Bandiera siciliana (1848).
Già nel 1820 e poi nel rivoluzionario 1848 era stata la Sicilia a manifestare i primi fermenti, “in questa fase nell’isola scarso era il seguito popolare (esso esisteva solo tra gli intellettuali) per le idee mazziniane e il programma di unificazione dell’Italia; l’unico obiettivo era la liberazione dal dominio napoletano”[1]; si arrivò a proclamare, il 13 aprile 1848, la decadenza di Ferdinando II e ad offrire la corona ad un principe di casa Savoja che declinò l’invito anche perchè il re delle Due Sicilie mandò una nota diplomatica al Piemonte in cui fece intravedere la possibilità di un conflitto in caso di accettazione.
Eppure sotto il governo dei Borboni la Sicilia godeva di eccezionali privilegi: le imposte non erano gravose, non esisteva, come già detto, la coscrizione obbligatoria, la vita e la proprietà erano sicure tanto che la famosa guida turistica del Murray[2] affermava che i Borbone “ebbero almeno il merito di rendere le strade della Sicilia sicure come quelle del Nord Europa“; nel decennio 1850-1860 si costruirono nuove arterie, si ampliarono i porti, si eressero scuole ed ospedali, nondimeno i Siciliani erano scontenti e desideravano il distacco dalla parte continentale del regno. Ma la forte presenza commerciale e finanziaria inglese aveva generato una diffusa anglofilia la quale andava di pari passo con la convinzione che si potesse realizzare l’indipendenza sotto un protettorato inglese per fare della Sicilia un'altra Malta, protesa tra Europa e Africa; questa soluzione era stata incoraggiata da Londra ma, nella primavera del 1860, Napoleone III dichiarò che se l’Inghilterra, approfittando dell’ennesima rivolta isolana appena scoppiata, avesse occupato anche solo in parte la Sicilia “avrebbe avuto la deplorevole conseguenza di una guerra e la Francia l’avrebbe iniziata annettendosi il Belgio”[3].
Con la successiva invasione garibaldina e piemontese dell’isola: “la Sicilia, impegnata come tràvasi in una guerra contro Napoli e non potendo sperare d’altri che dagli Italiani e dal sentimento italiano, deve seguire e se si vuole anche subire, senza condizioni, almeno per adesso, questo sentimento e neppur mostrare semplici velleità separatiste”[4]. Nel luglio 1860, quando gli avvenimenti erano nel vivo, il siciliano Francesco Ferrara così scriveva a Cavour “in Sicilia la rivoluzione operatasi e il partito da prendere hanno un solo movente: il desiderio irresistibile di emanciparsi da Napoli. Le grida che si innalzano, i principii che s’invocano, sono semplici frasi a cui si ricorre per politica necessità, e che possono da un’ora all’altra mutare col mutarsi delle circostanze: la nazionalità, l’unità, sono propriamente mezzi e non fine….il Piemonte non ha soltanto l’interesse di secondare alla cieca l’attuale voga di annessione, ma gli deve molto più importare di operarla in modo che essa dallo stato di semplice necessità passi a quello di volontà, e che la Sicilia non divenga la piaga del regno italiano com’è stata quella del regno borbonico”[5]
Dopo l’annessione al regno d’Italia i siciliani stettero molto peggio che sotto quello delle Due Sicilie: Cavour non concedette nessuna forma di autogoverno, impose nuove e più gravose tasse come pure la coscrizione obbligatoria; i nuovi funzionari piemontesi, che si succedettero ad un ritmo serrato fallendo tutti nei loro compiti, erano completamente insensibili nei confronti della Sicilia della quale ignoravano usi e costumi, per non parlare della lingua. L’ordine pubblico non venne più garantito tanto che solo a Palermo si contarono millecinquecento assassinii nei primi due anni dall’unità; i latifondisti che avevano così tenacemente appoggiato i piemontesi continuarono a perpetrare i loro soprusi, bande di malfattori si scontravano quotidianamente in tutta la regione, iniziava l’era della mafia e bisognerà aspettare il 1937 per avere la prima legge di colonizzazione del latifondo siciliano. Ricordiamo, infine, la brutale repressione che nel 1866 insanguinò Palermo: c’era stata una rivolta contro i nuovi padroni piemontesi e nell’occasione la seconda capitale delle ex Due Sicilie fu bombardata dal mare e devastata dalle truppe di Raffaele Cadorna, in un sol giorno si ebbero 2000 morti e 3600 prigionieri.