Da: Atti Pontificii o sieno Lettera Enciclica e Sillabo degli 8 dicembre 1864 co' documenti in essi citati, testo e volgarizzamento curati per una Pia Unione di Sacerdoti napolitani, Napoli 1865, pag 116-127.
LETTERE APOSTOLICHE
DEL NOSTRO SANTISSIMO PADRE IL PAPA LEONE XII [1]
[Costituzione Quo graviora, 13 marzo 1825, traduzione italiana]
CONDANNA
DELLA SOCIETÀ DETTA
DES FRANCS-MAÇONS
E DELLE ALTRE SOCIETÀ SECRETE
LEONE VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO
A perpetua memoria.
§1. Quanto più gravi sono i mali che al gregge sovrastano di Gesù Cristo nostro Dio e Salvatore, tanto maggiore sollecitudine adoperar debbono nel rimuoverli i Romani Pontefici, cui nella persona di S. Pietro Principe degli Apostoli, è stata affidata la potestà e la cura di pascerlo e governarlo. Imperciocchè essendo stati essi collocati nel più alto grado della Chiesa, loro appartiene più da lungi scoprire le insidie che macchinano i nemici del nome Cristiano per distruggere la Chiesa di Cristo (la qual cosa però non otterranno giammai) e non solo indicarle e palesarle a' fedeli, perchè possan guardarsene; ma eziandio colla loro autorità allontanarle, e respingerle. Comprendendo i Romani Pontefici nostri predecessori un tal gravissimo carico loro addossato, da buoni Pastori sempre vegliarono, e colle esortazioni, colle istruzioni, coi decreti, e colla vita medesima data per le loro pecorelle procurarono di proibire, ed estinguere affatto quelle sette che minacciavano l'estremarovina della Chiesa. Nè solamente dagli antichi Ecclesiastici annali si può ricavare la memoria di tal sollecitudine dai Pontefici addimostrata. Lo provano ancor chiaramente le cose, che sono state da' Romani Pontefici praticate a' tempi nostri, ed a quelli de' nostri padri per opporsi alle sette segrete di coloro che malignavano contro il Signore. Imperciocchè, quando Clemente XII Nostro Predecessore si avvide, che di giorno in giorno prendeva vigore ed acquistava una nuova fermezza la setta de' liberi Muratori, o des Francs-Maçons, o altrimenti appellata, la quale per molte incontrastabili pruove avea conosciuta sospetta non solo, ma ancora totalmente contraria alla Chiesa Cattolica, la condannò colla chiara Costituzione, che incomincia In eminenti, pubblicata a' 23 di aprile dell'anno 1738 che è del tenore seguente.
§. 2. (Vedi l'Enciclica di Clemente XII. a pag. 32.).
§.3. Tali cose però non furono bastevoli per Benedetto XIV, di onorata ricordanza, anche nostro Predecessore. Imperciocchè pe' discorsi di molti erasi divulgato, che la pena di scomunica fulminata nella lettera di Clemente già trapassato non più colpiva, perchè Benedetto non l'avea confermata con termini precisi. Per verità assurda cosa ella era pretendere, che le leggi de' passati Pontefici andassero in disuso, se non fossero espressamente approvate da' Successori; ed inoltre manifestamente appariva, che Benedetto più volte aveva ratificata quella Costituzione di Clemente. Ciò non ostante giudicò Benedetto dover estorquere dalle mani de' settarî anche questo cavilloso pretesto con una nuova Costituzione da lui pubblicata il dì 18 di marzo dell'anno 1751, che incomincia –– Providas –– colla quale confermò la Costituzione di Clemente con altrettante parole riportata nella forma, che dicesi, specifica, la quale si reputa la più ampia ed efficace di tutte. La Costituzione poi di Benedetto è questa:
§. 4. (Ved. l'Enciclica di Benedetto XIV. p. 36. segg.).
§.5. Avesse voluto il Cielo, che i Sovrani di que' tempi avessero fatta tanta stima di questi decreti, quanta ne richiedeva la salvezza e della Chiesa, e dello Stato. Avesse voluto il Cielo che si fossero persuasi di dover riconoscere nei Romani Pontefici successori di S. Pietro non solamente i Pastori, ed i Maestri della Chiesa universale, ma ancora i bravi difensori della lor dignità, ed i denunziatori attentissimi di quelli pericoli che erano imminenti. Avesse voluto il Cielo che si fossero avvaluti della loro autorità per abbattere quelle sette, i cui disegni contagiosi erano stati loro scoverti dalla Sede Apostolica. Già fin da quel tempo avrebbero interamente posto fine al disordine. Ma poichè essi o per frode de' settarî, che astutamente occultavano le loro cose, o per gl'incauti consigli di alcuni, giudicarono che non si dovesse curare una tal causa, o che almeno avesse a trattarsi assai leggermente; da quelle antiche sètte Massoniche, le quali non mai divennero languide, ne nacquero molte altre assai più perniciose ed audaci di quelle. È sembrato che tutte queste le abbia come nel suo seno raccolte la setta dei Carbonari, la quale in Italia ed in alcuni altri paesi si stimava la principale di tutte le altre, e divisa, come in varî rami, diversi solamente nel nome, imprese a combattere col più smanioso furore la Cattolica Religione, ed ogni suprema e legittima civil potestà. Ora per liberare da tale calamità l'Italia, ed altre regioni, anzi lo stato Pontificio medesimo (nel quale, interrotto per qualche poco di tempo il governo del Pontefice, era quella setta penetrata insieme cogli esteri invasori) Pio VII di felice memoria, di cui siam successori, con severissime pene condannò la setta de' Carbonari, con qualunque nome essa si appellasse, attesa la diversità de' luoghi, de' linguaggi, e de' popoli, colla Costituzione pubblicata a' 13 settembre dell'anno 1821, che incomincia Ecclesiam a Jesu Christo. –– Una copia anche di questa abbiamo giudicato dovere inserire in questa nostra lettera, ch'è del tenore seguente:
§. 6. (Ved. l'Enc. di Pio VII. pag. 98.)
§. 7. Non molto dopo che una tal Costituzione fu da Pio VII pubblicata, Noi fummo senz'alcun Nostro merito innalzati alla suprema Cattedra di S. Pietro, e tosto rivolgemmo tutte le Nostre cure a scoprire qual mai fosse lo stato delle sette secrete, quale il numero, quale la forza. Nella ricerca di tai cose di leggieri comprendemmo ch'era cresciuta la loro insolenza, specialmente per la moltitudine di esse aumentata di nuove sette. Tra le quali quella in particolar modo si deve rammentare detta Universitaria, perchè ha sede e domicilio in molte Università degli Studî, nelle quali i giovani da alcuni maestri, che s'impegnano non d'istruirli, ma di pervertirli, sono iniziati ne' misteri della medesima, che in un verissimo senso si debbono appellare misteri d'iniquità, e sono istituiti ad ogni scelleratezza.
§.8. Da ciò poi è addivenuto, che anche dopo un tempo sì lungo, da che la prima volta in Europa si accesero, e si levarono le faci della ribellione dalle sette secrete per opera de' loro partigiani, e dopo anche le più luminose vittorie riportate da' più potenti principi di Europa, per le quali speravasi, che si dovessero reprimere, non ancora però son cessati gl'iniqui loro sforzi. Imperciocchè in quelle stesse regioni, nelle quali pare che si sian sedate le antiche procelle, qual timore non havvi di nuovi scompigli e sedizioni, che quelle incessantemente macchinano? Quale spavento non destasi per quegli empî coltelli, che di nascosto immergono nel corpo di coloro che han disegnato di uccidere? Quante e quanto gravi cose non di rado sono costretti, loro malgrado, a decretare i loro principi per conservare la pubblica tranquillità?
§.9. Da ciò ancora nascono le più aspre sventure, dalle quali, quasi in ogni luogo è tribolata la Chiesa, e le quali ricordar non possiamo senza dolore, anzi senza tristezza. Nel più impudente modo s'impugnano i santissimi dogmi, e precetti di Lei, si scema la sua dignità, e non solamente si perturba, ma si manomette del tutto quella pace e felicità di cui dovrebbe per un certo suo dritto godere.
§. 10. Nè devesi stimare, che tutti questi mali ed altri che sono stati da Noi passati sotto silenzio, senz'alcun fondamento, e per calunnia si ascrivono a tali società segrete. I libri che non han dubitato dare alla luce gli ascritti a queste sette sulla Religione e lo stato, co' quali disprezzano la dominazione, bestemmiano la maestà, dicono spesso, che Cristo sia o scandalo, o stoltezza; anzi non di rado insegnano, che non v'ha alcun Dio, e che l'anima dell'uomo muore insieme col corpo: i codici, e gli statuti, ne' quali spiegano i lor disegni, e i loro propositi manifestamente dichiarano tutto quel che di già abbiam detto, e che da essi derivano quelle cose che mirano a scuotere i legittimi governi, ed a distruggere dai fondamenti la Chiesa. E debbesi avere come certo e manifesto, che queste sette, benchè sieno diverse nel nome, sono nondimeno tra loro congiunte col nefando vincolo de' disegni i più perversi.
§. 11. Le quali cose essendo così, Noi giudichiamo appartenere al nostro dovere di bel nuovo condannare tali sette segrete, ed in modo, che niuna di esse spacciar possa, non essere compresa nella Nostra Apostolica determinazione, e con tal pretesto trarre in errore gl'incauti, ed i meno perspicaci. Sicchè col consiglio de' Nostri Venerabili Fratelli Cardinali della S. Chiesa Romana, ed anche per moto proprio, e con certa scienza e matura nostra deliberazione perpetuamente proibiamo, sotto l'istesse pene che si contengono nelle lettere de' Nostri predecessori già riportate in questa Nostra Costituzione, le quali espressamente confermiamo, tutte le società occulte, tanto quelle che ora esistono, quanto quelle che forse successivamente sorgeranno, qualunque nome adottino, e tutte ancora quelle cose che si propongono contro la Chiesa, e le supreme civili potestà, che Noi sopra abbiamo rammentate.
§. 12. Per la qualcosa rigorosamente, ed in virtù di santa ubbidienza comandiamo a tutti, ed a ciascheduno de' fedeli di qualunque stato, grado, condizione, ordine, dignità, e preeminenza, laici siano o clerici, tanto secolari, quanto regolari, ancorchè degni di essere distintamente ed individualmente nominati ed espressi, che niuno sotto qualsivoglia pretesto o mendicato colore ardisca o presuma di associarsi alle predette società, qualunque nome esse adottino, o propagarle, proteggerle, e nelle sue abitazioni, o case, o altrove ricettarle ed occultarle, farsi ascrivere ed aggregare ad esse, e a qualunque grado delle medesime, o intervenirvi, ovvero dar loro la facoltà ed il comodo di radunarsi in alcun luogo, somministrare alle medesime qualche cosa, e prestar loro in altra guisa consiglio, aiuto o favore palesemente o in segreto, direttamente o indirettamente, per sè o per altri, ed anche esortare, indurre, stimolare e persuadere altri ad ascriversi od aggregarsi a tali società, od a qualunque loro grado, o intervenirvi, oppure aiutarle, e fomentarle in qualunque modo; ma debba tenersi del tutto lungi dalle medesime società, dai loro ceti, adunanze, unioni, congreghe o conventicole, sotto pena di scomunica da incorrersi ipso facto senza alcuna dichiarazione, da tutt'i mentovati trasgressori; dalla quale scomunica niuno possa essere da chicchessia assoluto fuorchè da Noi, o dal Romano Pontefice esistente pro tempore, eccetto solamente se fosse costituito nell'articolo di morte.
Inoltre comandiamo a tutti sotto l'istessa pena della scomunica riservata a Noi, ed ai Romani Pontefici Nostri successori, di dover denunciare ai Vescovi, o agli altri a' quali spetta, tutti coloro che conosceranno essersi ascritti a queste società, o essersi macchiati di alcuno di quei delitti, de' quali pocanzi si è fatta menzione.
Specialmente poi totalmente condanniamo, e dichiariamo del tutto irrito quel giuramento veramente empio e scellerato, col quale chi si ascrive a tali sette si obbliga di non iscoprire ad alcuno quelle cose che a quelle sette appartengono, e di punir colla morte tutti que' socî che le manifestano a' superiori sì ecclesiastici che laici. E perchè? Non è cosa illecita tenere quel giuramento che devesi pronunziare nella giustizia, come un vincolo col quale un uomo si obbliga a spargere il sangue altrui ingiustamente, a dispregiare l'autorità di coloro, che governando o la Chiesa, o la legittima civil società, hanno il dritto di conoscer quelle cose, nelle quali è riposta la salvezza delle medesime? Non è la cosa più iniqua e detestevole chiamar Dio medesimo come testimone e mallevadore di scelleraggini? Rettissimamente dicono i PP. del Concilio Lateranese nel Canone 3: Imperciocchè chiamar non si debbono giuramenti, ma piuttosto spergiuri quei che si fanno contro l'utilità della Chiesa, e gl'insegnamenti de' Ss. Padri. E per verità soffrir non si può la impudenza, o follia di coloro fra essi, che mentre non solo nel proprio cuore, ma anche palesemente e ne' pubblici loro scritti dicono, non vi è Dio, osano non per tanto riscuotere il giuramento da tutti coloro che aggregano alle loro sette.
Queste cose sono state da Noi stabilite per comprimere e condannare tutte queste sette furiose e scellerate: ora poi, o Venerabili fratelli, Cattolici Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi, non solamente domandiamo, ma istantemente chiediamo la vostra cooperazione. Badate a Voi stessi ed a tutto il gregge, di cui lo Spirito Santo vi ha costituiti Vescovi per pascere la Chiesa di Dio. Vi assaliscono al certo lupi rapaci, che non risparmiano al gregge; ma non temete, nè tenete la vostra vita più preziosa di voi. Siate certi che la costanza nella religione e nella virtù, de' fedeli a voi commessi, dipende in grandissima parte da voi. Imperciocchè, sebbene viviamo in giorni che sono tristi, e in tal tempo in cui molti mal soffrono la sana dottrina, dura tuttavolta il rispetto di moltissimi fedeli verso i loro Pastori, i quali giustamente essi riguardano come Ministri di Gesù Cristo, e dispensatori de' Misteri di Lui. A vantaggio dunque delle pecorelle vostre medesime, avvaletevi di quest'autorità che ritenete ancora ne' loro animi per immortal benefizio del Signore. Eglino per l'opera vostra conoscano le frodi de' settarî, e con quanta diligenza debbano quelli evitare, e la loro conversazione. Pe' vostri consigli ed ammaestramenti abborriscano la prava dottrina di coloro i quali si beffano de' Misteri santissimi della nostra religione, e de' purissimi precetti di Gesù Cristo, ed impugnano ogni legittima potestà. E per parlarvi colle parole del nostro Predecessore Clemente XIII, nella sua lettera enciclica a' Patriarchi, Primati, Arcivescovi, e Vescovi tutti della Chiesa Cattolica del 14 settembre 1758. «Di grazia, riempiamoci della fortezza dello spirito del Signore, del discernimento, e della virtù, per non permetter come cani muti, che non valgono a latrare, che il nostro gregge sia rapito, e sian divorate le pecore nostre da tutte le fiere del campo. Nè veruna cosa ci spaventi dall'esporci a tutt'i conflitti per la gloria di Dio e la salute delle anime. Ripensiamo attentamente a Colui, che tale contro la sua propria persona sostenne contraddizione dai peccatori. Che se temeremo l'audacia de' malvagi, niente più si avrà a sperare dal vigore dell'Episcopato, e dalla sublime e Divina potestà di governare la Chiesa, nè più possiamo o durare, o esser cristiani, se siam giunti a tale stato che temiamo le minacce o le insidie degli uomini scellerati».
Con sommo impegno ancora imploriamo il vostro sostegno, o Principi Cattolici, carissimi nostri figliuoli in Gesù Cristo, che amiamo con amor singolare e veramente paterno. Vi richiamiamo perciò alla memoria le parole, delle quali Leone il Grande, di cui siamo successori nella dignità ed eredi nel nome, benchè senza Nostro merito, si avvalse scrivendo a Leone Imperatore. «Devi incessantemente considerare, che la real potestà ti è stata data non solamente per governare il mondo, ma soprattutto a presidio della Chiesa, affinchè con reprimere i nefandi attentati, difendi i buoni stabilimenti, e ridoni la vera pace alle cose che sono scompigliate». Sebbene in questo tempo corriamo tal rischio, che dovete rifrenare tali sette, non per difendere solamente la Religione Cattolica, ma per conservare ancora la salvezza vostra e quelli de' popoli soggetti al vostro governo. Imperciocchè in questo tempo specialmente la causa della religione è congiunta per modo colla salvezza della società, che in nessun conto affatto può l'una dividersi dall'altra. Imperciocchè coloro che seguono quelle sette non sono meno nemici della religione di quel che lo sieno del vostro potere. L'una e l'altra assalgono, l'una e l'altra macchinano di totalmente atterrare. E per verità, se il potessero, non soffrirebbero che vi rimanesse o la religione, o alcuna reale potestà.
È poi sì fina l'astuzia di questi uomini scaltrissimi, che quando sembrano essere assaissimo intenti ad ampliare il vostro potere, allora specialmente han la mira di diroccarlo. Essi spacciano per verità molte dottrine per persuadere, che da' sovrani devesi diminuire ed affievolire la potestà nostra e quella dei Vescovi, e trasferire a' principi molti diritti, sì di quelli che son proprî di questa Cattedra Apostolica, e Chiesa principale, come di quelli che appartengono ai Vescovi, i quali sono stati chiamati a parte della nostra sollecitudine. Ma queste cose insegnano non solamente per quell'odio implacabile di cui sono accesi contro la Religione, ma anche con tal disegno, perchè sperano che i popoli vostri sudditi, se per avventura si avveggano che sieno distrutti que' limiti che per le cose sacre Cristo e la Chiesa da lui fondata hanno stabiliti, facilmente saranno indotti da tale esempio a cambiare e a distruggere anche la forma del governo politico.
A voi tutti ancora, o diletti figliuoli che professate la Religione Cattolica, ci rivolgiamo in particolar modo col nostro discorso, e colle nostre esortazioni. All'intutto guardatevi da quegli uomini che fanno della luce tenebre, e delle tenebre luce. Imperciocchè qual vera utilità potrà ridondarvi dal consorzio di coloro che si avvisano non doversi aver conto di Dio, e di tutte le sublimi potestà, che si sforzano con insidie e segrete adunanze di muover loro la guerra, ed i quali, comecchè nelle piazze ed ovunque gridino ch'essi sono amantissimi del pubblico bene della Chiesa e della società, tuttavolta con tutte le loro azioni già dichiararono di voler tutto sconvolgere e tutto abbattere. Sono questi certamente simili a coloro, cui Giovanni nella seconda sua lettera vers. 10., impone di non dare albergo e saluto, ed i quali i nostri maggiori non ebbero difficoltà di chiamare primogeniti del diavolo.
Guardatevi dunque dalle loro lusinghe, e da' discorsi aspersi di mele, coi quali vi consiglieranno ad arrolarvi alle loro sette. Siate sicuri, che niuno può partecipare a quelle sette senza esser reo di gravissimo delitto, e chiudete l'orecchio alle parole di coloro i quali purchè voi consentiate ad aggregarvi ai gradi inferiori delle loro sette, altamente protestano, che in quei gradi nulla si commetta, che alla ragione ed alla Religione si opponga, anzi che niente o si dice, o si fa, che non sia santo, retto ed incontaminato. Imperciocchè quell'empio giuramento, di cui già si è parlato, e che devesi ancora dare nei gradi inferiori, è di per se stesso bastevole a farvi intendere che illecita cosa ancor sia ascriversi a quei gradi minori, e restarvi. E quantunque non soglia da essi affidarsi a coloro i quali non hanno ottenuto i gradi superiori, le cose più gravi e più inique, pure chiaramente apparisce, che la forza e l'audacia di queste perniciosissime sette risulta dalla cospirazione e dalla moltitudine di coloro che vi si aggregarono. Sicchè anche coloro che non hanno oltrepassato que' gradi inferiori, si debbono stimare partecipi di quelle scelleratezze. Ed a costoro stan bene quelle parole dell'Apostolo a' Romani (cap. l. v. 32) «Chi fa tali cose è degno di morte, nè solamente chi le fa, ma anche chi approva coloro che le fanno.»
Finalmente con tutta la effusione del cuore chiamiamo a Noi coloro, che dopo di essere stati illuminati, e aver gustato i doni celesti, e di aver partecipato alla grazia dello Spirito Santo, di poi sono nondimeno caduti nella maniera più deplorabile, e seguono tali sette, o sieno ne' gradi inferiori, o superiori. Imperciocchè sostenendo Noi le veci di colui che si protestò di non essere venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori, e si assomigliò a quel pastore che lasciato il rimanente del gregge, sollecitamente va in cerca della pecorella smarrita, li esortiamo e preghiamo di ritornare a Gesù Cristo. Imperciocchè quantunque si sieno lordati di un gravissimo reato, non debbono però disperare giammai della misericordia, e della bontà di Dio, e di Gesù Cristo suo figliuolo. Rientrino dunque pur una volta in sè stessi, e di bel nuovo ricorrano a Gesù Cristo che ha patito anche per essi, il quale tanto è lungi che abbia a dispregiare la loro conversione, che anzi a guisa di quel padre amorevolissimo, che aspetta da lungo tempo i prodighi suoi figli, di tutto cuore li accoglierà. Noi poi per eccitarli, per quanto è da Noi, e per dare loro più facile via alla penitenza, sospendiamo per un anno intero, dopo la pubblicazione di questa nostra lettera Apostolica, nel paese in cui dimorano, non solamente l'obbligo di denunciare i compagni delle loro sette, ma ancora la riserva delle censure nelle quali incorsero, ascrivendosi a quelle sette; e dichiariamo ch'eglino, anche non denunciati i complici, possano essere assoluti da quelle censure da qualunque confessore, purchè sia del numero di coloro che sono stati approvati dagli Ordinarî de' luoghi ove dimorano.
La quale agevolezza ancora abbiamo stabilito doversi praticare con coloro i quali per caso dimorano in questa alma città. Che se talun di coloro a' quali ora parliamo, sia per modo ostinato (cosa, che Iddio Padre delle misericordie tenga lungi), che faccia trascorrere quello spazio di tempo che abbiamo fissato senz'abbandonare quelle sette, e convertirsi davvero; scorso che sarà, tosto rinascerà per lui e l'obbligo di denunziare i complici, e la riserva delle censure, nè appresso potrà ottenere l'assoluzione, se non avrà prima denunciati i complici, o almeno dato il giuramento di denunziarli quanto prima, nè da alcun altro potrà essere prosciolto da quelle censure, fuorchè da Noi, o dai Nostri successori, o da coloro che otterranno dalla Sede Apostolica la facoltà di assolvere dalle medesime.
Vogliamo poi, che ai transunti della Nostra presente lettera, anche impressi, sottoscritti da qualche pubblico Notajo e muniti del suggello di persona costituita in dignità Ecclesiastica, si presti interamente l'istessa fede che si presterebbe alla stessa lettera originale se fosse esibita o mostrata.
A niuno dunque sia lecito lacerare questa carta della Nostra dichiarazione, condanna , conferma, innovazione, comando, proibizione, invocazione, requisizione, decreto, e volontà; o opporvisi con temerario ardire. Se taluno poi presumerà di attentarlo, sappia che incorrerà nella indignazione di Dio Onnipotente, e de' suoi santi Apostoli Pietro e Paolo.
Dato in Roma presso S. Pietro nell'anno dell'Incarnazione mille ottocento venticinque, a' 13 marzo, l'anno secondo del Nostro Pontificato.