giovedì 1 settembre 2011
La Monarchia tradizionale unica soluzione globale alla crisi del mondo moderno.
di Giovanni Cantoni
Il testo nasce come prima parte dell’intervento svolto al convegno promosso dal FMG, il Fronte Monarchico Giovanile, dell'Emilia-Romagna, a Monteombraro, in provincia di Modena, dal 24 al 26 settembre 1971, sul tema La monarchia tradizionale, organica, rappresentativa, come alternativa globale al siste...ma partitocratico e repubblicano. È comparso in monarchia. Mensile contro-rivoluzionario del Fronte Monarchico Giovanile dell’u.m.i., anno I, [n. 2], Modena marzo 1972, pp. 2-4. Il titolo e i sottotitoli sono della redazione della rivista. La seconda parte dello stesso intervento era la Circolare riservata CR 4, del 25 maggio 1971, raccolta in Per la buona battaglia, Cristianità, Piacenza 1991, pp. 35-47.
Rispetto all'originale è stato variato il modo della citazione e sono state aggiunte le note relative alle citazioni dirette.
«Minacciati nella nostra esistenza da un radicalismo erede di tutti gli errori e di tutti gli odii contemporanei, da un radicalismo che vuole spegnere la fede, i costumi, la fami-glia, l’autorità, tutte le istituzioni da cui dipende l’ordine so-ciale, noi non potremo essere salvati che da un altro radicalismo, erede delle tradizioni antiche che furono la nostra gloria e la nostra vita» [(1)]. Queste parole decise, pronunciate esattamente cento anni or sono dal R. P. Monsabré O.P., in Notre Dame, durante una predica per la Quaresima del 1872, non hanno perso nulla della loro puntualità. Le assumiamo perciò a definire la prospettiva alla quale intendiamo attenerci.
Forse vi è stato un tempo in cui i termini «tradizione», «tradizionalismo», «tradizionale», «tradizionalistico» hanno avuto un significato univoco, al riparo da ogni possibile fraintendimento. Ugualmente forse è accaduto per «ControRi-voluzione», «controrivoluzionario», «reazione» e «reazionario». Se vi è stato questo tempo, oggi è finito, non soltanto per l’uso che si fa di questi termini nella comune conversazione, ma anche per l’abuso che se ne fa a tutti i livelli in quell’area sociologica denominata Destra nazionale.
Oggi è perciò pressoché impossibile servirsi di queste parole al riparo da ogni equivoco, ed è di conseguenza indispensabile tentare una explicatio terminorum, dalla quale non si può prescindere perché ogni rapporto umano, e soprattutto ogni conversazione, non cada soggettivamente nel soliloquio, oggettivamente nel vaniloquio.
Nell’evidente impossibilità di esaminare e rifondare ex novo concettualmente tutti i termini, sempre che ne avessimo la capacità, ci limitiamo a situarli culturalmente, cioè attraverso un riferimento esigente da parte del lettore una certa informazione, che diamo assolutamente per scontata, almeno argumentandi causa, come si dice, almeno per poter parlare, per poter cominciare un discorso. Quindi i suddetti termini saranno da noi usati nel senso che hanno all’interno del pensiero controrivoluzionario dell’Ottocento e della sua continuazione nel nostro secolo ad opera dei viventi Plinio Corrêa de Oliveira, Francisco Elías de Tejada, Rafael Gambra Ciudad, Marcel De Corte, Léon de Poncins e Gustave Thibon. Si tratta di un senso sufficientemente univoco e dichiaratamente cattolico, quindi libero da ogni suggestione magistica, esoteristica, orientalistica e ancor più occultistica.
Dopo aver risposto al quesito «Chi fur li maggior tui» [(2)], veniamo al tema.
Società tradizionale e società moderna
Con il termine «tradizione» si intende sia l’atto di trasmettere qualche cosa sia la cosa trasmessa, tanto la traditio quanto il traditum; esso indica cioè due realtà: lo sforzo soggettivo di trasmettere qualche cosa e questo qualche cosa oggettivo che si vuole trasmettere, preesistente allo sforzo stesso e sostanzialmente da esso indipendente.
Con il termine «società tradizionale» si indica una comunità, un insieme di famiglie, che vive di una realtà oggettiva che sta a monte di essa e attorno a cui si ordina, per la quale la verità è un dato da tradurre e da trasmettere ma non da inventare, per la quale esiste una veritas divinitus tradita, una verità rivelata attraverso la natura — rivelazione seconda, come dice Pio XII — e attraverso la Rivelazione in senso stretto. Questa comunità è cioè sociata, è iuncta da uno jus naturale, da un diritto naturale divino e dalle conseguenze sociali e giuridiche del depositum fidei: è quindi una sacra societas, una società sacrale.
«Società moderna» è al contrario una collettività, un insieme di individui della specie umana uniti da un modus, da una volontà, da un timore, comunque da un contratto, una sorta di impresa collettiva che non ha a monte una verità, ma che produce verità temporanee, cioè mode, figlie del tempo, della violenza e di altro, comunque accidentali. Si tratta di una societas profana, che non ha al proprio centro un fanum, un templum, un territorio delimitato e sottratto all’uso economico, che non vive una vita liturgica, cioè un tempo anch’esso sottratto all’impegno economico: è dunque una società secolarizzata.
«Società contemporanea» è semplicemente la comunità con cui ogni essere umano è in rapporto, di cui ogni uomo fa parte nell’arco della sua vita terrena. Si può dire anche «odierna», «di oggi», ma non ha alcuna valenza qualitativa e può essere tradizionale oppure moderna a seconda dei casi e indifferentemente. Non è certo un tertium genus, ma come «società antica» indica la relazione temporale che abbiamo con essa, di compresenza o di non presenza.
Queste definizioni si potrebbero anche sostanziare introducendo i termini Civitas Dei, civitas diaboli e civitas humana. La civitas humana è la società contemporanea, la città degli uomini, mentre la società tradizionale è il risultato dello sforzo della civitas humana di modellarsi secondo i caratteri della Civitas Dei; e la decadenza della società contemporanea a società moderna è la sua caduta a livello di civitas diaboli.
Società tradizionale e società moderna sono dunque due termini indicanti una qualità e possono essere assunti come categorie, come possibilità offerte alla libertà dell’uomo, alla sua capacità e alla sua volontà di scelta, al suo dovere di scelta. Il modo di essere della società tradizionale, il suo status, che fonda la sua stabilità, la sua permanenza, il suo resistere all’usura del tempo, comporta l’esercizio dell’autorità spirituale, che nella ecclesia, nell’adunata all’appello militare per l’annuncio della buona novella, dello euanghélion, ne detta la legge morale e spirituale come esegesi del depositum fidei. Comporta inoltre la potestas, l’esercizio del potere temporale per proteggerla dal nemico esterno con la guerra, dal nemico interno con la giustizia e per amministrarne e regolarne la vita economica. E la potestas, l’esercizio del potere temporale, nella sua massima espressione, in tesi universale, è sacrum imperium, non conosce nemico esterno ma solo nemico interno, e definisce il luogo della libera e totale evangelizzazione.
Il Regno
Analogo all’imperium, ma non identico, il regnum è definito dall’esercizio del potere temporale in modo non universale neppure in tesi, ma generale; non per tutti gli uomini, non erga omnes, ma erga nationem, relativamente cioè a un gruppo storico culturalmente determinato.
Il regnum è, in quanto Stato, societas perfecta, ed è compimento di questa perfezione perché è retto da una regiminis forma praestantior rispetto ad aristocrazia e a democrazia, cioè dal regime monarchico. È strutturato quindi in modo tale da riprodurre al suo vertice con una dinastia, e perciò nella sua versione ereditaria, il tipo della famiglia, cellula elementare della società e al dire di Cicerone «fundamentum civitatis et quasi seminarium rei publicae» [(3)].
La monarchia tradizionale è dunque una società tradizionale retta a regime monarchico ereditario, cioè una società che vive della tradizione ed è retta da una famiglia. Appare dunque chiaro che nel concetto di monarchia tradizionale, così come in quello di società tradizionale, dal punto di vista sostanziale l’accento cade sull’aggettivo, ed è perciò legittimo parlare di una aristocrazia tradizionale e di una democrazia tradizionale, cioè di diverse forme di regime della società tradizionale, anche se meno perfette della monarchia tradizionale a cui conclude la prima società naturale autosufficiente. In analogia, purtroppo, si può anche parlare di un impero moderno, di una Repubblica Universale, di cui la Società delle Nazioni e l’attuale Organizzazione delle Nazioni Unite sono tragiche prefigurazioni.
Alla stessa definizione di monarchia tradizionale si può giungere osservando che cosa racchiude la monarquía tradicional dei teorici carlisti. Ci aiuta il lemma carlista nella sua completezza. Esso recita: «Dios, Patria, Fueros, Rey». Il Rey è cioè custode della Santa Tradición, cioè della fede, della integrità nazionale e dei diritti acquisiti. Al Rey viene richiesta non solo la legittimità di diritto, cioè dinastica, ma anche la legittimità di esercizio, cioè il rispetto e la difesa della Santa Tradición, che fa sì che la monarquía tradicional sia non soltanto social e representativa ma anche limitada dalla legge divina e naturale e dai legittimi diritti acquisiti.
Monarchia tradizionale non è dunque termine atto a indicare una realtà sociopolitica caratterizzata dalla presenza di un capo denominato Re o comunque da una carica suprema ereditaria, ma descrive il regnum christianum fondato sulla religione cattolica, apostolica e romana, e ordinato nei suoi stati con un clero, una nobiltà, un popolo e al di sopra l’Imperatore e quindi il Sommo Pontefice. DESCRIVE CIOÈ UNO STATO IN CUI AI SUDDITI E AL RE È UGUALMENTE CHIARO CHE OGNI AUTORITÀ VIENE DA DIO.
Quanto abbiamo cercato di descrivere in termini assolutamente teorici, si è presentato in Occidente senz’altro fino all’oltraggio di Anagni, e in misura minore fino alla Rivoluzione francese. Entrambi gli avvenimenti sono emblematici e tollerano sopravvivenze parziali posteriori.
Decadenza della Monarchia tradizionale
Proseguiamo ora indicando i passaggi della decadenza della realtà «monarchia tradizionale», sempre in termini teorici.
La monarchia tradizionale, dunque, in quanto tradizionale, è una società che traduce nelle contingenze storiche la verità naturale e le norme sociali derivanti dalla Rivelazione, interpretata dal Magistero della Chiesa. Finché il regime politico-sociale è quello del regnum, il tipo umano in esso educato e che quindi lo caratterizza è quello del suddito, dell’uomo cioè sottoposto alla legge di Dio e sottomesso alle leggi della comunità. Il suddito non conosce alternativa al suo stato, se non come deviazione, insubordinazione, peccato. Solo in casi molto rari è consapevole del bene costituito dal Regno e così solo in casi molto rari è esplicitamente monarchico; nella generalità dei casi lo è solo implicitamente.
Quando la Rivoluzione, continuazione nella storia del non serviam di Lucifero, dopo aver attaccato la Chiesa con la PseudoRiforma e aver compromesso l’Impero servendosi anche dl prevaricazioni regali, investe il Regno, talora non lo abbatte sic et simpliciter, ma lo svuota delle sue realtà strutturali, cioè tradizionali, e spesso lo lascia sopravvivere a coprire con le sue forme istituzionali una sostanziale democrazia rivoluzionaria, in evoluzione verso la democrazia totalitaria. L’aristocrazia viene ridicolizzata e vanificata allontanandola dalle sue funzioni, i corpi intermedi abbattuti e al suddito si sostituisce il cittadino: è la monarchia liberale, in cui sopravvivono i monarchici impliciti, paghi delle forme o che non colgono cosa lavora sotto le forme, mentre cominciano a manifestarsi i monarchici espliciti, cioè caratterizzati da una consapevole scelta non solo istituzionale ma soprattutto di regime, preoccupati che venga mantenuto il legame tra la monarchia e la tradizione, e che non vengano infranti i diritti acquisiti sia nei rapporti fra Stati che nei rapporti fra individui. L’Italia ha conosciuto con il conte Clemente Solaro della Margarita un eccezionale esempio di questo tipo di monarchico «sveglio».
Quando poi anche le forme del Regno cadono, dopo che la Rivoluzione ha tentato l’ultimo inganno, quello costituito da una ipotetica monarchia socialista, il cittadino ha la meglio sul suddito e all’usura del tempo sopravvivono soltanto monarchici espliciti, mentre il coro dei monarchici impliciti si affievolisce, fino a scomparire, dopo essere passato attraverso la fase del puro legittimismo, della semplice fedeltà a una dinastia.
Come dall’arte per Dio si passa, attraverso l’arte per l’uomo e l’arte per il popolo, all’arte per l’arte e quindi alla morte dell’arte in pro della funzionalità tecnica, così dalla monarchia tradizionale, attraverso la monarchia liberale e la monarchia socialista, si giunge alla monarchia per la monarchia e quindi alla difesa del l’istituto monarchico perché funzionale rispetto a un regime tecnocratico.
Il monarchico esplicito
La società, nella sua forma di democrazia totalitaria, non è più seminarium di uomini tradizionali, di sudditi e quindi di monarchici, se non in modo marginale, come si direbbe in gergo sociologico, se non come scarti del ciclo di produzione del cittadino, un po’ come gli anarchici. La prospettiva tradizionale, e quindi monarchica, diviene una prospettiva minoritaria, patrimonio di persone che ricordano un Re e una bandiera, che hanno assistito da un molo alla partenza per l’esilio, ma destinate per leggi biologiche fatali a scomparire. Ed è patrimonio anche di pochi altri che desiderano, sulla base di quel ricordo riflesso che è la cultura.
Finché i due gruppi umani convivono — e il tempo regola la durata di questa convivenza — in questa realtà sociologica marginale si manifestano due linee, due correnti, il cui scontro è inevitabile, anche se pubblicamente attenuato. Il primo gruppo ricorda l’ultima espressione del Regno, il secondo gruppo desidera inevitabilmente la sua prima incarnazione, più carica di prestigio e di significato, quel principio che non è solo primo tempo ma anche norma.
QUALE DELLE DUE LINEE HA LA MEGLIO? SENZA DUBBIO LA SECONDA, E, MI PARE, NON SOLO DI FATTO MA ANCHE DI DIRITTO.
Non si tratta, sia ben chiaro, di uno scontro di generazioni nel senso corrente del termine, ma di inevitabili diversità di consapevolezza, di modi diversi di essere monarchici sulla base di diverse situazioni esistenziali. Inoltre per il primo gruppo è impensabile non unire alle proprie scelte, non sposare ai proprio atteggiamenti elementi di nostalgia; per il secondo gruppo questa nostalgia non si può dare, se non in modo patologico, cioè come ricordo di realtà non conosciute.
Viene infine un giorno in cui i monarchici di desiderio sono gli unici monarchici, e questo giorno ha le sue specifiche necessità, i suoi caratteri che richiedono di essere studiati, e non solo per completezza teorica, MA PERCHE’ QUESTO GIORNO CI PARE VICINO? È FORSE QUESTO CHE STIAMO VIVENDO?
Abbiamo qualificato i monarchici nelle tre fasi di Rivoluzione latente, di Rivoluzione operante e di Rivoluzione trionfante, come impliciti e poco consapevoli del bene posseduto, quindi come sempre più espliciti e sempre più consapevoli del bene in pericolo e infine scomparso. La crescita della consapevolezza è crescita della coscienza del bene costituito dall’Antico Regime, nelle sue forme e soprattutto nei suoi elementi strutturali, nelle sue istituzioni visibili e soprattutto nella sua sostanza di regime intrinsecamente legittimo in quanto conforme ai principi del diritto naturale divino e della Rivelazione, confermati dall’esperienza sociale e storica.
La crescita nel monarchico del tradizionalista, di colui che desidera divenire uomo tradizionale, uomo di principi, è crescita che passa attraverso l’attaccamento alle istituzioni e alle forme, cioè attraverso il conservatorismo, per quindi cogliere di dette istituzioni e dette forme l’anima, le ragioni più profonde e le condizioni di vitalità. E quando il monarchico tradizionalista decide di passare all’azione per restaurare quest’anima e queste condizioni, che sole possono permettere il rifiorire di istituzioni e forme, in lui è nato il controrivoluzionario.
Il controrivoluzionario
«Allo stato attuale — insegna Plinio Corrêa de Oliveira — controrivoluzionario è chi conosce la Rivoluzione, l’Ordine e la Contro-Rivoluzione nel loro spirito, nelle loro dottrine, nei loro rispettivi metodi.
«— Ama la Contro-Rivoluzione e l’Ordine cristiano, odia la Rivoluzione e l’anti-Ordine.
«— Fa di questo amore e di questo odio l’asse attorno al quale gravitano tutti i suoi ideali, le sue preferenze e le sue attività» [(4)].
A questo punto il sostenitore della monarchia tradizionale è tout court un controrivoluzionario e si guarda bene — insiste il de Oliveira — dal «[...] presentare la Controrivoluzione come fosse una semplice nostalgia (non neghiamo d'altra parte [è chiaro,] la legittimità di questa nostalgia) o un puro dovere di fedeltà personale, per quanto santo e giusto sia. Tutto ciò sarebbe presentare il particolare come fosse il generale, la parte come fosse il tutto, sarebbe un mutilare la causa che si vuole servire» [(5)].
Egli sa che l’antiOrdine è il luogo geometrico di concezioni erronee e di verità parziali impazzite e sterili, elevate alla dignità di verità assolute e feconde. Combatte quindi la concezione immacolata del singolo e della maggioranza, dello Stato e del capo carismatico, della nazione, della razza e della classe; e combatte anche, in se stesso, la concezione immacolata del Re e della dinastia. Sa che la maggioranza non ha sempre ragione, così come non hanno sempre ragione né lo Stato, né il capo carismatico, né la nazione, né la razza né tanto meno il proletariato, e quindi sa anche che neppure il Re ha sempre ragione. Gli pare evidente la follia di un mondo «illuminato», pieno di oracoli «infallibili», mentre l’infallibilità autentica, l’autentica vox Dei è circondata da tante legittime cautele. Perciò, come da buon cattolico, secondo le leggi della Chiesa, presta il suo assenso a quanto in certe forme e a certe condizioni è proclamato da Pietro, così da buon monarchico grida alto il suo Viva il Re, nonostante tutto! e continua nella sua lotta, per l’ordine naturale e cristiano, certo che esso, rispettoso com’è di ogni legittimo diritto, ordinariamente conclude alla monarchia.
Poiché vuole la monarchia tradizionale, vuole anzitutto le istituzioni che la sostanziano, non una esclusa. La regalità, certo, ma anche il riconoscimento dell’autorità dello Stato, ma anche il continuo rinnovamento dell’aristocrazia, ma anche la pacificazione del rapporto fra le classi attraverso la corporazione, ma anche l’esistenza della proprietà privata come espressione economica della libertà ma anche, alla base, la famiglia, perché alla base della società tradizionale sta la famiglia e al vertice della società tradizionale perfetta sta la famiglia reale.
* * *
Diceva De Maistre: «Qualcuno afferma: “Non vi è più mezzo per ristabilire l’antico ordine di cose: gli elementi stessi non esistono più”. Ma gli elementi di tutte le costituzioni sono gli uomini: non vi sarebbero per caso assolutamente più uomini in Francia?» [(6)].
E IN ITALIA?
«La tecnica moderna [doma le acque, rende fertili i deserti;] costruisce un grattacielo in qualche settimana; ma per far maturare una semplice spiga di grano è necessario tutto il sole di una estate. E quanti anni necessitano per formare e far maturare un uomo?» (Paul Ryckman, exgovernatore generale del Congo belga) [(7)].
QUALCUNO CREDE DI POTER ANCORA RIMANDARE?