mercoledì 4 settembre 2013

Syriana

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Ma cosa sta succedendo davvero in Siria?
Dobbiamo credere veramente a quanto ci dicono i vari telegiornali, i mezzi di informazione sedicenti indipendenti, i blogger prezzolati che frignano di violazione dei diritti umani, di ingerenza umanitaria, di intervento democratico?
Cercheremo di spiegare, in pochi passaggi, quale è la reale situazione militare in Siria, i motivi della guerra, le forze in campo, e i rischi di allargamento del conflitto. Rischi non virtuali, rischi reali di una guerra che rischia di estendersi non solo allo scacchiere mediterraneo.


La guerra civile in Siria
Senza allargarci troppo, partiamo dal febbraio 2011, quando la cosiddetta primavera araba arriva anche in Siria. Cosa essa sia in realtà è stato ampiamente dimostrato da quanto avvenuto in Tunisia, in Libia, ed in Egitto, ossia una destabilizzazione pianificata a tavolino che trova un accordo singolarissimo tra potentati economici esteri e stati islamici wahabiti (come la teocrazia saudita o peggio ancora il Qatar).
Questi stati, che assieme al famigerato George Soros (che con la sua ONG Open Society Institute è uno dei principali finanziatori dei cosiddetti “cyber dissidenti”, i mercenari di internet, nel mondo) avrebbero voluto rovesciare con un moto di popolo il governo siriano, retto dall’ultimo esponente del partito arabo Baath, di ispirazione socialista, panaraba e nazionalista, il giovane Presidente Bashar Al Assad. Ci hanno provato a febbraio del 2011, ma la manifestazione, un sit in di protesta, si è rivelata un patetico flop.
Fallito il piano A, si pianifica, all’estero, tra Giordani, Turchi, Arabi e Qatar da un lato, israeliani, americani ed “occidentali” dall’altro, il piano B, ossia l’insurrezione armata. Tutta l’estate 2011 si caratterizza da un continuo stillicidio di manifestazioni, scontri con morti e feriti, tra le truppe regolari ed i manifestanti, pagati dalle nazioni confinanti e riforniti di denaro e di armi.
Ma anche la guerra civile fallisce, perché c’è di mezzo uno dei regimi, quello di Assad, che gode del più vasto consenso popolare nel Medioriente, che si è perfino permesso il lusso di mantenere la libertà di informazione dei blogger fino a quando le proteste non sono sfociate in un tentativo eversivo.
Fallisce perché ci sono di mezzo i competitors geopolitici dell’Arabia Saudita nel Medioriente, ossia gli iraniani, alleati di ferro di Damasco, e poi i russi, che hanno nel nord della Siria, a Tartus, una base navale, che costituisce l’unico sbocco nel Mediterraneo e l’unico supporto logistico per la flotta russa. Interessi ci sono anche da parte della Cina, il principale partner commerciale siriano.
C’è di mezzo non solo il controllo geopolitico della zona, in quanto la Siria costituisce una spina nel fianco per le pretese di supremazia geopolitica araba, un pericolo per Israele (che comunque ha sempre avuto l’interesse di dividere il fronte islamico e che, caduto Assad, si troverebbe di fronte ad una prospettiva incendiaria di predominio dell’ideologia wahabita), ma c’è soprattutto il controllo del petrolio e dell’economia della Siria, che è uno dei pochi stati a non essersi piegata ai diktat del fondo monetario internazionale e delle pretese di liberalizzazione delle proprie risorse energetiche da parte delle sette sorelle del petrolio.
Il pretesto dell’ingerenza democratica, però questa volta pare non reggere, in quanto il contesto mediorientale, che pullula di teocrazie fanatiche, come quella Araba e del Qatar, monarchie assolute, e stati islamici fortemente militarizzati, fa della Siria addirittura un modello di modernità e di rispetto delle minoranze. In particolare i cristiani godono in Siria di una libertà che in altri paesi, non dico l’Arabia, ma la stessa Giordania o addirittura la laicissima Turchia, si sognerebbero.


La democratica opposizione al Presidente Assad
Anche il golpe fallisce miseramente, e la situazione si evolve ulteriormente. Nasce un esercito ribelle coi soldi che vengono da tutti questi stati esteri, dai potentati economici occidentali, dai petroldollari sauditi e dai servizi segreti di mezzo mondo, che armano uno dei più spietati, feroci e spregiudicati eserciti che la Storia ricordi.
L’11 novembre 2012 viene istituzionalizzata la cosiddetta Coalizione nazionale siriana delle forze di opposizione e della rivoluzione (islamica), fondata, guarda caso nella capitale del Qatar, a Doha, che riunisce soprattutto la peggiore soldataglia mercenaria del Medioriente, terroristi di Al Queda e i potentissimi fratelli musulmani, ma anche militari siriani il cui tradimento è stato pagato a peso d’oro, debitamente istruiti alle tecniche avanzate di Insurgency da corpi speciali occidentali ed israeliani infiltrati in Siria, e da consulenti ed addetti militari che pianificano all’Estero le singole operazioni.
Ma anche l’escalation militare interna fallisce, non riuscendo le forze ribelli a garantire il controllo di porzioni di territorio, e vedendosi costretti ad utilizzare tecniche terroristiche in spregio alle basilari norme, non dico di diritto internazionale, ma perfino di umanità.
Vengono compiuti sistematicamente, e perdurano ancora oggi, i peggiori crimini di guerra, che spaziano dallo stupro all’assassinio, alla tortura, al vilipendio dei cadaveri (per avere un’idea di che gente sia i ribelli pagati dai contribuenti occidentali, basta visionare questo icastico video). Non solo, fanno ampiamente uso di armi chimiche, come la stessa ONU è costretta ad ammettere, e poi attribuiscono al Governo siriano l’utilizzo delle stesse. Circa la provenienza delle armi chimiche, dei reagenti e delle maschere antigas, utilizzate dai ribelli, è interessante sapere che, oltre al saccheggio dei depositi militari governativi, vi è una sistematica fornitura da parte statunitense, come documentato ampiamente in questo articolo.
Ma per questi crimini di guerra, crimini orribili contro l’umanità perpetuati dai ribelli, per l’uso di armi chimiche da parte degli stessi, nessun mezzo di comunicazione occidentale invoca tribunali internazionali ed interventi umanitari. Nessuna anima pia si prende la briga di sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo a quanto sta avvenendo davvero in Siria, al di là della controinformazione, ormai giunta a livelli patetici di falsificazione, fatta dai media liberal-occidentali. Quelli stessi che per anni avevano infarcito le strade del mondo di bandiere arcobaleno, adesso indossano l’elmetto, dai nostrani TG3 a Repubblica, agli internazionali Washington Post e Al Jazeera. La guerra passa anche dall’informazione, che è parte integrante della concezione contemporanea di guerra totale, inaugurata dai repubblicani spagnoli nel ’36 e perfezionata da Goebbels nel ’44.
I ribelli siriani perseguono inoltre una spaventosa pulizia etnica contro i cristiani di Siria, protetti dal Presidente Assad, uccidendo senza pietà, stuprando, distruggendo Chiese in uno dei territori più sacri al Cristianesimo, dove anzi il Cristianesimo stesso si può dire sia nato.
Cosa avrebbe dovuto fare Assad secondo l’Occidente?
Avrebbe dovuto dimettersi a febbraio del 2011, pur godendo di un consenso maggioritario?
Avrebbe dovuto mandare pie donne armate di rose e fiori di campo contro i manifestanti che assaltavano le sedi del suo partito, ed iniziavano ad uccidere i poliziotti, gli amministratori, i funzionari del Baath?
Avrebbe dovuto piegarsi ai diktat e rinunciare al potere in seguito al tentativo di golpe?
Avrebbe dovuto trattare i ribelli, che violano sistematicamente i diritti umani, da soldati regolari, riconoscendo di fatto, nei rapporti internazionali, l’autorità illegittima del Consiglio nazionale siriano?
No, Assad ha fatto quello che qualsiasi leader dotato di coraggio, di dignità e di buon senso avrebbe dovuto fare. Ha reagito ed ha vinto la guerra civile.
Ma non ha fatto i conti con la disperazione dei ribelli, che come estrema ratio stanno adesso raschiando il fondo del barile delle proprie risorse, chiedendo un coinvolgimento diretto dei loro sovvenzionatori e dei loro capi occulti. Immediatamente il premio Nobel per la pace, il democratico senatore della mafiosa Chicago, ha cercato di raffazzonare una coalizione occidentale al fine di far pesare il suo ruolo di sceriffo del mondo, accorrendo in soccorso dei ribelli, ormai, è il caso di dirlo, alla canna del gas. Ma le cose gli sono sfuggite di mano.
Il copione si ripete, vengono infarciti i notiziari di video patetici, molti dei quali costruiti a tavolino, Assad viene accusato di violazione dei diritti umani, in realtà sistematicamente violati dai ribelli, e viene allestita la solita sceneggiata delle armi chimiche, con fonti di provenienza non neutrale (i ribelli stessi, che le armi chimiche le usano davvero, ma nessuno si è mai sognato di bombardarli per questo, e l’intelligence israeliana). Viene predisposto un piano militare di bombardamento che avrebbe come obiettivo dichiarato l’arsenale chimico di Assad, con bombardamenti mirati. I veri obiettivi dei paventati bombardamenti sono, in realtà, i gangli vitali della difesa siriana, che si ritroverebbe indebolita dinanzi ad una recrudescenza della guerra civile, che riesploderebbe in maniera più purulenta a seguito dei nuovi equilibri sanciti dalle bombe e dal conseguente annichilimento delle potenzialità belliche di una delle parti in lotta.


Il giocattolo si è rotto
Ma intanto qualcosa a livello diplomatico va storto ad Obama. Il destino, o la Provvidenza, hanno voluto che il fronte occidentale, da sempre compatto, subisse un’incrinatura significativa.
Subito infatti si sono tirati indietro i tedeschi, seguiti a ruota da noi italiani, che avremmo voluto partecipare, messosi perfino il Premier Letta l’elmetto sulla capoccia, ma non possiamo, dato lo stato pietoso delle finanze delle nostre Forze armate, sull’orlo del collasso e nemmeno in grado di garantire gli impegni in Libano ed in Afghanistan. Non ci sono soldi. E poi, come nei migliori romanzi storici, un clamoroso colpo di scena, sì tirano fuori gli inglesi, alleati d’acciaio degli statunitensi e principali sponsor delle guerre di ingerenza umanitaria, con un voto contrario del parlamento britannico che ha svillaneggiato il premier conservatore David Cameron.
Gli Usa restano soli, con la sola Francia a reggere il moccolo (con pericoli di stabilità politica per il già incrinato consenso interno del bluff Hollande), e con la Turchia, Israele e l’Arabia Saudita a fare gli amici interessati.
Stavolta però il contesto dei competitors americani è del tutto diverso. Innanzitutto c’é l’Iran, che ha fornito ad Assad a sua volta suoi consulenti militari, suoi contractor e suoi armamenti, ( e che poi è il principale obiettivo strategico di lungo periodo di Stati Uniti ed Israele, ma questo lo si era capito da un pezzo) ma soprattutto la Russia, che ha notevolmente rafforzato la difesa missilistica antiaerea siriana (l’impeccabile analisi del CESI – vedi qui- ha omesso la fornitura russa dei temibili S300, la cui presenza dei primi esemplari in Siria è quasi certa) ma soprattutto si è messa fisicamente in mezzo, trasformando la sua base di Tertus in un centro logistico per la flotta mediterranea, rimpinguata da due altre navi – vedi qui – (che non stanno dove stanno per diporto o per esercitazioni, ma per garantire gli interessi russi in alla Siria, come il gasdotto arab gas pipeline), mettendo in gioco Putin, a sua volta, la credibilità internazionale del suo paese.
Poi, per la prima volta, negli ultimi anni, si é incrinato il fronte del consenso attorno alla politica di ingerenza democratica degli Stati Uniti, con perplessità perfino all’interno della lega araba e della stessa Arabia Saudita, che ha ben compreso i rischi di una estensione del conflitto su base regionale (vedi qui). Posizione interlocutoria e delicatissima quella di Israele, che più che una vittoria dei ribelli (che gli porterebbe Al Queda ed i fratelli musulmani alle porte di casa) avrebbe più interesse ad una situazione di continua instabilità, con un intervento militare statunitense “morbido” volto solo ad equilibrare le parti in lotta, senza sferrare il colpo decisivo contro le forze di Assad.


Realistici scenari apocalittici
Si è profilato il classico caso di mexican standout, dove però i cowboys, che sono poi le principali superpotenze militari planetarie, intelligentemente, hanno preferito, per ora, rimettere le pistole nella fondina.
Nel caso in cui una delle parti dovesse ulteriormente tirare la corda la certezza di una pericolosa escalation su base regionale è un fattore quasi assodato e non basterebbero i miliardi di dollari statunitensi a tenere a bada le turbolente masse nordafricane, con un corollario di insurrezioni, di migrazioni delle quali farebbe le spese la solita Europa, e perfino di una deflagrazione più estesa, qualora, ad esempio dovessero esserci attacchi alle navi russe e incursioni in Iran.
Il destino del mondo é ora nelle mani insicure del Premio Nobel per la pace, che mai come adesso sconta le ingenuità in politica estera che hanno da sempre caratterizzato le amministrazioni democratiche. (caso ha voluto che le principali e più disastrose guerre dell’America siano state volute e gestite da amministrazioni democratiche)
Se bombarda rischia di scatenare la terza guerra mondiale, se non bombarda si gioca una volta per tutte la faccia sul piano internazionale, sancendo il definitivo fallimento della politica estera americana, e dando di fatto inizio al crepuscolo del secolo americano. Per adesso sta solo prendendo prudentemente tempo.
Ma quanti lo conoscono e quanti conoscono le dinamiche ferree della Segreteria di Stato statunitense, sanno però, purtroppo, che ci si deve preparare al peggio.


Vincenzo Scarpello

Fonte:

http://radiospada.org/