dalla malattia”.
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Roberto II di Francia , detto il Pio. |
È possibile così concludere che almeno a partire da Roberto il Pio (996- 1031) è storicamente attestata nei Re francesi la prodigiosa facoltà di guarire i malati con il tocco della mano regale accompagnato dal segno della croce. Suo nipote, Filippo I (1060-1108), ventinove anni dopo, infatti, testimonia come la miracolosa forza guaritrice fosse divenuta una consuetudine consolidata, con una fondamentale differenza; mentre, infatti, Roberto il Pio guariva indistintamente tutte le malattie, con il tempo la capacità medicinale dei Re francesi andò specializzandosi nella cura di una malattia particolare, l’adenite tubercolare, volgarmente detta scrofolosi: l’adenite tubercolare , la malattia delle scrofole, o scrofolosi , è un morbo che causa l’infiammazione delle ghiandole linfatiche infettate dai bacilli della tubercolosi. L’infezione aggredisce soprattutto le ghiandole delle articolazioni e del collo, che enfiandosi suppurano e si trasformano in piaghe purulente che emanano cattivo odore. In alcune regioni la malattia in epoca medioevale e moderna era endemica, e pur essendo raramente mortale, gli infelici che ne erano affetti, trascinavano la vita in una condizione di semi-esclusione dalla società.
Le piaghe maleodoranti e nauseabonde, la difficoltà nel movimento degli arti a causa del gonfiore, spiegano a sufficienza la triste condizione in cui versavano gli scrofolosi. Questo in breve era il Mal le Roi, the King’s evil, il Mal reale.
I Re di Francia erano unti e consacrati col miracoloso Crisma, a cui un’indiscussa ed antichissima tradizione assegnava una provenienza celeste. Clodoveo, infatti, divenuto nel 481 d.C. sovrano dei Franchi Salii, tribù germanica professante il paganesimo, che si era stabilita in una regione a cavallo tra l’attuale Francia del Nord-Est ed il Belgio, aveva preso in moglie Clotilde, una principessa cattolica di origine burgunda, che, assieme a San Remigio, arcivescovo di Reims, impiegava ogni sforzo per convertire il sovrano alla vera fede, senza però alcun esito. Gregorio di Tours nella sua Storia dei Franchi, così narra la conversione del Re pagano: “Intanto la regina non smetteva di pregare perché Clodoveo arrivasse a conoscere il vero Dio e abbandonasse gli idoli. Eppure in nessun modo egli poteva essere allontanato da queste credenze, finché un giorno, durante una guerra dichiarata contro gli Alamanni, egli fu costretto per necessità a credere quello che prima aveva negato sempre ostinatamente. Accadde infatti che, venuti a combattimento i due eserciti, si profilava un massacro e l’esercito di Clodoveo cominciò a subire una grande strage. Vedendo questo, egli, levati gli occhi al cielo e con il cuore addolorato, già scosso dalle lacrime, disse: «O Gesù Cristo, che Clotilde predica come figlio del Dio vivente, tu che, dicono, presti aiuto a coloro che sono angustiati e che doni la vittoria a quelli che sperano in te, io devotamente chiedo la gloria del tuo favore, affinchè, se mi concederai la vittoria sopra questi nemici e se potrò sperimentare quella grazia che dice d’aver provato il popolo dedicato al tuo nome, io possa poi credere in te ed essere così battezzato nel tuo nome. Perché ho invocato i miei dei ma, come vedo, si sono astenuti dall’aiutarmi; per questo credo che loro non posseggano alcuna capacità, perché non soccorrono quelli che credono in loro.
Allora, adesso, invoco te, in te voglio credere, basta che tu mi sottragga ai miei nemici». E dopo aver pronunciato queste frasi, ecco che gli Alamanni si volsero in fuga, e cominciarono a disperdersi. Poi, quando seppero che il loro re era stato ucciso, si sottomisero alla volontà di Clodoveo dicendo: «Ti preghiamo, non uccidere più la nostra gente: ormai siamo in mano tua». Ed egli, sospese le ostilità, parlò all’esercito e, tornando in pace, raccontò alla regina in qual modo meritò d’ottenere la vittoria attraverso l’invocazione del nome di Cristo. E questo fu nel quindicesimo anno del suo regno. Allora la regina comanda di nascosto al santo Remigio, vescovo della città di Reims, di presentarsi, pregandolo d’introdurre nell’animo del re la parola della vera salute. Giunto presso di lui, il vescovo cominciò con delicatezza a chiedergli che credesse nel Dio vero, creatore del cielo e della terra, che abbandonasse gli idoli, i quali non potevano giovare né a lui né ad altri. Ma Clodoveo rispondeva: «Io ti ascoltavo volentieri, santissimo padre; ma c’è una cosa: l’esercito, che mi segue in tutto, non ammette di rinunciare ai propri dei; eppure, egualmente, io vado e parlo a loro secondo quanto m’hai detto». Trovatosi quindi con i suoi, prima ch’egli potesse parlare, poiché la potenza di Dio lo aveva preceduto, tutto l’esercito acclamò all’unisono: «Noi rifiutiamo gli dei mortali, o re pio, e siamo preparati a seguire il Dio che Remigio predica come immortale». E an- nunziano queste decisioni al vescovo, che, pieno di gioia, comandò che fosse preparato il lavacro.
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San Remigio battezza Clodoveo. |
Le piazze sono ombreggiate di veli dipinti, le chiese sono adornate di drappi bianchi, si prepara il battistero, si spargono profumi, ceri fragranti diffondono aromi partico- lari e tutto il tempio del battistero è soffuso d’una essenza quasi divina e in quel luogo Dio offrì ai presenti la grazia di sentirsi posti fra i profumi del paradiso. Allora il re chiede d’essere battezzato per primo dal pontefice. S’avvicini “al lavacro come un nuovo Costantino, per essere liberato dalla lebbra antica, per sciogliere in un’acqua fresca macchie luride createsi lontano nel tempo”. E, quando Clodoveo fu entrato nel battesimo, il santo di Dio così disse con parole solenni: «Piega quieto il tuo capo, o Sicambro; adora quello che hai bruciato, brucia quello che hai adorato».[…] Così il re confessò Dio onnipotente nella Trinità, fu battezzato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e venne segnato con il sacro crisma del segno della croce di Cristo. Del suo esercito, poi, ne vennero battezzati più di tremila”. I Franchi di Clodoveo furono, così, l’unica nazione di stirpe teutonica a non cadere negl’inganni dell’eresia ariana, negatrice della divinità di Cristo, che, a partire dal secolo IV, s’era diffusa entro e fuori il limes imperiale. Dopo l’intervento miracoloso di Dio nella battaglia di Tolbiac del 496 contro gli Alemanni, seguendo l’esempio del loro principe, questi si convertirono in massa, divenendo protettori e benefattori della Chiesa, così da proporsi ben presto come il più potente regno cattolico dell’Occidente. Clodoveo e Clodilde, principessa canonizzata dalla Chiesa, divennero i capostipiti della prima dinastia regale di Francia, quella dei Merovingi , che regnò senza discontiniutà fino al 751, quando l’ultimo sovrano della casata venne deposto da Pipino il Breve, primo monarca consacrato della dinastia carolingia.
Quello che Gregorio di Tour accenna velatamente nel racconto del battesimo di Clodoveo - il miracolo della santa ampolla - viene così menzionato con lapidaria semplicità dal Beato Iacopo da Varagine nella sua celebre Legenda aurea: “Quando il Re s’avvicinò al fonte battesimale il vescovo s’accorse che mancava il sacro crisma, ed ecco che una colomba venne a volo portando nel becco una colomba di Crisma. Quest’ampolla è ancora conservata nella cattedrale di Reims ed è usata per la consacrazione dei Re” . L’autore domenicano del secolo XIII non faceva che riprendere un dato a tutti noto. Questa è l’antichissima tradizione di Reims, che venne creduta senza tentenna- menti per tutto il Medioevo e gran parte dell’età moderna, in Francia e fuori di Francia, divenendo quasi un indiscutibile luogo comune, finché a partire dal secolo XVIII, il secolo dei ‘lumi’, una critica scettica e demolitrice giunse a dichiararla completa- mente infondata e menzognera. Ma perché tanto odio e tanta avversione contro uno dei numerosissimi episodi meravigliosi di cui riferivano doviziosamente le cronache dell’Occidente cristiano? In verità, almeno dall’epoca carolingia, la Santa Ampolla aveva assunto un significato politico-religioso di prim’ordine. Ancora Jacopo da Varagine non manca di sottolinearlo: “Ques’ampolla è ancora conservata nella cattedrale di Reims ed è usata per la consacrazione dei Re”. Tutti i sovrani legittimi di Francia, infatti, per quasi mille anni e sino alle so- glie dell’età contemporanea, furono unti Re con il Crisma celeste della Santa Ampolla conservata a Reims. La Santa Ampolla era uno dei ‘dogmi’ più rilevanti, per così dire, della religio monarchica della Civiltà cristiana, fondata sulla stretta alleanza tra il Trono e l’Altare e sulla concezione dell’autorità derivante da Dio, secondo il noto aforisma paolino: Omnis potestas a Deo [ogni potere viene da Dio]. Scardinare e denigrare questa tradizione storica, abbassandola a mera fantasticheria leggendaria, significava, così, non soltanto colpire il meraviglioso e il sopranna- turale di cui era intessuta la storia della Francia cattolica, ma sferrare un attacco di- retto contro la monarchia, massima istituzione di quella nazione. A questo si dedicarono, ora con paziente tenacia, ora con violenta determinazione, i rivoluzionari del XVIII secolo. Tuttavia, ancora nel ‘700, la tradizione della Santa Ampolla conservava agli occhi dei contemporanei di Voltaire tutto il suo misterioso splendore.
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Luigi XVI di Francia. |
Così alle soglie della Rivoluzione, il 7 luglio 1775, Luigi XVI di Borbone si dispose a ricevere, come i suoi padri, dalle mani del successore di San Remigio, novello Clodoveo anche nel nome, la consacrazione col crisma portato dal Cielo. Poi la catastrofe dell’89, l’imprigionamento della famiglia reale, il martirio del sovrano sul palco della ghigliottina. E la Santa Ampolla di Reims? Anch’essa subì l’oltraggio dei giacobini. Per or- dine della Convenzione Nazionale, infatti, Philippe Rühl, deputato del Basso Reno, il 3 ottobre di quel tragico 1793, mentre infuriava il Terrore, infranse sullo zoccolo della statua di Luigi XV nella Piazza Reale la preziosa reliquia conservata in una teca a forma di colomba. “Ma la vigilia del giorno in cui fu ordinata la sua distruzione, Seraine ed Hourelle, come lo fa conoscere un processo verbale autentico, estrassero coll’aiuto di un ago d’oro, il più che poterono del balsamo miracoloso, lo chiusero in una carta e lo conservarono”. Proprio il giorno prima di quella singolare ‘esecuzione’, però, vi fu chi riuscì ad estrarre provvidenzialmente con un ago d’oro alcune gocce del prezioso liquido . Queste vennero in parte utilizzate, per l’ultima volta, nel 1825 in occasione della consacrazione di Carlo X (1824-1830), ultimo monarca legittimo di Francia. Dopo d’allora e fino ai nostri giorni, quando ormai i princìpi sovvertitori dell’89 si sono radicati nelle istituzioni e nella società civile, fu principalmente nel- l’ambito storico-critico ed accademico che continuò una sorda guerra contro la tradizione della Santa Ampolla, di cui I re taumaturghi di Marc Bloch, è uno degli esempi più negativi. Un’obiezione apparentemente insormontabile era sollevata da storici ed eruditi. Tra i fatti miracolosi di Reims della fine del secolo V e la prima testimonianza scritta di essi, nel IX, intercorre un lasso di tempo di più di tre secoli e mezzo anni, senza che nessun documento anteriore ne faccia menzione. Colui che per primo li attesta, Incmaro, Arcivescovo di Reims dal 845, nella sua Vita Remigii, appare come il testimone più interessato, meno attendibile e degno di fiducia. Non era infatti ovvio che il successore di San Remigio creasse a bella posta, in quei secoli di facile credulità, una meravigliosa fiaba per esaltare il Santo Patrono di Reims e la sua cattedra? Il silenzio dei documenti per più di tre secoli sembrava la prova più convincente. Nel 1945, tuttavia, un erudito benedettino di Lovanio, Dom C. Lambot, scopre, su di un manoscritto del XIII secolo, tracce di un’antica liturgia dedicata a San Remigio. Le antifone e i responsorii citano espressamente il Crisma celeste e l’apparizione dello Spirito Santo sotto forma di colomba! L’anno successivo un altro religioso bel- ga, il canonico F. Baix, tenta una datazione della nuova scoperta, e la fissa ad almeno il secolo VIII, retrodatando di un secolo la tradizione remense della Santa Ampolla, e scagionando così il povero Incmaro. Tali scoperte, anziché suscitare un nuovo fervore di studi per calibrare meglio la datazione dell’antica liturgia, passarono del tutto sotto silenzio e furono lasciate ammuffire negli archivi. Si tratta di alcuni versetti della liturgia, poi caduta in disuso, che festeggiava il trapasso del Santo il 13 gennaio, giorno della sua morte, sostituita poi da quella del 1° ottobre tuttora in vigore. In quella più antica formulazione erano raccolti i ricordi dell’evento centrale della feconda attività apostolica del santo francese: la conversione di Clodoveo. Così l’Antifona recitava:
“Il Beato Remigio santificò l’illustre popolo dei Franchi e il suo nobile re, con l’acqua consacrata dal crisma portato dal Cielo. Egli li arricchì grandemente col dono del- lo Spirito Santo”. Il versetto a sua volta recita: “Il quale [Spirito Santo] grazie al dono di una particolare grazia, apparve sotto forma di colomba e portò al Pontefice dal Cielo il crisma divino”. L’olio sacro, tuttavia, che S. Remigio aveva ottenuto colle sue preci dal Cielo al momento di battezzare il sovrano Franco, non servì al prelato per amministrare a Clodoveo l’unzione reale. Il celeste unguento infatti fu impiegato per conferire il sacramento del battesimo al Re franco e alla sua corte. La miracolosa ampolla fu quindi gelosamente conservata tra le reliquie più preziose dell’abbazia di Reims. Con il diffondersi in Occidente della consuetudine di ungere e consacrare i principi cristiani, sul modello vetero-testamentario, questa venne introdotta anche nel Regno di Francia. Il primo Re franco unto con l’olio santo fu Pipino il Breve nel 751, che volle così legittimare la deposizione dell’ultimo Re della dinastia merovingia, deposto e confinato in un convento63. Più di un secolo dopo, l’Arcivescovo Incmaro di Reims in- novò l’uso liturgico di benedire con l’olio santo i sovrani carolingi, aggiungendo al crisma che serviva per l’unzione, una goccia del balsamo miracoloso, conservato nella Santa Ampolla di Reims. Quando la goccia del balsamo celeste cadeva nell’olio consacrato, tutt’intorno, raccontano unanimi le cronache, si spargeva un intenso profumo di paradiso. Così i Re di Francia, come gli altri sovrani d’Europa, erano unti sul capo con il sacro crisma, alla stessa stregua dei vescovi, detentori della pienezza del sacerdozio. La grande prerogativa della monarchia franca consisteva nell’origine sopranna- turale del sacro crisma impiegato nel rito della consacrazione del sovrano. La gerarchia ecclesiastica in seguito alla controversia delle investiture del seco- lo XI-XII cercò di sottolineare anche nella liturgia la diversità e subordinazione tra l’ordine sacerdotale e la condizione di sovrano. Così l’impiego del sacro crisma, come il più prezioso e sacro degli oli liturgici, venne riservato alla sola consacrazione episcopale, mentre nelle cerimonie di unzione dei Re si volle introdurre l’uso del semplice olio dei catecumeni; ed anziché sul capo, come per i vescovi, l’unzione, con il meno prezioso olio dei catecumeni, era applicata sul braccio destro, sul gomito e tra le scapole. La nuova prassi, tuttavia, non fu universalmente accolta e il Papato dovette tollerare alcune notevoli eccezioni, che si fondavano su antiche consuetudini liturgiche. Nei Regni più antichi e prestigiosi l’antica prassi rimase ininterrotta fino all’epoca contemporanea. I Sovrani di Francia, quelli d’Inghilterra, e il Re di Germania, eletto al soglio imperiale, continuarono per lunghi secoli ad essere unti con il sacro crisma sul capo, come i designati all’episcopato. L’importanza di cui era investito il rito consacratorio dell’unzione non riguardava solo l’essenziale aspetto della legittimità del monarca nella esecuzione delle sue ordinarie funzioni, ma, almeno nel caso dei sovrani guaritori di Francia e d’Inghilterra, era strettamente connessa alla facoltà medicinale sulle scrofole. Questo spiega perché i sovrani preferissero ‘toccare’ i malati soltanto dopo la consacrazione, vale a dire, quando, col solenne e pubblico rito dell’Incoronazione, la loro legittima ascesa al trono era sanzionata, per così dire, anche dal Cielo.
Come ebbe inizio il tocco guaritore dei Re in Inghilterra? :
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Enrico II d'Inghilterra. |
“Confesso che assistere il Re equivale [per un chierico] compiere una cosa santa; perché il re è santo; egli è l’Unto del Signore; non invano ha ricevuto il sacramento del- l’unzione, la cui efficacia, se per caso qualcuno la ignorasse o la mettesse in dubbio, sarebbe ampiamente dimostrata dalla scomparsa di quella peste che colpisce l’inguine e dalla guarigione delle scrofole” . Così scriveva, sul finire del secolo XII, riferendosi a Re Enrico II d’Inghilterra (1154-1189) Pietro di Blois, un chierico d’origine francese presso la corte di Londra. È la prima testimonianza documentata del tocco reale in terra inglese, ove è espressa anche la dottrina ufficiale con cui si spiegava il prodigioso potere. Il Re è santo, ossia sacro, poiché, a seguito dell’unzione ecclesiastica, è divenuto l’unto del Signore, un alter Christus. L’effetto soprannaturale della sacralità del potere regale, palesato dalla cerimonia dell’Unzione consacrante, è provata, appunto, dalla guarigione miracolosa delle malattie. La facoltà taumaturgica del medico reale è, quindi, un fatto d’ordine spirituale, e non la magica ed oscura eredità di una famiglia, o di una stirpe . Enrico II Beauclear, primo rappresentante coronato della dinastia anglo- normanna dei Plantageneti, è, dunque, anche il primo sovrano d’Oltremanica che certamente s’applicò alla miracolosa medicazione della scrofolosi. Lo scritto di Pietro di Blois, tuttavia, lascia intendere che l’attitudine medicinale del monarca inglese fosse a quel tempo, come già in Francia, il frutto di una lunga e prestigiosa consuetudine. Durante il regno di Enrico I (1110-1135) infatti, penultimo sovrano della dinastia normanna discendente da Guglielmo il Conquistatore (1066-1087) s’andò formando una tradizione che individuava nella figura del Santo Re Edoardo il Confessore (1042-1066) l’autorevole iniziatore, sulle rive del Tamigi, del tocco miracoloso. Un episodio della sua vita in particolare, narrato in maniera identica dalle varie fonti, accreditava l’universale opinione. Si raccontava, infatti, che una giovane donna, afflitta da un’inesplicabile e vistosa enfiagione al collo, che le sfigurava il viso e da cui emanava un lezzo nauseabondo, avvertita in sogno, si recò presso il sovrano per essere guarita. Dio premiò la sua fede, poiché S. Edoardo, anziché rimandarla, dopo aver asperso le dita in un vaso pieno d’acqua, toccò le piaghe purulente, benedicendole con il segno di croce. Subito il sangue marcio iniziò a fuoriuscire dalla piaga, mentre il gonfiore diminuiva, fino a scomparire del tutto in capo ad una settimana . Questo episodio, attestato da un’antichissima tradizione, è non a torto considerato come il primo esempio inglese del rito di guarigione delle scrofole. Shakespeare, cinque secoli più tardi, in una scena del Macbeth, si riferiva a quell’antica e unanime credenza quando metteva in bocca ad un personaggio della tragedia questi versi: “Della gente afflitta da strane malattie, tutta gonfia ed ulcerosa, che fa pietà a vederla, vera disperazione della medicina, egli [Re Edoardo] la guarisce, appendendo al loro collo una medaglia d’oro, con sante preghiere; e si dice che ai re suoi successori trasmetterà questa benedetta virtù guaritrice”. In conclusione si può affermare che Enrico II Plantageneto (1154-1187) era solito eseguire pubblicamente la cerimonia guaritrice. Nulla esclude, tuttavia, che la meravigliosa prerogativa rimontasse a S. Edoardo il Confessore, un centinaio d’anni prima, sovrano che un’opinione universalmente accettata, indicava come l’autentico progenitore della potenza taumaturgica dei suoi successori inglesi.
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Edoardo II d'Inghilterra. |
Anche la monarchia inglese si gloriò di possedere un unguento dall’origine miracolosa. La prima notizia certa di tale prodigioso olio, si ha nel 1318, sotto il regno di Edoardo II (1307-1327). Il domenicano frate Nicholas Stratton, già Padre provinciale d’Inghilterra e penitenziere della Diocesi di Winchester, si presentò, per conto del sovrano, dinanzi a Papa Giovanni XXII (1316-1334) per narrarli un singolare episodio e sottoporgli un quesito che stava a cuore del suo Re. Ai tempi di Enrico II Plantageneto (1154-1189) il celebre S. Thomas Becket, Arcivescovo di Canterbury e Primate d’Inghilterra, esiliato in Francia, ebbe una visione. Gli apparve la Santa Vergine per predirgli la morte vicina. Inoltre la Madonna diede al santo Vescovo alcune profezie sul futuro dell’Inghilterra, e prima di scomparire, affidò al prelato un’ampolla contenente dell’Olio, che sarebbe stato impiegato in futuro per le consacrazioni reali. Dopo varie vicissitudini, l’ampolla giunse a Londra nel 1307, portata dal Duca Giovanni II di Brabante in occasione dell’incoronazione di Edoardo II . Il duca, che era sposo di una sorella del monarca, consigliò vivamente il sovra- no ad impiegare quell’olio per la sua unzione, ma Edoardo si rifiutò, non intendendo prudentemente interrompere le usanze seguite fino ad allora. Poi sul regno s’abbatterono una serie di sciagure.
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Enrico IV di Lancaster . |
Non era forse – domandava angosciato il sovrano, per bocca del frate domenicano – per aver disprezzato quel santo olio consegnato dalla Ma- donna a San Tommaso di Canterbury? Poteva il Re essere nuovamente consacrato senza commettere peccato? Giovanni XXII rispose il 4 giugno con una missiva, che sottolineava, conforme alla dottrina tradizionale, che, non essendo il rito dell’unzione dei Re un sacramento, ma piuttosto un sacramentale, e non imprimendo quindi il ‘carattere’, poteva essere ripetuto senza sacrilegio . È ignoto se Edoardo II si sia fatto ungere nuovamente. Il miracoloso olio, però, donato dalla Vergine a San Tommaso Cantuariense, fu impiegato il 13 ottobre 1399 per la consacrazione di Enrico IV di Lancaster (1399-1413). Dopo d’allora il singolare unguento venne sempre utilizzato nella cerimonia d’incoronazione dei Re inglesi, anche quando l’eresia protestante prese piede in Inghilterra. Il primo Re che, se non rifiutò d’essere unto, rifiutò di ricevere l’unzione con l’olio miracoloso, fu il calvinista Giacomo I Stuart (1603-1625). Quell’olio era troppo legato alla devozione ‘papista’ della Madonna e al culto dei santi per trovare l’approvazione dell’eretico monarca .
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Filippo IV di Francia. |
Ben presto il tocco guaritore dei regnanti di Francia ed Inghilterra assurse a tale notorietà che divenne un luogo comune dell’opinione pubblica europea colta e meno colta. Nessuno in quelle epoche di fede si stupiva che Dio potesse legare alla funzione sacra del Re un potere straordinario. I medici indicavano nei loro trattati il tocco reale come efficace rimedio contro quella particolare patologia. Così il Compendium medicinae, un manuale della prima metà del secolo XIII, attribuito a Gilberto Anglico, nel libro III, al capitolo dedicato alle scrofole, recita testualmente: Et vocantur scropholae … et etiam morbus regius quia reges hunc morbum curant [E si chiamano scrofole … ed anche malattia reale, in quanto i re curano tale morbo]. Nel secolo successivo, Enrico di Mondeville, chirurgo di corte di Filippo IV di Francia (1286-1314) scriveva: “Come il nostro Salvatore, il Signor Gesù Cristo, esercitando con le sue mani la chirurgia volle onorare i chirurghi, così e nello stesso modo il nostro serenissimo sovrano il Re di Francia fa loro onore, a essi e alla loro categoria, guarendo le scrofole con il semplice tocco” .
Molto più semplicemente, in altri celebri compendi di medicina della medesima epoca, come il Lis de la medicine di Bernard di Gourdon, si può leggere, a proposito dei rimedi contro l’adenite tubercolare, questo singolare consiglio: “In ultimo bisogna fare ricorso al chirurgo, o se no, andiamo dai Re”. Quest’altro suggerimento, invece, si trova, nella Praxis medica di Giovanni di Geddesden: “Se i rimedi sono inefficaci, il malato vada dal Re, e si faccia toccare e benedire…”. La vera misura, tuttavia, dell’immenso successo del tocco sovrano, si rileva meglio dal costante e impressionante afflusso di ammalati alle corti di Francia ed Inghilterra. Ben presto, sia lungo la Senna che a Londra, invalse l’uso di accompagnare il tocco con la consegna di una simbolica somma di danaro a mo’ di elemosina. L’epoca medioevale, infatti, considerò sempre tra i compiti più nobili ed impor- tanti del monarca quello di gran elemosiniere a vantaggio dei bisognosi. Accadde così sovente che i funzionari regi annotassero nei Libri dei Conti, indicandone con precisione le voci, i versamenti di elemosine a vantaggio degli ammalati di scrofole, molti dei quali erano povera gente. Queste importanti, anche se parziali, testimonianze, fanno fede, tanto del nu- mero altissimo dei tocchi regi, quanto del diffondersi, ben oltre i confini di quei regni, della popolarità dei sovrani taumaturghi.
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Edoardo I d'Inghilterra. |
Così, per quanto concerne l’Inghilterra, su cui siamo meglio informati, i libri mastri di corte durante i regni in sequenza di Edoardo I (1272-1307), Edoardo II (1307-1327) ed Edoardo III (1327-1377), che abbracciano un periodo di poco superiore al secolo (1272-1377) sono la prova più eloquente della costante attività medica dei Re inglesi. Le cifre, come osserva Marc Bloch, “nel loro insieme, sono imponenti”. Edoardo I , che regnò dal 1272 al 1307, nel quinto anno di regno (20 novembre 1276-19 novembre 1277) ‘toccò’ 627 ammalati; nel dodicesimo (20 novembre 1283-19 novembre 1284) ricorsero alla cure reali in 197 scrofolosi; 519 invece durante il diciassettesimo anno (20 novembre 1288-19 novembre 1289); si sale a 1736 nel diciottesimo (20 novembre 1289-19 novembre 1290); il venticinquesimo ne vide accorrere 725; 983 il ventottesimo anno; mentre furono 1219 i toccati da Edoardo I nell’anno trentasettesimo di regno (20 novembre 1303-19 novembre 1304). Per Edoardo II (1307-1327) nei quattro mesi che vanno dal 27 luglio al 30 novembre del 1316 sono 93 gli scrofolosi che ricorsero al suo tocco; tra il 20 marzo e il 7 luglio 1320 invece se ne presentarono 214; mentre nel suo quattordicesimo anno di regno (8 luglio 1320-7 luglio 1321) sono registrati 79 ammalati benedetti dal sovrano.
I funzionari di Edoardo III (1327-1377) registrarono, per il decimo anno di regno (10 luglio 1337-9 luglio 1338) 136 scrofolosi; mentre nei mesi tra il 12 luglio 1338 e il 28 maggio 1340, i toccati furono 88578. I libri contabili della corte francese, al contrario, non offrono alcun dato numerico. Tuttavia, grazie alla meticolosa precisione di Renaud de Roye, un funzionario di corte di Filippo IV il Bello (1285-1314), che annotò le spese di palazzo tra il 18 gennaio e il 28 giugno 1307 e dal 1° luglio al 30 dicembre 1308, indicando nome e luogo di provenienza dell’infermo cui veniva elargita l’elemosina, ci si offre un vivace spaccato della varia umanità che, in quei primi anni del secolo XIV, si accalcava, speranzosa di guarigione, presso le residenze dei principi medici. Tutte le condizioni sociali sono rappresentate. Così, il 12 maggio 1307, si presentò al Re per essere toccata la nobildonna Jeanne de la Tour (“patiens morbum regium”, affetta dal mal reale) . Anche i religiosi non disdegnavano far ricorso al potere guaritore del sovrano. Il libro mastro, infatti, segnala la presenza a corte di un frate agostiniano, di due francescani e di un cordigliero . Gli afflitti dal morbo regio sono disposti ad affrontare un lungo e pericoloso cammino, pur di potersi accostare alla mano taumaturgica dei Re. Lasciano allora le zone montane del Massiccio Centrale, o le foreste bretoni per accostarsi alla mano guaritrice del monarca. Un uomo chiamato Guilhem, originario della regione pirenaica della Bigorre, si presentò al sovrano francese mentre soggiornava a Nemours. Era il 13 dicembre 1307. Nonostante la stagione inclemente, quel pellegrino si era impegnato in un faticoso viaggio, che gli aveva fatto attraversare quasi tutta la Francia . Non sono soltanto i francesi, come la francescana, suor Agnese, di Bordeaux (allora feudo soggetto al re d’Inghilterra), o Gilette, castellana di Montreuil, o Margherita di Hans, a voler approfittare del rimedio reale. I libri contabili infatti segnalano infermi provenienti dalla Lorena, allora terra imperiale, dalla Savoia, dalla Svizzera . Tra il 1307 e il 1308 arrivano a corte anche sedici italiani, tra i quali dei milanesi, alcuni emiliani di Parma e Piacenza, un Johannes de Verona , quattro veneziani, un toscano, degli scrofolosi romagnoli, una donna urbinate e un frate agostiniano di Perugia, frater Gregorius de Gando prope Perusium, ordinis Sancti Augustini paciens morbum regium [il frate Gregorio di Gando, nei pressi di Perugia, dell’ordine di Sant’Agostino, ammalato di scrofole] .
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Edoardo III d'Inghilterra. |
Non senza orgoglio, Thomas Bradwardine, già cappellano di Re Edoardo III , poi Arcivescovo di Canterbury († 1349) in un suo trattato teologico del 1344, De causa Dei contra Pelagium et de virtute causarum ad suos Mertonenses libri tres, poteva esclamare: “Chi nega i miracoli del Cristianesimo, venga a vedere con i suoi occhi, anche ai nostri giorni sui luoghi dei santi i miracoli che vi avvengono. Venga in Inghilterra dal Sovrano attualmente regnante, conduca con sé un cristiano affetto dal mal reale, per quanto inveterato, profondo e deturpante, e fatta da quello orazione, imposta la mano e impartita la benedizione col segno della croce, lo curerà nel nome di Cristo. Ciò compie di continuo, spessissimo nei confronti di uomini e donne immondissimi, che si accostano a lui in massa, dall’Inghilterra, dalla Germania e dalla Francia. Cose attestate dai fatti che ogni giorno accadono, da coloro che guarirono, da chi era presente e vide coi suoi occhi, dalla opinione delle nazioni… tutti i Re Cristiani d’Inghilterra e di Francia son soliti compiere tali miracoli, come attestano concordemente le antiche cronache e la fama di quei regni, per cui tal malattia venne chiamata male del re” .
Prima di seguire le vicende storiche del tocco regio in epoca moderna, è conveniente dire qualcosa sul rito guaritore che, da forme semplici ed elementari, venne man mano arricchendosi. Nel celebre testo dell’abate di Nogent, ricordato quale documento più antico ove si menziona, in terra di Francia, la prassi taumaturgica dei Re, abbiamo ancora la più antica testimonianza della modalità cerimoniale del tocco guaritore: “Ho veduto con i miei occhi - scriveva infatti il prelato - dei malati sofferenti di scrofole nel collo ed in altre parti del corpo, accorrere in gran folla per farsi toccare da lui, al quale tocco aggiungeva un segno di croce”. Ed ancora: “Avvicinandosi con la mano serena faceva umilmente su di essi il segno della croce” . Elemento essenziale quindi del rito di guarigione è il contatto della mano destra nuda del monarca sulla piaga infetta dell’ammalato: “…poi con la mano destra tocca i malati” . Senza questo contatto o ‘tocco’ la guarigione o l’avvio alla guarigione della patologia non è possibile. La mano del Re è una delle parti del suo corpo consacrata e unta dal Sacro Crisma al momento della Consacrazione. Il monarca, infatti, ordinariamente preferisce toccare la prima volta gli scrofolosi dopo la sua solenne consacrazione, perché è soltanto per essa che un principe ere- de al trono prende di fatto, dopo la morte del titolare, pieno possesso della Corona. Come si è più volte ripetuto, il Principe è alter Christus, vicario di Gesù Cristo nell’esercizio dell’autorità temporale.
Non sorprende allora che i sovrani, anche nell’azione vicaria particolarmente prestigiosa di guaritori, abbiamo imitato assai da vicino nei gesti, la prassi taumaturgica del Divin Maestro, come si legge nei Vangeli: “Entrato poi Gesù nella casa di Pietro, né trovò la suocera a letto con la febbre. Le toccò la mano e la febbre la lasciò, cosicché ella si alzò e si pose a servirlo” (S. Matteo, VIII, 14-15); “Tramontato il sole, tutti quelli che avevano infermi, affetti da varie malattie, li conducevano a lui ed egli, imposte a ciascuno le mani, li risanava” (S. Luca, IV, 40); “Gli si accostò un lebbroso che, prostratosi innanzi a Lui, gli disse: Signore, se vuoi, puoi mondarmi. Gesù, stesa la mano, lo toccò dicendo: Lo voglio, sii mondato. E sull’istante fu mondato dalla lebbra”. La somiglianza col rito regale è evidente. Nel cerimoniale tuttavia, fin dagli ini- zi, si aggiunse al semplice contatto della mano, un secondo importante gesto simboli- co: il segno della croce. Questo doveva essere impartito a mo’ di benedizione, tracciandolo cioè semplicemente nell’aria all’indirizzo dell’infermo poco prima toccato, oppure contemporaneamente al tocco, nel senso che il monarca toccava la piaga facendo il segno della croce. Per questo talvolta i testi medioevali che riportavano il rito di guarigione usa- vano designare i malati toccati dal Re col termine di ‘segnati’: XVII egrotis signatis per regem [17 ammalati segnati dal Re], recita una nota inglese del 27 maggio 1378. Così infatti lo intendeva, Thomas Bradwardine, arcivescovo di Canterbury: “…benedictione, sub segno crucis data” [con la benedizione impartita col segno di croce]. Il significato del tocco col segno di croce è molto chiaro. Non è il sovrano il primo autore del miracolo, ma svolge solo un’azione vicaria, essendo il semplice canale o strumento della grazia celeste, che opera per il tramite del principe consacrato. Questo carattere strumentale e mediato del potere taumaturgico dei Re, è an- cora evidenziato nel terzo elemento che accompagna e segue il tocco: le preghiere a Dio.
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Carlo VII di Francia. |
Stefano di Conty, un monaco di Corbie, scrive durante il regno di Carlo VII di Francia (1380-1422) un trattatello sulla monarchia francese, ove ricorda che il Re, prima d’accostarsi ai malati, si soffermava un poco in preghiera93. Anche l’inglese Bradwardine allude ad una simile consuetudine quando, nell’o- pera più volte citata del 1344, rammenta che il monarca, soleva precedere il rito tau- maturgico con la recita di alcune preghiere: orazione fusa [dopo aver pregato]94. Questo corollario di preghiere, che introduceva e concludeva il rito del tocco, si sviluppò in Inghilterra, in un vero e proprio servizio liturgico, di cui il sovrano, coadiuvato dal suo cappellano, era il principale officiante. Le prime testimonianza di esso sono da ascriversi al regno di Enrico VIII . I principi inglesi, però, nel momento cruciale del contatto della mano nuda con la parte lesa dalla malattia, non pronunciarono mai alcuna orazione particolare, che poi si sia fissata in una formula entrata nell’uso. Tale formula, invece, non mancava nella versione francese del rito. Goffredo di Beaulieu, narrando di S. Luigi IX di Francia (1226-1270) ricorda come, nel- l’atto d’eseguire la cerimonia curativa fosse solito pronunziare delle formule devozionali particolari, che lo storico francese, senza menzionarle, definisce: “adatte alla cir- costanza, e sanzionate dall'uso, d'altro canto perfettamente sante e cattoliche”. Quelle medesime formule, che, stando a Ivo di Saint-Denis, Filippo IV il Bello, il 26 novembre 1314, si sforzava d’insegnare sul letto di morte, al figlio primogenito e suo erede: “Chiamato a sè segretamente il figlio primogenito, alla presenza cioè del solo confessore, lo istruì sul modo di toccare i malati, dicendogli le sante e devote preghiere che egli era solito pronunciare nel toccare gli infermi. Del pari lo ammonì che doveva esercitare il tocco degli infermi con grande reverenza, santità e purezza e con le mani monde dal pecca- to”. A partire dal XVI secolo, sempre in Francia, le preghiere che venivano pronunciate al momento del tocco, si fissarono in una formula, che rimase in vigore fino alla cessazione del rito. Il sovrano infatti prese a pronunciare al momento del contatto: ll Re ti tocca. Dio ti guarisce. Questa breve e suggestiva preghiera ricordava tanto al beneficiato, quanto al Principe, che il miracolo non derivava da un magico potere personale del Re, ma dal- la potenza di Dio, di cui il sovrano era semplice strumento. La pietà popolare, almeno in Francia, durante i secoli del Medioevo, vide la medesima facoltà terapeutica anche in un elemento del tutto marginale e accessorio del rito del tocco. L’acqua, infatti, con cui il sovrano, secondo un’elementare regola d’igiene, si detergeva la mano che aveva toccato le piaghe purulente degli scrofolosi, venne ben presto considerata come un rimedio altrettanto efficace del tocco stesso. Testimonia Stefano di Conty: “Dopo detta santa unzione e coronazione dei Re di Francia, tutti i predetti Re durante la loro vita compirono molti miracoli, sanando completamente da una malattia velenosa, turpe e immonda, che in francese chiamiamo scrofole. Il modo di guarire è il seguente: dopo che il re ha ascoltato la messa, gli portano un vaso pieno d’acqua, poi fa la sua preghiera davanti all’altare, poi con la mano destra tocca gli infermi, e si lava con la detta acqua. I malati in vero che prendono tale acqua e la bevono per nove giorni a digiuno con devozione senza altra medicina sono sanati completamente. Così stanno le cose realmente, sicché numerosissimi ammalati di scrofole furono sanati da molti re di Francia” . Come si è accennato, il Sovrano non intraprendeva mai il rito di guarigione prima d’essere legittimamente e debitamente consacrato. Il giorno stesso della consacrazione e unzione del Re, infatti, o poco dopo, segnava l’inizio, anzi l’obbligo della cerimonia del tocco. Dopo allora, ogni giorno ed ogni occasione erano buoni. Soprattutto in epoca medioevale, quando i sovrani erano soliti percorrere in lungo e in largo i loro territori, accompagnati da un seguito poco numeroso, non era inusuale vedere frotte di ammalati di ogni condizione, ma più spesso poveri, accalcarsi presso le provvisorie sedi ove il monarca soggiornava, pretendendo che tenesse fede al suo dovere guaritore.
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Luigi IX di Francia. |
Le cifre, sopra menzionate, relative al tocco di alcuni Re inglesi del XIV secolo, dimostrano con tutta evidenza che i sovrani non si sottrassero ad un dovere, certa- mente prestigioso, ma anche assai faticoso. Con il trapasso dalla monarchia feudale a quella moderna, quando i re divenne- ro sedentari e l’apparato burocratico si fece più robusto, il rito delle scrofole si adattò alla nuova situazione. Se ai tempi di Luigi VI , nel secolo XII, come ricorda Gilberto di Nogent, non infrequentemente gli ammalati si accalcavano tumultuosi attorno al sovrano per esserne ‘toccati’, già S. Luigi IX , in quello successivo, sebbene gli scrofolosi potessero accedere al tocco ogni giorno, riservava alla cerimonia medicinale un momento preciso della giornata, cioè al mattino, subito dopo la prima messa. Gli scrofolosi che, per vari accidenti, non fossero riusciti a ricevere il tocco, erano ospitati, con vitto e alloggio, dal sovrano fino al mattino seguente . Tale situazione rimase stabile fino al XV secolo, quando Luigi XI (1461- 1483) decise di ricevere gli infermi un solo giorno della settimana100. Inoltre i pazienti erano sottoposti ad una visita medica preventiva che accertasse la presenza della malattia . In Inghilterra, ai tempi di Enrico VII (1485-1509), non risulta essere stato dedicato un giorno particolare per il tocco.
S. Marcolfo, abate del monastero di Nant, probabilmente l’attuale cittadina di S. Marcouf, nella diocesi di Coutances, nel nord-ovest francese, visse in epoca mero- vingia, attorno al 540. Il convento divenne il luogo d’irradiazione del suo culto, fin quando non vennè dato alla fiamme e distrutto nel corso di una scorreria normanna. I monaci dovettero abbandonare in tutta fretta l’abbazia trasportando con sé le reliquie, e, dopo varie traversie, grazie all’intervento di Carlo il Semplice (898-922) i religiosi trovarono rifugio a Corbeny, in una tenuta che il sovrano aveva loro donato, non distante da Reims, là dove tradizionalmente i Re di Francia venivano unti e incoronati.
Nel 906 iniziò la costruzione di un monastero, ove custodire le sante ossa di S. Marcolfo. Così il convento divenne il centro di diffusione più importante del suo culto e tale rimase anche per l’avvenire. In un sermone databile tra il XII e il XIII secolo, compare la prima testimo- nianza scritta che associa il pio abate merovingio alla guarigione miracolosa delle scrofole: “Questo santo ha ricevuto dal Cielo una tale grazia per la guarigione della malattia che vien chiamata male reale, che si vede accorrere a lui una folla d’infermi pro- venienti tanto da paesi lontani e barbari quanto da nazioni vicine”. Anzi S. Marcolfo divenne presto il patrono degli scrofolosi, tanto da attirare l'attenzione dei sovrani taumaturghi. Così i Re di Francia, a partire dal secolo XIV, forse anche prima, iniziarono a far visita alla tomba del Santo a Corbeny, subito dopo la consacrazione a Reims, per invocarne la potente intercessione, nel momento stesso in cui si accingevano per la prima volta al miracolo reale.
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Luigi X di Francia. |
Pare che già Luigi X (1314-1316) nel 1315, di ritorno da Reims a Parigi dopo la sua consacrazione, abbia sostato presso l’abbazia per onorare il santo. Certamente con Giovanni II il Buono (1350- 1364) le sporadiche iniziative dei sovrani precedenti si fissarono in una vera tradizione, che durò ininterrotta fino al tempo di Luigi XIV (1643-1715)105. Il monarca, infatti, il giorno successivo all’Incoronazione di Reims, si recava in pio pellegrinaggio al monastero di Corbeny. Si formò così un vero e proprio cerimonia- le. Il priore del convento, accompagnato dagli altri monaci, s’avviava in processione verso l’eccezionale visitatore, portando la reliquia della testa di S. Marcolfo. Quando i due cortei s’incontravano, l’abate la consegnava al Re, deponendola nelle “sacre mani” del sovrano, perché la portasse, e così toccasse con le mani consacrate i venerandi resti del santo guaritore, di cui, dopo poco, il sovrano avrebbe imitato la prodigiosa efficacia. Il principe proseguiva fino alla chiesa, e sulla tomba del suo potente intercessore, s’effondeva in preghiera. Luigi XIV , nel 1654, innovò quell’antico rituale. Il principe, una volta incoro- nato, non si mosse da Reims, a causa della turbolenza situazione nel paese, ma attese che i religiosi di Corbeny vi conducessero processionalmente il reliquiario di S. Marcolfo. Il monarca poteva quindi assolvere al suo debito di riconoscenza verso il santo taumaturgo senza doversi trasferire al convento. L’esempio di Luigi XIV , fu imitato dai suoi successori Luigi XV (1715- 1774) e Luigi XVI (1774-1793), rispettivamente nel 1722 e nel 1775, quando furono incoronati. La pia pratica delle visite alla tomba di San Marcolfo, finché rimase in vigore, rivestì tale importanza che i sovrani si rifiutarono di procedere al miracolo reale, prima d’averla compiuta.
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Luigi XI di Francia. |
Accadde così che i sovrani toccassero i loro primi malati, proprio nei chiostri dell'abbazia. Appena terminate le devozioni, infatti, il monarca era solito toccare gli infermi. Così Carlo VIII (1483-1498) nel 1484 vide accorrere sei ammalati al suo padiglione per essere toccati. Quando vi giunse Luigi XI (1461-1483) nel 1498 erano già ventiquattro. Nel secolo successivo, quando fu la volta di Enrico II (1547-1559) vi erano presenti anche alcuni stranieri. Ben presto il numero di coloro che volevano adire al medico coronato salì a centinaia, ed anche migliaia. Nel XVII secolo Luigi XIII (1610-1643) ne trovò nove- cento in attesa del tocco regio109. L’idea, in terra francese che il potere guaritore dei Re fosse legato all’intercessione del santo monaco merovingio, si fece strada. Spesso i risanati si conducevano a Corbeny in pio pellegrinaggio in ringraziamento per l’avvenuta guarigione. Anche quando il miracolo era ottenuto soltanto col tocco regale, i fedeli si sentivano, infatti, in dovere di ringraziare San Marcolfo, compiendo novene in suo onore, o portandovi degli ex voto. Così attesta, per esempio, un certificato di guarigione redatto il 25 marzo 1669 da due medici d’Auray per uno scrofoloso, che si era trovato risanato “al ritorno dall’essere stato toccato da Sua Maestà Cristianissima e da un pellegrinaggio a San Marcolfo”.
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Edoardo II d'Inghilterra. |
Lasciamo per un attimo la Francia e i suoi re guaritori, e torniamo Oltremanica, presso la corte sulle rive del Tamigi. L’epoca medioevale vide nascere in Inghilterra una seconda prerogativa medicinale da parte dei principi regnanti: i crampsrings, gli anelli miracolosi contro l’epilessia. Il più antico documento attestante tale prassi rimonta al 1323, durante il regno di Edoardo II (1307-1327). Si tratta di un’ordinanza emessa dal sovrano con cui viene ufficialmente regolata la cerimonia dei cramps-rings che, al pari del tocco delle scrofole, era divenuta una delle funzioni ordinarie della dignità reale inglese . Il rito dovette essere antecedente. Tuttavia la sua origine è avvolta nel mistero. Da allora, per oltre due secoli, i monarchi britannici s’applicarono a benedire gli anelli miracolosi contro l’epilessia. Addentriamoci nella descrizione della suggestiva cerimonia. Il Re, il Venerdì Santo, giorno commemorativo della Passione di Cristo, era solito svolgere, come ogni altro fedele, il rito dell’Adorazione della Croce. In particolare, il monarca inglese, secondo un cerimoniale fissatosi nel tempo, dopo aver collocato nella cappella del palazzo reale, la Croce di Gneyth, che, conquistata da Re Edoardo I (1272-1307) ai Gallesi, conteneva una reliquia miracolosa del legno della Santa Croce, si prosternava a terra e procedeva strisciando in quella posizione fin a giungere a baciare la Croce . A partire sicuramente dal regno di Edoardo II (1307-1327), ma certamente anche prima, il sovrano deponeva sull’altare, toccandole con le mani nude, una certa quantità di monete d’oro e d’argento, poi le riscattava sostituendole con un equi- valente importo. Con le monete ‘riscattate’ e da lui ‘toccate’ erano in seguito fabbri- cati degli anelli medicinali: “da donare come medicina a varie persone”, come recita la sopra citata ordinanza . Tali anelli erano indicati per la cura dell’epilessia e degli spasmi muscolari in genere, come indica il vocabolo inglese crampsrings, anelli contro i crampi. Questa ce- rimonia il monarca la compiva una sola volta l’anno, il Venerdì Santo. Il libro dei Conti di Palazzo danno un quadro abbastanza preciso del rito degli anelli. Edoardo III (1327-1377) li consacrò il Venerdì Santo 14 aprile 1335, 29 marzo 1336, 18 aprile 1337, 10 aprile 1338, 26 marzo 1339, 14 aprile 1340, 30 marzo 1369, 12 aprile 1370. Così riporta, per esempio, la nota di spesa del 14 aprile 1335: “Offerte del Signor Re alla Croce di Gneyth, il Venerdì Santo, nella Sua cappella nel castello di Clipstone, per un importo di due fiorini fiorentini, il 14 aprile per sei scellini e otto denari, riscattati, per fare gli anelli, con una medesima somma, pari a sei scellini; in tutto 12 scellini e 8 denari ”. Riccardo II (1377-1399) li benedisse sicuramente il 4 aprile 1393 e il 31 marzo 1396.
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Enrico V d'Inghilterra. |
Enrico IV di Lancaster (1399-1413) il 25 marzo 1407; suo figlio e successore Enrico V (1413-1422) il Venerdì Santo 21 aprile 1413: “Offerte del Signor Re fatte adorando la Croce, il Venerdì Santo, nella chiesa dei frati di Langley, ossia tre nobili d’oro, e cinque soldi d’argento, pari a scellini 25; più l’offerta al decano della Cappella di pari importo per riscattare il denaro prima offerto e fare degli anelli medicinali. Importo: 25 scellini”. Una pia tradizione riferiva tale prodigiosa e soprannaturale virtù degli anelli medicinali, come già per il tocco dello scrofole, al santo Re Edoardo I il Confessore (1042-1060). Si raccontava infatti di come il monarca avesse fatto dono ad un povero, in mancanza d’altro, del suo anello. Sotto i miseri cenci del mendicante la tradizione narrava celarsi San Giovanni Evangelista. In seguito due pellegrini inglesi in Terrasanta s’imbatterono nel medesimo vegliardo che restituì loro l’anello, pregandoli di riportarlo ad Edoardo coll’annuncio che fra poco l’avrebbe scortato in Paradiso . L’anello fu custodito nell’abbazia di Westminster, ove pure era sepolto il santo Re, e ben presto divenne celebre per il suo miracoloso potere di guarire l’epilessia Si comprende pure la connessione tra gli anelli medicinali, consacrati dal Sovrano nel giorno che commemorava la Passione e Morte di Cristo, in cui si svolgeva il rito dell’Adorazione della Croce, con la potenza esorcistica che emanava dalla Croce stessa, e l’epilessia, di cui i Vangeli menzionavano gli effetti con riferimento esplicito all’intervento del demonio. Si rammenti, ad esempio, il celebre episodio narrato in San Matteo dell’epilettico che gli Apostoli non riescono a guarire. “Demoni siffatti non si scacciano se non con la preghiera e col digiuno”, dice loro il Divin Maestro, dopo aver scacciato il maligno dal fanciullo. Sir John Fortescue, partigiano dei Lancaster e noto giurista, in un opera di di- ritto composta tra il 1461 e il 1463, nel pieno della guerra delle Due Rose, riportava l’opinione comune circa la miracolosa prerogativa dei monarchi inglesi di guarire l’epilessia: “Anche l’oro e l’argento devotamente toccati, secondo la costumanza annuale, dalle mani consacrate, dalle mani unte dei re d’Inghilterra, il giorno del Venerdì Santo, e offerti da essi, guariscono gli spasmi e l’epilessia; il potere degli anelli fatti con quell’oro e quell’argento e messi alle dita degli ammalati è stato sperimentato da un uso frequente in gran parte del mondo”. All’epoca di Fortescue il rito si era semplificato. Gli anelli guaritori era già preparati in precedenza. Poi la cerimonia procedeva come per il passato. Il principe, dopo aver ricevuto in un bacile d’oro dal dignitario presente di grado più levato, gli anelli, li toccava, li deponeva quindi sull’altare ove era la Croce; infine li ‘riscattava’ corrispondendo una somma fissata dalla tradizione in 25 scellini per la cappella reale.
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Maria I d'Inghilterra. |
Maria la Cattolica, figlia di Enrico VIII , che regnò dal 1553 al 1558, fu l’ultimo sovrano inglese a compiere il rito degli anelli contro l’epilessia. Dopo di lei, infatti, i suoi successori protestanti si rifiutarono di compiere la cerimonia, evidente- mente giudicata troppo ‘cattolica’. Il Messale della Regina contemplava anche la liturgia del Venerdì Santo colla funzione degli anelli medicinali. Il sovrano, terminata l’adorazione della Croce, si poneva ai piedi dell’altare, con a fianco il bacile d’oro contenente gli anelli medicinali da benedire. Recitava, quindi, una prima preghiera: “O Dio onnipotente ed eterno che […] hai voluto che coloro che tu elevasti al fastigio della dignità regale, ornati delle grazie più insigni, fossero organi e canali dei tuoi doni, di modo che come essi regnano e governano grazie a te, così per tuo volere giovano agli altri uomini e trasmettono al popolo i tuoi benefici […]”. Quindi il principe doveva pronunciare un’altra preghiera e due formule di be- nedizioni sugli anelli, ove, accanto alla virtù medica dei monili, appare anche la loro qualità esorcistica contro gli influssi diabolici:
“Dio, degnati di benedire e santificare questi anelli […], affinché tutti coloro che li porteranno siano immuni dalle insidie di Satana […], siano preservati dalla contrazione dei nervi e dai pericoli dell’epilessia”. Dopo la recita di un salmo e di un’altra orazione, la cerimonia giunge al suo momento centrale: il re prende gli anelli guaritori e li strofina ad uno ad uno nelle sue mani, pronunciando nel contempo questa prece: “O Signore, santifica questi anelli, e irrorali benigno con la rugiada della tua bene- dizione, e consacrali con il fregamento delle nostre mani, che tu ti sei degnato santificare, secondo l’ordine del nostro ministero, con la sacra unzione esterna dell’olio, così che tutto ciò che la natura del metallo non potrebbe fare, sia compiuto con la grandezza della tua grazia… A questo punto, dopo l’aspersione con l’acqua benedetta, il monarca terminava la cerimonia con il rito del riscatto, sopra più volte riferito.
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Carlo IX di Francia. |
Sul finire dell’età di mezzo, su entrambe le rive della Manica, la popolarità del miracolo regio era rimasta immensa. Per la Francia sono ancora i Libri di Conti dell’Elemosina reale, che permettono di valutare la frequenza e quindi la fama del rito di guarigione. Carlo VIII (1483-1498) in un solo giorno, il 28 marzo 1498, toccò sessanta persone. Se Luigi XII (1498-1515) nel periodo dal 1° ottobre 1507 al 30 settembre 1508, si limitò a toccare 528 scrofolosi, il suo immediato successore Francesco I (1515-1547) ne guarisce 1326 durante il 1528, 988 nel 1529 e 1731 durante l'anno 1530. Carlo IX (1560-1574), suo nipote, pur regnando nel travagliato periodo delle guerre di religione, durante il solo 1569 vide accorrere alla sua reggia 2092 ammalati di scrofole . Tra i malati non francesi, che accedevano in gran numero presso il Re Cristianissimo, figuravano al primo posto gli spagnoli, la cui terra a quel tempo era particolarmente devastata dall’adenite tubercolare. Questi, quando le circostanze lo permettevano, formavano delle vere e proprie carovane di pazienti, guidate da un 'capitano'. A. Duchesse, scrivendo nel 1609, accenna al “grande numero di questi ammalati, che vengono tutti gli anni dalla Spagna per farsi toccare dal nostro pio e religioso Re. Il Capitano che li guidava nel 1602, riportò la testimonianza dei Prelati di Spagna, di un gran numero di guariti con il tocco di Sua Maestà”.
I sovrani Capetingi, inoltre, esercitarono talvolta il tocco taumaturgico fuori dal Regno. Già Carlo VIII (1483-1498), durante la spedizione in Italia del 1494, aveva dato un saggio del suo potere guaritore: a Roma, il 20 gennaio 1495, presso la cappella di Santa Petronilla, mezzo migliaio di affetti da scrofole avevano beneficiato del suo tocco, suscitando l’ammirazione della città eterna. Lo stesso si era verificato a Napoli il 19 aprile 1495129. Luigi XII (1498-1515) eseguì il tocco a Pavia il 19 agosto 1502 ed a Genova il 1° settembre dello stesso anno . Francesco I (1515-1547) a Bologna, ospite di Papa Leone X, compì la cerimonia taumaturgica il 15 dicembre 1515, dopo averne dato pubblico annuncio, in una cappella del palazzo apostolico. Tra i numerosi infermi, che accorsero a farsi toccare dal medico reale, era presente anche un vescovo polacco.
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Francesco I di Francia. |
L’evento fu immortalato in un affresco eseguito alla metà del XVII secolo da Carlo Cignoni ed Emilio Taruffi su commissione del Cardinal Girolamo Farnese, legato pontificio a Bologna, e che è tuttora visibile nella Sala Farnese del Palazzo Comunale . Su un cartiglio si legge: “Francesco I Re di Francia guarisce a Bologna numero- si ammalati di scrofole”. Ancora Francesco I , sconfitto e prigioniero dell’Imperatore Carlo V dopo la battaglia di Pavia (1525), continuò in terra spagnola, prima a Barcellona, poi a Va- lenza, ove era stato imprigionato nel giugno di quell’anno, ad esercitare la sua prerogativa taumaturgica, e, benché nemico giurato del signore di quel regno, vide accorre- re a sé numerosissimi spagnoli, “un così gran numero di malati di scrofole – riferiva De Selve, Presidente del Parlamento di Parigi – con grande speranza di guarigione quale, in Francia, non vi fu mai in sì grande calca”. Situazione immortalata da un celebre distico del poeta Lascaris: “Dunque, il re accostando la sua mano guarisce le scrofole – benché prigioniero, egli è, come per il passato, gradito ai celesti”. In questi primi decenni del ‘500, s’assiste al passaggio dall’amministrazione del tocco a cadenze irregolari all’introduzione, sotto Francesco I , di giorni determinati in cui il sovrano s’esercita nella sua prerogativa medicinale, secondo un cerimoniale più fastoso e regolare. Può tuttavia ancora accadere, come per l’addietro (ma si tratta ormai di casi isolati) che il sovrano usi del miracoloso potere occasionalmente. Così Francesco I nel gennaio 1530, mentre attraversa la Champagne, permette che ad ogni tappa del viaggio gli scrofolosi si presentino al suo cospetto . Un’altra volta, commosso dal pianto di un infermo che lo importuna, il sovrano lo tocca sul posto (aprile 1529).
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Eleonora d’Austria. |
Il Re, però, decise di dare sistematicità alla cerimonia. Così il Servizio dell’Elemosina raggruppava i malati fino al giorno stabilito per il rito, mantenendoli a spese del Sovrano. Trattandosi, tuttavia, spesso, di una corte itinerante, quel singolare corteo d’ammalati s’accodava al monarca, in attesa del giorno favorevole. Infine prevalse la modalità di far comparire gli scrofolosi in giorni prefissati. Le date che divennero ben presto canoniche per il rito guaritore coincidevano con le principali feste liturgiche: le Candelora, le Palme, Pasqua, o un giorno della Settimana Santa, Pentecoste, Ascensione, il Corpus Domini, l’Assunzione, la Natività della Vergine ed il S. Natale. Spesso il sovrano toccava i malati già dalla vigilia della festa . In via eccezionale Francesco I guarì gli scrofolosi l’8 luglio 1530, in occasione del suo matrimonio con Eleonora d’Austria . La concentrazione del tocco in alcune date comportò, da un lato, che vere e proprie folle, anche di parecchie centinaia d’infermi, si presentassero alla Corte, e, dall’altro, favorì lo sviluppo del rituale, che ora riveste un carattere imponente. Il sovrano francese assolve in primo luogo devotamente i più importanti doveri religiosi: si confessa e, in conformità ad un antico privilegio, si comunica, alla maniera dei sacerdoti, sotto entrambe le Specie. Il principe, poi, accompagnato dall'Elemosiniere di Corte, procede verso il luogo prescelto per il miracolo reale, dove i chirurghi regi hanno fatto accedere solo quei malati che presentano con certezza i sintomi del- l’adenite. Così attesta, nel suo Diario di viaggio, il nobile veneziano Girolamo Lippo- mano, che scrive nel 1577: “Prima che il Re tocchi, alcuni medici e cerusichi vanno guardando minutamente le qualità del male, e se trovano alcuna persona che sia infetta d’altro male che dalle scrofole, la scacciano”. I malati attendono pazientemente in ginocchio l’arrivo del Re-medico, il quale, prima di procedere al tocco, compie una breve liturgia dedicata a San Marcolfo . Poi, accompagnato dall’Elemosiniere e da alcuni nobili del seguito, procede al tocco, fino all’esaurirsi del numero dei sofferenti. “Essendo gl’infermi accomodati per fila … il re li va toccando d’uno in uno, riferisce sempre Lippomano nella sua relazione143. Anche il luogo ove compiere la cerimonia era prescelto, in modo da sottolineare la solennità dell’evento. Lippomano parla di “cortili regali, o qualche gran chiesa”. Così, potevano essere le volte gotiche di Nôtre-Dame di Parigi ad accogliere i pazienti, come avvenne l’8 settembre 1528, festa della Natività di Maria SS., quando Francesco I toccò 205 scrofolosi145; oppure, il 15 agosto 1527, festa dell’Assunzione, quando nell chiostro del Palazzo vescovile di Amiens, il Cardinal Wolsey potè ammirare il medesimo sovrano segnare un numero quasi uguale di pazienti . Il rito rimase immutato rispetto a quello praticato in precedenza. Il sovrano toccava con la mano nuda le piaghe, facendo poi il segno di croce. Si venne però fissando in quel tempo la formula che rimase in uso fino a Luigi XIV (1643-1715), e che il Re pronunciava su ciascun ammalato: Il Re ti tocca, e Dio ti guarisce147. Nemmeno nella Francia sconvolta dalle guerre di religione, nella seconda metà del secolo XVI, gli scrofolosi rinunciarono al rimedio regale, né i monarchi francesi, seppure, forse, con minor sollecitudine, data la pericolosità dei tempi, si sottrassero al loro dovere.
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Enrico III di Francia. |
Enrico III (1574-1589) ultimo sovrano del ramo Valois-Angouleme, pur nell’infuriare della guerra civile tra la Lega cattolica dei Duchi di Guisa e i protestan- ti calvinisti, guidati da suo cugino Enrico di Borbone, trovò modo di toccare gli scro- folosi in varie circostanze: a Poitiers il 15 agosto 1577, festa dell’Assunzione, a Char- tres almeno nel 1581, 1582 e nel 1586148. Con la conversione al cattolicesimo e l’ascesa al trono, del calvinista Enrico IV di Borbone (1594-1610), appartenente ad un ramo collaterale della dinastia cape- tingia, continuò la tradizione del tocco regio. La domenica di Pasqua del 10 aprile 1594, poco più di un mese dopo la sua con- sacrazione (27 febbraio 1594) che avvenne a Chartres, anziché a Reims, e senza l’im- piego del crisma della Santa Ampolla, toccò i malati per la prima volta a Parigi. Se ne presentarono circa 900, e così fino alla morte (1610) non rifiutò mai il rito, non solo nei giorni più solenni fissati dalla tradizione, ma anche in molte altre occasioni meno importanti. Come per i suoi predecessori, gli infermi erano migliaia: nella Pasqua del 1608, per esempio, Enrico IV toccò 1250 scrofolosi. In altra occasione salirono addirittura a 1500! Il grand siécle non fu avaro d’altrettanto strepitoso favore che i precedenti seco- li alla fama guaritrice dei principi francesi. Anzi, nell’epoca della Controriforma, il tocco reale riconfermò il proprio prestigio. Le cifre sono più eloquenti delle parole: Luigi XIII (1610-1643) tocca nel 1611 2210 scrofolosi, 3125 nel 1620. Nella Pasqua del 1613 sono ben 1070 gli ammalati che si presentano al Louvre per il miracolo regio . Il sovrano compie regolarmente la funzione nelle grandi solennità, Pasqua, Pentecoste, Natale, o Capo d’Anno, talvolta, come per il passato, alla Candelora, la Trinità, l’Assunta, Ognissanti . La cerimonia si svolge in luoghi diversi. A Parigi, di solito, nella grande galleria del Louvre, o in una sala bassa della reggia. Poiché la folla degli infermi è numerosa, il rito è faticoso per il Re fanciullo, sa- lito al trono ancora adolescente, soprattutto a causa del gran caldo: “Egli si sentiva un po’ affaticato, ma non voleva farlo apparire… Egli si sente debole”, riporta Héroard, medico personale del monarca . Ma il sovrano, a meno che non sia serimente indisposto, non si sottrare mai alla cerimonia. Anche quando la peste sconsiglia gli assembramenti per non diffondere il contagio, gli scrofolosi si presentano ugualmente a centinaia per accedere al medico rega- le: “Essi mi perseguitano molto – si lamenta il Re con un certo sarcasmo – Dicono che i Re non possono morire di peste…Pensano che io sia un Re di Carte”.
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Luigi XIV di Francia mentre
adempie al rito della Taumaturgia. |
Con Luigi XIV (1643-1715), suo figlio, nulla cambia nella sostanza, a parte l’atto di venerazione alle reliquie di San Marcolfo che - come si disse più sopra - ora erano condotte presso il Re a Reims, prima dell’inizio del tocco, senza che il principe si recasse fino al monastero che le custodiva. Il sovrano, ricorda Saint-Simon, “si comunicava sempre col collare dell’Ordine, facciole e mantello, cinque volte l’anno, il Sabato Santo nella Parrocchia, gli altri giorni nella Cappella: la vigilia di Pentecoste, il giorno dell’Assunzione, seguita da una gran messa, la vigilia di Ognissanti e la vigilia di Natale… e ogni volta toccava gli ammalati”. Se il rito si svolge nella capitale è cura del Gran Prevosto far affiggere dei mani- festi che annunziano l’evento. Uno di essi recita così:
Da parte del Re e del Signor Marchese di Souches, Prevostodell’Ostello della Maestà e Gran Prevosto di Francia. Si fa sapere ad ognuno che legge, che Domenica prossima giorno di Pasqua, Sua Maestà toccherà i Malati di Scrofole, nella Galleria del Louvre, alle ore dieci del mattino, in modo che nessuno possa scusarsi per non esserne a conoscenza, e che coloro che sono afflitti da detto male, se così gli aggrada, abbiano a trovarsì lì. Redatto a Parigi, alla presenza del Re, il 26 marzo 1657.
Firmato, De Souches.
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Luigi XIII di Francia. |
Il Re Sole nel Sabato Santo del 1666 tocca 800 scrofolosi156. Ammalato di gotta la Pasqua 1698, e quindi impossibilitato a compiere il rito, vede presentarsi a corte la Pentecoste successiva circa tremila infermi. Nella solennità della SS. Trinità, il 22 maggio 1710, vide presentarsi a Versailles si accalcano 2400 scrofolosi. Il sabato 8 giugno 1715, invece, vigilia di Pentecoste, tre mesi prima di morire († 1° settembre 1715), il sovrano toccò per l’ultima volta i malati. Gli scrofolosi, nonostante “il grandissimo calore”, s’ammassarono in circa millesettecento.
Come per il passato, i pazienti che accorrono a farsi benedire dal Re appartengono a svariate nazioni europee. Vediamo così “tanto Spagnoli, Portoghesi, Italiani, Tedeschi, Svizzeri, Fiamminghi, che Francesi”, i quali, durante il regno di Luigi XIII , a Saint-Germain-en-Laye, la Pentecoste del 1618, si schierano “lungo tutto il gran via- le e sotto il fogliame del parco” in attesa del principe medico. Gli ecclesiastici non disdegnano la cerimonia. Tre gesuiti portoghesi sono tra i malati il 15 agosto 1620, festa dell’Assunta. Gli spagnoli, comunque, sono gli stranieri più numerosi. Per questo il cerimoniale prevedeva che fossero i primi ad essere beneficiari del tocco regale.
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Enrico VI d'Inghilterra. |
Col declinare del Medioevo, durante la seconda metà del secolo XV, l’istituzione monarchica in Inghilterra entrò in una grave crisi. Una lunga guerra dinastica, infatti, la Guerra delle Due Rose, vide scontrarsi per parecchi decenni i due rami (quello di Lancaster della Rosa Rossa, e quello di York della Rosa Bianca) della casata reale anglo-normanna dei Plantageneti. I sovrani tuttavia continuarono ad offrire alle popolazioni il loro taumaturgico beneficio. A riguardo di Enrico VI di Lancaster (1422-1461; 1470- 1471) così scrive il dotto giurista Sir John Fortescue, suo sostenitore: “Al contatto delle sue mani purissime … si vedono ancor oggi i malati sofferenti del male reale, quelli stessi per i quali i medici hanno disperato, recuperare, per intervento divino, la salute tanto desiderata; attraverso di ciò l’Onnipotente viene lodato, perché dalla grazia divina deriva la grazia della salute, e i testimoni di questi fatti vengono rafforzati nella loro fedeltà al Re; l’indubitato titolo di questo monarca, con l’approvazione di Dio, viene così confermato”. Egli inoltre, come i suoi predecessori, continuò pure a benedire gli anelli contro epilessia il Venerdì Santo, dopo il rito dell’Adorazione della Croce. Così nel Libro dei conti di Palazzo alla data del 30 marzo 1442, si legge: “Offerte del Signor Re, fatte al- l’adorazione della Croce il giorno del venerdì santo, in oro e in argento, per farne anelli medicinali, 25 scellini”. Il suo rivale Edoardo IV (1471-1483) benedisse pure gli anelli il 27 marzo 1467 e il 15 aprile 1468 . I successori, Enrico VII (1485-1509) ed Enrico VIII (1509-1547) non furono da meno. La medesima fonte, il Libro dei conti di Palazzo, rammentano che il primo compì sicuramente l’antica cerimonia il 5 aprile 1493 .
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Enrico VIII d'Inghilterra. |
Enrico VIII, invece, vi si dedicò il 29 marzo 1532: “Per offerte del Signor Re fatte adorando la croce il giorno del Venerdì Santo e per il riscatto, dovendo farne anelli medicinali, oro e argento, 25 scellini” , e l’11 aprile 1533 . I regni di questi ultimi sovrani, nel corso del secolo XVI, sono poveri di notizie relativamente alla frequenza del tocco guaritore. La documentazione, invece, sullo svolgersi della cerimonia è relativamente abbondante, e permette di notare le differenze dal contemporaneo rito francese. Comune ai due riti era l’offerta da parte del monarca di un’elemosina ai sofferenti. In terra inglese questo elemento secondario as- sunse, almeno dai tempi di Enrico VII (1485-1509) una caratteristica peculiare. L’elemosina del sovrano infatti si fissò in una moneta d’oro dal peso di cinque gram- mi, che portava impressa da un lato l’effigie di San Michele Arcangelo, e dall’altro la Croce. Era detta volgarmente angel168. Il rito inglese in età moderna prevedeva prima della cerimonia vera e propria, la recita da parte del Sovrano del Confiteor, l’assoluzione impartita dal cappellano, e la lettura di due brani evangelici: il primo, tratto da San Marco, rievocava il potere taumaturgico del Redentore, il secondo era l’Incipit di quello di San Giovanni, assai in uso nelle formule di benedizione . Il Re riceveva i malati, a differenza del suo collega francese, seduto sul trono. Un ecclesiastico glieli conduceva uno ad uno. Allora il Re li toccava, passando la mano nuda sulle piaghe. Concluso il tocco vero e proprio, i malati ripassavano una seconda volta. Il Re li benediceva, sempre uno ad uno, facendo sulle piaghe il segno del- la croce, mentre teneva fra le dite la moneta d’oro, l’angel, già preparata con un foro e munita di nastro, che poi appendava al collo dello scrofoloso . Così, nella liturgia d’Oltremanica, l’elemosina divenne un elemento accessorio, ma integrante del rito. Maria I la Cattolica (1553-1558) modificò la scritta che si leggeva sull’esergo della moneta, e sostituì la frase “Per Crucem tuam salva nos Christe Redemptor” [Cristo Redentore, salvaci con la Tua Croce] con un motto che appariva più appro- priato al miracolo reale: “A Domino factum est istud, et est mirabile in oculis nostris” [Questo è stato compiuto dal Signore, ed è una cosa meravigliosa ai nostri occhi]. In questo periodo, tuttavia, il rito inglese entrò in una nuova e convulsa fase. Molti principi che lo praticarono non era più cattolici, avendo aderito agli errori dell’eresia protestante. Questa singolare situazione non poté non recare i suoi effetti an- che sulla cerimonia del tocco. Enrico VIII (1509-1547) con lo scisma, compì il primo passo verso la rot- tura completa col Cattolicesimo.
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Edoardo VI d'Inghilterra. |
Suo figlio e successore Edoardo VI (1547-1553) educato nel Calvinismo, attuò nello sventurato regno una persecutoria politica anti-cattolica, ed operò una ri- forma liturgica in tal senso, promossa da Thomas Cranmer, che previde, tra l’altro, l’abolizione nel 1549 dell’antico rito dell’Adorazione della Croce. Edoardo, tuttavia, non smise, né di consacrare gli anuli medicinales contro l’epilessia, né di toccare i ma- lati more antiquo, mantenendo persino, cosa inconcepibile per un calvinista, il segno della croce. Il lealismo monarchico era evidentemente troppo forte nel principe malaticcio per cedere su questo punto. Così egli benedisse sicuramente i cramprings l’8 aprile 1547, come attesta il già citato Libro dei conti di Palazzo: “Per le offerte fatte dal Signor Re adorando la Croce secondo un’antica usanza e cerimonia il Venerdì Santo e l’oro e l’argento per il riscatto per gli anelli medicinali da benedire, importo di 25 scellini”e, poco prima della morte, il 31 marzo 1553.
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Elisabetta I d'Inghilterra. |
Con Maria la Cattolica (1553-1558) come sappiamo da altre fonti, i riti guaritori continuarono, ma mentre il tocco avrà ancora un lungo futuro, il rito del Venerdì Santo morì con quella sovrana, poiché Elisabetta I (1558-1603) non lo eseguì mai durante il suo lungo regno. Come il fratellastro Edoardo VI , Elisabetta, pur avendo aderito all’eresia, mantenne quasi integralmente il rito del tocco nella sua veste ‘papista’, segno della croce incluso. S’accontentò - pare – di far eliminare una preghiera accessoria che accennava alla Vergine e ai Santi, e a far tradurre il rituale in lingua inglese . È conservata qualche cifra del numero di ammalati che si accostava alla sanguinaria sovrana: il 18 luglio 1575 a Kelinworth toccò nove scrofolosi, mentre il Venerdì Santo del 1597 (?) furono in 38 ad accostarsi ad Elisabetta . Alla sua morte, avvenuta nel 1603, salì sul trono inglese un principe scozzese, educato nel più puro calvinismo e lontano cugino dell’ultima Tudor, Giacomo I Stuart (1603-1625) figlio di Maria Stuarda. Egli si rifiutò, in occasione della sua solenne incoronazione, d’essere unto con l’olio donato dalla Vergine a San Tommaso Becket. Domandò poi d’essere dispensato dalla cerimonia del tocco. “E’ però anco vero – scrive un anonimo informatore al Vescovo di Camerino, nunzio in Francia, nel gennaio 1604 – che il Re dal principio della sua entrata nel Regno d’Inghilterra desiderò e domandò queste tre cose … 2° di non toccare le scrofole, non volendosi vanamente arrogare tal virtù et divinità di potere col solo tatto guarire le malattie … intorno alle quali domande fu risposto dalli consiglieri, che non poteva Sua Maestà senza suo gran pericolo e del Regno fuggir queste cose”. Il Re vi fu quindi quasi costretto dai suoi consiglieri inglesi. Nell’ottobre del 1603 compì riluttante il suo primo tocco: “Il Re s’abbia questi giorni intricato – riferisce il medesimo informatore – in quello che aveva di fare intorno a certa usanza antica dei Re d’Inghilterra di sanare gl’in- fermi del morbo regio, et così essendogli presentati detti infermi nella sua anticamera, fece prima fare una predica per un ministro calvinista sopra quel fatto, e poi lui stesso disse che se trovava perplesso in quello ch’aveva di fare, respetto che dell’una parte non vedeva come potessero guarire gl’infermi senza miracolo, et già li miracoli erano cessati et non se ne facevano più; et così aveva paura di commettere qualche superstizione; dall’altra parte, essendo quella usanza antica et in beneficio delli suoi sudditi, se risolveva di provarlo, ma solamente per via d’orazione la quale pregava a tutti volessero fare assieme con lui; e con questo toccava alli infermi. Vedremo presto l’effetto che seguirà. Si vedeva che quando il Re faceva il suo discorso spesse volte girava gli occhi alli ministri Scozzesi che stavano appresso, come aspettando la loro approvazione a quel che diceva, avendolo prima conferito con loro”. Quello non fu l’unico tocco dello Stuart, che anzi da allora lo praticò costante- mente. Apportò tuttavia alcune modifiche di pretto stampo calvinista all’antico cerimoniale.
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Giacomo I d'Inghilterra. |
Quando infatti i malati ripassavano dal re, dopo essere stati toccati, Giacomo si limitava ad appendere al collo la moneta d’oro, senza tracciare il segno di Croce sulle piaghe. Così quell’antico gesto, così profondamente cattolico, venne abolito. La Croce scomparve anche dagli angels, ove era raffigurata su uno dei versi della moneta. Come pure ne venne modificata la legenda, che si ridusse alla più banale: Questo è sta- to compiuto dal Signore, sopprimendo: ed è una cosa meravigliosa ai nostri occhi . Suo figlio Carlo I (1625-1649) educato nell’anglicanesimo, non ebbe gli scrupoli del padre nell’esercitare la prerogativa taumaturgica. Come in Francia, la Corte pubblicava e faceva affiggere gli avvisi che indicano il luogo e la data del tocco. Così Carlo toccò il 13 maggio e 18 giugno 1625; il 17 giugno 1628; il 6 aprile e 12 ago- sto 1630; il 25 marzo, 13 ottobre, 8 novembre 1631; il 20 giugno 1632; l’11 aprile 1633; il 20 aprile, 23 settembre, 14 dicembre 1634; il 28 luglio 1635; il 3 settembre 1637178. Il rito è il medesimo dei tempi di Elisabetta I e di Giacomo I . Il numero dei malati è notevole. Molti cercano addirittura d’essere toccati due volte, probabilmente attirati dalla generosa elemosina in oro. Per questo il proclama del 13 maggio 1625 ordina che gl’infermi si presentino al rito con un certificato attestante la loro condizione rilasciato dalla parrocchia d’origine. Inoltre le parrocchie dovevano tenere un registro ove trascrivere i nomi dei beneficiati . Come in Francia, anche a Londra, il malato dove superare una visita medica preventiva che ne accerti la patologia. Il medico di servizio distribuiva poi ai pazienti un gettone metallico, che serviva come biglietto d’entrata . Nel 1633, la funzione religiosa per la guarigione delle scrofole fece la sua comparsa ufficiale nel Book of Com- mon Prayer – il libro di preghiere della Chiesa Anglicana . Che il taumaturgo reale riscuotesse ancora successi, dimostra la lettera del 30 aprile 1631 inviata da Lord John 1° Barone Poulett (1586-1649) un calvinista, al Segretario di Stato, Lord Dorchester, grazie ai buoni uffici del quale la figlioletta di Poulett, devastata dalle scrofole, era stata sollecitamente presentata al Sovrano e guarita:
“Il ritorno di una bimba malata così sollevata dal male fa rivivere un padre malato… è stata una grande gioia per me che Sua Maestà si sia degnata di toccare la mia povera bambina con le sue mani benedette; così con l’aiuto della benedizione di Dio, egli mi ha reso una figlia che avevo così poca speranza di salvare, tanto che avevo dato istruzioni per farne riportare il cadavere… essa è tornata sana e salva; la sua salute migliora di giorno in giorno; la sua vista mi dà ogni volta l’occasione di ricordarmi la graziosa bontà di Sua Maestà verso di lei e verso di me e di renderle grazie in piena umiltà e gratitudi- ne”. Lord Poulett, durante la guerra civile, si schierò apertamente per il partito del Re.
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Carlo I d'Inghilterra. |
Esplose infatti il conflitto intestino tra i partigiani della monarchia e i fanatici calvinisti repubblicani di Cromwell. Nel 1647, gli scozzesi consegnarono ai puritani il sovrano. Questi venne condotto a Londra per essere giudicato dal Parlmento. Durante il viaggio, gli ammalati gli si affollavano attorno per farsi toccare, portando essi stessi le monete da appendere al collo, poiché il Re nelle mani dei suoi implacabili ne- mici non poteva certo disporne. I Commissari del Parlamento, tutti di fede calvinista, cercavano vanamente di tener lontana la folla. Quando Carlo venne rinchiuso a Holmby, si rivide la medesima scena. La Camera dei Comuni decise allora d’intervenire drasticamente, nella consapevolezza di quanto quel rito parlasse contro la pretesa di giudicare il Re. Il 22 aprile 1647 venne istituita una Commissione incaricata di redigere una Dichiarazione destinata ad essere diffusa tra la gente in merito alla Superstizione del Tocco183. Il Re venne giustiziato il 30 gennaio 1649. Durante la dittatura di Cromwell, nessuno toccava più in Inghilterra. Carlo II (1649-1685) esiliato sul continente, proseguiva tuttavia la pratica guaritrice. Un ingegnoso commerciante organizzava viaggi per condurre gli scrofolosi inglesi e scozzesi verso le città olandesi dove il sovrano era solito soggiornare184. La Restaurazione della monarchia che seguì all’ingloriosa fine della sanguina- ria dittatura puritana (1649-1659) comportò pure la restaurazione del rito guaritore, da secoli una delle prerogative più illustri dei Re britannici. Il 30 maggio 1660, poco dopo che il Parlamento aveva fatto atto di sottomis- sione al Sovrano, questi, ancora in Olanda, nella città di Breda, compì una cerimonia del tocco assai solenne. Appena rientrato in patria, i malati corsero a lui in massa. Il 23 giugno nella Sala dei Banchetti di Whitehall, Carlo accostò più volte la mano con- sacrata ai pazienti185. Il monarca, consapevole di quanto la singolare cerimonia, dopo i torbidi del regime repubblicano, fosse adatta a ravvivare la fede nella monarchia, compì assai coscienziosamente il suo dovere di medico reale. Egli toccava gli scrofolosi tutti i venerdì, almeno all’inizio del regno. Il cerimoniale era sempre quello modificato da suo nonno, mentre la moneta d’oro con corso le- gale, l’angel, fu sostituita con una medaglia d’oro appositamente coniata per l’occasione.
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Carlo II d'Inghilterra. |
Le cifre del tocco sotto Carlo II sono impressionati. È stato infatti calcolato sulla base di documenti inoppugnabili che il monarca toccò nel corso del suo lungo regno (1660-1685) non meno di 100.000 ammalati186! Dal maggio 1660 al settembre 1664 sono circa 23.000 persone; dal 7 aprile 1669 al 14 maggio 1671 si presentarono a Corte in 6666; dal 12 febbraio 1684 al 1° febbraio 1685 in 6610 . A Whitehall non si accalcavano solo inglesi e scozzesi, com’era naturale, ma pure tedeschi, olandesi, francesi, e molti coloni americani, provenienti dalla Virginia e dal New Hampshire.
Con la temporanea caduta della monarchia ad opera dei settari calvinisti di Cromwell (1649-1660) pure cessò in terra inglese, se pur momentaneamente, la cerimonia delle scrofole. Lo spirito protestante infatti non poteva che veder di malocchio la sopravvivenza d’un rito marcatamente ‘papista’ e cattolico. Gli Stuart, d’altra parte, una volta reinsediati sul trono (1660) edotti dalla se- vera lezione della guerra civile, compresero che il più saldo appoggio e sostegno della monarchia restaurata era il ritorno alla religione cattolica. L’eresia protestante infatti aveva dimostrato a sufficienza, nella sua sanguinaria versione puritana, l’odio anti- monarchico. Se infatti la nuova dottrina eterodossa postulava l’inutilità della mediazione della Chiesa docente in ordine alla retta pratica cristiana, a maggior ragione, inutile e nociva era pure la mediazione politico-sociale rappresentata dall’istituto monarchico nell’ordine temporale. Ci si era sbarazzati dell’autorità spirituale, forse, per sottomettere la religione - ragionavano coerentemente i fautori di Calvino - ad un potere terreno, ad una Chiesa di Stato? Gli Stuart compresero la gravità della situazione, e, prima timidamente, poi con maggior convinzione, improntarono la loro politica religiosa al ritorno in seno alla Chiesa romana. Era noto che Carlo II era morto ‘papista’. Suo fratello e successore, Giacomo II (1685-1688; + 1701) s’era convertito al cattolicesimo romano prima della salita al trono. Era il primo sovrano cattolico inglese dai tempi di Maria Tudor (1553- 1558). Il rito inglese delle scrofole rientrò così nel suo alveo naturale. Giacomo non mancò al suo dovere di guaritore. Dal marzo al dicembre 1685 toccò 4442 scrofolosi. Il 28 e il 30 agosto 1687, nel coro della cattedrale di Chester, gli s’accostarono rispetti- vamente 350 e 450 ammalati189. Dal 1686 il clero cattolico, anziché quello anglicano, lo assisteva nel rito. Il messale cattolico in latino dei tempi di Enrico VII (+1509) venne ristampata.
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Giacomo II d'Inghilterra. |
Giacomo pensava addirittura di resuscitare la cerimonia di benedizione dei cramp-rings, quando la reazione protestante guidata da Guglielmo d’Orange, marito di Maria Stuart, figlia anglicana di primo letto del sovrano, lo costrinse all’esilio (Glo- riosa Rivoluzione, 1688). L’usurpatore, calvinista convinto, non volle saperne di toccare le scrofole. Un articolo di cronaca della “Gazette de France” datato 28 aprile 1689 riferiva: “Il 7 di questo mese il principe d’Orange ha desinato presso Mylord Newport. Quel giorno, secondo l’usanza ordinaria, egli avrebbe dovuto compiere la cerimonia del tocco dei malati e lavare i piedi a molti poveri. Ma egli dichiarò che credeva che queste cerimonie non era esenti da superstizione; e diede solamente ordine che venissero distribuite le elemo- sine ai poveri secondo l’usanza”190. Guglielmo era salito al trono, dopo la breve guerra civile, chiamatovi dalla fa- zione calvinista, che mal tollerava, dopo la nascita a Giacomo di un erede cattolico, che l’Inghilterra fosse governata da una dinastia ‘papista’.
Lo Stuart aveva infatti sposato nel 1673, dopo la morte della prima moglie anglicana, che gli aveva dato due figlie, pure educate nella religione protestante (Maria ed Anna), la duchessa Maria Beatrice d’Este (1658-1718), da cui aveva avuto Giacomo III , detto il Gran Pretendente. Dopo la morte di Gugliemo III (1688-1701), salì al trono inglese Anna Stuart (1702-1714), figlia protestante di Giacomo II . Anna ripristinò il tocco reale nel marzo-aprile 1703, seppure con una cerimonia ancor più semplificata rispetto al passato: i malati passavano davanti al sovrano una sola volta, ricevendo immediatamente dopo il tocco la medaglia che ricordava l’evento .
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Giacomo III d'Inghilterra. |
Il 12 aprile 1714, pochi mesi prima di morire, la regina toccò gli scrofolosi per l’ultima volta. Fu anche l’ulti- ma volta che la cerimonia ebbe luogo nell’isola . La cricca protestante che dominava la Corte, ottenne che il fratellastro cattolico di Anna Stuart, che viveva in esilio sul continente, Giacomo III , il Gran Pretendente, fosse escluso dalla successione. Venne chiamato a regnare sull’Inghilterra un lontano cugino degli Stuart, Giorgio I (1714-1727), principe elettorale dell’Hannover, pure protestante. Egli non toccò mai le scrofole. Giacomo II tuttavia continuò a compiere il rito guaritore nel suo esilio francese, a Parigi e Saint-Germain, ove morì nel 1701 . Suo figlio Giacomo III (1688- 1766) fece lo stesso. Gli Stuart cattolici, infatti, si consideravano i legittimi sovrani della Gran Bretagna, e, come tali, non mancarono al loro officio di Re guaritori. Giacomo III toccò i malati a Parigi, Avignone, Bagni di Lucca e Roma . I sudditi inglesi intraprendevano lunghi viaggi per raggiungere i loro sovrani spodestati, ma ancora dotati del singolare privilegio taumaturgico. Nel 1716 il Gran Pretendente sbarcò in Scozia per tentare la riconquista del trono. Vi tentò di nuovo nel 1745 Carlo Edoardo il Giovane Pretendente (1720-1788), figlio di Giacomo III , ma dopo promettenti inizi, dovette ritornare nel suo esilio italiano.
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Enrico IX d'Inghilterra. |
Succeduto al padre, Carlo Edoardo proseguì ad accogliere gli scrofolosi. Toccò a Firenze, Pisa ed Albano nel 1770 e nel 1786. Alla sua morte, non avendo avuto figli, gli successe il fratello minore Enrico IX (1725-1807) Vescovo di Tuscolo e Cardinale di York, che non dimenticò il celebre rito e lo praticò a Roma fino alla morte avvenuta nel 1807.
Con lui s’estinse la casata reale degli Stuart e cessò definitivamente il tocco guaritore operato da principi inglesi . La fine del tocco nel Regno d’Inghilterra era in certo senso strettamente connesso alla concezione politica rivoluzionaria che vi prese piede. Nota giustamente Marc Bloch: “La Gran Bretagna dovette il consolidamento del suo regime parlamentare, all’avvento, nel 1714, di un principe straniero, che non poteva appoggiarsi né al diritto divino né su alcuna popolarità personale. Gli dovette anche, certamente, d’aver eliminato, più presto che in Francia, l’elemento soprannaturale dalla politica mediante la soppressione del vecchio rito, nel quale s’esprimeva così perfettamente la regalità sacra dei vecchi tempi”.
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Luigi XV di Francia. |
Nel corso del secolo dei ‘lumi’ la cerimonia del tocco regio non perse nulla della propria notorietà. Luigi XV (1715-1774) il 29 ottobre 1722, giorno della sua consacrazione, trovò una folla di duemila scrofolosi ad attenderlo nel parco di Saint-Rémi a Reims197. Almeno in tre occasioni il sovrano, a causa della sua cattiva condotta, si vide rifiutare dal confessore l’accesso alla Comunione (Pasqua 1739, Pasqua 1740 e Natale 1744) di modo che non esercitò il tocco. Luigi inoltre modificò leggermente, probabilmente senza alcuna intenzione re- condita, la formula tradizionale che accompagnava il venerando rito. Anziché, come per il passato, dire: Il Re ti tocca, e Dio ti guarisce (con il modo indicativo) egli pro- nunciò: Il Re ti tocca, Dio ti guarisca (al condizionale), espressione che rimase in uso anche presso i successori. Dinanzi al progredire dell’incredulità insufflata dall’Enciclopedismo scettico ed anti-cristiano dei seguaci di Voltaire, i fedeli monarchici inviavano spesso a Corte i certificati di guarigione. Così, poco dopo l’incoronazione di Luigi XV (ottobre 1722) il Marchese d’Argenson, amico di Voltaire e intendente reale nell’Hainaut, venne a conoscenza di una guarigione miracolosa:
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Luigi XVI di Francia. |
“Alla consacrazione del Re a Reims – scrive nelle sue Mémories – un uomo d’Ave- snes, che aveva scrofole terribili, andò a farsi toccare dal Re. Egli guarì perfettamente, in- tesi dir questo. Io feci fare un processo e presi informazione del suo stato precedente e sus- seguente, il tutto ben autenticato. Fatto ciò, inviai le prove di questo miracolo a De La Vrilliére, segretario di Stato della provincia”198. Luigi XVI (1775-1793), incoronato il 7 luglio 1775, non fu da meno. Dovette toccare 2400 ammalati! Anche per lui abbiamo dei certificati di guarigione che at- testano la permanenza del miracolo reale. Un tal Rémy Rivière, parrocchiano di Matougues, fu toccato dal sovrano a Reims in quell’occasione. Riacquistò la salute. L’intendente della provincia, Roullé d’Orfeuil, il 17 novembre 1775 fece stendere un certificato sottoscritto dal risanato, dal medico locale e dal parroco. Tra il novembre e il dicembre del medesimo anno vennero stilati altri quattro certificati di guarigione riguardanti quattro ragazzi guariti dopo la cerimonia reale . Il monarca continuò certamente, come i suoi avi, a toccare i malati nelle grandi solennità. Poi venne il 1789 e la prigionia. Infine, nel gennaio 1793, la ghigliottina pose fine alla sua vita. Il tocco però non morì con lui, ma sopravvisse all’uragano rivoluzionario, e rifece capolino nel nuovo secolo.
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Carlo X di Francia. |
Nel 1825, a differenza del fratello Luigi XVIII (1814-1824), che non volle essere consacrato a Reims, Carlo X (1824-1830) fedele ai propri convincimenti realisti, decise di rinnovare l’antica liturgia. Così venne unto e incoronato more anti- quo con il Crisma della Santa Ampolla. Come un tempo, gli scrofolosi si presentarono al sovrano per essere toccati, ma questi rifiutò, limitandosi a far loro una generosa elemosina: “Molte persone erano d’avviso di sopprimere questa cerimonia per togliere un prete- sto alle derisioni dell’incredulità, e si diede ordine di rimandare gli scrofolosi. Essi si la- mentarono, il Re inviò una somma di denaro da distribuir loro. Essi dissero che non era affatto ciò che volevano.
L’abate Desgenettes, allora Parroco della parrocchia delle Missioni Estere, più tardi Parroco di Nôtre-Dame de la Victoire, che era alloggiato a Saint Marcoul, vedendo la loro desolazione, si recò a perorare la loro causa, e il re annunziò la sua visita per il 31 maggio all’ospizio. I malati furono visitati dal sig. Noël, medico del- l’ospizio, e dal sig. Dupuytren, primo chirurgo del re, a fine di non presentare che i malati veramente colpiti da scrofole. Rimasero cento trenta. Essi furono presentati successiva- mente al Re dai dottori Alibert e Thévent de Saint-Blaise. Il Re li toccò pronunciando la formula tradizionale. Il primo guarito fu un fanciullo di cinque anni e mezzo, Giovanni Battista Comus; egli aveva quattro piaghe; la seconda fu una giovine sedicenne, Marie- Clarisse Fancherm; essa aveva una piaga scrofolosa alla guancia fin dall’età di cinque anni. La terza, Susanna Grévisseaux, di undici anni. Essa presentava delle piaghe e dei tumori scrofolosi. La quarta, Maria Elisabetta Colin, di nove anni, aveva molte piaghe. La quinta, Maria Anna Mathieu, d’anni cinque aveva un tumore scrofoloso e una piaga nel collo. Si stese processo verbale di queste guarigioni e si aspettò cinque mesi prima di chiuderlo e di pubblicarlo, per assicurarsi che il tempo le confermasse” . Nonostante il felice esito della mano sovrana, lo spirito incredulo del tempo prevalse. Carlo X non rinnovò più il rito venerando. Pochi anni dopo, nel luglio 1830, la marea rivoluzionaria rinascente lo travolgeva. Cessava così con l’antica cerimonia delle scrofole, anche la monarchia legittima di Francia.
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San Tommaso d'Aquino. |
San Tommaso d’Aquino, nel suo celebre De Regimine Principum, ove dimostra l’eccellenza della monarchia fra le forme di governo, accenna pure alla consacrazione dei Re e alla prodigiosa prerogativa taumaturgica dei sovrani francesi: “Il Re inoltre non solo è tenuto al culto divino come uomo e come signore, ma anche come Re, perché i Re sono unti con olio consacrato, come risulta chiaro nel caso dei Re del popolo d’Israele, che venivano unti con olio santo dalle mani dei Profeti. Perciò erano an- che detti Unti del Signore, per eccellenza di virtù e di grazia in unione con Dio, delle quali dovevano essere dotati. Per quest’unzione essi ottenevano un certo ossequio e un certo con- ferimento d’onore […] Di questa consacrazione troviamo un altro argomento dalle gesta dei Franchi, sia dall’unzione di Clodoveo, primo cristiano tra i Re franchi, sia dal tra- sporto dell’olio dal cielo, per mezzo di una colomba; e con quest’olio fu unto il Re suddetto; e vengono unti i suoi successori con segni e prodigi e guarigioni di cui sono portatori a causa di quest’unzione”201. Questo passo, anche se ne è stata messa in discussione la paternità del sommo Aquinate, trattandosi più probabilmente di un suo discepolo che aggiustò, almeno a partire dal libro secondo dell’opera, gli appunti del grande teologo, mostra, come nel secolo XIII, il fatto dell’unzione miracolosa dei sovrani di Francia, e la conseguente facoltà medicinale, fossero un fatto acquisito dalla scienza teologica stessa. Papa Paolo III (1534-1549) il 5 gennaio 1547, nella bolla di fondazione dell’Università di Reims, cita espressamente il miracolo reale: “La città di Reims, ove i Re Cristianissimi ricevono dalle mani dell’arcivescovo come un beneficio inviato dal Cielo la santa unzione ed il dono di guarire i malati”202. Anche uno strenuo difensore dell’ortodossia cattolica come il padre domenicano Beato Luigi di Granata O.P. (1504-1588) nella Introduction del symbolo de la Fe del 1572 tratta esplicitamente del miracolo reale: “Neppure possiamo sottacere un miracolo molto noto in tutto il mondo, che è la virtù che hanno i Re di Francia di sanare un male contagioso e inguaribile, che sono le scrofole. Visto che quel Signore (alla cui Provvidenza appartiene d’elargire rimedi alle sue creature) tra le infinite erbe medicinali che ha creato per la guarigione delle malattie dei nostri corpi, ha voluto che per questa (malattia), che era inguaribile, ci fosse il rimedio in persone tanto principali e cristianissime quali sono i re di Francia, successori ed eredi non solo del regno ma anche della fede di san Luigi.
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Papa Benedetto XIV . |
E che questo sia miracolo si vede per- ché non c'è impiastro, né purga, né salasso, né qualsiasi altra medicina, ma guariscono questo male solo toccando il malato e dicendo: Il re di Francia ti tocca, Dio ti guarisce. E nel giorno di questa meraviglia i detti re si confessano e si comunicano, preparandosi con ogni devozione, perché Dio operi per loro questa miracolosa salute” . Forse ancor più celebre è l’accenno che ne fa in pieno XVIII secolo il Cardinal Prospero Lambertini (1675-1758), futuro Papa Benedetto XIV (1740-1758) nel tratta- to De servorum Dei beatificatione et canonizatione: “Ad altro genere di miracolo si riferisce quello cui ora accenneremo, al privilegio cioè dei Re di Francia di guarire le scrofole. Tale miracolo non deriva da un diritto ereditario, o da virtù innata, ma in virtù di una grazia ad essi graziosamente concessa, o al tempo in cui Clodoveo, mosso dalle preghiere della moglie Clotilde, si convertì a Cristo, o quando San Marcolfo la ottenne da Dio per tutti i Re di Francia”.
Il miracolo dei Re ha una notevole importanza e valore dottrinali. Vediamo innanzi tutto cosa si debba intendere per miracolo. Il miracolo è un fatto sensibile, straordinario e divino. È sensibile nel senso che produce effetti sensibili, ossia conoscibili tramite i sensi. È un segno della Rivelazione divina. Tale segno è straordinario, nel senso che sorpassa l’ordine della natura creata. Il miracolo non opera la distruzione, la violazione o la sospensione dell’ordine o delle leggi di natura, ma è piuttosto una deroga e un certa qual particolare eccezione a dette leggi, prodotta e causata da uno speciale intervento di Dio. Per questo il miracolo è divino, nel senso che Dio è l’autore del miracolo. Solo Dio infatti, che è onnipotente, può compiere qualcosa che supera e sorpassa l’ordine di natura. Dio opera il miracolo sia immediatamente per sè, o mediatamente per mezzo delle creature. “(1) La causa principale di tutti i miracoli è soltanto Dio. Solo Dio infatti può operare oltre l’ordine naturale con la proprio potenza, ovvero compiere da sè veri miracoli. (2) La causa ministeriale o strumentale del miracolo è talvolta la creatura libera, ovvero gli angeli, o gli uomini. Gli Angeli buoni e gli uomini santi intervengono o moralmente influendo con le preghiere, o agendo con autorità in nome di Dio”.
In ordine alle leggi di natura che deroga, il miracolo è (a) fisico, “quando si veri- fica fuori dall’ordine consueto della natura fisica, come ad esempio nella moltiplicazione dei pani, o nella cura di un lebbroso” ; oppure può essere (b) intellettuale, se la cogni- zione si attua al di fuori dell’ordine consueto della natura intellettuale, come nel caso della profezia, o della cognizione dei pensieri reconditi; o (c) morale, se l’azione si pro- duce fuori dalle norme ordinarie della morale, come per esempio nella repentina con- versione di San Paolo . Il miracolo poi va considerato in ordine alla natura che supera: ossia (a) riguardo alla sostanza o essenza, tale effetto non sarebbe in nessun modo possibile alle forze della natura, ma solo a Dio, come nel caso della glorificazione del corpo umano; o (b) in ordine al soggetto in cui avviene, nel senso che tale effetto potrebbe prodursi dalla natura, ma non in quel soggetto particolare, come la visione in un cieco nato; (c) infine in ordine al modo, nel senso che tale effetto sarebbe possibile nell’ordine naturale, ma non in quanto al modo in cui avviene, come nel caso della guarigione di una malattia operata con il semplice tocco della mano . Infine, per quel che riguarda il modo o maniera con cui il miracolo supera la natura si distingue in 1) miracolo che è sopra la natura, quando supera assolutamente tutte le forze della natura, come nel caso della risurrezione di un morto; 2) oltre la natura, se produce effetti che la natura può operare, ma non in quel modo in cui effettivamente si sono operati, come nel caso di una guarigione miracolosa; o 3) contro la natura, quando si verifica pur permanendo la disposizione contraria della natura, come nel caso dei tre fanciulli rimasti illesi nella fornace . I veri miracoli provano con assoluta certezza l’origine divina della Rivelazione. “Ripugna infatti, da un punto di vista metafisico, che Dio, la verità per essenza, confermi come vero ciò che è falso. Quindi se la religione in cui favore si opera il miracolo fosse falsa, Dio approverebbe come vera tale religione, poiché il miracolo, potendo essere operato solo da Dio, è come il divino sigillo che testimonia l’origine divina della religione. «Si deve infatti sottolineare – insegna San Tommaso – che nessun vero miracolo avviene senza il concorso della potenza di Dio, e che Dio non è mai testimone della menzogna. Dico quindi che, quando un miracolo avviene in prova di una dottrina predicata, necessariamente quella dottrina è vera»”.
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La Sacra Scrittura infatti mostra i miracoli come prova certissima della missione divina di qualcuno o della dottrina che insegna. Così Mosé, Gesù Cristo, San Paolo compirono miracoli a conferma della origine divina della loro predicazione. In ordine all’utilità e vantaggio spirituale degli uomini, Dio opera il miracolo con due scopi: 1) per dimostrare e provare la santità di un uomo; 2) o per confermare la verità insegnata.
“Il miracolo prova e dimostra la verità della religione non intrinsecamente, ossia tramite prove e argomenti scientifici, ma estrinsecamente dimostrando la sua divina origi- ne: se infatti una certa religione è insegnata da Dio, necessariamente deve essere vera. Così si comprende come un fatto contingente confermi e provi l’immutabile verità di qual- che dottrina. Tuttavia, affinché il miracolo abbia tale valenza probatoria, occorre assolutamente che si verifichi a conferma della religione. Mancando infatti ogni vincolo tra il miracolo e la dottrina, il miracolo non sarebbe affatto il sigillo di Dio apposto sulla dottrina ”.
Le guarigioni miracolose operate dai Re di Francia ed Inghilterra sono prove e conferme della verità della cattolica religione. Ogni vero miracolo, lo si è visto, atte- sta l’origine divina della Rivelazione. Che si tratti di un vero miracolo, poi, non mette conto dilungarsi troppo. Non occorrono lunghe disquisizioni per ritrovare, infatti, anche nel miracolo reale, le note caratteristiche, in quanto fatto sensibile, straordinario e divino. Per secoli ognuno poté constatare il potere e la prerogativa medicinale di uomini che non erano medici. Solo il tocco della mano era sufficiente per ottenere la guarigione delle scrofole, malattia esternamente visibile, contagiosa e incurabile. Il modo della guarigione appariva a tutti come non ordinario. Il miracolo regio, tuttavia, è troppo singolare, sia per la sua continuità nel tempo, sia soprattutto per chi ne era protagonista ed attore, per non trarne altre logiche deduzioni. Chi infatti operava tale miracolose guarigioni? Benedetto XIV sottolinea giustamente che tale facoltà non proveniva ai Re di Francia “iure hereditario aut innata virtute” [per diritto ereditario e per innata virtù]. Esclude cioè che la miracolosa operazione sia una sorta di dono familiare. È vero infatti che tutti coloro che esercitarono, almeno in Francia, il tocco guaritore, appartenevano alla medesima famiglia, quella di Ugo Capeto, fondatore della dinastia reale francese. Tuttavia, soltanto i Re di quella famiglia toccarono i malati. I Borbone, così, discendenti da Roberto, ultimo figlio maschio di San Luigi IX , attesero poco più di tre secoli, prima di toccare le scrofole. Lo fecero soltanto quando salirono al trono di Francia con Enrico IV (1594-1610). Il caso è ancora più evidente per la monarchia inglese, ove si successero sul trono varie dinastie, legate tra loro da vincoli di parentela più o meno stretti: Plantageneti, Tudor, Stuart. In secondo luogo, non tutti i re di Francia e d’Inghilterra che toccarono gli ammalati erano santi, nel senso tecnico di fedeli cattolici, che praticarono le virtù cristiane al grado eroico.
Tanquerey insegna infatti, con San Tommaso, che l’utilità morale del miracolo è duplice: 1) o per comprovare la santità, nel senso sopra indicato, di un fedele, o 2) per dimostrare la verità e l’origine soprannaturale di una dottrina. Il miracolo delle scrofole persegue proprio tale seconda finalità. Lo si ricava considerando l’attore del miracolo. Chi compiva l’opera guaritrice è il Re. Questi Principi spesso non erano santi, né possedevano un dono familiare ereditario: si deve logicamente dedurre che il potere taumaturgico era strettamente legato alla loro prerogativa di sovrani. Il miracolo reale si rivela così un miracolo ‘politico’. Non l’appartenenza familiare, né la santità individuale, è causa del miracolo, ma la potestà politica, l’autorità temporale, il fatto di essere Re cristiani.
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Enrico VIII d'Inghilterra. |
Un’obiezione apparentemente insormontabile potrebbe levarsi contro la veracità del rito guaritore. Non è forse vero che, almeno per il Regno d’Inghilterra, dei sovrani non cattolici, eretici, esercitarono il tocco medicinale? Quale credibilità allora può avere il rito miracoloso se fu tranquillamente operato col medesimo successo anche da monarchi nemici dichiarati della Chiesa e da Essa formalmente scomunicati? Se il miracolo è un fatto da tutti constatabile che dimostra e attesta la verità della dottrina cattolica, come è possibile che il medesimo rito, operato da principi cattolici e protestanti, ne sia un’attendibile argomento? Enrico VIII (1509-1547) morì scismatico, mentre Edoardo VI (1547- 1553), Elisabetta I (1558-1603), Giacomo I (1603-1625), Carlo I (1625-1648) e Carlo II (1660-1685) furono eretici notori, anche se quest’ultimo si convertì in punto di morte. Solo con Giacomo II (1685-1688), a parte la parentesi di sua figlia Anna (1702-1714) che era anglicana, il rito inglese rientrò pienamente nell’ambito cattolico per restarvi fino alla morte di Enrico IX , ultimo principe inglese a toccare i malati (1807). Già in antico alcuni teologici cattolici, come il gesuita Martin Antonio Delrìo nel Disquisitionum magicarum libri sex, risolsero la questione negando per i principi eretici la possibilità del miracolo ed avanzando tre spiegazioni non miracolose: 1) l’u- so di medicine da parte del sovrano al momento del tocco; 2) l’illusione di guarire da parte chi malato non era; 3) un prodigio diabolico . Senza nulla togliere a tali argomentazioni, vorremmo avanzare in via ipotetica un’altra soluzione. Tanquerey si domanda se sono possibili miracoli nelle altre religioni: “È metafisicamente certo – insegna l’eminente teologo – che Dio non può confermare col miracolo l’errore: poiché, se consta con certezza che alcuni prodigi siano stati compiuti a vantaggio dell’errore, tali fatti debbono essere attribuiti ai demoni, che dispongono di un qualche potenza preternaturale e che impiegano volentieri per perdere le anime […] Se i fatti sono veri, occorre investigare se sono d’origine soprannaturale e divina, o meno. Molti di essi si spiegano con la frode, la suggestione, le forze straordinarie di cui dispone il diavolo o con le leggi di natura. Così i miracoli attribuiti ad Asclepio molto verosimilmente si devono alla scienza medica dei sacerdoti. I prodigi avvenuti sulla tomba del diacono Paris [pseudo-santo dei giansenisti francesi del XVIII secolo] spesso s’ac- compagnavano a violente convulsioni e atti disonesti, che manifestano l’eccitamento nervoso. I prodigi degli spiritisti e dei fachiri spesso procedono da cause naturali ”. Il grande teologo, quindi, confermando le assennate affermazioni di Delrìo, ammette che un evento straordinario, che però non è vero miracolo, può essere prodotto per intervento del demonio. È possibile che i ‘miracoli’ inglesi, operati da principi non-cattolici, fossero quindi il risultato di un influsso preternaturale. Si tratterebbe in questo caso di prodigi. Tuttavia – continua Tanquerey – “Dio, talvolta può operare miracoli per mezzo di ministri che professano una falsa dottrina, non per approvarne l’errore, ma per pro- muovere il bene o una verità particolare: per esempio, a lode del nome di Cristo, che invocano, e in virtù dei sacramenti, che impiegano. Così Dio avrebbe potuto compiere veri miracoli per mano del sacerdote scismatico P. Giovanni da Cronstadt a conferma della presenza di Cristo nell’Eucaristia; o per mezzo di Sadhu Sundhar, o del monaco Serafino di Sarov, per distogliere gli Indiani e i Ruteni dalle superstizioni del paganesimo e chiamarli a Cristo. In questo caso, tuttavia, non vi deve essere alcuna relazione diretta tra il miracolo e la parte propriamente erronea della dottrina professata dal taumaturgo”. Il miracolo delle scrofole fu suscitato da Dio in ambiente cattolico quale naturale corollario della concezione cristiana dell’origine divina del potere politico. La sua sopravvivenza nel Regno d’Inghilterra, caduto disgraziatamente nell’eresia, fu resa assai difficile dall’incompatibilità con le erronee opinioni degli eretici. Era insomma un retaggio di cattolicesimo in un ambiente in cui dominava uno spirito avverso. Esso probabilmente fu mantenuto dalla Provvidenza, poiché non aveva alcun nesso diretto con le eretiche dottrine sostenute dai principi che lo compi- vano, anzi in un certo senso ne era la confutazione. I protestanti inglesi non credevano nella possibilità che Dio operasse miracoli al presente, e il loro Re li compiva quotidianamente col tocco della mano. Essi nega- vano l’origine divina del potere politico, ed il sovrano protestante li sconfessava con un miracolo visibile.
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Giorgio "I" di Gran Bretagna. |
La loro falsa teologia contestava alla radice l’efficace mediazione della Chiesa in ordine alla santificazione individuale. Tra Dio ed il singolo fedele non v’era posto per nessuno, né per i santi in Cielo, né per i sacerdoti sulla terra. Il loro monarca, semplice laico, sebbene laico sui generis, attestava proprio il contrario. Essendo capace, in quanto re, di guarire il corpo, si mostrava mediatore efficace tra Dio, fonte del potere regale, e il malato di scrofole. Era insomma difficile, anzi impossibile, giustificare il tocco taumaturgico del sovrano in un’ottica rigorosamente anglicana. Tale incontestabile evento sovrannaturale, a ben vedere, sembrava più una prova contro che a favore della dottrina eretica. Una fazione assai coerente del movimento eterodosso, quella calvinista, giunse ad ab- battere in nome di tali idee la monarchia, assassinando il Re.
Il miracolo reale, restaurato dopo la sanguinaria prima Rivoluzione inglese (1649-1659) era la pratica confutazione e sconfessione di quelle opinioni. Quando, con la seconda Rivoluzione (1688) le idee sovversive ripresero il sopravvento, se non nella forma, poiché la monarchia venne mantenuta, certamente nella sostanza, ciò decretò la morte del rito inglese, che sopravvisse solo presso i legittimi principi cattolici di- scendenti da Giacomo II . Gli Hannover, illegittimi, che salirono sul trono inglese nel 1714, con
Giorgio "I" di Gran Bretagna, e i loro successori, semplicemente si rifiutarono di operare il tocco guaritore.
Fonte:
La Monarchia Sacra.
Scritto da:
Il Realista.