sabato 10 settembre 2011

La Guerra del 1859: Franco-Piemontesi contro Austro-Lombardo-Veneti:Cronaca di Bayard De Volo

La  versione la facciamo valendoci delle poche ma precise indicazioni di Bayard De Volo, il quale accompagnando il Duca Francesco V di Modena, (aggiuntosi, come alleato, al Quartiere Generale austriaco), poté de visu raccogliere cose importantissime intorno a questa campagna (Bayard De Volo.- Vita di Francesco V. Cap. 50-51.

Cartina raffigurante gli spostamenti militari durante la guerra del 1859.

"Il corpo austriaco di operazione, scrive il De Volo * [Bayard De Volo: Vita di Francesco V. Tom. III. pag. 9. e segg.], essendo penetrato in Piemonte, impiegò la prima decade di maggio, da una parte a spingersi innanzi oltre la Sesia, quasi a minacciare Torino, dall’altra ad avviluppare l’esercito sardo, gettandosi sulla sponda destra del Po sino a Tortona. Gyulai aveva posto il suo quartiere generale a Lomello sull’Agogna, per essere più presso all’azione, che si sarebbe presumibilmente impegnata fra i due eserciti. Ma, ingrossatosi nella notte dal 5 al 6 maggio il Po e rovesciato il ponte che gli Austriaci avevano eretto a Cornale, temettero di perdere le comunicazioni, e le brigate loro furono richiamate sulla sponda sinistra, riportando il quartier generale a Vercelli. Stabilitosi quindi il nerbo delle truppe imperiali a San Germano, allarmarono colle loro scorrerie non solo Biella ed Ivrea, ma anche Chivasso, ultima e breve tappa di marcia verso Torino. Di là tutto ad un tratto i corpi avanzati furono richiamati a marce forzate in addietro, e, trasferito il quartier generale a Mortara, l’esercito principale fu il 19 maggio concentrato nella sinistra della Sesia, tra questa, il Ticino e il Po.

Durante tali manovre i Francesi avevano potuto operare la loro congiunzione coi Sardi. Napoleone assumeva il 14 maggio in Alessandria il comando supremo dell’esercito alleato, il quale non tardò, mantenendo per base la posizione già presa dai Piemontesi, a disporsi sopra una linea convergente, che da Voghera, per Castelnuovo della Scrivia, Sale, Rosignano, San Salvatore, Valenza ed Occimiano stendevasi attorno alle posizioni degli Austriaci occupate in massima parte sulla sinistra del Po, se si eccettua la divisione di cavalleria, che batteva la campagna da Piacenza a Stradella. Questa disposizione faceva supporre l’intendimento degli alleati di impegnare l’offensiva con un pronto ed energico passaggio del Po; e poiché nel 17 maggio la divisione del generale Forey erasi avanzata in Montebello nella direzione di Stradella, si pensò al quartier generale austriaco, che si mirasse a un vigoroso attacco sopra Piacenza. Il tenente maresciallo Stadion venne quindi, a titolo di ricognizione, ad incontrarli: e qui gli alleati inaugurarono la campagna con una prima vittoria; poiché, ad onta di gravissime perdite e di una accanita resistenza, poterono mantenersi al possesso di Montebello, essendosi in quel giorno ritirati gli Austriaci in Casteggio, che abbandonarono l'indomani. Questo fatto indusse sempre più il Comandante austriaco a credere, che il piano strategico de’ suoi avversarî mirasse alla media Italia, fu così che trasferì il suo quartier generale a Garlasco, e ordinò ai suoi di sgombrare Vercelli e la sponda destra della Sesia. Napoleone, per mantenerlo in questo inganno, ordinò un movimento di conversione di tutte le truppe francesi da Valenza a Casteggio, ed ostentò, sino col tentativo di gettare un ponte presso Cervesina, di tendere assolutamente verso Pavia e verso Piacenza.

Battaglia di Magenta 4 Giugno 1859.

"L’esercito regolare sardo -scrive De Volo-  non ascendeva che a 55.000 combattenti, con soli 4000 cavalli e 90 cannoni. Era costituito sotto il comando supremo del Re, ripartito in cinque divisioni, e una divisione di cavalleria di riserva, aventi a capo i generali Castelborgo, Fanti, Durando, Cialdini, Cucchiari e Sambury. Con così poche forze, e male armato, non c'era modo di collocarsi in una posizione forte e sicura, nè poetva attaccare gli austriaci finchè non giungesse a sostegno il potente alleato.
Le divisioni sarde si spostarono tra Alessandria e Casale, dietro al Po e al Tanaro, facendo solo delle ricognizioni dell’ala destra sul vicino territorio parmense, ed estendendo la sinistra sino lungo la Dora Baltea, per coprire da ogni sorpresa Torino. 

Il 5 MAGGIO le truppe francesi della divisione del generale Vinoy attraversano il passo del Moncenisio, per raggiungere e congiungersi con i reparti piemontesi. Nel frattempo a Parigi Napoleone si prepara a partire per Marsiglia. Si imbarca il 10 maggio, arriva a Genova il 12.
Il 14 MAGGIO  NAPOLEONE III, sbarcato a Genova arriva ad Alessandria. Ovviamente l'imperatore intende avere il comando supremo e considera il Re come comandante in seconda. Vittorio Emanuele che già credeva di essere un vero Re condottiero, si trovò a disagio tra tutti quelli che  pretendevano ora dirigerlo. La Marmora in un modo, Cavour in un altro, e ora anche Napoleone.

I francesi costituivano un esercito di 170.000 uomini e 33.500 cavalli.
Erano comandate da generali ormai fattisi celebri in Africa e in Crimea, siccome Rénault, Baraguay d’Hilliers, Mac Mahon, Canrobert, Niel; però il quinto corpo era stato affidato al Principe Napoleone, i novello sposo della sabauda Clotilde.
 L’Imperatore volle assumere in persona il comando supremo di tutta la spedizione. Sino dai 20 di aprile era incominciato in Francia un movimento straordinario sulle strade ferrate convergenti verso le Alpi e sui trasporti a vapore del Mediterraneo; in questo modomentre una parte dell’armata si apprestava a varcare il Moncenisio, l’altra parte, — e questo accadeva il giorno prima della dichiarazione di guerra, — approdava a Genova, ed era quella comandata dal Principe Napoleone, il quale, secondo il convenuto, doveva affrettarsi a prendere possesso della Toscana.

L’armata austriaca in Italia, posta sotto gli ordini del generale d’artiglieria conte Giulay, al momento di entrare in campagna, era forte di 90.000 mila uomini, di 10.000 cavalli e di 350 cannoni. I varî suoi corpi erano comandati dai Tenenti marescialli Odoardo Liechtenstein, Schwarzenberg, Stadion, Zobel, Benedek e dal generale di cavalleria Schaaffgotosche. Dopo l’Ultimatum dei tre giorni, — che di fronte ai concerti ed ai preparativi degli avversarî era in ritardo, — indugiava altri due giorni a passare il Ticino (*) , il che finalmente nel 30 aprile eseguì sopra tre punti: cioè, Pavia, Bereguardo e Vigevano; mentre spingeva una colonna presso il lago Maggiore, e con un’altra avanzata presso Piacenza manteneva sulla destra sponda del Po la congiunzione coi Ducati.
(*) Ma sembra che a Gyulai non arrivasse mai l'ordine di attaccare. A Vienna si esitava sempre, volevano la guerra con degli alleati e nello stesso tempo rischiando l'anticipavano senza alleati. L'11 aprile  l'arciduca Alberto era ancora a Berlino in missione senza aver concluso nulla. Persa la pazienza Francesco Giuseppe inviò ugualmente l'Ultimatum. Gyulai ricevette gli ordini di non attaccare subito (anche se trascorso il termine di 3 giorni dell'ultimatum), ma di aspettare istruzioni telegrafiche da altissimo loco.
Gyulai appare sconcertato e indignato da ogni punto di vista, e scrive al principe Alessandro d'Assia: "Non riesco a spiegarmi tale inaudita leggerezza e superficialità degli alti diplomatici. Se uno di noi facesse il suo servizio in questo modo lo si dovrebbe radiare dai quadri"
(Lettera di Gyulai al Alessandro d'Assia. In copia al Diario del medesimo in data 27 aprile 1859- Diario op. cit.).
Solo il 30 aprile come abbiamo visto sopra Gyulai riceve l'ordine di attaccare. Ma nel momento stesso che si muove, l'imperatore manda un secco ordine al popolare Massimiliano d'Asburgo (governatore austriaco in Lombardia) di andare assumere il comando della flotta e Gyulai
viene così silurato. 
Inoltre Gyulai ha trascurato di fare l'unica cosa giusta: prevenire il collegamento dei Piemontesi coi Francesi e battere (e lo poteva benissimo fare) i primi isolatamente, per poi affrontare i secondi. Esita, perde tempo e perde tutte le occasioni.
Se lo chiede anche il principe Alessandro d'Assia nel suo Diario: "Non riusciamo a capire perchè Gyulai resti così a lungo inattivo e lasci i Francesi tutto il tempo di entrare in Piemonte e portarsi sul confine lombardo a riunirsi con gli alleati"
Ma quando l'11 maggio Gyulai, pur in ritardo inizia a fare qualcosa, da Vienna arriva il telegramma seguente: "Dato lo stato attuale delle nostre cose (e Gyulai era già convinto fin dall'inizio che la Prussia avrebbe piantato in asso l'Austria) il teatro di guerra meglio indicato è...sul Mincio".
Questi ordini e contrordini dovrebbero giustificare la confusa (e quindi negativa) condotta di guerra di Gyulai, che il 16 giugno (dopo la battaglia di Magenta persa e dopo che si è ritirato dietro l'Adda, sacrificando Milano) si dimette (o viene destituito dal comando del corpo d'armata).

A confronto della grande fama, che aveva lasciato di sé nell’esercito austriaco in Italia e in tutta l’armata imperiale, il maresciallo Radetzky, era assai difficile che un suo successore  potesse eguagliarla, sia col prestigio del nome, sia per acquistata fiducia presso i suoi dipendenti. Ma non era questo il solo motivo per il quale il Giulay si trovasse,  rispetto al suo predecessore, in condizione sfavorevole; essendo effettivamente tra i generali austriaci a lui contemporanei, il meno atto, per energia e per talento a ricevere un comando supremo in una guerra come questa. E quantunque ciò fosse conosciuto dovunque, e deplorato dalla pubblica opinione in Austria, pareva che solo lo si ignorasse alla Corte, dove invece Giulay contava parecchi sostenitori.

Coppi ne’ suoi Annali d’Italia (1859. pag. 59) asserisce che il piano di campagna fu per parte austriaca compilato (per quanto si credette) da Grunn primo aiutante di campo dell’Imperatore. Ma in queste parole vi è molta imprecisione, per non dire ignoranza. Grünne, e non Grunn, era effettivamente primo Aiutante di campo dell’Imperatore: ma benché godesse molto favore, e fosse uno dei protettori di Giulay, non compilò lui il piano della campagna, né poteva farlo. Copriva allora l’ufficio di Quartier Mastro Generale, ossia Capo supremo dello Stato maggiore generale, il Maresciallo Hess, a cui spettava in ogni caso la redazione di un simile progetto, ed è quindi fuori dubbio che fosse opera di Gyulai.  E' certo che egli rimase a Vienna durante l'inizio della guerra, e venne in Italia solo quando si mise al seguito dell’Imperatore (16 giugno) e fu poi lui l’anima dirigente delle operazioni, lasciando per altro al Comandante in Capo ampia iniziativa e le responsabilità.  [
Bayard De Volo. — Vita di Francesco V. Cap. 51 ].

Torniamo indietro e diamo uno sguardo ai Francesi. Il giorno 11 maggio l’imperatore Napoleone partiva da Parigi,  il 12 maggio  giungeva a Genova, e il 14 maggio in quella zona dove l’esercito austriaco guidato da Gyulai, dopo aver perduto un tempo prezioso nella Lomellina, aveva iniziato un movimento di ritirata. Il 20 maggio, accadeva il primo fatto d’armi presso Casteggio e Montebello tra i Gallo-Sardi e gli Austriaci, che dopo sei ore di combattimento si ritirarono. Questo fatto d’armi, o piuttosto battaglia, nella quale prese parte, oltre i Sardi, la divisione francese Forey, costò agli alleati da 6 a 700, tra morti e feriti, un colonnello di cavalleria sarda ferito mortalmente, il generale Beuret e due comandanti francesi morti, tre colonnelli francesi feriti. — Quanto agli Austriaci i bollettini sardi dicevano avere sofferto notevolissime perdite, senza però precisarle. Intanto il Generale Cialdini passava la Sesia, e Garibaldi per Sesto Calende penetrava in Lombardia coi suoi "Cacciatori".

Dopo questa prima battaglia seguirono di giorno in giorno varî combattimenti con varia fortuna; finché proseguendo gli Austriaci il loro movimento di ritirata, il 30 maggio, col passaggio della Sesia, e colla presa dell’importante posizione di Palestro aveva termine il primo periodo di questa guerra.

Gli Austriaci erano vinti, più che dalle armi alleate, dalla incredibile inefficienza o dall'indecisione del loro Generale in Capo conte Giulay; ma più di tutto, come fu palese poi, dalla influenza maligna di alcuni in alto loco (si disse della massoneria) che a furia di tradimenti, paralizzava lo slancio guerriero dell'esercito austriaco.
In mezzo a queste cose il 29 di maggio anche l’Imperatore d’Austria lasciava Vienna per andare a mettersi alla testa dei suoi eserciti: e il 31 giungeva a Verona, accompagnato durante il viaggio dalle dimostrazioni  più affettuose dei suoi popoli; quando la notte del 1 di giugno, i corpi franchi del Garibaldi toccavano a Laveno una prima sconfitta, rimanendone distrutta tutta un’intera compagnia.

Ma una battaglia ben altrimenti importante veniva combattuta il 4 giugno a Magenta, dove gli Austriaci con sforzi veramente eroici contrastarono ai Gallo-Sardi il passaggio del Ticino. Per due interi giorni rimase incerta la lotta. Il villaggio di Magenta veniva preso e ripreso sette volte; ma finalmente, mancando agli Austriaci il soccorso di un intero corpo di esercito, che rimase, non sappiamo perché, fino allora inattivi, prevalsero gli alleati.
Il Feld-maresciallo Giulay comandava in capo l’esercito austriaco. Al Generale Mac-Mahon toccarono gli onori della giornata, e n’ebbe in premio il titolo di Duca di Magenta. In tal modo cinque giorni dopo la partenza d’Alessandria, e dopo tre fatti d’armi e una battaglia campale, i Gallo-Sardi si vedevano aperta la via di Milano.

Ma assai cara era costata la vittoria agli alleati. Il Generale Cler cadeva mortalmente ferito, cadeva ancora il Generale Wimpffen; i comandanti Desmé e Maudhuy furono uccisi. All’attacco del villaggio di Magenta il Generale Espinasse veniva colpito da una palla di cannone, mentre il suo aiutante di campo cadeva ferito mortalmente, e cadevano egualmente alla testa delle loro truppe i colonnelli Drohuot e de Chabrière. Il comandante Delort si fece uccidere alla testa del suo battaglione, mentre gli altri ufficiali superiori restavano feriti; anche il Generale Martimprey toccò un colpo di fuoco. Il colonnello di Senneville, capo di stato maggiore del Maresciallo Canrobert, cadeva ferito da cinque colpi di fuoco, senza dire il numero considerevole di ufficiali feriti od uccisi.

— Per quanto l’abile manovra giungesse a coprire agli occhi del Comandante supremo austriaco le vere intenzioni dell’esercito francese, il Duca di Modena, Francesco V, non avea mancato d’indovinarla. Così fino dal 16 maggio scriveva egli testualmente al suo ministro residente in Vienna:
"Io credo che Napoleone farà forti dimostrazioni sul centro di Gyulai, e farà finta di voler forzare il passo del Po verso la Gabbiana; invece marcerà per la sinistra, passerà il Po a Casale, e piomberà sull’ala destra austriaca verso Vercelli. M’aspetto quindi fra pochi giorni la battaglia sulla Sesia. Ecco il mio pronostico."

Questa previsione fu tosto resa nota al maresciallo Hess, che mostrò apprezzarla. Ciononostante senza l’arrivo in tempo dei rinforzi della Boemia comandati da Clam Gallas, e senza la cooperazione indiretta di Garibaldi, che operando da Varese obbligò gli Austriaci a non seguire affatto la sinistra sponda della Sesia, i Francesi non avrebbero nemmeno incontrato gli intoppi di Magenta, per avere la strada aperta fino a Milano.

Ma quando Napoleone ebbe attirato in quella direzione il nemico, cambiando improvvisamente il fronte del suo esercito, decise di trasferirlo a Novara e sul Ticino, girare la destra degli Austriaci e piombare su Milano. Cominciato questo rapido movimento il 28 maggio, in cinque giorni lo si poté dire compiuto, col soccorso delle ferrovie da Voghera a Tortona per Alessandria e Valenza a Casale e Vercelli. Ciò condusse alla battaglia di Magenta, la quale, mediante i soccorsi allora dalla Boemia agli Imperiali pervenuti, consistenti nel corpo comandato dal Clam Gallas, non sarebbe stata sì facilmente vinta dai Francesi, se, Gyulai, con troppo precoce fiducia, non avesse distratte, senza a tempo rimpiazzarle, come gli sarebbe stato possibile, le sue riserve. Così Mac-Mahon, che fu l’eroe della giornata, vi diede senza ostacoli l’ultimo crollo, restando per allora decisa la sorte, per lo meno della Lombardia.

È noto, osserva il De Volo, come alla battaglia di Magenta l’esercito sardo non giungesse a tempo, inceppato nella marcia dall’ingombro delle strade: le sole Divisioni Fanti e Durando poterono pervenirvi assai tardi. Fu una giornata quasi esclusivamente francese.

Aperta in tal modo e libera la strada per Milano, gli Austriaci ebbero appena il tempo di ritirarsene: e Napoleone III insieme con Vittorio Emmanuele vi entrarono con gran seguito di milizie l’8 di giugno, pubblicandovi assai pomposi proclami, ricevuti con quel plauso, che non manca mai ai vincitori. Del resto, benché assai scarsa vi si fosse mantenuta fino allora la guarnigione austriaca, non vi si era manifestata né agitazione, né sommossa: tutto vi procedette bene, come quando in occasione di guerra guerreggiata, una città qualsiasi è da uno dei belligeranti evacuata, per essere tosto occupata dall’altro.

Il movimento nel frattempo intrapreso da Garibaldi, partendo co’ suoi Cacciatori delle Alpi da Gattinara, e dirigendosi per Borgomanero ad Arona, donde pel richiamo di Urban, cagionato dagli improvvisi apprestamenti della battaglia di Magenta, poté giungere a Sesto Calende ed a Varese in Lombardia; questo movimento, dicevasi, era combinato con l’intiero piano strategico degli alleati, o era azione staccata, che il capo dei corpi-franchi effettuava per conto proprio? Se si giudica da parziali indizî, e da nessun rapporto che Garibaldi aveva con i generali francesi, quest’ultima supposizione è la più verosimile: con tutto ciò si poté ben temere che Garibaldi volesse essere il primo ad entrare in Milano, ma che Napoleone volle ad ogni costo evitare.

Ma è ormai tempo di rammentare il principe Napoleone Girolamo, che, sbarcato a Genova insieme coll’Imperiale cugino, erasi poi, a bordo della Regina Ortensia, trasferito a Livorno, affine di cominciare a prendere possesso del promessogli nuovo regno di Etruria. Già il quinto corpo d’esercito, posto sotto il comando di lui, aveva subìta la sottrazione di una delle sue divisioni di fanteria, mandata a Voghera per rinforzare il corpo di Baraguay d’Hilliers; credendo Napoleone III, che la comparsa a Firenze di milizie francesi, qualunque ne fosse il numero, avrebbe ottenuto un grande effetto, e obbligato gli Austriaci a dividersi. Chi però fece assai poco effetto a Firenze, fu lo stesso Principe demagogo, il quale vi riscosse la più grande impopolarità. — Quale differenza infatti tra lui e il Granduca Leopoldo, che i veri Toscani conoscevano per l’affabilità, per la semplicità irreprensibile dei costumi, pei benefizî! E coloro che avevano avversato i Lorenesi, solo perché attinenti all’Austria, avrebbero mai voluto sostituirvi la soggezione alla Francia, mediante un uomo, molto discusso nella capitale toscana per vicende così clamorose, che la stessa gioventù non valse a scusare? Al disfavore incontrato si acconciò egli con proclami, i quali dichiaravano la sua missione unicamente militare, e non politica. E Cavour ne trasse profitto per far prendere piede in Toscana, coll’aiuto dei confronti, al concetto di una annessione definitiva al Piemonte sotto lo scettro di Vittorio Emanuele. Fu quindi giocoforza al principe Girolamo Napoleone di operare militarmente, la qual cosa, non essendo conforme al suo genio, disimpegnò egli senza agognare ad allori. — Così il De Volo.
Dopo la battaglia di Magenta l’esercito austriaco, in piena ritirata, abbandonava Milano il giorno 5 di giugno, e il 7 vi entravano i Gallo-Sardi; mentre gli Austriaci, abbandonata l’Adda, si avvicinavano alle proprie riserve sulla linea del Mincio, attendendo il momento di una più importante battaglia.

Il giorno 8 giugno facevano la entrata trionfale nella capitale della Lombardia il re Vittorio Emmanuele e l’imperatore Napoleone, e il 9 assistevano in Duomo a uno dei soliti Te Deum, in cui si ringraziava Iddio della vittoria delle armi impugnate per combattere le battaglie dei suoi nemici!