mercoledì 21 settembre 2011

Le verità sulle vicende "Risorgimentali" nel Regno delle Due-Sicilie(1860-1861):Meckel,Del Bosco e la decisione/Parte4.

Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.


Ferdinando Beneventano Del Bosco.

Dopo la rotta di Parco, Garibaldi, la stessa notte del 24 arrivò alla Piana de' Greci. In questo paese dimorò sino alle otto del mattino del 25, con intendimento di raccogliere i suoi volontari, ristorarli alquanto, e poi dopo corse diritto alla Ficuzza, ch'è un sito reale, ove si trova un trivio. Una strada mette alla Piana de' Greci, un'altra scende a Palermo scorrendo per Marineo e Misilmeri, la terza conduce a Corleone.
Prima che Garibaldi giungesse a quel trivio, dichiarò a' suoi confidenti, Turr, Sirtori, Orsini e Crispi, che egli era deciso a internarsi nei monti dell'Isola, imperrochè non avrebbe potuto sostenere co' soli volontari tutto il peso della rivoluzione; già abbandonato dalla maggior parte delle squadre siciliane, e con una colonna militare alle spalle che si battea valorosamente.
Quindi altra salvezza non vedea che gittarsi su' monti, aspettando un sollevamento generale dell'Isola, o il tempo, o il modo di mettersi in mare e ritornare sul continente. Questo progetto di Garibaldi fu oppugnato dal Turr e dal Crispi, i quali gli fecero osservare, che i popoli medesimi che l'aveano acclamato vincitore in Calatafimi, gli darebbero addosso se lo vedessero perseguitato dalla truppa sui monti. Quindi consigliavano audacia, unica salvezza. In questo consiglio fu stabilito di cacciarsi audacemente dentro Palermo per la via di Marineo e Misilmeri, ed ivi tentare la sorte. Nel caso di un rovescio, almeno i capi avrebbero ove rifugiarsi, trovandosi nel porto le navi sarde ed inglesi. Per ingannare la truppa che lo perseguitava, ma lentamente, fu commesso ad Orsini di proseguire per la via dei monti, lasciandogli i cannoni, un piccolo distaccamento di garibaldini, e le squadre siciliane, che gli erano rimaste dopo la rotta di Parco.
Tutto quello che si disse nel consiglio garibaldesco della Ficuzza, ed altre cose in seguito, fu poi pubblicato dagli stessi amici di Garibaldi. Le determinazioni di Garibaldi e degli altri suoi amici, se non tutte in parte vennero a conoscenza de' duci Meckel e Colonna. Quindi si disegnò che costui con la sua brigata ripiegasse sopra Palermo per la via di Villabate, e si opponesse a Garibaldi di fronte, e che Meckel lo inseguisse senza tregua per attaccarle alle spalle. Il prode ma testardo allemanno Meckel fece andare tutto a vuoto quel disegno strategico che sarebbe stato fatale a Garibaldi.
Giunta la colonna Meckel al trivio della Ficuzza, il guardiano di quel sito reale, confermò le notizie che già si sapeano, cioè che Garibaldi era disceso verso Marineo, e che Orsini avea presa la via de' monti. Meckel si mostrò indeciso di seguire la marcia di Garibaldi, perché avea un desiderio matto di impadronirsi degli innocui cannoni di Orsini. Chiamò a consiglio i capi de' battaglioni, ed in mezzo alla strada si pose con essi a ragionare: io mi trovavo presente, ed eravamo forse allo stesso luogo ove Garibaldi avea tenuto pure consiglio.
Il Meckel era di opinione, che si dovesse inseguire Orsini, per togliergli i cannoni, e distruggere le torme rivoluzionarie da lui condotte, le quali avrebbero potuto divenir pericolose lasciandole alle spalle. Non temeva della marcia di Garibaldi sopra Palermo, perché sarebbe stata sufficiente la brigata Colonna che si era distaccata da noi per attenderlo all'entrata di Palermo, e stritolarlo. Bosco gli fece osservare che Palermo si leverebbe a rivoluzione al comparire di Garibaldi; che la vera guerra sarebbe colà ove fosse costui; che fosse necessità di guerra inseguirlo, ove occorresse entrare in Palermo combattendolo alle spalle. Che le bande Orsini, ed i suoi cannoni fossero un affare di pochissimo momento, potendosi tenere a segno con mezzo battaglione distaccato dalla nostra brigata, e che si scioglierebbero immediatamente all'annunzio della disfatta di Garibaldi.
A questo parere del Bosco fece eco il capitano di Stato maggiore Luvarà. Meckel volle eseguire il suo progetto dicendo: "prenderò tutto su di me".
Questo sbaglio enorme del Meckel fu una delle principalissime cause del trionfo della rivoluzione cosmopolita. Ed è da osservare, che a quel trivio ignorato, per ben due volte si decisero i destini della rivoluzione mondiale,il trionfo di Garibaldi, la rovina del Regno di Napoli e della dinastia de' Borboni.
Si disse che Garibaldi finse di farsi battere a Parco per cacciarsi poi audacemente dentro Palermo, eludendo la vigilanza de' duci regi con attirarli in altri luoghi ov'egli non andasse. Tutte queste dicerie sono falsissime: Garibaldi giudicava perduta la sua causa e quella della rivoluzione, e ce lo rivelano le parole dette ai suoi amici al trivio della ficuzza; fu Crispi e Turr che lo consigliarono di non gettarsi sui monti come un brigante, ed invece cacciarsi dentro Palermo per tentar la sorte: ed egli eseguì quel consiglio de' suoi amici, direi quasi, per disperazione.
La decisione del testardo colonnello Won Meckel di inseguire Orsini, lo salvò dalle conseguenze fatali della sua troppo temeraria entrata in Palermo.
Oggi si alza alle stelle quella tanto temeraria azione di Garibaldi, perché la maggior parte degli uomini giudica sempre in queste circostanze col criterio de' risultati. Se Garibaldi fosse stato battuto o preso all'entrata di Palermo, se si fosse salvato nel porto sopra qualche legno estero, oggi si direbbe dagli stessi uomini che lodano la sua temerarietà, che fu un presuntuoso, un pazzo, e peggio.
La colonna Meckel avea fatto alto al trivio della Ficuzza, ove Meckel tenne consiglio e proseguì la marcia alla volta di Corleone.
Circa due miglia prima di arrivare a questa città, dalla parte del Nord, vi è un gran torrente, che a sinistra forma un gran dirupo, sopra del quale vi è un'estesa pianura levigata ed incolta senza alberi, e senza grosse pietre, circondata da colline dalla parte del Sud.
Appena noi fummo alla destra del torrente, apparvero le bande Orsini fortificate con due cannoni sopra quelle colline, e propriamente sopra le colline di centro. La posizione scelta da Orsini era ottima; per attaccarlo si dovea traversare la pianura sotto il fuoco de' cannoni, e poi della fucileria. Purnondimeno nacque una onorevolissima gara tra il 2° e il 9° cacciatori, volendo l'un l'altro essere scelti ad attaccare quelle bande, e prendere loro i cannoni, tanto desiderati da Meckel. Da questi fu preferito il 9° cacciatori, dal quale corsero 4 compagnie ad investire con uno slancio degno di miglior nemico. Si aspettava che i cannoni e la fucileria di Orsini avessero recato molto danno nelle fila di que' prodi, se bene fossero disposti da Bosco in ordine aperto; ma non ne fu nulla. Orsini tirava a palla piena con que' cannoni mal disposti, e mal diretti, e le palle passavano sulla nostra testa all'altezza per lo meno di due metri: la fucileria fu debolissima.
Vedendo l'Orsini che il capitano del Giudice si avanzava alla corsa colla sua compagnia, inchiodò i cannoni, e fuggì. Quel capitano alla testa di quelle quattro compagnie s'impossessò dei cannoni. Erano due, uno era quello stesso che i garibaldini aveano trovato nel burrone dopo il fatto d'armi di Calatafimi, l'altro era un cannone fuso in Livorno che avea portato Garibaldi. I soldati s'impossessarono di tutto l'equipaggio: erano molti carri, di viveri, di munizioni, di sigari, di abbigliamenti. Fra le altre cose si trovarono oggetti sacri di Chiesa, cioè ostensori e calici. Quest'ultimi furono consegnati il giorno seguente a'Rettori di Chiesa di Corleone, con la preghiera di mandare una circolare a' Parrochi di que' paesi ov'erano passati i garibaldini e le squadre, e restituirli alle Chiese onde erano stati involati.
Le bande Orsini furono inseguite per molte miglia da' compagni d'armi e da Bosco e da pochi soldati, ed essendosi divise e disperse, Bosco non le curò più ed entrò in Corleone.
Le perdite di quel fatto d'armi furono lievissime, tre soldati feriti, uno mortalmente.
Dopo il combattimento la brigata continuò la marcia, e prima di entrare in Corleone, fu incontrata dal clero in processione con la croce innanzi. A veder questa i soldati di avanguardia s'inginocchiarono. Fu questo un segno non dubbio delle religiosità della truppa e fu ritenuto da' corleonesi come di buon'augurio per quella città.
Il Meckel assicurò il clero che non veniva a Corleone per far male a' buoni cittadini, e che si stessero senza paura e tranquilli. Solamente desiderava che la brigata fosse fornita di viveri, i quali si sarebbero pagati a pronti contanti.
Corleone o Coriglione è una città circa trentaquattro miglia sud-ovest di Palermo, con sedicimila abitanti. Trovasi presso la sorgente del Belici, sul declivio di una collina, che va a discendere in una bella pianura.. Questa città è assai ben fabbricata, racchiude molti edifizi bellissimi, un collegio reale, ed altri utili istituti. Il suo territorio dà tanto grano, olio e lino, da farne molta esportazione. Ne' dintorni di Corleone evvi una sorgente minerale. Questa città fu conceduta da Federico II imperatore ad una colonia di Longobardi, la seconda che passasse in Sicilia.
I corleonesi fuggiti nelle campagne all'approssimarsi della truppa, ritornarono fiduciosi in città, e ci accolsero cordialmente. Tutti quei proprietari facevano a gara perché uno o più uffiziali alloggiassero nella propria casa. Io ebbi diversi alloggi di ecclesiastici e secolari: preferii il convento di S. Domenico ove trovavasi un frate mio antico compagno di studio.
In Corleone non successe alcuna cosa importante in quelle 22 ore che vi dimorammo. Solamente alcuni ladri corleonesi forse per dare un attestato a modo loro che non erano rivoluzionari scassinarono e saccheggiarono un palazzo di un ricco proprietario, che si trovava con Garibaldi, ed avea mandata la famiglia in altro paese.
Non appena il Meckel ebbe contezza di quel saccheggio, mandò una compagnia di soldati, la quale disperse que' saccheggiatori e saccheggiatrici, salvando quella roba che ancor restava. I magazzini di vino, olio e miele, furono orribilmente devastati; que' tra liquidi mischiati andavano a formare in un vasto magazzino un lago che traboccava al di fuori, e creava un piccolo torrente. Era uno spettacolo disgustante vedere tante megere con pentole, brocche ed altri vasi, riempirli di quel triplice liquido, e poi urtarsi, imbrattarsi, gridare e bestemmiare.
La sera del 27 maggio la passammo in Corleone. Il 28 alle quattro della sera riprendemmo la via ond'eravamo venuti; dappoichè s'incominciava a buccinare
che Garibaldi era entrato in Palermo. Alcuni si mettevano con l'orecchio a terra ed assicuravano di sentir tuonare il cannone dalla parte del NordEst.

(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).