La Civiltà Cattolica anno V, serie II, vol. V, Roma 1854 pag. 51-64.
R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio d.C.d.G.
IL NATALE ESAUTORATO DAL BUON CAPO D'ANNO
Siam buoni amici, lettor mio gentile; chè fra giornalista ed associato, benchè non abboccatisi mai di persona, passa una certa intimità di comunicazione la quale ben può meritare sotto certi aspetti il nome di amicizia.Or fra gli amici la buona creanza comanda in questi giorni una visita, un augurio, un buon capo d'anno: e sì, ve lo auguriamo lietissimo; e non per cerimonia, ma con quella pienezza di affetto che sì strettamente congiunge gli animi cattolici, allora specialmente quando sono associati nel pianto della persecuzione, e nello zelo del superarla.
Ma ohimè! Perchè dobbiam noi solennizzare il capo dell'anno e dimenticare le feste natalizie; quelle feste che sorgean si liete alla fanciullesca espettazione dei nostri anni teneri?
Vi ricorda, lettore, l'antica usanza degli avi nostri nella soave espansione delle solennità di famiglia? La santa mestizia dell'Avvento erasi occupata del bambolo nel preparare la capannuccia del suo presepio; e congegnata alla meglio una prospettiva di lontananza, e fabricate con sugheri muffa e cartoncini le montagne di Betlemme, vi avea sopra disposto qua le greggi coi pastori, là il pecoraio a dimenare il burro, e sulle vette il cacciatore ormante la lepre, e nel vallone la lavandaia al fonte, e in lontananza i magi coi cammelli e fra le mura di Gerosolima Erode coi manigoldi, e allato alla capanna l'asino e 'l bue strameggianti: e compiuto così un ammasso informe di bugne e figurini, altiero del suo capo lavoro, come dei loro scenarii sarebbero stati il Gagliari o il Bibiena, correva attorno per la casa invitando e babbo e mamma e domestici e forestieri ad esserne spettatori contribuendo eziandio, se ne fosser cortesi, con qualche moccolo a illuminare la solennità del suo presepio. La sera era lietissima pel piattellino di dolci che il fanciullo mangiavasi divotamente ad onore del Santo Bambino. Al domane poi, compiuto appena il sacro rito delle tre Messe natalizie, tornava a casa il padre cattolico col suo bambolo per mano, che gli sgambettava a' fianchi non passibus aequis, e trattolo diviato alle stanze della madre gli faceva stampare su quella mano un bacio di riverenza figliale, e riceverne uno sulla fronte di tenerezza materna balbettando il suo complimento: Mammà, felicissime feste e mille benedizioni dal Santo Bambino. E ricreatolo sol pochi istanti colla colezione di qualche dolce per ceppo [= come dono, N.d.R.] e rivestitolo a festa, pettinatolo, azzimatolo e postogli il cappellino sulla testa, usciva con esso lui attorno per la città alle stazioni della parentela visitando di porta in porta nonni e bisnonni, zie e pro-zie. E il bamboletto era lietissimo di ripetere la sua formoletta vedendo che ogni augurio gli facea o saltare in bocca un confetto, ovvero piovere in mano un moccoletto, un pastore, una statuetta, un calice per adornare il suo presepio e l'altarino al ritorno, e cantarvi egli pur la Messa in pianeta, servita dalle sorelline in piviale o in cotta.
Nè quelli eran solo complimenti da bambolo. Anche gli adulti credeano conforme ai sentimenti di cortesia e di umanità il rannodare alcune volte fra l'anno quelle relazioni amichevoli che con assiduità non poteano continuamente coltivarsi. «Tu sei fanciullo, mi diceva allora mio padre, devi studiare non puoi frequentare la società: non è egli conveniente, che un qualche giorno fra l'anno torni a riconoscere i tuoi più cari, a riprotestar gratitudine cui più la devi, a riverire chi ti sovrasta per età, per assennatezza, per dritti? E quando anche sarai nel mondo, non sarà egli vantaggioso il rannodar così relazioni amichevoli, riveder clientele, conciliarti protezioni; e se con taluno gli attriti sociali avesser prodotto qualche scalfittura nei cuori, avere una opportunità, che quasi ti costringa ad obbliare il rancore per non parer discortese? So che queste virtù sociali sono di ogni tempo come gli ossequii religiosi. Ma poichè negli ossequii religiosi l'infinita Sapienza, che conosce sì addentro il cuore umano, alla obbligazione costante volle assegnare il termine perentorio di un dì per settimana e di certe epoche solenni fra l'anno, non sarà ella prudenza sociale il fare altrettanto riguardo alle obbligazioni costanti che corrono fra gli uomini, e assegnare certi giorni impreteribili che ricordino il debito e rasserenino ogni cuore, ogni fronte?» Così mi parlava patriarcalmente il padre mio, e la predica ch'io udiva allora con riverenza senza però troppo capirla, mi sembra oggi sì ragionevole, che in verità il capriccio della moda mi sa del villano e dell'insociabile: nè so comprendere, come a tal capriccio obbedisca sì ossequente la civile, la religiosa Europa.
Ma tant'è, la moda ha parlato, e vogliasi o non vogliasi è mestieri obbedirle, o rinunziando assolutamente ad ogni cerimonia, o per lo meno trasportando il cerimoniale del natale del Signore al primo giorno dell'anno. A chi vuole affrancarsi da ogni cerimonia la moda suggerisce il riscatto; un tanto di elemosina ad un luogo pio; e chiunque avea diritto ad aspettarne una visita, dovrà chiamarsi pago a tal patto. Che se l'usanza fin qui potrà biasimarsi da uomini di cortesia più delicata, a noi però non tocca l'entrare in contesa non dovendo essere i paladini della gentilezza e delle etichette.
Ma poichè molti riconoscono convenevoli tuttavia quegli atti di urbanità che ravvicinano consanguinei e concittadini secondo l'usanza degli avi nostri; perchè mutarne la consuetudine in quanto al giorno, e alle due solennità che ricordavano i più alti misteri di un Dio fatto uomo e risorto dal sepolcro, sostituire un giorno insignificante, non insigne per altro se non per la mutazione di una cifra nel millesimo?
Il ricercarne il perchè potrà parere a taluno futilità ridicola «Il perchè si sa, dirà costui seco stesso; la moda ha i suoi capricci.»
Eh lettor mio, la moda ha i suoi capricci; ma molte volte ella ha pure le sue ragioni; e il ricercarle può riuscire a chi vive in società non meno dilettevole per la curiosità, che profittevole con l'insegnarci a conoscere il mondo in cui viviamo. E che direste se io rispondessi che il Natale ha ceduto al Capo d'Anno in forza del trattato di Westfalia? Ridereste voi forse sotto i baffi e credereste ch'io voglia celiare. E pure la cosa sta proprio così, ed appunto per questo la moda del capo d'anno è sorta principalmente nel mondo diplomatico, ed è una specie di episodio domestico di quella gran tragedia politico-religiosa, che rappresentasi oggi sul teatro europeo intitolata: la separazione dello Stato dalla Chiesa, o la Società laicizzata.
Il trattato di Westfalia aveva condotto i Principi cattolici a riconoscere la legittimità dei protestanti, a lasciare in loro mano il ius sacrorum, a confermare ed estendere l'accordo di Augusta, a mescolare co' consiglieri cattolici i protestanti nella Camera imperiale e nelle Diete [1]: e la stanchezza di trent'anni di guerra, e l'empia politica del Richelieu e di altri disertori cattolici, che tolsero a questi il dettarvi la legge, rende compatibili coloro che non ostanti le rimostranze d'Innocenzo X si rassegnarono a tal condizione. Ma la compassione e il perdono accordato a que' Principi e diplomatici non cambia nè sospende l'effetto dei principii, i quali una volta accettati incalzano inesorabilmente di conseguenza in conseguenza. Accettato dunque il principio protestante a consorzio politico nella società europea, essa dovette necessariamente sobbarcarsi al peso dell'indifferentismo religioso, legittimo figlio di quella Protesta, la quale altamente gridava non esservi autorità sulla terra, che abbia dritto di comandare al pensiero. Se questo non riconosce una guida, ogni cervello ha dritto alla indipendenza; e se usando un tal diritto discorda dagli altri, non è chi possa ragionevolmente risentirsene o negargli il partorire in opera ciò che concepì nella mente. Chiunque pretendesse imporgli un tal divieto sopruserebbe, ledendo un dritto riconosciuto.
Ma avvertite che i divieti possono variamente esprimersi ora intimandoli con parole, ora operandoli col fatto: e questo secondo è non di rado anche più efficace del primo, come è più efficace ad escludere di casa i ladri un buon uscio con chiavistello e spranga, che un cartellone sopravi colla leggenda Non si entri. Anzi anche senza spranga e chiavistello vi sono nella società certi mezzi che costringono con una forza morale più gagliarda talora che i comandi dell'imperante: e la vedete colà, ove predominando la matta superstizione del punto d'onore; l'opinione di quattro monelli imbizzarriti costringe al duello il timido coraggio di uno spadaccino che si espone alla galera ed all'inferno per non subire il vitupero di que' barbari senza cervello. Or questa forza morale, detta volgarmente l'opinione, come si forma e come si esprime nella società? Si forma e si esprime con tutte le istituzioni e con tutte le usanze nelle quali s'incarna qualsivoglia principio; il quale in esse riesce nel tempo medesimo, benchè sotto aspetti diversi, e causa ed effetto. Poichè siccome dapprima il principio specolativo o morale produce istituzioni ed usanze, così in appresso le istituzioni e le usanze conservano, ribadiscono ed infervorano il principio onde nacquero. Uno solo era il Dio regnator della terra quando nel cuore o nell'intelletto de' primi idolatri, offuscatasi l'idea dell'Essere infinito, ribollì il delirio del politeismo: e quanti l'avranno sulle prime or nauseato or deriso per abitual persuasione se non per ragionato convincimento! Ma che? Eretti i templi, e santificate coll'ara le selve, e inghirlandati di solennità i sacrifizi, e propagati nel volgo gli amuleti, e raccontate al focolare domestico le novellette mitologiche, e incarnato in somma in giuochi e riti, in simulacri ed edifizi l'assurdo del politeismo, idolatrò il popolo senza difficoltà alcuna, e quanto più moltiplicava superstiziosamente i suoi numi, tanto più si credè religioso.
Lo vedete; dall'error di pochi erano nate le consuetudini idolatriche, dalle consuetudini idolatriche propagavasi e ribadivasi in tutti l'error dei pochi. Il lieto annunzio dei Pescatori galilei operò sulla terra in senso contrario lo stesso fenomeno: e l'unico Dio del Golgota penetrato nella mente dei credenti diffuse quindi la metamorfosi in tutte le istituzioni sociali. L'idea del Regnatore supremo, uscendo dal cuor del neofito, stampò su tutte le pareti domestiche un Crocefisso, ove prima lussureggiava una Venere, e sparse d'aceto e fiele una mensa impinguata pocanzi colle letizie degli Apicii o col sangue degli schiavi di Pollione. La veste pulla [= abito scuro, o nero o grigio ferro, N.d.R.] e il crine incolto e l'aspetto sereno ma serio, uscendo in pubblico a ricordare il tempo che c'incalza e l'eternità che ci aspetta, diede alla società cristiana la bruna tinta di quelle catacombe onde usciva. La quale impronta se sfiorò solamente alla superficie l'incancrenita civiltà romana, ben seppe internarsi fino al midollo nella rubesta [= gagliarda, N.d.R.] società barbarica sulla quale vergini ed intatti s'improntarono i principii cristiani. In questa società di risorti parea quasi incarnato il detto dell'Apostolo e tutto parea cercasse, tutto sapesse di eterno: Si consurrexistis cum Christo quae sursum sunt quaerite, quae sursum sunt sapite. Ad ogni quadrivio incontravi una croce, sopra ogni chirografo leggevi la Trinità; il sacerdote benediceva la nascita, le nozze, il feretro; la preghiera imbandiva le mense e stendea le coltri; ogni saluto era una giaculatoria, ogni monile portava sospeso un Crocefisso; la divisa della città era un motto evangelico, lo stemma un immagine sacra, il convegno una chiesa, il tamburo una campana benedetta, il tesoro una reliquia di corpi santi. E quando raccolta intorno a quell'urna la moltitudine s'iniziava agli affari del Governo, la concione [= il discorso, N.d.R.] del gonfaloniere potea scambiarsi talora colla predica di un missionario. Di che l'Europa moderna ebbe l'ultimo saggio in quell'Assemblea degli Svizzeri cattolici [il Sonderbund, N.d.R.] che preparava all'altare del loro S. Niccolò i sette Cantoni alla gloriosa benchè sventurata impresa. Nelle due maggiori solennità di Pasqua e di Natale che ricordano al cristiano la gioia e il trionfo della nascita e della risurrezione del Salvatore, un santo giubilo inondava i credenti e versavasi al di fuori in dolci colloqui, in reciproche accoglienze, in festevoli congratulazioni. Così in quella società ancora la fede avea create le usanze di tutto il mondo civile, e le usanze civili ricordavano continuamente e ribadivano i sentimenti di fede.
In una società di tal fatta ove tutto parlava di Dio e del Crocefisso, era egli possibile il tollerantismo protestante? Tacessero pure gli uomini, avrian gridato i fanciulli e, tacendo questi, le pietre contro l'eterodossia di un eretico o l'empietà di un miscredente: il quale posto in tal guisa alle strette fra il vitupero del manifestarsi, la docilità del ricredersi e l'ipocrisia dell'infingersi, dovea stralunare gli occhi e balbutire menzogne o bestemmie ad ogni piè sospinto per non mettersi in lotta con tutte le usanze sociali. Or pare a voi, lettor cortese, che una tal condizione potesse durare a lungo? Finchè la società era pienamente cattolica per lo sbandeggiamento o l'imprigionamento di ogni apostata, nessuno avea interesse ad abolire le istituzioni ed usanze cattoliche: ma poichè il Congresso di Westfalia volle amalgamare in unica società politica le infinite dottrine religiose, pronunziò implicitamente la sentenza contro ogni manifestazione cattolica nella società; e la sanzione di questo decreto fu scritta dalla natura con tutti i più vivi affetti del cuore umano. Troppo ripugna a questo cuore, misterioso impasto di bene e di male, di forza e di fiacchezza, di sentimenti sublimi e di vergognose turpitudini l'affrontare a lungo il vitupero dei concittadini, la riprovazione dei superiori, la freddezza dei domestici. Avea dunque bisogno di eliminare dalla vita pratica checchè ripugnasse ai suoi convincimenti, e far sì che le usanze della vita sociale fossero pienamente indifferenti ad ogni sentimento religioso; cotalchè si acconciasser del pari ad un cattolico o ad un protestante, ad un Ebreo o ad un Musulmano, ad un Bramino o ad un Buddista. Ecco dunque la ragione, ecco la necessità di abolire e perseguitare mille usanze antiche nella società novella e di sostituire alle prime mille altre poco in apparenza diverse.
Che gran differenza vi è tra il capo d'anno e il Natale? Otto giorni prima, otto giorni dopo; valea la spesa di mutar costumanza? Eppure sì: chè assegnato all'omaggio ceremoniale il primo giorno dell'anno, tutti possiamo esser d'accordo, per poco che vogliamo deporre ogni rimembranza o rancore di antiche dissensioni religiose. Queste dissensioni agli scismatici di Russia han fatto preferire l'error dell'almanacco alla verità della correzione gregoriana; ed essi continuano, e bene sta, a mostrare la stupidezza dello scisma perfino nella immobilità del calendario. Ma se ne togliete queste anomalie dello spirito settario, ogni uomo che veste panni può senza difficoltà acconciarsi a salutare i maggiori o convitar gli amici pel primo giorno di Gennaio.
Ma potrebb'egli ugualmente un Ebreo, un Bramino, un Deista, un empio acconciarsi a mostrar riverenza pel 25 Decembre? Voi comprendete che in questa, come in ogni altra usanza cattolica per cui ricordisi un mistero di nostra fede, ne forma, direi quasi, una professione pubblica, alla quale chiunque non crede dee sperimentar ripugnanza or sia per lealtà d'animo cui ripugna il fingere, or per Teofobia cui indispettisce ogni rimembranza di Dio.
Ecco dunque il vero motivo per cui la società novella, il cui tipo ideale assunse il nome di Giovane (Giovane Europa, Giovane Italia, Giovane Allemagna ecc.) dovette naturalmente far di tutto affine di abolire ad una ad una tutte quante le consuetudini cattoliche compresivi i complimenti consueti di Natale e di Pasqua.
Nè qui era mestieri di congiura o di setta: bastava la voce di natura per suggerire agl'increduli (posta la loro incredulità), l'abbandono di queste pratiche esterne, come la natura or guidata, or autenticata dalla Chiesa ne avea consigliata ai cattolici l'introduzione. E sebbene siam persuasi, che e cospirazioni e sette abbiano favorito ed accelerato quello sperpero universale di usanze cattoliche, che erano passate fra noi in Italia nel tesoro dei sentimenti nazionali; pure comprendiamo benissimo che senza malizia, senza scrupolo al mondo siensi mutate e si vadano continuamente mutando moltissime di simili consuetudini senz'avvertire all'effetto morale che dalla mutazione necessariamente consiegue.
Veggiam benissimo che queste nostre osservazioni a qualche cervello superficiale potranno sembrare i compianti di un vecchio che laudator temporis acti vorrebbe tornarci ai castelli della feudalità e agli abiti alla spagnuola: e per costoro non abbiamo risposta. Ma parlando agli uomini ragionevoli siam certi, che molti e molti troveranno materia di gravi pensieri non già in questa o quella materiale esteriorità introdotta od abbandonata, ma sì in quella universale mania di tutto abolire ciò che ricorda un dogma, un dovere, un fatto, un sentimento religioso.
Chiunque conosce le moltitudini sa benissimo che la loro educazione, meglio assai che dai dettati di un aio o di un maestro, esse la ricevono da quell'universale ammaestramento sociale, di cui ad ogni passo sentono una qualche lezione nel consorzio civile. Certi increduli ed ignoranti che a ciò non badano, deridono talvolta la fede dell'idiota cattolico, perchè, dicono, sulla autorità di un solo prete è pronto a credere misteri che non comprende. Non veggono costoro che così declamano, come il cattolicismo siasi talmente incorporato nelle società, che l'idiota ne beve gl'insegnamenti da tutto il vivere sociale. Ogni chiesa che incontra per via, ogni croce che saluta al crocicchio, il prete che porta il Santissimo agli infermi, il cataletto che trasferisce il cadavere al sepolcro, i rintocchi dell'avemaria, la dies illa del mendico che prega, lo splendor dell'argento che adorna un reliquiario, i zendadi [= drappi, N.d.R.] sospesi ai balconi per una processione, il corteggio di uno sponsalizio o d'un battesimo, ogni passo in somma, ogni sguardo, ogni accento attesta all'idiota che tutta la società la pensa con lui, e il discreder è divenuto per necessità una guerra a morte contro la società medesima: testimonii quegli empi stessi, i quali per ridurla a non parlar più da cattolica, tutti furono obbligati a sconquassarla e capovolgerla fino al più profondo delle fondamenta. E qual punto vi ha dell'esistenza sociale ove i rigeneratori non abbiano tentato di penetrare e sconvolgere? L'ordine scientifico, vedemmo più volte qual crollo ricevesse dal libero esame e dalla indipendenza eterodossa. L'ordine sociale fu trasformato dall'imo al sommo col Patto del Ginevrino [Il patto (o Contratto) sociale di Jean-Jacques Rousseau, N.d.R.]: l'ordine domestico può dirsi distrutto pel matrimonio civile e pel divorzio che ne consiegue: le arti belle e perfin le meccaniche sottratte ad ogni tutela di Santi patroni e di Consoli dell'arte. La secolarizzazione insomma di tutta la società è il vanto per molti della età moderna come la separazione della Chiesa dallo Stato. Or che altro è secolarizzazione della società se non il sottrarla assolutamente ad ogni influenza del principio religioso?
A dir vero non sarebbe questo il vero significato della parola in lingua volgare, giacchè noi conosciamo in Italia un ceto laicale cattolico, come conosciamo un sacerdozio. Ma il ceto laicale potrà egli mai sottrarsi ad ogni influenza del sacerdozio nella vita civile, finchè questa è un intreccio di rimembranze religiose e riconosce nel clero un maestro del vero e del giusto, regolatore del credere e dell'operare? Finchè un sacerdozio esiste ed è riconosciuto da una società qualunque, è impossibile che questa realmente si laicizzi, si secolarizzi nel senso di questi miscredenti moderni: i quali sentono essi stessi così profondamente l'impossibilità di emancipare una società cattolica da ciò ch'essi chiamano la clerocrazia che dopo aver tentato di separare la causa dei laici da quella del clero, osteggiando i preti senza offendere i laici, si sono finalmente ridotti ad attribuire qual nome proprio al laicato cattolico il titolo profondamente filosofico di partito clericale.
Se dunque, finchè rimane nella società un sentimento religioso, ella non può soddisfare alla costoro brama secolarizzandosi; se i laici continuano ad essere necessariamente clericali, finchè non si rendono increduli; e se non potrà mai venir meno del tutto il sentimento religioso nella società finchè le usanze sociali ricordano misteri e fatti, riti e precetti, premii e minacce, benefizi e castighi del Dio dei padri nostri; non è chi non veda come a laicizzare la società è necessario l'andar sopprimendo una dopo l'altra tutte quelle orme che sulla polvere del nostro mondo lasciò stampate il Nazareno che vi passò benefaciendo et sanando.
Percorrete pure queste orme, anche le più leggiere, le più minute dai fastigii della scienza nell'accademia, alle più umili materialità nella capanna, e vedrete da per tutto lo spirito eterodosso accanito a cancellarvi ogni rimembranza di Dio: e quasi ti sembra vedere in grande quella scena appunto che accadde in miniatura in certi paesi allorchè al cadere del giglio borbonico, o dell'astro imperiale, i lor nemici accaniti ne cancellarono gli stemmi da ogni luogo e si spesero somme vistose per togliersi d'innanzi agli occhi ogni ricordo di una grandezza che voleasi sradicata per sempre. Or così appunto l'empietà ha perseguitata ogni rimembranza cattolica stampata nelle usanze sociali, senza arrossire in questo delle più minute puerilità. Come fu abolito l'augurio delle due Pasque fra l'anno, si volle abolire il giorno del Signore fra la settimana; come si abbatterono i templi o si profanarono nelle città, si cancellarono o si atterrarono le madonnette e le croci su i piloni della campagna; come le formole diplomatiche soppressero la Trinità nei protocolli; così la moda proibì il segno di croce alla mensa. Non più crocefisso al monile, non più al capezzale o alla lettiera; vietata in pubblico la solennità dei funerali dalla legge, vietato lo scoprirsi il capo ad una Chiesa dall'usanza. Il saluto famigliare presso certi popoli avea forma di giaculatoria e fu deriso; l'osservanza di certe astinenze compariva in pubblico e fu soppressa; i giorni sacri della passione riveriti prima con pubblica mestizia si accomunarono cogli altri nei negozii, e nei teatri. I nomi di certe virtù erano cristiani e si cancellarono dal vocabolario civile sottentrando invece le virtù pagane; e la carità divenne filantropia, l'elemosina beneficenza, la religione superstizione, la mortificazione o stoltezza o delitto. Si trovò pericolosa alla fronte del neonato l'acqua del battesimo, come al cristiano moribondo lo annunzio dei sacramenti. Si proibì nelle contrade una tonaca religiosa per non esporla al disprezzo; nelle famiglie una lettura divota per non riscaldare il fanatismo. Le ore della giornata furono distribuite in maniera che ogni assistenza alle Chiese venisse impedita: la mattina dal sonno, la sera dal pranzo. Il sollievo di una solennità religiosa fu giudicato nocivo all'industria, ma necessario a riconfortarla parve il teatro cotidiano e i pubblici giardini e spettacoli e convegni d'ogni maniera. Insomma per non dilungarmi in infinito dirò tutto in una parola: cercate voi medesimi qualunque avanzo, qualunque reminiscenza cristiana nelle consuetudini sociali; e se lo spirito della giovane Europa, della moderazione ipocrita, del volterianismo beffardo non han fatto di tutto per cancellarlo e distruggerlo, e schiantarlo; dite pure francamente, che non se ne sono addati vivendo nell'atmosfera cattolica, come non si accorge di qualche proprietà singolare dell'atmosfera in cui vive, colui che di lunga mano è abituato a respirarla.
Le quali osservazioni se a voi compariscono, come a noi, evidenti, vi riuscirà agevole l'inferirne una pratica conseguenza: vale a dire che se non possiamo a nostro talento rifabbricare il mondo e cangiare la società; ben possiamo, ed è di somma importanza per ogni amatore della religione, contrapporre al conato distruttivo degli empii un conato ristorativo della pietà. Spieghiamoci.
Abbiam detto pocanzi, l'educazione del popolo ottenersi meglio assai coll'influenza delle usanze sociali, che col moltiplicare libri, o colla solennità degl'insegnamenti. I libri non si leggono, gl'insegnamenti o non si ascoltano o non si credono: le usanze all'opposto e si seguono per una quasi morale necessità, e vi si aderisce per quella forza che esercita sugl'intelletti, vogliasi o non vogliasi, l'universale consentimento della società. Senza bisogno dunque di andare a risuscitare questa o quell'altra delle antiche usanze italiane (sebbene a dir vero queste patrie rimembranze hanno sopra un cuor ben fatto un immenso potere), facciasi in modo che la religione della mente e del cuore trapassi nuovamente nel mondo civile e ne moderi, ne informi ogni consuetudine, ogni istituzione. Vegga il popolo che i dogmi del cristianesimo non sono un formolario ceremoniale, come le formole legali nel rogito di un istrumento, che vengono lette e firmate da molti, senza pur comprenderne il significato. Vegga che ogni precetto del Vangelo, ogni istituzione della Chiesa si fa strada nella pressa del mondo materiale, e che tutti fanno ala al suo passaggio: vegga che il sentimento religioso come parla in ogni cuore, così suona sopra ogni labbro e splende sopra ogni fronte: vegga che siccome il cristiano a gloria solo del suo Creatore, e a strumento di salvezza, dee volgere ogni atto benchè animalesco e materiale [2]; così in ogni atto, benchè animalesco e materiale, la Società impronta con l'usanza un suggello, o sparge un profumo di sentimento religioso.
Molto si parla a dì nostri di educazione del popolo: e in ciò il dispendio dell'erario ha pareggiato molte volte la sterilità dei tentativi! Sapete perchè? Perchè mancava a questi (pognam pure che fossero per sè e onesti e prudenti) mancava quella universalità che comanda, quell'assiduità che ricorda, quella concordia che strascina. Se invece di profondere tesori, si fosse armonizzato il perpetuo insegnamento delle usanze civili; se la morale raccomandata dal nonno nell'angolo del focolare, armonizzasse, coi precetti della scuola, e questi col catechismo del Parroco; se l'impressione del Parroco non fosse cancellata dalla conversazione della bettola, o la probità raccomandata dal nonno, non venisse derisa dall'istrione sul teatro: il concerto armonico di tante voci nel ripetere ciò che natura detta ed approva in ogni cuore onesto, non potrebbe a meno di non trarre dietro di sè il popolo, come dietro alle corde d'Orfeo moveano le piante e i sassi.
Ma questo accordo, chi nol vede? mai non potrà aversi fuor del cattolicismo dichiarato e franco, ovvero fuor dell'ignoranza stupida e servile. Questa forma l'unità dei Musulmani e dei Russi, quello, di ogni altra gente incivilita e pensante. E la Francia che nell'energia della vita prattica non ha forse in Europa nazione che la pareggi, già si è incamminata per questa via e ristora con isforzi inauditi l'insegnamento di questa consuetudine cattolica in ogni via, in ogni sentiero, in ogni callaietta della vita: e già il clero è rientrato nei consigli dell'insegnamento, e le botteghe cospirano a chiudersi nei dì festivi, e le congreghe di operai alzano a capo un Santo, e al convegno profano sottentra il circolo religioso. Non per questo risorgerà in un attimo la Società cattolica in Francia; chè non si riedifica in sei anni, ciò che fu distrutto in sessanta essendo anzi molto più lungo il fabbricare che il distruggere. Ma è dato l'impulso, è conosciuta la via, è ideato il termine; e in questi tre elementi già è contenuto virtualmente il ristoramento compiuto di una Società cattolica.
Volesse Dio, che noi in Italia, ove lo sterminio e lo sperpero ancor non fu che parziale, e tanti ancor sussistono usi e rimembranze, monumenti e leggi del cattolicismo antico, si comprendesse ugualmente la necessità di conservare e ravvivare lo spirito nelle consuetudini che tuttora sussistono, e d'informare novamente col soffio divino tutto il cadavere delle istituzioni che languiscono. Tale è il voto che facciamo per la patria nostra nell'aprir di quest'anno 1854, e che, non dubitiamo, sarà ripetuto dal pieno assenso dei nostri leggitori.
Ceppo: Porzione di tronco o di grosso ramo che si brucia sul focolare o nel caminetto; donde, per antonomasia, la festività del Natale (dall'uso di conservarne uno, benedetto, per tale ricorrenza) ed, estens., strenna natalizia.
NOTE:
[1] V. Cantù, Storia universale Ep. XV, c. 26.[2] Sive manducatis, sive bibitis.