mercoledì 18 settembre 2013

1861 : Un anno "DIFFICILE" per i piemontesi.



Il 7 aprile 1861 un orgoglioso Alfiere regge la Bandiera Duosiciliana e avanza seguito dal Gen. Crocco e da circa 500 armati, perfettamente inquadrati, e da 160 cavalieri. Dal 7 aprile ai primi di maggio 1861 tutta la Basilicata è in fiamme! In rapida successione, segnata dalla altrettanta rapida fuga dei presidi piemontesi e delle guardie nazionali, vengono liberate Ripacandida, Barile, Venosa, Lavello ed in fine la gloriosa Melfi, ...città cara a Federico II. Il bottino in armi è ingente, in ogni cittadina Crocco restaura il Governo Borbonico, vengono bruciati il tricolore e i simboli savoiardi, l’entusiasmo della popolazione è indescrivibile. Le superstiti truppe piemontesi si sono rifugiate a Maschito, ben lontani dall’epicentro della rivolta.
Lo stato maggiore degli invasori piemontesi, colto di sorpresa, ordina a tutte le truppe stanziate a Salerno, Benevento, Avellino e Foggia di convergere sul Melfese. Il loro cammino sarà segnato dagli orrori di fucilazioni di massa e dall’incendio di interi paesi. Crocco nel contempo dirige la sua marcia in Alta Irpinia, dove libera Carbonara, Calitri, S. Andrea e Conza. Il numero dei briganti piemontesi uccisi dagli insorgenti è ancora oggi coperto da segreto militare.
Senza che vi siano gruppi organizzati, si sollevano Grassano, S. Chirico, Avigliano, Ruoti, Rapolla, Atella e Rionero. Circa 4000 piemontesi, appoggiati da altrettante guardie nazionali, stringono un cerchio di truppe su Crocco, ma nella rete non resta nulla. Crocco ha diviso la sua forza in piccoli gruppi che hanno filtrato le maglie dell’accerchiamento piemontese.
Nelle sue memorie lo stesso Crocco scrive: "Ai primi di maggio, trovando difficoltà a trarre mezzi di sussistenza … divisi le truppe in plotoni, dando per punto di riunione i boschi di Lagopesole". Mentre Crocco è acquartierato a Lagopesole, i suoi luogotenenti Angelo Maria Villani e Giuseppe Nicola Summa (Ninco-Nanco), nell’intento di alleviare la pressione esercitata su Crocco, attaccano con successo reparti piemontesi in Capitanata.
Il 14 maggio Villani libera Mattinata, il 10 giugno Poggio Imperiale, le vittime piemontesi sono numerosissime. In Capitanata gli scontri avvengono tra la cavalleria piemontese e la cavalleria degli insorgenti: il bottino in cavalli è per i borbonici veramente sostanzioso. A Palazzo S. Gervasio, Summa al comando di reparti di cavalleria insorgente travolge i Lancieri di Montebello e la guardia nazionale, una vittoria totale. Il 24 luglio insorge Gioia del Colle, il 30 Vieste sul Gargano. Nessuna formazione di truppe insorgenti era presente nelle zone delle due cittadine e i piemontesi fucilano 170 persone a Gioia e 65 a Vieste, saccheggiando anche le chiese.
La gravità della situazione la si può intuire dal telegramma che il 7 agosto il gen. Cialdini invia al suo degno compare Cadorna: "Nel caso di avvenimenti gravi ed imprevisti a Napoli o altrove, concentri la sua truppa a Teramo, Aquila, Pescara ed agisca secondo le circostanze se le comunicazioni con me venissero interrotte" ("Il gen. Cadorna nel Risorgimento", Milano, 1922, pag. 202). Il 10 agosto truppe piemontesi occupano Ruvo del Monte, le case vengono saccheggiate e 23 persone fucilate. Il Melfese, la Capitanata e la Terra di Bari diventano l’epicentro di una serie infinita di piccoli e grandi scontri e in queste zone vengono inviate molte truppe piemontesi. Il terrore tuttavia attanaglia gli occupanti, gli insorgenti hanno adattato il loro comportamento a quello dei piemontesi: niente piú prigionieri, visto che la fucilazione era il trattamento riservato ai Duosiciliani caduti in mano ai savoiardi. Le azioni nel Melfese e in Puglia rendono piú difficile il controllo nella fascia che va da Terra di Lavoro al Beneventano. Napoli rischia di rimanere isolata.
Lo stesso 10 agosto Crocco muove verso Ruvo del Monte: intende punire i piemontesi e i "galantuomini" per i delitti ed il saccheggio cui il paese è stato sottoposto. Occupata la cittadina fa sterminare tutti i piemontesi e le guardie nazionali, piú 17 galantuomini, impadronendosi di gran quantità di armi e munizioni.
La reazione piemontese è immediata e l’11 agosto scagliano contro Crocco circa 4000 uomini, composti da un battaglione bersaglieri, un battaglione del 62° Rgt. Ftr, tre battaglioni di carabinieri, due compagnie del 32° Rgt. Ftr., affiancate da centinaia di guardie nazionali. Crocco decide di accettare lo scontro e, unendo alle sue forze, circa 160 cavalleggeri comandati da Agostino Sacchitiello, finge in un primo tempo di puntare su Calitri, poi inverte la marcia e si posiziona a Toppacivita (nome che non compare certo nelle carte militari piemontesi), ove fa approntare un campo trincerato.
Insieme a Crocco, forte di 1000 fanti e 200 cavalieri, ad aspettare l’assalto dei luridi briganti piemontesi, sono i suoi luogotenenti i cui nomi passeranno alla storia quando il Sud tornerà ad essere libero e indipendente:
- Giuseppe Nicola Summa, di Avigliano;
- Giuseppe Schiavone, di S.Agata di Puglia;
- Agostino Sacchitiello, dall’Irpinia;
- Giovanni Coppa, di S. Fele;
- Pasquale Cavalcante, di Corleto Perticara;
- Teodoro Gioseffi, di Barile:
- Giuseppe Caruso, di Atella, ed altri.
Il 14 agosto, alle ore 04.00, comincia la battaglia che si concluderà solo alle 17,30 del pomeriggio. Crocco respinge tre attacchi piemontesi e contrattacca a sua volta mettendo in fuga i nemici. Nicola Summa e Pasquale Cavalcante, che guidano la cavalleria insorgente, provano ad avvolgere il nemico in fuga, ma questi riescono a salvarsi. I piemontesi uccisi in combattimento sono duecento. Vengono fatti 50 prigionieri, compreso un capitano, che in seguito vengono scambiati con 12 insorgenti. I piemontesi, ripiegati su Rionero, abbandonano enormi quantità di salmerie e munizionamento. Il giorno dopo i partigiani di Crocco festeggiano la vittoria con un memorabile pranzo immolando 1000 polli e 200 pecore. Nei giorni seguenti i piemontesi, i veri briganti, si sfogano con crudeli repressioni. Vengono decimati interi paesi, distrutti i raccolti e abbattuti migliaia di capi di bestiame. Il piú delle volte, per queste vili operazioni, si servono della Legione Ungherese, un corpo di mercenari di crudeltà inaudita. Questi metodi fecero dire a Napoleone III, nonostante fosse complice del Vittorione Emanuele: "Les Bourbons n'ont jamais fait autant ..." (Molfese, pag. 95).
Dopo Toppacivita, Crocco va ad acquartierarsi a Lagopesole, ma il 20 dello stesso mese attacca i presidi di Monteverde e Teora in Alta Irpinia. Il 31 lo troviamo nella pianura che circonda Lucera in Capitanata, dove travolge una compagnia del 62° Rgt. Ftr. e due battaglioni di guardie nazionali.
In settembre, il giorno 22, la compagnia di Caruso subisce forti perdite in uno scontro con alcuni reparti del 39° e 61° Rgt. Ftr. Poi, il primo ottobre, anche la compagnia di Caschetta subisce la perdita di 40 uomini e lo stesso Caschetta viene fucilato a Melfi il giorno dopo.
Nella seconda metà di ottobre Crocco ordina ai suoi luogotenenti di radunare le truppe a Lagopesole, dove attende l’arrivo di un ufficiale legittimista spagnolo, il generale spagnolo José Borjes, inviato dal Comitato Borbonico di Marsiglia. Borjes era sbarcato a Bruzzano il 17 settembre con 12 ufficiali spagnoli, ma il suo arrivo, annunciato dai soliti pentiti, fece accorrere numerose truppe nel tentativo di catturarlo. Il percorso compiuto da Borjes fu molto difficoltoso e molto rischioso, ma intanto egli ha modo di valutare la situazione militare e politica in quelle regioni, comprende che alla sua azione dovrà seguire un solido aiuto esterno di uomini e armi. Nel suo diario riporterà una frase che evidenzierà l’isolamento in cui si trovavano i rivoltosi: "I proprietari della Sila sono antirealisti, perché quando il Re fosse sul trono non potrebbero comandare dispoticamente ai loro vassalli" (Diario A.S.M.E., cartella 1506).
Il 15 ottobre presso Lavello (Cerignola) reparti di lancieri piemontesi uccidono una ventina di contadini solo perché sospetti, ma Borjes, nel frattempo, riesce comunque ad arrivare al bosco di Lagopesole il giorno 19, dove avrebbe potuto incontrarsi con Crocco. L’incontro avviene il giorno 22. Sono due personalità molto diverse, tuttavia Borjes riesce a far accettare a Crocco il suo piano di compiere un atto che provochi una grande risonanza politica: la conquista di Potenza.
Nel primo giorno di novembre 1200 uomini al comando di Borjes e di Crocco, divisi in centurie comandate da ufficiali spagnoli e dai luogotenenti di Crocco si muovono da Lagopesole nella seconda e ben piú pericolosa spedizione contro gli invasori piemontesi.
L’avanzata inizia il 3 novembre con la liberazione di Trivigno, il 5 vengono eliminati i presidi di Calciano e Garaguso, il 6 tocca al grosso centro di Salandra, il 7 e l’8 vengono liberati anche Craco ed Aliano, posizionata sulla sponda destra del torrente Sauro. Nel frattempo 1200, tra piemontesi e guardie nazionali, convergono verso il Raggruppamento di Crocco da Stigliano e da Matera.
I savoiardi, provenienti da Stigliano per riunirsi con le altre truppe provenienti da Matera, vengono attaccati mentre si accingono a guadare il Sauro. 600 piemontesi sono assaliti da 400 Duosiciliani: l’urto è violentissimo. Due battaglioni del 62° Rgt. Ftr vengono travolti dalla cavalleria di Nicola Summa al grido di "viva 'o Re" e le acque del Sauro diventano rosse del sangue dei piemontesi e delle guardie nazionali. La truppa piemontese è letteralmente terrorizzata e ripiega disordinatamente su Stigliano e successivamente proseguono verso S. Mauro Forte, ma su questa strada vengono ancora assaliti e sterminati da un altro drappello di cavalleria duosiciliana proveniente da Gorgoglione.
La disfatta è totale e il numero dei morti piemontesi sembra sia stato 350, tanto che il generale Della Chiesa viene sostituito e deferito ad un consiglio di disciplina. Intanto Borjes e Crocco vengono accolti a Stigliano dalle autorità cittadine con grandi festeggiamenti e con l'esposizione della bandiera delle Due Sicilie in tutta la cittadina. La notizia della brillante vittoria fece sí che altri 300 volontari si arruolassero con Borjes e in molti paesi si incominciò a sperare. Il totale dei patrioti di Crocco e di Borjes raggiunge il numero di 2.180.
Il Raggruppamento Duosiciliano riprende la marcia il giorno 13 e vengono liberate Cirigliano, Gorgoglione, Accettura, Oliveto e Garaguso. Il 14 novembre le truppe duosiciliane vengono accolte da Grassano in festa e il giorno dopo viene liberato S. Chirico. Solo Vaglio, alle porte di Potenza, oppone una dura resistenza per il suo forte presidio e per la sua naturale posizione, ma dopo sette ore di continui attacchi viene conquistato e il presidio piemontese viene decimato.
Il 16 novembre la vallata prospiciente Potenza accoglie le truppe di Borjes e Crocco. Il piano di Borjes sembra avviarsi verso la conclusione progettata. Il presidio piemontese, pur abbastanza consistente, è davvero terrorizzato, temono di ricevere lo stesso trattamento che essi hanno tenuto contro i cittadini dei vari centri della Basilicata. Secondo i piani, e anche in funzione delle esigue truppe duosiciliane, a Potenza dovrebbero verificarsi dei disordini fomentati dal clandestino comitato borbonico, ma anche qui il tradimento incombe. Crocco nelle sue memorie scrive: "Presiede il comitato il sig. …, liberale della sola fascia tricolore, che non avendo potuto arricchire nella rivoluzione, cambiò bandiera e si rifece borbonico. Ma questo camaleonte ancora una volta cambiò colore, avvertí il comandante della piazza, indicò dove erano deposte le armi, e, dopo aver intascato i ducati del Borbone, si vantò di aver salvato la Basilicata" (Memorie, pag. 95).
Il piano di Borjes fallisce, mentre migliaia di soldati affluivano alle spalle dei Duosiciliani. L’attacco frontale senza artiglieria era da escludere, sarebbe stato un suicidio collettivo, e cosí Borjes devía la truppa verso Pietragalla con l’intento di avvolgere Potenza da nord-ovest. A questo punto sorgono contrasti tra Crocco e Borjes: il primo decide di liberare Bella, Balvano e Ricigliano. Poi, dopo aver eliminato il presidio di Pescopagano, si ritira verso i sicuri e imprendibili boschi di Monticchio.
Mentre Crocco si ritira, si scatena la bestiale reazione piemontese sugli indifesi abitanti. A Trivigno i piemontesi addirittura fanno un apposito bando promettendo il perdono ai rivoltosi che si costituiscono, ma i 28 presentatisi vengono tutti fucilati e i cadaveri lasciati insepolti nella piazza del paese come esempio e monito. A Ruvo del Monte, non trovando briganti da combattere, il comandante del 31° battaglione bersaglieri, il maggiore lodigiano Davide Guardi, ammazza numerosi cittadini, anche questi lasciati in piazza insepolti, rubando anche il poco denaro delle casse comunali.
Il 27 Borjes si congeda da Crocco perché intende raggiungere i confini pontifici per presentarsi al Generale Clary. Al termine di un’esaltante marcia, sempre braccato dai piemontesi e dalle manutengole guardie nazionali, raggiunge la Marsica. Il 6 dicembre i bersaglieri prelevano dalle carceri di Potenza un gruppo di detenuti, tra i quali due luogotenenti di Crocco, Vincenzo D’Amato (Stancone) e Luigi Romaniello, e, anziché tradurli a Salerno, li uccidono lungo il tragitto.
L’8 dicembre, Borjes, tradito da un francese che li aveva avvistati, è circondato dai piemontesi nei pressi di Tagliacozzo, nella cascina Mastroddi dove ha cercato riparo. Dopo una sparatoria, vinti dal fumo per il fuoco appiccato dai nemici alla cascina, gli spagnoli sono costretti ad arrendersi, anche perché il comandante piemontese, il maggiore Franchini, promette salva la vita. Borjes, cavallerescamente porge la sua spada all’ufficiale piemontese, che la rifiuta e poi vigliaccamente fucila subito dopo sia Borjes che gli altri Spagnoli catturati, impossessandosi di tutte le monete d’oro trovate loro addosso.


Fonte:

UN Popolo Distrutto