giovedì 26 settembre 2013

Daniele Manin e lo "scimmiottar la Serenissima".





Daniele Manin.
Molte contraddizioni aleggiano intorno a questo personaggio e al contesto storico che lo vide protagonista ; molte storie contrastanti emergono su tutto ciò e le persone che le ascoltano , narrate da partigiani di schiere diverse, si dividono in ulteriori fazioni. Ma dove sta la verità? Manin è veramente da considerarsi un "patriota Veneto" oppure no? A queste e ad altre domande cercherò di rispondervi nel corso della narrazione che segue...


Daniele Manin nacque a Venezia il 3 giugno 1804 in campo Sant’Agostino da famiglia ebraica convertita per esigenza al cristianesimo. Gli storici si dividono sul cognome originario: secondo alcuni fu Fonseca, secondo altri Medina. Quando fu battezzato gli fu imposto il cognome del padrino, come si usava all’epoca, fratello dell’ultimo Doge della Serenissima, Ludovico Manin, colui che , senza pensarci due volte , diede il colpo di grazia alla Repubblica di Venezia invasa dalle truppe Napoleoniche in quel 12 maggio 1797, spogliandosi in fretta delle insegne ducali e, prima di lasciare il Palazzo Ducale, consegnando al suo fidato cameriere personale Bernardo Trevisani la cuffietta di tela bianca che i Dogi portavano sotto il corno, e con flemma tutta veneziana disse: «Tenete, questa non l’adopero più»: mentre il popolo Veneto e alcuni Nobili valorosi ancora combattevano , e avrebbero continuato a combattere, le truppe dell'invasore.

Laureatosi giovanissimo avvocato,  classe famosa per aver fornito i più noti agenti della setta , seguendo le orme paterne, aprì uno studio legale in Campo San Paternian (oggi Campo Manin). Le conseguenze del suo "illustre cognome" portarono il Manin a sviluppare una sorta di ambizioso orgoglio per la storia di Venezia facendo crescere in lui la convinzione di essere il prescelto per una "rinascita della Serenissima ("peccato" che la Serenissima era già risorta nel 1814 con l'arrivo del governo Asburgico). Questo  lo portò a stampare il volume “Storia della Veneta Legislazione” analisi delle leggi Serenissime. Altrettanta passione, volta ad avvicinare più gente possibile ai suoi ideali,  l'ebbe per la lingua veneta che in una lettera, che definirei "pubblicitaria",  chiamerà “la mia bellissima lingua”: la parlava in tutte le situazioni e contribuì all’efficacia della sua infausta arte oratoria. Collaborò con Giuseppe Boerio nella stampa di quel “Dizionario del dialetto veneziano” che , a onor del vero,  ancor oggi rappresenta una fonte nello studio della lingua veneta. In pratica creò e sviluppò le basi del becero nazionalismo in versione ristretta (nazionalismo Veneto).


Niccolò Tommaseo.
Le sue convinzioni profondamente repubblicane-democratiche-liberali , nonché il suo essere settario , mascherate durante le sue orazioni come un fantomatico  "riscatto per la Terra di San Marco",  divennero ufficialmente pubbliche nel 1847, anno del congresso massonico che gettò le basi per i moti settari dell'anno successivo,  durante il IX congresso dei "scienziati italiani", una bolgia di borghesi di loggia e aristocratici annoiati ed imborghesiti. Manin in quel momento era un sostenitore della “lotta legale” o “opposizione legale” al governo di Vienna (?), per arrivare all'"autonomia e alle riforme". Il 18 gennaio 1848 assieme a Niccolò Tommaseo, per via della loro opera per libelli sovversivi ed i loro piani altrettanto sovversivi ,  viene arrestato dalle autorità Imperial-Regie: il loro arresto diventa la scintilla che fa incendiare Venezia. Tra assassinii e ruberie , il Manin diventa il Presidente della Repubblica Veneta, protagonista indiscusso dei diciassette mesi di miseria e guerra .



Vediamo brevemente le principali tappe di quello che fu un triste scimmiottar della Serenissima:

Come accennato in precedenza, il 18 gennaio 1848,  a Venezia, vengono arrestati dalle autorità Imperial-Regie Daniele Manin e Niccolò Tommaseo , entrambi settari e sovversivi già noti alle autorità, protagonisti di quella che veniva chiamata “lotta legale” o “opposizione legale” al governo di Vienna (?).
Il 17 marzo arrivò a Venezia, tramite il vapore postale giunto da Trieste, la notizia che a Vienna il grande Cancelliere Metternich , costretto dai moti settari, si era dimesso ed era stata concessa una Costituzione liberale: la manifestazione di un discreto numero di facinorosi , tra i quali vi erano alcuni semplici popolani illusi dalle menzogne propagandate nel periodo precedente , porta all'evasione di Manin , Tommaseo ed altri criminali politici.



File:Sanesi - La proclamazione della Repubblica di San Marco, Marzo 1848 - litografia - ca. 1850.jpg
Immagine di propaganda che mostra la proclamazione della
"Repubblica di Venezia" il 22 marzo 1848.
Il 22 marzo alle ore 16.30 venne proclamata in Piazza San Marco la caricatura dell'antica Repubblica Veneta. Daniele Manin , "eletto" presidente , termina il suo discorso zeppo di nazionalismo e menzogne  incitando la folla con un triplice e al quanto ridicolo “Viva La Repubblica, viva la libertà, viva San Marco!”. Nel governo rivoluzionario un ruolo centrale spettò al dalmata Niccolò Tommaseo ministro del "Culto e dell’Istruzione" secondo il quale una confederazione repubblicana delle regioni doveva essere permanente e non un graduale passaggio verso la repubblica unitaria, e in questa confederazione doveva esserci lo Stato Pontificio: all'epoca i liberali credevano che Pio IX fosse politicamente e ideologicamente dalla loro parte , quindi non c'è da stupirsi se un soggetto da loggia come il Tommaseo avesse un progetto tanto astratto quanto irreale. Per tranquillizzare il popolo Cattolico il 4 aprile un decreto del governo rivoluzionario veneto permise la libertà di comunicazione per tutti i vescovi del Veneto con il Papa. Un provvedimento rassicurante per tutto il mondo della Chiesa ma che nascondeva l'altra faccia della medaglia...la forte impronta anticlericale della repubblichetta del Manin .

Caccia al prete nella massonica repubblica rivoluzionaria (1848) di Daniele Manin,
parodia della gloriosa Serenissima. Venezia 1849.Vicenza. Museo di storia del Risorgimento.

il primo decreto che appare sulla “Gazzetta di Venezia” del 23 marzo diceva : “Il Governo provvisorio della Repubblica Veneta dichiara agli stranieri dimoranti in questa città, di qualunque nazioni e opinione siano e qualunque siano i loro antecedenti politici, che sarà ad essi usato ogni riguardo qual si conviene tra nazioni civili, e massime a questo paese noto per l’ospitalità sua. Il Presidente Manin”. Peccato che ciò avvenne solo sulla carta in quanto le persone additate come "filo-austriache" vennero perseguitate e anche barbaramente assassinate.  E’ importante sottolineare come graficamente nella Gazzetta emergono due concetti furbescamente propagandistici : “Viva San Marco” e “Foglio Ufficiale della Repubblica Veneta”, sottolineo “Repubblica Veneta” , centralista nel suo piccolo, visto che c’è ancora in giro qualche simpaticone che la accosta a quella che fu un tempo la gloriosa  Repubblica Aristocratica di Venezia…




File:Flag of the Republic of Venice 1848-49.gif
La massonica bandiera della Repubblica di Venezia del Manin
(1848-1849).
Agli inizi del 1848, assuefatti dalle menzogne dei liberal-rivoluzionari , anche le genti che popolavano le campagne Venete , in parte, si ribellarono all'autorità legittima di Vienna: Padova, Vicenza, Belluno, Treviso, la stessa fortezza di Palmanova, Udine. Emergono figure come quella di Pietro Fortunato Calvi, altro liberale convinto. Non sorprende allora che già il 24 marzo, sempre nella Gazzetta, vista la buona riuscita dei piani sovversivi, troviamo un decreto che invitava ufficialmente le città del Veneto a far parte della rivoluzionaria Repubblica Veneta in "modo paritario": “Il nome di Repubblica Veneta non può portare ormai seco alcuna idea ambiziosa o municipale. Le Provincie, le quali si sono dimostrate tanto coraggiosamente unanimi alle comune dignità; le Provincie, che a questa forma di governo aderiscono, faranno con noi una sola famiglia senza veruna disparità di vantaggi e diritti, poiché uguali a tutti saranno i doveri: e incominceranno dall’inviare in giusta proporzione i loro Deputati ciascuna a formare il comune Statuto. Aiutarsi fraternamente a vicenda, rispettare i diritti altrui, difendere i nostri, tale è il fermo proponimento di tutti noi”.

Concetti fasulli che vengono ribaditi il 29 marzo: “I cittadini delle Provincie Unite della Repubblica, qualunque siano le loro confessioni religiose, nessuna eccettuata, godono di perfetta uguaglianza dei diritti civili e politici. Tutte le differenze nella vigente legislazione, contrarie a questo principio, sono tolte dalla sua applicazione. Le magistrature giudiziarie e amministrative sono incaricate di questa applicazione nei singoli casi ricorrenti. Manin”. Concetti come federazione o addirittura confederazione in quei giorni epoca erano estremamente attuali. Ecco quanto arriva dal Governo Provvisorio di Vicenza il 27 marzo: “Con tale adesione peraltro non s’intende pregiudicare in guisa alcuna, né la desiderata e sperata unione della Venezia alla Lombardia, né una speciale confederazione di questi due Stati che rimanessero disgiunti,né (e molto meno) la generale confederazione degli Stati Italiani”. In realtà , come accennato in precedenza, questa "libertà religiosa" era limitata ai comportamenti del soggetto che la praticava ed in particolar modo ciò interessava i Cattolici che si dimostravano refrattari alla rivoluzione: famosa è la "caccia al prete" che si verificò nella massonica repubblica del Manin. Inoltre il concetto di confederazione esplicato dai capi della rivoluzionaria repubblica erano estranei e contrari ai progetti di confederazione italiana esposti da decenni da diversi Principi d'Italia.

Nelle città della terraferma la popolazione , con il passare del tempo, rendendosi conto dell'inganno ,passò in massa dalla parte del governo legittimo , ed i liberal-rivoluzionari rimasti a sovvertire l'ordine e che controllavano le città , una alla volta capitolarono e a Venezia il Governo provvisorio convocò una “Assemblea di Deputati” (un parlamentino dove vi fosse un "agente" ogni duemila abitanti) con il compito di verificare le scelte politiche del governo stesso. L’Assemblea si riunì in Palazzo Ducale la prima volta il 3 luglio; Daniele Manin nel suo ennesimo  intervento di propaganda si riallaccia alle glorie del passato: “Cittadini deputati, nel 22 marzo, cessata in Venezia l’austriaca dominazione, il popolo proclamò la Repubblica: cinquant’anni di schiavitù non potevano avergli fatto dimenticare 14 secoli d’indipendenza gloriosa”.

Il giorno dopo si andò "al voto": la prima votazione, voto esposto dagli stessi rivoluzionari, era volta alla constatazione se la condizione politica della Repubblica dovesse decidersi subito o no, vide 130 si, e 3 no; la seconda sull’immediata fusione della Repubblica Veneta negli Stati Sardi colla Lombardia vede 127 si, e 6 no; la terza sulle sostituzioni e forme dei ministeri fu rinviata al giorno successivo. Manin venne eletto dai rivoluzionari membro di nuovo, probabilmente sarebbe stato rieletto a presidente ma constatando il "mutare della marea" egli furbescamente rispose: “Io ringrazio vivamente l’Assemblea di questo nuovo contrassegni di fiducia e di affetto, ma debbo pregarla di dispensarmi. Io non ho dissimulato che fui, sono e resto repubblicano. In uno stato monarchico io non posso esser niente, posso essere della opposizione ma non posso essere del governo…”. Al suo posto venne eletto l’avv. Jacopo Castelli, altro massone,  che resse il governo provvisorio fino al 7 agosto quando il potere venne assunto dai tre commissari in nome del tentenna Carlo Alberto (generale Colli, cav. Cibrario, avv. Castelli): il proclama dei quali termina con l’acclamazione alquanto ridicola , vista la situazione e i veri ideali di questa gente,  “Viva San Marco, Viva Carlo Alberto, Viva L’Italia”.

Carlo Alberto di Savoia-Carignano.
La dimensione unionista filosabauda sembrò mettere d'accordo tutta la fazione rivoluzionaria ma , come spesso accadde nella storia in ambito settario , non mancavano le attestazioni a favore del Manin e la contrarietà alla fusione. Per l'occorrenza girava una filastrocca: “No intendo ben sto termine/ che sento dir fusion/ me par che i se desmentega/ de metter prima un con/…Ma basta po per altro/ che i lassa star Manin/ lo zuro, no voi altro/ da vero citadin”. Il patteggiamento per i Savoia durò pochi giorni per via del mutare della situazione politica . Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto di Savoia , spinto dai burattinai di loggia suoi amici , aveva nuovamente dichiarato guerra all’Impero d'Austria, la cosiddetta “Prima guerra d’indipendenza”, lanciando il proclama “Ai popoli della Lombardia e del Veneto”, popoli che avrebbero presto capito il suo gioco e che lo avrebbero cacciato . In un primo tempo le sorti della guerra sembrarono essere favorevoli al Regno di Sardegna , visto l'iniziale appoggio degli eserciti del Granducato di Toscana , del Regno delle Due Sicilie e dello Stato Pontificio , con la vittoria di Goito e la resa della fortezza di Peschiera. Il doppio gioco e l’ambiguità di Carlo Alberto mostrarono ben presto  la vera faccia del "liberatore" , e all'ora le cose cambiarono. Gli Imperiali  guidati dal grande feldmaresciallo Radetzky il 25 luglio sconfissero pesantemente a Custoza i piemontesi (moltissimi Veneti militavano tra le fila Imperiali durante la battaglia). Le truppe sabaude iniziarono la ritirata verso Milano in rivolta contro il governo provvisorio e che venne poi abbandonata in fretta e furia , e di nascosto,  praticamente senza combattere. Da qui il precipitare  della figura di  Carlo Alberto anche nella cerchia settaria.

Feldmaresciallo Radetzky.
Il 6 agosto gli Imperial-Regi rientrarono a Milano accolti dall'ormai rinsavito popolo  e il 9 venne firmato a Vigevano l’armistizio cosiddetto di Salasco (dal nome del generale Carlo Canero di Salasco). L’armistizio, prevedeva , tra l’altro, il ritiro delle truppe sabaude da Venezia; quando la cosa fu pubblica, i veneziani liberal-rivoluzionari insorsero gridando “Abbasso il governo regio! Abbasso i commissari! Viva Manin! Viva San Marco!”. Daniele Manin rendendosi conto della svolta politica  colse la palla al balzo assumendo per 48 ore il potere, i commissari regi vennero rimossi, per il 13 agosto venne convocata l’ “Assemblea dei Deputati” e in questo modo i tumulti cittadini organizzati dai rivoluzionari vengono placati (ma ne scoppiarono altri contro la Repubblica). Nelle stesse ore Nicolò Tommaseo fuggì verso Parigi con la scusa di cercare aiuti.



L’Assemblea del 13 agosto elesse , sempre con il solito metodo a "numero chiuso", un Triumvirato con Manin, Cavedalis e Graziani che restò in carica fino al termine della guerra. Pochi giorni dopo venne lanciato un prestito di 10 milioni di lire garantito da ipoteche sul Palazzo Ducale e sulle Procuratie Nuove. Il governo rivoluzionario, dopo aver ridotto una delle più belle città d'Europa in miseria , stava svendendo la stessa città e i suoi edifici storici.



Francesco Giuseppe I d'Austria.
Il 6 ottobre scoppiarono tumulti settari a Vienna e l’Imperatore fu costretto a ritirarsi a Linz; la rivoluzione viennese venne domata l’otto novembre. Il 2 dicembre l’Imperatore Ferdinando I , costretto , abdicò in favore del nipote Francesco Giuseppe I : egli regnerà con saggezza fino al 1916 e il suo regno sarà uno dei più lunghi della storia.
Il 24 dicembre venne istituita una Assemblea permanente dei rappresentanti dello "stato di Venezia". L’anno si chiuse con la bandiera caricaturale di San Marco che sventolava nella città. Il 1849 si aprì con un decreto che vietava l’uso delle maschere, viste le "condizioni eccezionali" nelle quali si trovava la città. Il 30 si chiusero le elezioni, sempre a "numero chiuso",  per l’Assemblea dei Rappresentanti: si disse che votarono ben 32.255 elettori, ma la veridicità del numero resta dubbia. Il primo febbraio tornò a Venezia il Nicolò Tommaseo. Venne sostituito come Ambasciatore a Parigi dallo scledense Valentino Pasini. Il nove febbraio si riunisce per l’ultima volta l’Assemblea dei deputati, mentre il 15 viene convocata per la prima volta a Palazzo ducale, l’Assemblea dei Rappresentanti del popolo di Venezia (composta da individui facenti parte di una cerchia molto ristretta e assolutamente non popolare). Due giorni più tardi la stessa assise riconferma i poteri straordinari a Manin, Graziani e Cavedalis. Il 7 marzo l’Assemblea nominò Presidente Daniele Manin con 108 voti favorevoli su 110 votanti (ricordate il numero chiuso?). Arrivò intanto la notizia della ripresa delle ostilità da parte di Carlo Alberto di Savoia.

Vittorio Emanuele II di Savoia-Carignano.
Il 22 marzo 1849 , celebrazione del primo anniversario della triste  Repubblica; Messa filo-modernista e Te Deum nella Basilica di San Marco. Qualche giorno dopo arrivarono le notizie della sconfitta dei Savoia a Novara e dell’abdicazione di Carlo Alberto: subentrava il figlio Vittorio Emanuele II. Il 2 Aprile l’Assemblea dei Rappresentanti del rivoluzionario Stato di Venezia, con la solita smania di chi vuol parlare  in nome di "Dio e del Popolo" mentre agisce contro ,  unanimemente (parliamo di pochi individui) decretava: “Venezia resisterà all’austriaco ad ogni costo. A tale scopo il Presidente Manin è investito di poteri illimitati.”.



Un voto  che esaltò la dimensione più autentica della Repubblica liberal-rivoluzionaria: in questi mesi così nefasti, fu l’intero popolo veneziano che ne subì le dure ripercussioni.
Pochi giorni dopo, il 4 maggio, nonostante il blocco navale anglo-americano in appoggio della massonica repubblica,  incominciò l'estrema conseguenza della follia settaria: il bombardamento del forte Marghera. Il Radetzky intimò la resa di Venezia, promettendo a Daniele Manin il perdono. Manin baldanzoso rispose inviando il decreto del 2 aprile, resisteremo a ogni costo. Il 14 maggio la comunità ebraica si raccoglie nella sinagoga prepongo per le sorti della repubblica che hanno contribuito a fondare; il 19 i consoli stranieri invitano i loro connazionali a lasciare la città in vista dell’inasprimento dell’assedio.  Proprio come nel Veneto, nell’Ungheria nel marzo del 1848 era scoppiata una rivoluzione settaria contro il governo legittimo con alla guida un folle settario di nome Lajos Kossuth; Nicolò Tommaseo durante il suo soggiorno a Parigi era riuscito a creare un notevole rapporto con i rappresentanti settari magiari che si concretizzò nella convenzione di alleanza fra le rivoluzionarie Ungheria e Venezia.

A Duino il 20 maggio 1849 fu firmata la convenzione di otto articoli che iniziava con “Nessuno dei due Stati potrà stipulare un patto o un trattato di pace qualsiasi col nemico comune senza il concorso o l’approvazione dell’altro”. Il documento ebbe una grandissima eco in città e provocò un’ondata di ottimismo e di entusiasmo tra l'élite responsabile della rivoluzione : si favoleggiava di un contributo di mezzo milione di lire per la Repubblica, di un esercito di cinquantamila soldati ungheresi in marcia su Trieste. Non fu affatto così anche se va ricordato come la setta ungherese fu l’unica a dare un sostegno concreto a Venezia. La sovversione ungherese si spense il 13 agosto con la battaglia di Vilagos dove l’intervento dell’armata russa (Santa Alleanza) fu determinante per sconfiggere la frangia dei sovversivi ungheresi.
File:Perrin F. - Bombardamento di Marghera - litografia - 1851.jpg
La battaglia di Forte Marghera in una litografia
di parte  rivoluzionaria dell'epoca.
Tornando a Venezia: il 26 maggio venne abbandonato il forte di Marghera; il 31 l’Assemblea rispose con la solita baldanza al messaggio del ministro Imperiale De Bruck che la base per ogni trattativa rimaneva  l’indipendenza assoluta del Lombardo-Veneto; al giusto diniego da parte Imperiale , la trattativa si spostò sull’indipendenza della città, con un raggio di territorio che rendesse economicamente possibile tale realtà (economicamente favorevole alle tasche di una certa classe borghese). Il ministro rispose che l’Impero d'Austria aveva deciso di liberare Venezia e solo dopo si poteva discutere.

Il 13 giugno gli Imperiali ripresero il bombardamento della città in preda al mal governo rivoluzionario e alcune famiglie legate ai sovversivi vennero evacuate da Cannaregio, la zona più esposta della città. Il 29 il bombardamento divenne più massiccio e diverse famiglie furono costrette a rifugiarsi in piazza San Marco, a Castello e sulla riva degli Schiavoni(un altro prezzo che la semplice gente dovette pagare come conseguenza della sovversione in atto). Fu aperto il Palazzo Ducale e le scale divennero asilo di sfollati vicini alle famiglie dei simpatizzanti e dei membri del regime. Nonostante questo nessun membro del governo rivoluzionario parlò di capitolazione, di arrendersi. Con l’inizio di luglio si manifestarono i primi casi di colera.


Il settario ungherese Kossuth.
Il 12 luglio gli Imperiali cercarono di spingere i sovversivi alla resa sperimentando l'uso di palloni aerostatici incendiari che però non provocano alcun danno ed esito. Il 3 agosto l’esasperazione degli animi del popolo provocò dei sollevamenti e la residenza del Patriarca venne assediata. La gente inveiva contro il governo rivoluzionario responsabile della condizione drammatica che si stava vivendo. Il 6 agosto l’Assemblea concentrò su Manin ogni potere . Il 15 agosto l’epidemia di colera tocca l’apice: 402 casi con 270 morti. Il 18 Manin dispensò per l’ultima volta le sue ormai inerti menzogne al popolo stremato  in piazza San Marco; "le condizioni sono gravi", disse, "ma non disperate. Per negoziare occorre calma e dignità; l’unica cosa che non si può chiedergli è la viltà: mentre Venezia moriva il Manin non cesso il suo classico "filosofeggiare nazionalista". Il 21 in città arrivò la notizia che anche gli ungheresi di Kossuth avevano capitolato: Venezia era l’ultima città d’Europa  ancora in preda alla Rivoluzione . Il 22 una delegazione si recò nella terraferma mestrina, a Marocco, per trattare la resa di Venezia. Il 24 agosto il Governo provvisorio, con la dichiarazione di Manin, chiuse la propria nefasta esperienza; il governo della città venne assunto dal podestà Correr e da 14 membri. Daniele Manin guida la lista dei 40 esiliati.

Al ritorno del governo legittimo Venezia si presentava a pezzi, intrisa di morte , fame e disperazione. Ma ben presto , con l'opera del buon governo Asburgico la città rinacque per la seconda volta , come nel 1814 per spegnersi nuovamente quando la rivoluzione tornò nel fatal 1866.

Il Manin , dopo aver giocato a fare il "democratico doge" , partì per l'esilio il 24 agosto 1849 riuscendo anche , dopo le sventure che aveva contribuito a lanciare su quella gloriosa città, la sua vita.  Partì  con la famiglia per Parigi dove morì  il 22 settembre 1857.


Fonte:

Wikipedia (immagini).

Le cinque giornate di Radetzky (Giorgio Ferrari).

Memorie della guerra d'Italia sotto il maresciallo Radetzky ( Marchese Georges De Pimodan).


Scritto da:

Redazione A.L.T.A.