S. Gregorio VII
Il declino dell’Impero di Carlomagno segnò la nascita di forti principati territoriali, i quali si sostituirono al potere centrale in difficoltà nelle elezioni episcopali ed abbaziali. Il signore avente giurisdizione ‘investiva’, così, con la consegna dell’anello e del pastorale il candidato all’episcopato. Anello e pastorale erano i simboli del potere sacerdotale. Sembrava, così, che l’investitura del beneficio temporale (feudo) conferisse an- che il potere spirituale. In cambio di tale ‘investitura’ il nuovo Ordinario rendeva al signore il giuramento di fedeltà, l’omaggio. Per rimediare a tale stato di cose, attorno al 1000, sorse un movimento di riforma, promosso inizialmente dai monaci di Cluny, e in seguito fatto proprio dai Sommi Pontefici, tra i quali si distinse S. Gregorio VII. L’intento del movimento riformista era quello di restituire la scelta dei vescovi all’antico corpo elettorale. Esso, quindi, intendeva limitare, da un lato, la preponderanza dei principi, dall’altro quella dei canonici delle cattedrali. La riforma ottenne lo scopo. Accanto al ceto canonicale della chiesa cattedrale tornò ad avere voce in capitolo anche il rimanente clero diocesano (urbano, rurale), i religiosi e quei laici che, tradizionalmente, godevano in antico del diritto di presenzia- re all’elezioni.
I riformisti riuscirono, poi, a sottrarre alla monarchia la nomina diretta degli Ordinari prima della loro consacrazione, come aveva ottenuto l’Imperatore Ottone I da Papa Giovanni XII. Non vollero, né poterono, tuttavia, negare del tutto l’azione e l’influenza dei sovrani in tali designazioni. Al principe spettava sempre la licentia eligendi del candidato, che doveva essergli notificato. Era in suo potere, infatti, concedere o rifiutare l’approvazione, come revocare o meno il diritto di regalia sui beni del vescovado vacante. La celebre ‘lotta per le investiture’ si concluse con la stipula di alcuni concorda- ti, come quello di Londra (1007) e di Worms (1122) tra le due supreme potenze. In particolare, il Concordato sottoscritto da Papa Callisto II e dall’Imperatore Enrico V il 23 settembre 1122 nella piana di Worms prevedeva che le elezioni si svolgessero in presenza del sovrano o di un suo delegato. L’art. 1, infatti, recita: «Io Callisto vescovo, servo dei servi di Dio, a te, diletto figlio Enrico, per grazia di Dio imperatore dei Romani, augusto, concedo che le elezioni dei vescovi e degli abati del Regno di Germania, che sono di pertinenza del Regno, abbiano luogo alla tua presenza». In caso di contestazione «sentito il parere o il giudizio del metropolitano e dei ve- scovi comprovinciali, tu dia l’assenso e presti aiuto alla parte più sana». Questo passaggio, non del tutto perspicuo, diede luogo, sia ad un’interpretazione favorevole al potere imperiale, nel senso che spettava al monarca decidere in prima persona delle controversie, limitandosi l’azione dei vescovi al loro consiglio, sia ad una più restrittiva, che lasciava ai sinodi provinciali la risoluzione delle contestazioni, mentre al principe non restava che di farla eseguire. In Germania, poi, il candidato riceveva lo scettro, simbolo dell’investitura temporale, prima della consacrazione (anello e pastorale). Nelle rimanenti parti dell’Im- pero, invece, era previsto che prima avvenisse la consacrazione da parte del metropolitano, ed in seguito, entro sei mesi, il sovrano conferisse il beneficio temporale. L’Imperatore, infine, rinunciava all’investitura con l’anello e il pastorale. Il Papato, a quest’epoca rimane nell’ombra, conservando la prerogativa d’intervenire solo come ultima istanza e in modo straordinario.