In molti – credenti o meno – suscitano “scandalo” le c.d. “ricchezze della Chiesa”, che dimostrerebbero “la non rispondenza agli insegnamenti di Gesù” e con le quali “si potrebbero salvare tutti i bambini del Terzo Mondo”.
Per affrontare questo spinoso (apparentemente) tema, abbiamo deciso di cominciare dalla fine, ovvero dai paramenti d’oro (e magari tempestati di pietre preziose) di Benedetto XVI, messi ad impietoso confronto con un bambino povero dell’Africa che muore di fame.
Ma, prima ancora di iniziare, è bene ricordate come questi tempi (ultimi) siano tempi di grande confusione, non solo valoriale nella sfera soggettiva di ciascuno di noi, ma anche di confusione razionale, difficoltà di comprendere il “senso”, il “fine ultimo” delle cose, ovvero di rispondere alla domanda «a cosa serve la tal cosa? qual è il suo scopo? il suo fine?» e poi «come bisogna usare la tal cosa per raggiungere quel fine?».
Ovvero nel caso specifico, prima domanda: «A cosa serve la Chiesa?». Rispondiamo con estrema facilità: «la Chiesa (e tutti gli “atti” che compiamo in ambito religioso) servono alla salvezza della propria anima». Ovvero la Chiesa non ha il compito di essere un ente di assistenza dei poveri, non ha il compito di dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati. «Ma come? – dirà qualcuno – non è proprio questo l’insegnamento di Cristo? Non è stato proprio Lui a dirci di dare da mangiare agli affamati ed agli assetati?».
L’obiezione è esatta, soltanto che, non è una obiezione!
Infatti pur essendo vero che Cristo ha detto di dare da mangiare agli affamati, bere agli assetati, assistere i malati, accogliere i forestieri etc, va assolutamente fatto notare che Egli non lo ha detto “alla Chiesa”, ma lo ha detto a noi! Lo ha detto a noi, a ciascuna singola persona, a ciascun “cristiano”! Non lo ha detto a Enti o Istituzioni e neppure all’unica Istituzione divina e soprannaturale da Lui stesso fondata.
Ed anche qui però, chiediamoci, qual è lo scopo? Perché dobbiamo dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati? La risposta è che dobbiamo farlo non soltanto e non principalmente per alleviare la fame dell’affamato e la sete dell’assetato (a ciò basterebbero gli Enti benefici e variamente “filantropici” su menzionati), quanto piuttosto per salvare la nostra anima! Dunque anche tale gesto, umanamente “altruista”, è in realtà un gesto “egoistico” (di quell’unico egoismo consentito ed approvato da Cristo stesso) in quanto con tale gesto si baratta qualcosa di scarso valore (un po’ del nostro tempo e del nostro danaro) con qualcosa di elevatissimo valore (la salvezza eterna della nostra anima)!
Dunque l’esistenza dei poveri (pur essendo sicuramente una conseguenza delle “ingiustizie sociali” del mondo in cui viviamo, che a loro volta sono una conseguenza della imperfezione e malvagità degli uomini, che a loro volta sono una conseguenza della natura “malata” dell’uomo, che a sua volta è una conseguenza del peccato originale[i]) è permessa da Dio (che sa sempre ricavare dal male un bene superiore) quale strumento attraverso il quale i più ricchi (o semplicemente i meno poveri), esercitando la Carità, ovvero l’amore verso il prossimo (in virtù dell’amore verso Dio) possano compiere le c.d. “buone opere” co-necessarie (insieme alla Fede) alla salvezza della propria anima.
Orbene, uno degli aspetti “satanici”[ii] delle moderne società è l’aver delegato ad Istituzioni di varia natura e genere il compito dell’assistenza ai poveri… Ciò che veniva denunciato da Attilio Mordini nei confronti degli stati comunisti, ovvero che gli stessi, volendo rendere gli uomini tutti ugualmente benestanti (almeno nelle intenzioni) avrebbero di fatto resa impossibile la Carità[iii], trova analoga, seppur leggermente diversa, applicazione nella modernità: l’assistenza ai poveri viene “delegata” dal singolo “cristiano” ad istituzioni astratte: lo Stato, la Caritas, la Chiesa, la Parrocchia, l’Unicef, la FAO, etc etc etc… Ma queste astratte istituzioni hanno forse un’anima da salvare? No di certo! Sono istituzioni anonime, anodine burocrazie! Se lo Stato italiano aiuta 10mila poveri, quale anima se ne giova? Nessuna! Se invece fossero stati 10mila italiani a prendersi cura, ciascuno, di un povero, essi avrebbero compiuto una “buona opera” che sarebbe stata “tenuta in buon conto” dal Divin Giudice per il Giudizio particolare che attende ciascuno di noi!
Ed invece accade che lo Stato, o la Caritas (che gode di contributi statali), con i miei soldi pagati per generiche tasse (e quindi senza neppure nessuna particolare intenzione meritoria da parte mia!) “aiuta i poveri”, togliendomi la possibilità di aiutarli io stesso. Quindi i miei stessi soldi, pagati in tasse, vengono usati per arrecare un ulteriore ed occulto[iv] danno alla mia anima.
Naturalmente, in realtà, ciascuno di noi può ancora incontrare un “povero” o un “barbone” per la strada ed invitarlo a mangiare a casa propria. Ma questa cosa, oltre a non farla per motivi egoistici (parlo di quell’egoismo stupido che in realtà ci trattiene dall’effettuare il “lucroso baratto” di cui ho parlato sopra), probabilmente a molti non viene neppure in mente… Quando incontriamo un povero o un mendicante ci viene piuttosto in mente una frase del tipo: «ma guarda, è tutta colpa dello Stato , del Comune, dell’assistenza sociale, della Chiesa etc etc etc se questo poveraccio sta qui per strada al freddo senza cibo! Tutta colpa dei politici, degli assessori, dei preti etc etc etc!!!»
Ecco: colpa degli altri (preferibilmente istituzioni senz’anima), mai colpa mia…! E mai che venga colta la grande occasione ed opportunità di “guadagno” per la nostra anima che ci si presenta innanzi… Eppure Gesù stesso ebbe a dire «Procuratevi amici potenti con la disonesta ricchezza…». Sembra una frase degna di qualche politicante corrotto(se non compresa) ma in realtà il Divin Maestro ci stava dicendo che con le nostre ingiuste ricchezze (ovvero con le ricchezze che possediamo in più rispetto a quello che ci serve per la nostra sussistenza[v]) dovremmo aiutare i poveri, che sono “amici potenti” perché la loro preghiera di ringraziamento sarà ben accetta a Dio e perché alcuni di loro ci precederanno in Paradiso.
Invito tutti a leggere un qualche romanzo di scrittori dell’ottocento o precedenti. Si troverà spesso la figura di qualche dama o di qualche nobiluomo, o ricco borghese, ma anche semplici contadini, che si dedicano – come attività del tutto usuale – ad accogliere nella propria casa poveri o pellegrini, nutrendoli ed assistendoli personalmente, proprio per compiere questa opera di Carità. Grande vantaggio per le loro anime!
Davvero un bell’hobbie!
Perché non lo pratichiamo anche noi?
In molti preferiscono dedicarsi piuttosto all’assistenza dei poveri cagnolini randagi[vi], ma anche questo non credo sarà computato a loro vantaggio in occasione dell’Eterno Giudizio.
Ma torniamo alla Chiesa. Compito della Chiesa non è dunque fare Lei assistenza ai poveri (come detto ne fa già fin troppa – contrariamente a quel che “mariadefilippicamente” si ritiene), ma esortare ed insegnare ai cristiani ad amare il prossimo, dare da bere agli assetati, da magiare agli affamati, assistere ed accogliere i poveri ed i barboni, etc etc…
«Ma – dirà sempre il qualcuno di prima – il buon esempio? Se la ricchezza è un peccato, perché il papa va vestito tutto d’oro? Perché nelle chiese ci sono i candelabri d’oro, i calici d’oro, gli altari d’oro, le statue d’oro, i tappeti d’oro, i rubinetti d’oro? Se Cristo e gli Apostoli erano poveri, perché anche la Chiesa non è povera?»
Buon argomento, al quale vale la pena di rispondere.
Innanzitutto, faccio notare che non è vero che essere ricchi sia un peccato. Rileggiamo i dieci comandamenti: non c’è “non essere ricco”. Rileggiamo i sette vizi (o peccati) capitali: non è “ricchezza”. Dunque sorprendentemente (per i moderni anticlericali tanto preoccupati che la Chiesa sia “coerente” e non “ipocrita”[vii]) essere ricchi non è un peccato.
Però la povertà è preferibile, anzi è un elemento di perfezione. Vale la pena di riportare e commentare il seguente famoso passo del Vangelo di Matteo:
«Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: “Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?”. Egli rispose: “Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti”. Ed egli chiese: “Quali?”. Gesù rispose: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso”. Il giovane gli disse: “Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?”. Gli disse Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi”. Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze. Gesù allora disse ai suoi discepoli: “In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”. A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: “Chi si potrà dunque salvare?”. E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: “Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile”»[viii]
Dunque, da quanto Cristo dice, si deduce chiaramente che non è strettamente necessario essere poveri per ottenere la vita eterna. Infatti inizialmente Gesù dice al giovane di osservare i dieci comandamenti di Mosè, al quale aggiunge “ama il prossimo tuo come te stesso”. Solo successivamente, poiché il giovane insiste, Gesù gli dice: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi e dallo ai poveri…”. La povertà è dunque un qualcosa in più, mentre il rispetto dei dieci comandamenti e l’amore verso Dio e verso il prossimo sono fondamentali.
Poi, però, Cristo ci ricorda che è (umanamente) molto difficile per un ricco entrare nel Regno dei Cieli.
Perché? (Fine prima parte)
Pierfrancesco Palmisano
[i] va dunque fatto notare che qualsiasi ricetta “politica” e/o “sociale” che cerchi di risolvere il problema della povertà senza tener conto di questo dato di partenza è destinata ad essere – nella migliore delle ipotesi –del tutto inefficacie;
[ii] chiaramente usiamo il termine “satanico” non in senso strettamente letterale e rotocalchistico, ovvero alludendo a “messe nere” e roba del genere, ma nel senso non meno reale di “inganno satanico”, ovvero di una di quelle “idee” o “pratiche” che si diffondono e sembrano a tutti (o quasi) eminentemente buone, filantropiche, innocue etc etc, ma che in realtà, facendo leva sul “sentimentalismo”, conducono a conseguenze spirituali davvero devastanti. Chi volesse approfondire legga ad esempio W. Soloviev, I tre dialoghi ed il racconto dell’anticristo, ed. Vita e pensiero, o più modestamente il nostro articoletto “Il dolce musetto di Satana” pubblicato in due parti su questo stesso blog;
[iii] cfr. A. Mordini, Il tempio del Cristianesimo, ed. Sette Colori;
[iv] “ulteriore ed occulto”, chiaramente rispetto a tutti gli altri che conosciamo e riconosciamo in maniera più palese;
[v] cfr,ad esempio, San R. Bellarmino, L’arte di ben morire e S. Agostino di Ippona, discorso 113 sul Vangelo di Luca;
[vi] cfr. il già citato “Il dolce musetto di Satana” su questo blog;
[vii] la parola “ipocrita” è la preferita da costoro;