lunedì 3 dicembre 2012

R. P. Fr. Berardinelli S.J.: S. Antonino e l'infallibilità dei Papi. (Parte 2°)

La Civiltà Cattolica, anno XIX, serie VII, vol. IV (fasc. 447, 27 ott. 1868) Roma 1868, pag. 304-324.

R. P. Francesco Berardinelli S.I.

LA DOTTRINA DI S. ANTONINO

ARCIVESCOVO DI FIRENZE

INTORNO

ALLA INFALLIBILITÀ DE' PAPI

E LA LORO SUPERIORITÀ SUI CONCILII [*].

(Parte II)

III.

Difficoltà che si possono opporre per alcuni luoghi di S. Antonino. Osservazioni generali.



Ci conviene ora, come promettemmo nel precedente quaderno, esaminare le difficoltà, che possono presentare altri luoghi delle opere di S. Antonino contro a que' due capi della tradizione cattolica, sì chiaramente propugnati da lui, che sono la infallibilità personale de' Romani Pontefici, quando definiscono ex cathedra questioni appartenenti alla fede, e la loro superiorità sopra i concilii anche generali. Come notammo allora, il primo che si adoperasse a travolgere in contraria sentenza la mente del Santo fu il celebre Vescovo di Meaux, Benigno Bossuet, nella sua Difesa della Dichiarazione del Clero Gallicano. Noi dunque in primo luogo riporteremo con ogni esattezza tutte le opposizioni sopra questo argomento, che abbiam potuto incontrare nella detta apologia; e ci confidiamo non solo di poterle risolvere agevolmente, ma anche di ribadire vie meglio, per mezzo di esse, la vera dottrina del santo Autore. In secondo luogo, poichè d'accosto ad alcuni passi allegati dal Bossuet, si leggono altre sentenze che fanno difficoltà molto maggiore, e nondimeno sono da lui trascurate; noi ci faremo un dovere di produrle, non tanto per merito di lealtà (avvegnachè anche per questo), quanto dacchè in quel dippiù, lasciato a bello studio in disparte dal Prelato francese, ci si apre la miglior via per isciogliere radicalmente la questione per rispetto a que' testi che sono più malagevoli a spiegare in buon senso.
Cominciando dunque dalle opposizioni della prima specie, premetteremo che il Bossuet, per dare alla dottrina di S. Antonino un senso diverso dal senso chiaro ed evidente delle parole di lui, è obbligato di porre questo fondamento alla sua ermeneutica, che ogniqualvolta il santo Dottore attribuisce al Papa la facoltà di sentenziare per maniera infallibile sopra quistioni di fede, anche quando espressamente aggiunge che il possa fare come persona particolare e privata, c'intenda sempre la condizione, che la sentenza proferita da lui sia da tutta la Chiesa esaminata, approvata ed accettata, ovvero che per sentenziare si serva del concilio generale. Con ciò è chiaro che rimane distrutto nella dottrina del Santo il privilegio della infallibilità personale de' Romani Pontefici, il quale invece sarà attribuzione de' soli concilii generali. Il che posto i concilii generali saranno ancora naturalmente giudici de' Romani Pontefici, almeno nelle controversie della fede, e per conseguenza superiori. In queste conclusioni vanno a riuscire tutte le argomentazioni, che fa il Bossuet sopra i varii testi che produce del santo Arcivescovo di Firenze, sforzandosi di mostrare o che rendono per l'appunto que' sensi, o che bisogna supporveli.
Noi intanto, prima di entrare nell'esame de' suoi argomenti, osserveremo in generale, che è un gran pregiudizio contro a siffatte interpretazioni l'intelligenza contraria, che risulta a prim'occhio non solo dai principii dottrinali, ma spesso direttamente dalle chiare espressioni del Santo. Il nostro lettore, il quale supponiamo avere con sufficiente attenzione considerata la esposizione, che noi abbiamo fatta della dottrina di lui, in gran parte colle sue stesse parole, è giudice competente della verità che diciamo. Egli sarà non poco ansioso di vedere, donde mai e come a sentenze così aperte possa darsi in sul serio, e da un uomo dell'ingegno e della rettitudine del Bossuet, un senso tanto ripugnante a quello che naturalmente presentano. E cresce la maraviglia da che non si tratta di luoghi disparati, ne' quali si tocchi per incidente dell'autorità pontificia; ma dove se ne discute di proposito, e per lunghi capitoli, e se ne fa argomento di molte e svariate quistioni. Al che si aggiunge, che proprio in que' tempi era surta la quistione, se i Pontefici fossero superiori o no ai concilii generali, e variamente si disputava, eziandio fra' cattolici, della suprema autorità degli uni e degli altri nelle controversie della fede. Or non è naturale che il santo Arcivescovo di Firenze, disputando della potestà de' Romani Pontefici, dovesse aver presenti al pensiero le contrarie opinioni de' teologi del suo tempo, e che egli intendesse esporre la sua sentenza, o sia quella che favorisse la superiorità de' Papi sui concilii; o sia la contraria che anteponesse ai Papi i concilii, per maniera che ogni lettore fosse in grado di comprenderla senza timore di equivoco? Ciò posto, se tanto dal complesso della dottrina di lui, quanto da' luoghi particolari, il senso che ad ogni animo non preoccupato da interessi di partito chiaramente si offre, è quello della infallibilità personale de' Romani Pontefici, quando definiscono come capi o maestri della Chiesa, e l'altro della loro superiorità sopra tutti i concilii; chi potrà con buon fondamento dubitare che egli non solo serbasse nell'animo, ma avesse inteso di esprimere le opinioni a queste contrario? In sostanza l'essere dall'una parte lo stato di quelle quistioni, tanto più vitali ai tempi del Santo, costituito negli stessi termini che ora, e dall'altra il trovare che il Santo, o sia toccandole direttamente, o sia esponendo i principii con cui sono intimamente connesse, le risolve sempre in favore de' Pontefici, e solo violentando le sue parole, o argomentando da qualche frase staccata può essere inteso diversamente; tutto cotesto è sì grave argomento per giudicare della vera sentenza di lui, che basta da sè solo per far escludere anche a priori qualunque ragione in contrario.
Ma noi, come abbiamo promesso, riporteremo fedelmente tutte le obiezioni del Bossuet, recitando i suoi medesimi testi, e sol cambiando alcun poco il posto materiale con cui esso le dispone, o sia per meglio servire all'ordine delle materie, o sia per ridurre al medesimo capo alcune che si trovano variamente ripetute nell'opera.

IV.

Primo capo di difficoltà che oppone il Bossuet.



Cominceremo da quella che è dedotta dalle parole, con cui S. Antonino inveisce contro i Fraticelli, i quali accusavano di ereticali e contrarie non solo alla Decretale Exiit di Niccolò III, ma ad altre definizioni di Pontefici e di concili generali le tre costituzioni, colle quali Giovanni XXII avea condannato i loro errori. Questa obiezione è presentata dall'autore della Difesa per ben tre volte, come uno de' più forti argomenti a provare che il Santo non ammetteva la infallibilità personale de' Papi. La prima volta nella seconda parte dell'opera, lib. XI, cap. XXIV, cor. §. III, dove a proposito della difesa, che prende S. Antonino de' decreti del Papa Giovanni, ha queste parole: «Intanto S. Antonino, benchè esimio sostenitore della potestà pontificia, vuole che quella Bolla (Cum inter nonnullos) si tenga in conto di certa e ferma definizione, in quanto fu accettata, approvata ed esaminata dai prelati e dottori. La quale sentenza o consuona con quella della Dichiarazione gallicana, o è ancora più forte e più esplicita [1]». La seconda volta la riproduce nel medesimo corollario, §. VIII, colle seguenti parole. «Quindi lo stesso Antonino afferma sì veramente che la definizione del Pontefice ha valore di ultima e suprema sentenza, ma però colla condizione che sia accettata, esaminata ed approvata, come testè abbiamo detto [2].» Da ultimo, nell'Appendice che soggiugne a tutta l'opera, ritorna per la terza volta sulla medesima obiezione, per opporla ad un dotto anonimo, il quale fra gli altri argomenti si serviva dell'autorità di S. Antonino a fin di oppugnare le libertà gallicane. E qui finalmente fa grazia di citare testualmente le parole del Santo; che sono le seguenti: «Ma essi (i Fraticelli), pessimi uomini, sono eretici veri, perchè si ostinano contro la determinazione cattolica fatta per la Chiesa, e pel Papa Giovanni XXII, e che da tutti i successori di lui, veri cattolici sommi Pontefici, e da tutti gli altri prelati della Chiesa e dottori dell'uno e dell'altro dritto, e moltissimi maestri di teologia di qualunque religione fu approvata, esaminata ed accettata come verissima [3]».
Due cose vogliamo osservare innanzi di rispondere direttamente. La prima è che il Bossuet si confuta da se stesso con quell'inciso, con cui s'introduce la prima volta nell'obiezione. « S.Antonino, egli comincia, esimio sostenitore della potestà pontificia ecc.» Ciò vuol dire che esso trovava nel Santo un ardore assai più notabile, che nel resto de' dottori, quanto a difendere i privilegi de' Romani Pontefici. Ora supponiamo che sieno vere le interpretazioni, che egli appicca alle sentenze del santo Arcivescovo; non solo questi non sarebbe un esimio sostenitore della potestà pontificia, ch'è quanto dire più segnalato nel difendere i privilegi de' Pontefici che non è la comune de' teologi, ma appena salverebbe il necessario per non essere eretico manifesto. La seconda osservazione è, che egli stesso dovette accorgersi quanto poco assegnamento potesse fare sopra il citato passo del Santo, poichè sebbene lo reputasse uno de' migliori fondamenti della sua interpretazione, con tuttociò guardossi bene, finchè potè, di recitarlo testualmente: invece recitò la sentenza, che egli volea vedervi, non altrimenti che se risultasse con immediata evidenza dalle parole dell'Autore. Il che potea fare senza soverchia tema che i lettori scoprissero lo scambio, trattandosi di un opera, che era da pochi conosciuta, nè facilmente si troverebbe chi volesse darsi la briga di riscontrarla nelle biblioteche. Per contrario nell'Appendice, dovendo rispondere a chi gli opponeva l'autorità del Santo, e per conseguenza dovea conoscerne la dottrina, non potè fare a meno di arrecare le proprie parole di lui, benchè senza mostrare il menomo dubbio intorno al senso che lor convenisse [4]. Ma vediamo se si appone.
Il senso che il Bossuet dà alle citate parole di S. Antonino, è, come abbiamo veduto, che «intanto le definizioni de' Romani Pontefici possono aver valore di ultime e supreme sentenze, in quanto sono approvate, esaminate ed accettate da' prelati e dottori della Chiesa.» Rispondiamo in primo luogo, che la causale in tanto, in quanto (ideo, quod) del Bossuet., donde dipende tutta la forza del suo argomento, non esiste nè letteralmente nè equivalentemente nel testo del Santo. Lo scopo di lui in quel luogo è di convincere i Fraticelli di ostinazione ereticale, perchè non volevano sottomettersi alla condanna che Giovanni XXII avea fulminato contro i loro errori colle sue tre costituzioni. La ragione che quelli opponevano era che Niccolò III avea colla sua Decretale approvata la loro dottrina, che inoltre si trovava conforme ad altre decisioni di Pontefici e concilii. Donde conchiudevano che essi erano cattolici, perchè si attenevano alla vera dottrina della Chiesa, e che Giovanni era eretico, perchè seguitava la contraria. Il Santo in primo luogo confuta il loro appiglio, dimostrando che nè nella Decretale di Niccolò, nè in altre definizioni della Chiesa vi era nulla che contraddicesse alle definizioni di Giovanni. Ciò fatto rivolge contro di loro l'accusa, che essi calunniosamente scagliavano contro il Pontefice, per convincerli che con quella pertinace persistenza ne' loro errori si chiarivano pessimi eretici.
Due vie potea tenere il S. Arcivescovo per provare questa sua proposizione, l'una pigliando per mezzo termine la decisione dommatica del Papa senza più; e l'altra quella stessa decisione, accettata, con piena conoscenza della causa, da tutti i Prelati e Dottori della Chiesa. Chi non vede che, trattandosi di gente così perfidiosa e ostinata, la quale ardiva di tacciare di eretiche le Bolle che li condannavano, ei dovea ad ogni patto scegliere la seconda? E come altrimenti avria potuto convincere uomini volontariamente ostinati nell'eresia, se neppure i Gallicani, benchè sinceramente cattolici, accetterebbero l'altro genere di pruova, dedotto dalla personale infallibilità de' Pontefici? Per opposto, argomentando S. Antonino contro ai Fraticelli dall'autorità complessiva di tutta la Chiesa, per prima veniva a togliere ad essi ogni occasione di cavilli, non essendovi in terra altro competente tribunale a cui ricorrere; ed oltre ciò rivolgeva contro ai medesimi le loro stesse armi, che erano appunto i giudizii che essi vantavano favorevoli a sè della Chiesa universale. E questa medesima è stata la tattica che i teologi, anche più ardenti nel difendere la infallibilità de' Papi, hanno seguito per circa due secoli armeggiando contro i Giansenisti. Essi, per ridurli al silenzio, non ispiegavano. lor contro le Bolle de' Pontefici senz'altro appoggio, nè si brigavano di persuaderli, che i Pontefici, allorchè definiscono ex cathedra, sono infallibili. L'argomento che li rendea insuperabilmente vittoriosi era l'autorità di tutta la Chiesa, che accettava le definizioni pontificie, come ultime e supreme sentenze in quelle quistioni. Perocchè i Giansenisti, che voleano ad ogni patto comparire cattolici, se poteano schermirsi contro i decreti de' Pontefici, senza esser convinti per ciò eretici manifesti, non poteano rifiutare l'autorità di quegli stessi decreti, in quanto accettati da tutta la Chiesa, senza rinunziare a quell'apparenza di cattolici, che l'interesse della setta li costringeva a conservare. Or chi direbbe che que' teologi in tanto sostenevano che le Bolle pontificie aveano valore e fermezza irreformabile contro i Giansenisti, in quanto erano state accettate dai Prelati della Chiesa? Ma non è identico il caso, ed identica la maniera di argomentare di S. Antonino?
Rispondiamo in secondo luogo che non solo la causale in quanto ecc., che costituisce tutto l'argomento del Bossuet, non esiste nè letteralmente nè equivalentemente nel testo di S. Antonino; ma di più dal medesimo testo è positivamente esclusa. Dì fatto lo stesso Bossuet, dopo avere interpretate quelle parole del Santo intorno alla sentenza del Pontefice, per praelatos et doctores acceptata, approbata et examinata come una condizione, perchè la detta sentenza avesse ultimo e supremo valore, conchiude con questa clausola da noi citata più indietro: Quae Declarationi gallicanae aut gemina sunt, aut etiam fortiora et explicata clarius. Ma egli con tutto l'acume del suo ingegno non vide che quello stesso essere fortiora, cioè più arditi delle pretensioni gallicane i sentimenti attribuiti da lui a S. Antonino, toglieva ogni probabilità alla sua interpretazione. Conciossiachè che è mai quel maggiore ardire, che assume nella sua spiegazione la sentenza del Santo? È nulla meno che un concetto ereticale. In effetto il Santo mettendo in ischiera tutti gli ordini ecclesiastici, pe' quali era stata acceptata, approbata et examinata la decretale di Giovanni XXII, li numera nella seguente maniera... (cioè di Giovanni) veros catholicosomnes successores eius summos Pontifices, et omnes praelatos Ecclesiae, et doctores utriusque et magistros plurimos in theologia cuiuslibet religionis. Se dunque, per sentenza di lui, queste parole esprimono la condizione, in virtù di cui solamente i decreti pontificii hanno valore dommatico in tutta la Chiesa, ne viene per conseguenza che il Santo, per concedere ai detti decreti una tal forza, esige che sieno accettati, approvati ed esaminati in primo luogo da un buon numero di successori di quel Pontefice che gli ha emanati; in secondo luogo da tutti i Prelati della Chiesa, durante il periodo di tempo che comprenda più pontificati; in terzo luogo da tutti i dottori utriusque, nel corso (da lui per altro non definito) di tutti questi anni; in quarto luogo finalmente da moltissimi, se non da tutti, i maestri di teologia appartenenti ai diversi Ordini religiosi. Altro che ardire gallicano; il quale in ultima sostanza è contento della semplice accettazione, ed anche tacita, del maggior numero de' Vescovi! S. Antonino li vuole tutti consenzienti, e consenzienti con essi tutti i dottori, almeno se sieno laureati in utroque, ed una giunta inoltre di maestri in teologia, scelti dai diversi conventi, che formino almeno la maggioranza degl'insegnanti le sacre scienze. Nè tuttavia gli basta; ma chiede inoltre che cotesto suffragio universale si mantenga in così fatta pienezza per lo spazio di parecchi pontificati, approvato via via dai Papi che si succedono; e allora soltanto, nè altrimenti che così, le sentenze pontificie avrebbero ultimo e irrevocabile valore. Or chi mettesse innanzi condizioni di questo genere, per dire obbligati i fedeli ad accettare come definizioni dommatiche le definizioni de' Pontefici, se ci non avesse perduto il cervello, non avrebbe perduta indubitatamente la fede? Crediamo bene che il Bossuet, fra i varii membri, che cita il santo Arcivescovo, il suffragio di alcuni direbbe necessario per quell'effetto di obbligare la fede della Chiesa, e quello di altri direbbe una conseguenza del primo. Ma con quale diritto egli farebbe questa restrizione? Se nel periodo del Santo è sottintesa la causale, che esso appone; questa è necessariamente da riferire a tutta la enumerazione, che sta compresa nello stesso periodo, ed ha un medesimo reggimento grammaticale.
Ma oltre alla scempiata eresia, che, secondo la interpretazione del Bossuet, si farebbe dire a S. Antonino, sarebbe inoltre nel suo modo di esprimersi uno sproposito di concetto da doverne arrossire ogni scolaretto di logica. Di fatto la ragione radicale, per la quale coloro, che negano la personale infallibilità de' Papi, richieggono il consenso de' Prelati della Chiesa, è perchè potendo i Pontefici cadere in errore, il giudizio di tutti o della maggior parte de' Vescovi, che sono pure per divino mandato custodi della fede, possa assicurare tutto il corpo de' fedeli, che la definizione del Pontefice è conforme alla dottrina di Gesù Cristo e come tale da accettarsi. È chiaro dunque che la prima cosa che i Vescovi, secondo questa sentenza, dovrebbero fare per obbligo del loro uffizio, sarebbe di esaminare, benchè privatamente, le definizioni pontificie, per vedere se concordino colla dottrina degli Apostoli. Un gallicano che dicesse essere i Vescovi obbligati senz'altro esame di accettare le definizioni de' Papi, con ciò solo distruggerebbe il sistema. Or avete avvertito l'ordine delle parole di S. Antonino, nel notare il fatto della Chiesa per rispetto alla Decretale di Giovanni? Egli, a cominciare da' successori di lui, e poi numerando a mano a mano i prelati, i dottori in utroque ed i semplici maestri di teologia, afferma complessivamente che l'accettarono, l'approvarono, l'esaminarono. Se in lui supponiamo la fede nella infallibilità personale de' Papi, la forma di dire che usa corrisponde esattamente al concetto della sua mente ed alla verità del fatto. Que' Vescovi e dottori per prima cosa accettarono senz'altro esame la decisione dommatica del Papa, approvandola con piena sommissione di animo. Dopo di che, dovendo pure dichiararla ai fedeli, e molto più confonder con essa gli eretici, l'esaminarono; ch'è quanto dire vi fecero sopra quello studio critico, che si suole di simili documenti ecclesiastici e delle stesse divine Scritture. Per, contrario se il S. Arcivescovo fosse stato della opinione del Bossuet, o si sarebbe contraddetto affermando che gli ordini ecclesiastici accettarono cecamente, prima d'ogni esame la Bolla di Giovanni, o la sua locuzione conterrebbe un ὕστερον πρότερον indegno d'un uomo del suo ingegno e incomportabile in una materia sì delicata.
Rispondiamo in terzo luogo, che quando ancora mancassero tutte queste ragioni inerenti al testo, sicchè fosse dubbio il suo senso, la interpretazione del Bossuet sarebbe necessariamente esclusa da quegli altri luoghi del Santo, da noi prodotti in abbondanza nell'articolo precedente, da' quali risulta con pienissima luce la sentenza di lui a riguardo della infallibilità personale de' romani Pontefici. È un canone elementare di critica, ammesso da cattolici e protestanti, e per rispetto ad autori tanto sacri quanto profani, che le sentenze ambigue di alcuno di essi si debbono spiegare colle sentenze più chiare, che si ritrovino dal medesimo espresso intorno allo stesso soggetto o quistione.

V.

Secondo capo di difficoltà, che il Bossuet desume dalle dottrine del Santo.


Un'altra capitale opposizione ricava il Bossuet da quel tratto della dottrina, con cui il S. Arcivescovo insegna essere illecito appellare contro ai decreti del Romano Pontefice, o sia al successore di lui, o sia al concilio generale, o finalmente a qualsivoglia potestà. Nel quale proposito il Santo si oppone questa difficoltà. «Potrebbe avvenire che il Papa fosse eretico, e volesse promulgare decreti ereticali. Il che se accadesse verrebbe a mancare la fede di Pietro; poichè in questo caso non vi sarebbe chi potesse resistergli, e dall'altro canto la Chiesa non sarebbe legata da' suoi eretici statuti. Sembra dunque che, almeno in questa ipotesi, sia lecito appellare a qualche altra potestà - Alla qual quistione è da rispondere come innanzi; cioè che sebbene il Papa, come persona particolare, agendo di proprio moto, possa errare nella fede, siccome è scritto di Leone, contro a cui Ilario pittaviese fe' richiamo nel concilio generale; ciò non ostante servendosi del concilio e addimandando l'aiuto della Chiesa universale, così provvedendo Cristo, il quale disse a Pietro: Io ho pregato per te ecc., non può cadere in errore. Nè può darsi mai caso, che la Chiesa universale accolga come domma cattolico qualche massima ereticale; poichè la Chiesa universale, che è la Sposa, ed è e sarà sempre senza niuna macchia nè ruga [5].» Citate le quali parole il Bossuet soggiugne: «Ecco, secondo Antonino, che significa che il Papa possa errare nella fede come persona singolare. Imperciocchè non si può intendere qui il Pontefice che eserciti il pubblico ed apostolico officio, come ora si pretende, ma il Pontefice che operi di proprio moto. Che poi voglia dire la formola: Pontefice che operi come Pontefice, lo dichiara lo stesso Antonino; richiedendo cioè che il Pontefice «si serva del concilio e addomandi l'aiuto di tutta quanta la Chiesa», la cui decisione per conseguenza la Chiesa universale sia obbligata di accettare [6]
A cavare il senso preciso da questo arruffamento di parole con cui l'Autore della Difesa tortura il testo di S. Antonino, per tirarlo alla propria sentenza, esso si può ridurre alla seguente proposizione: «Quando S. Antonino afferma, che il Papa, in quanto Papa, anche come persona singolare, non può errare nella fede, egli non intende, come vorrebbero i teologi romani, che il Papa eserciti il pubblico ed apostolico ministero, ma intende di più che l'eserciti col concorso del concilio e coll'aiuto della Chiesa universale, utens concilio et requirens adiutorium Ecclesiae universalis.» Di fatto poco appresso alle citate parole conchiude nella seguente maniera. «Così dunque, secondo la mente di Antonino, il Pontefice insegnante come Pontefice e come persona pubblica, o sia, come ora dicono, ex cathedra, è il Pontefice che si serva del concilio e dell'aiuto della Chiesa universale, la quale non può errare; è il Pontefice che definisca secondo la sentenza della Chiesa, per maniera che la sua definizione, accettata ed esaminata, sia approvata dalla stessa Chiesa [7]
La risposta, che scioglie radicalmente la difficoltà del Bossuet, sta nella contraddizione de' termini stessi della sentenza che esso appicca al santo Arcivescovo. Imperocchè, come si rileva dal confronto del testo da lui allegato, coll'altro del tutto parallelo allegato da noi nell'articolo precedente, la sentenza del Santo è: «Che il Papa, avvegnachè possa errare nelle cose particolari, a cagion d'esempio nelle giudiziali, nelle quali si procede per via d'informazione; ciò non ostante nelle materie della fede non può errare, posto che sentenzii come Papa, benchè lo faccia come particolare e privata persona [8].» Il concetto è del tutto somigliante a quello del passo recitato dal Bossuet, salvo solo che in questo è sottinteso il compimento della proposizione, vale a dire, che il Papa, quando non pronunzii come Papa, possa come uomo particolare errar nella fede; e per contrario nell'altro è messo esplicitamente, dicendosi che il Papa come persona singolare, agendo di proprio motivo (cioè non già come Papa, secondo il testo precedente, ma per impulso di propria passione, come uomo) possa errare anche nella fede. Or, che fa il Bossuet? Confonde in uno i due sensi sì diversi, e ci regala la portentosa interpretazione, che: «Secondo Antonino, «il Papa che non può errare quando definisce come Papa, avvegnachè come particolare e privata persona, è il Papa che si serva del concilio e degli aiuti della Chiesa universale», esigendo inoltre come abbiamo veduto, «che, quando la Chiesa non è raccolta in concilio, acciocchè le definizioni del Pontefice, come persona particolare e privata, abbiano valore dommatico, debba essa Chiesa esaminarle, approvarle ed accettarle.» Ma con questo, come testè dicevamo, lo fa incorrere in una contraddizione, che si rileva a prima vista ne' termini stessi della interpretazione.
E vaglia il vero, il concetto inchiuso nella frase «Atti di persona particolare e privata» esclude necessariamente il concorso di altre persone, in que' medesimi Atti, almeno secondo la ragione formale di questi, e inquanto sono tali nel lor valore morale. Così, a cagione d'esempio, se io dico di un personaggio il quale è a capo di una politica assemblea, pognamo di un ministero, che egli in un affare qualsisia ha operato come persona particolare e privata; è chiaro che io voglio imputare a lui solo e non già ai suoi colleghi la buona o cattiva riuscita di quel negozio. Se poi aggiungo, che egli ha operato sì veramente in qualità di preside de ministri, ma tuttavia come persona particolare; io voglio intendere senza fallo, che esso ha operato sì bene come pubblico uffiziale, ma però indipendentemente da' suoi colleghi, o in forza delle leggi che gli dessero un tal diritto, se ha operato legalmente, o certo per mandato straordinario del principe. Or non è dunque una contraddizione in termini affermare che il Papa definisce infallibilmente anche come persona particolare e privata, quando definisce insieme col concilio, o quando l'esame e l'accettazione della Chiesa dà valore dommatico ai suoi atti?
E per rispetto al concilio generale, egli è indubitato, per sentenza di tutti i teologi, che i Vescovi, legittimamente adunati e sotto la presidenza de' Romani Pontefici, non sono semplici consultori nelle materie della fede, ma veri giudici, avvegnachè non infallibili prima della confermazione pontificia. E così le difinizioni del concilio, quando sia stato legittimamente approvato, non si attribuiscono al Papa separatamente da' Vescovi, ma a tutto il consesso rappresentante adeguatamente la Chiesa universale. Il che vale assai più nella sentenza de' Gallicani, secondo la quale le parti principali vengono deferite ai Vescovi adunati, i quali considerati unitamente sono detti superiori al Papa. Ciò posto, come potrebbe S. Antonino, senza la più flagrante contraddizione, attribuire al Papa, non già principalmente, ma a lui proprio come a persona particolare e privata le definizioni del concilio, e, quel ch'è più, non già supponendo ch'egli tenesse la sentenza comune, che fu certamente la sua, ma che tenesse la gallicana, che gli si vuole affibbiare, la quale fa il Papa inferiore al concilio?
Lo stesso raziocinio si può fare a riguardo dell'altro inciso, che mette per condizione della infallibilità il ricorso alla Chiesa universale, cioè (supponiamo) ai Vescovi disgregati. In questa ipotesi, perchè le decisioni del Pontefice avessero fermezza dommatica, sarebbe necessario, secondo la interpretazione del Bossuet, non solo che egli pronunziasse ex sententia Ecclesiae; ma di più che dopo emanate le sue proposte, la Chiesa universale, cioè i Vescovi disgregati ne facessero ciascheduno da sè l'esame, e sol quando si accordassero tutti, o almeno la maggior parte ad approvarle ed accettarle, quelle avessero forza di definizioni di fede. Or se questa è la mente di S. Antonino, si domanda come mai, se non fosse per ironia, potrebbe affermare che la infallibilità di quelle definizioni si dovesse ascrivere al Papa come a persona particolare e privata! Il Papa in questo caso non sarebbe più infallibile di que' teologi, de' quali si fosse servito per apparecchiar le materie da definire o per formolare le bolle, che poi i Vescovi dovrebbero esaminare, e quindi o accogliere o rigettare, secondo che le credessero o conformi o contrarie alle verità rivelate. Ad ogni modo la cagione della infallibilità non sarebbe il Papa, come persona particolare e privata, ma in primo luogo i Vescovi consenzienti, e di poi il Papa, inquanto fa un solo corpo con essi. Non potrebbe dunque senza contraddizione affermarsi, che nella detta ipotesi il Papa, anche come persona particolare e privata, sarebbe infallibile.
E crediamo che non senza perchè il santo Arcivescovo, potendo adoperare altre formole che esprimessero lo stesso concetto, abbia prescelta questa: come persona particolare e privata. Per verità potrebbe sembrare non esser cotesto un modo di dire molto felice per esprimere l'atto, che il Pontefice esercita d'insegnare a tutta la Chiesa in qualità di universale maestro; poichè un tal atto non è di uomo privato, ma di personaggio eminentemente pubblico. Se non che, a correggere questa qualsiasi improprietà di linguaggio, il Santo ha giudicato che dovesse bastare quell'aggiunta: Papa ut Papa; il Papa reduplicativamente inquanto Papa. Dall'altra parte, perchè difficilmente avria potuto trovare altre parole che significassero più brevemente e più chiaramente il privilegio della infallibilità personale, ha preferite quelle: ut persona particularis et privata, avvegnachè sotto un altro rispetto non fossero le più esatte.
Torniamo ora al testo citato dal Bossuet, secondo il quale pare che il Santo richiegga come condizione, perchè le definizioni del Pontefice sieno infallibili, che egli o si serva del concilio, ovvero che domandi l'aiuto della Chiesa. Ecco le parole controverse: Licet (Papa) ut persona singularis, ex motu proprio agens, errare posset in fide...; tamen utens concilio et requirens adiutorium universalis Ecclesiae ... errare non potest. Per le cose ragionate sin qui il Papa che può errare, com' è detto nel primo membro del periodo, non è il Papa che operi inquanto Papa, cioè che eserciti l'ufficio apostolico, ma è il Papa che operi come qualunque uomo, ex motu proprio, val quanto dire per privato motivo e non per ragione del suo pubblico ministero. Nondimeno, egli soggiunge nella seconda parte del periodo, se si serva del concilio, e addimandi gli aiuti della Chiesa universale, esso non può errare. In due maniere si possono spiegare queste parole; la prima: che i concilii e gli aiuti della Chiesa universale sieno condizioni esclusive per l'esercizio della infallibilità, di guisa che senza il concilio, o senza il concorso, comunque voglia spiegarsi, della Chiesa universale non possano avervi nella Chiesa definizioni che si debbano tenere per infallibili. La seconda maniera è: che fra le condizioni, per le quali si verifica l'infallibilità, hanno luogo, benchè non esclusivo, i concilii ed altri sussidii della Chiesa universale. La prima di queste spiegazioni ripugna a tutto il complesso della dottrina del Santo, e a molti luoghi particolari di senso apertissimo, specialmente a quello parallelo al presente, che testè abbiamo esaminato. Rimane dunque a dire colla seconda spiegazione, che il Santo accenna alcune di quelle condizioni, mediante le quali può nella Chiesa avere atto il privilegio della infallibilità, senza escludere le altre.
E in effetto, il privilegio della infallibilità non è, come insegnano tutti i teologi, quello di nuove rivelazioni che Iddio faccia ossia ai Pontefici ossia ai concilii. Esso consiste nell'assistenza dello Spirito Santo, che per virtù della promessa di Cristo non sarà per mancare giammai ai successori di Pietro, tanto nel tutelare il deposito della Fede, quanto nello svolgere, secondo le diverse circostanze, i dommi che vi sono implicitamente contenuti. Il che suppone che i successori di Pietro debbono usare i mezzi convenienti per isceverare nelle materie della fede il vero dal falso, il dubbio dal certo, e ciò che ad essa appartiene da quanto non la riguarda. E che il faranno ne è mallevadrice la parola di Dio, il quale imponendo ai fedeli l'obbligo di ricevere gl'insegnamenti di quelli, come verità rivelate da lui, non può permettere, senza contraddirsi, che insegnino l'errore. Ora tra i mezzi, che hanno i Pontefici per esaminare le quistioni della fede, ed assicurarsi se una qualche proposizione sia contenuta nel deposito della Rivelazione, principalissimo è quello de' sinodi universali, e pur di molta efficacia i consigli, che essi possono addimandare a tutti i Vescovi disgregati, o a molti, o ad alcuni soltanto fra essi. Però S. Antonino, volendo far persuasi i fedeli che i Pontefici, benchè come uomini individui agendo di proprio moto potessero errare, tuttavia non fallirebbero nel loro pubblico ed apostolico magistero, cita le parole di Cristo a S. Pietro, ed accenna i mezzi più possenti, onde i successori di questo daranno opera che la divina promessa si abbia infallibilmente a verificare. Ha egli negato con questo la lor personale infallibilità? Per nulla; poichè, come abbiamo veduto, nè la presenza del concilio, o gli altri aiuti che può prestare la Chiesa universale per le definizioni dommatiche escludono la infallibilità personale de' Papi; nè la verità di questa rende inutili o non necessarii, come relativamente sono in alcune circostanze, quegli altri presidii.
Il che è pur manifesto per ciò che gli stessi Pontefici operano. Quante volte essi, essendo più straordinariamente la Chiesa travagliata dall'eresie e dagli scismi, hanno convocato i Concilii universali, proclamando che a ciò erano indotti dalla necessità di quel mezzo potentissimo a fine di risolvere le quistioni in gravissime materie concernenti la Fede! Or chi direbbe che i Papi avessero inteso, così protestando, di rinnegare il privilegio personale della loro infallibilità? Che più? Lo stesso S. Padre Pio IX, prima di venire al solenne atto di definire come domma di fede l'immacolato Concepimento della gran Madre di Dio, non credette necessario addimandare gli aiuti della Chiesa universale, scrivendo a tutti i Vescovi dell'Orbe cattolico, che gli esponessero sopra ciò la loro sentenza? Vi fu egli chi vedesse in quest'atto una tacita confessione di lui contro la dottrina della sua personale infallibilità come Papa? Per contrario anzi, dopo che Pio IX, avuto il suffragio favorevole di tutto l'Episcopato, proclamò di fede l'Immacolata Concezione di Maria; così amici come nemici o tiepidi amici della S. Sede protestarono, che egli aveva col fatto sanzionata solennemente la sentenza cattolica, la quale insegna che i Pontefici, quando definiscono ex cathedra sono personalmente infallibili.
Se non che S. Antonino non solo nel citato testo non esclude un tal privilegio de' Pontefici, ma l'include positivamente. Il che si prova prima pel luogo del Vangelo, che adduce, a fine di rassicurare i fedeli dal timore, che le definizioni pontificie possano mai contener errori contro la fede. Il luogo che cita sono quelle parole di Cristo a S. Pietro: Ego rogavi pro te ut non deficiat fides tua; donde appunto i teologi ricavano il più forte argomento per sostenere la personale infallibilità de' Pontefici. Il che non potea non vedere S. Antonino, specialmente che in que' tempi tanto si disputò, e appunto co' testi della Scrittura, della potestà pontificia. E però se egli tenea la contraria sentenza, avria dovuto allegare piuttosto quelle altre parole, dette in comune agli Apostoli, dalle quali si deduce la infallibilità de' concilii generali: Ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consumationem saeculi [9], o altri luoghi somiglianti.
La seconda prova si ricava dalle stesse parole che ci vengono opposte. Il Santo dice che il Papa utens concilio non potest errare. Richiamiamo alla mente la dottrina di lui, da noi largamente esposta nel quaderno precedente, intorno alle relazioni tra i Pontefici ed i concilii. Quivi fra l'altre cose notammo, che, secondo la sua sentenza, che è la vera, la ragione formale della infallibilità delle definizioni dommatiche de' concilii è la confermazione pontificia, e quindi la infallibilità personale de' Papi. E però vedemmo che egli indifferentemente deriva la verità di fede de' simboli tanto da tutto il corpo de' concilii, da cui furono editi, quanto dai Papi isolatamente considerati, che colla loro approvazione diedero il valore dommatico a que' concilii. Ciò posto, quando egli afferma che il Papa utens concilio non potest errare, non fa intendere chiaramente, che con queste parole egli considera le definizioni, in cui non possa cadere l'errore, non in quanto sono riferibili al concilio che le formolò, ma in quanto sono riferibili al Papa, che colla sua sanzione diede ad esse il valore d'infallibili?
Ma più evidentcmente risulta la stessa sentenza del Santo dalle parole che seguono immediatamente appresso, e sono: Et requirens adiutorium universalis Ecclesiae non potest errare. Questo inciso, benchè appiccato al precedente (utens concilio) colla particella et, è manifestamente disgiuntivo. In sostanza egli vuol dire che il Papa è infallibile o sia servendosi del Concilio, o sia domandando altri aiuti alla Chiesa universale. Del quale uso dell'et si trovano infiniti esempii negli autori, specialmente in quelli che non sono molto esatti nel serbare le proprietà del linguaggio. Ma qui è necessario spiegare in questo modo la cosa; giacchè altrimenti S. Antonino o avrebbe ripetuto inutilmente lo stesso concetto, intendendo per adiutorium universalis Ecclesiae il concilio; ovvero avrebbe detto essere necessarii, oltre al concilio, altri aiuti della Chiesa universale per quest'effetto: il che è falso. Domandiamo ora: quali sono cotesti aiuti della Chiesa universale, i quali addimandando il Papa emanerebbe definizioni immuni da ogni pericolo di errore? Abbiamo sentito rispondere il Bossuet, che sono l'esame, l'approvazione e l'accettazione de' Vescovi. Ma S. Antonino, che visse alcuni secoli prima che potesse profittare de' lumi del Vescovo di Meaux, naturalmente intese accennare a ciò che in ogni tempo hanno usato i Pontefici nelle quistioni più gravi e intricate, di che, come abbiamo detto, ci fornì pochi anni addietro l'esempio il S. Padre Pio IX; cioè di domandare su quelle quistioni i lumi degli altri Vescovi cattolici. Per opposto non solo i Papi non hanno mai dimandato ai Vescovi, che esaminassero le loro decisioni per vedere se dovessero approvarle ed accettarle, ma anzi hanno imposto sempre a tutti i fedeli, di qualsivoglia dignità e condizione, e per conseguenza anche ai Vescovi, di sottomettersi ad esse senz'altra disquisizione; e ciò sotto pena di rimanere altrimenti separati ipso facto dalla comunione della Chiesa. E se questo intese S. Antonino (nè altro potea intendere) non propugnò egli, benchè implicitamente, anche in questo testo la infallibilità personale de' Romani Pontefici? Anzi, se ben si mira, la stessa difficoltà non avrebbe luogo, se non supposta la infallibilità personale de' Pontefici. Poichè non supponendosi questa, se un Pontefice, privatamente eretico (com'è la difficoltà del Santo) volesse pubblicamente promulgare statuti ereticali, per qualunque maniera ciò facesse, i fedeli non si troverebbero impacciati; dovendo in ogni caso, anche di non sospette dottrine, aspettare l'accettazione di tutt'i Vescovi, per credersi obbligati ad obbedire: quanto più nell'ipotesi di decisioni dubbie nella fede?
Dalle quali cose, da noi ampiamente ragionate, veda il lettore che conto si debba fare dell'ultima conchiusione, onde il Bossuet con una nuova istanza procura di ribadire la sua argomentazione sopra il più volte citato passo del Santo. «Or dunque, egli conchiude, tutto ciò che Antonino dice nel predetto paragrafo 4 del capo terzo, titolo XXIII della terza Parte, del non potersi appellare contro il Papa neppure nella ipotesi che sia eretico, non presenta nessuna difficoltà. Ciò dipende dalla ragione che altrimenti, come dice lo stesso Antonino, la Chiesa abbastanza vale per sè stessa, perchè non sia tenuta di obbedire ai suoi statuti ereticali [10]
Ma qui il Bossuet aggiugne alle parole del Santo, che sono le sottolineate da lui stesso, altre di proprio capo, che ne alterano totalmente la sentenza. Il Santo, dopo il periodo da noi commentato, seguita immediatamente: Nec potest esse quod universalis Ecclesia accipiat aliquid catholicum, quod est haereticum, quia Ecclesia universalis, quae est Sponsa, et erit semper et est non habens maculam nec rugam [11]. Le quali parole hanno nel contesto un senso giustissimo per rassicurare i fedeli contro la difficoltà che si oppone, che il Papa essendo eretico occulto, volesse proclamare nella Chiesa dommi ereticali. Di fatto egli avea risposto in primo luogo direttamente, riportando la promessa di Cristo, fatta a Pietro ed in Pietro a tutti i suoi successori, che la lor fede, almeno in quanto capi della Chiesa, non sarebbe per mancare. A mostrare poi come praticamente si verifica questa promessa, accennò i mezzi più efficaci, lasciati da Cristo ai Pontefici, per fornirsi de' lumi necessarii nelle decisioni da fare; e sono in particolare i concilii ecumenici, ed in generale gli aiuti di ogni sorta, che si può procacciare dalla Chiesa universale. Il che fatto, risponde ora indirettamente ab absurdo, nel seguente modo: Se il Papa, come Papa, potesse errare, ne seguirebbe che la Chiesa universale dovesse abbracciare come domma cattolico qualche bestemmia ereticale. Ma questo è impossibile, perchè la Chiesa è la Sposa sempre immacolata di Cristo. Dunque ecc. Dopo la dimostrazione, che ci sembra conchiusa invittamente, de' precedenti, questo è l'unico senso che può darsi alle sopraccitate parole del santo Arcivescovo.
Un'ultima osservazione faremo sopra ciò che il Bossuet fa dire in generale a S. Antonino nella ipotesi di un Papa, che, come privata persona, fosse caduto nell'eresia. Egli afferma esser sentenza del Santo, che neppure in questo caso si può fare appello contro di lui. Ma il vero è che il Santo distingue il caso di un Papa eretico occulto, e dà per questa ipotesi la risposta che abbiamo sì a lungo esaminata. Dopo di ciò considera l'altra ipotesi di un Papa notoriamente eretico. Per rispetto ad essa insegna, che neppure sarebbe da procedere subito alla deposizione, ma si dovrebbe usare ogni mezzo per farlo ravvedere. Se poi, aggiugne, ei volesse persistere nella sua contumacia, già per ciò solo cesserebbe di esser Papa, poichè non sarebbe neppur membro della Chiesa. Con che fa intendere, che appellandosi contro lui, o deponendosi, non si farebbe ingiuria alla dignità papale, che in lui sarebbe del tutto mancata [12]. Nulla aggiugneremo intorno a coteste ipotesi, che noi col Bellarmino riputiamo impossibili, avendone toccato quanto era necessario nell'arti[co]lo precedente.
E qui siamo costretti di far fine, benché avevamo creduto di poterci spacciare di tutte le difficoltà con un solo articolo. Ma le materie, come hanno veduto i lettori, sono troppo spinose, e l'avversario contro al quale lottiamo, di acutissimo ingegno. Domandiamo dunque ad essi perdono se dovremo prolungare anche di un altro articolo quest'argomento: il che faremo in uno de' prossimi quaderni [13].
(continua)

NOTE:

[*] V. questo volume, Pag. 181 e segg.
[1] At sanctus Antoninus, potestatis pontificiae assertor eximius, ideo (Decretalem Ioannis XXII) pro certo, firmoque decreto haberi vult, quod per praelatos acceptata, approbata et examinata fuerit. Quae Declarationi Gallicanae aut gemina sunt, aut etiam fortiora et explicata clarius.
[2] Hinc idem Antoninus pontifciam definitionem valere dicit summa et ultima firmitate; sed acceptatam, examinatam et approbatam, quemadmodum mox retulimus.
[3] Sed ipsi pessimi homines sunt haeretici veri, quia asserunt contra determinationem catholicam factam per ecclesiam, et Dominum Papam Ioannem XXII, et omnes successores eius veros catholicos summos Pontifices, et omnes alios Praelatos Ecclesiae et doctores utriusque (iuris), et magistros plurimos in theologia cuiuslibet religionis acceptatam, examinatam et approbatam ut verissimam. Summ. Theolog. Part. IV, tit. XII, cap. IV, §. 28.
[4] Ecco le parole che soggiugne dopo riportato il testo di S. Antonino. Quo loco demonstrat quod sit verum apostolicum et iam irreformabile pontificium iudicium; nempe illud, quod a Papa prolatum, ab universa Ecclesia acceptatum, examinatum approbatumque sit. Appendix, lib. II, cap. V.
[5] Contingere posset, quod Papa haereticus esset, et vellet haeretica statuta condere: quod si contingeret deficeret fides Petri; quia non esset qui in hoc casu posset resistere, nec teneretur Ecclesia haereticis statutis eius obedire. Videtur ergo, in hoc casu saltem, licitum esse ad aliquem appellare - Ad istud dicendum sicut prius, quod licet ut persona singularis, ex motu proprio agens errare posset in fide, sicut scribitur de Leone, contra quem Hilarius pictaviensis in concilium generale venit; tamen utens concilio, et requirens adiutorium universalis Ecclesiae, Deo ordinante qui dixit Petro: Ego rogavi pro te, etc. non potest errare. Nec potest esse quod Ecclesia universalis accipiat aliquid tamquam catholicum, quod est haereticum; quia Ecclesia universalis, quae est Sponsa, et erit semper et est non habens maculam neque rugam. Part. III, titul. XXIII, cap. III, §. 4.
[6] En, secundum Antoninum, quid sit Pontificem errare posse in fide ut personam singularem. Non enim hic intelligendus Pontifex publicum et apostolicum offìcium exequens, quod nunc volunt, sed Pontifex ex motu proprio agens. Quid sit autem Pontifex agens ut Pontifex, idem Antoninus exponit; nempe ut sit Pontifex utens concilio et requirens adiutorium universalis Ecclesiae, cuius proinde sententiam universalis Ecclesia accipiat. Append. lib. et cap. cit.
[7] Sic ergo ex Antonini mente, Pontifex docens ut Pontifex atque ut persona publica, sive, ut nunc loquuntur ex cathedra, est Pontifex, ut vidimus, utens concilio et adiutorio universalis Ecclesiae, quae errare non potest; atque ex eius sententia ita pronuntians, ut eius sententiam, acceptatam et examinatam, ipsa Ecclesia approbet. Loc. cit.
[8] Part. IV, titul. VIII, cap. III, §. 5. II testo latino l'abbiamo arrecato nel quaderno precedente a pag. 189 in nota. [Cfr. nota 5 dell'articolo precedente: «Et licet Papa in particulari errare possit, ut in iudicialibus, in quibus proceditur per informationem; alias in his quae pertinent ad fidem errare non potest, scilicet ut Papa in determinando, etiamsi ut particularis et privata personaN.d.R.]
[9] Matth. XXVIII, 20.
[10] Ved. op. cit. di Bossuet, luog. cit.
[11] Ved. sop. a pag. 314.
[12] Si tamen Papa, ut singularis persona in haeresim laberetur notorie, adhuc tamen non est appellandum a Papa; quia talis primo monendus est ab illis, qui in electione Papae totum corpus Ecclesiae repraesentant; qui sunt modo Ecclesiae romanae cardinales. Et si admonitus vellet se corrigere, non deberent eum iudicare; sed ipse humiliter ab honore desistens seipsum deberet punire... Si autem vellet in haeresi pertinaciter permanere videretur a Papatu eo ipso deiectus. Loc. et §. cit.
[13] Crediamo bene rettificare alcuni sbagli di citazione, che a cagione della fretta ci sfuggirono nell'articolo precedente. A pag. 183 alla fine della nota invece di §. 4, corr. §. 3 - A pag. 192 nota 2 alla citazione loc. cit. avvertiamo, per iscanso di equivoco, che è da intendere il titolo XXII, cap. VI, §. 20; e allo stesso titolo e capo si riferiscono gl'ibidem della citazione 3 e 5 - A pag. 194 in fine della prima nota invece di cap. V leggi cap. IV; ed in fine della 2 nota leggi ibidem senz'altro. [N.B.: questi errori nella nostra edizione del primo articolo sono stati corretti. N.d.R.]