Raffigurazione di un paese Siciliano del 1860.
Verso mezzo giorno, arrivammo alla Piana de' Greci. È questo un piccolo paese fabbricato in una pianura che guarda il mezzogiorno, sul versante opposto alla gran montagna del Palco. È molto frumentario, e vi è non poca pastorizia.
Alla piana de' Greci parlano il greco moderno corrotto, e il dialetto siciliano simile a quello di Palermo. I suoi abitanti discendono da una colonia greca, di quegli albanesi che ivi si trovarono al tempo di Maometto II nel secolo XV, e parte sono di origine siciliana onde due riti vi siegue il culto, il greco ed il latino, e con due Parrocchie. La Parrocchia greca è ammirabile per le pitture bellissime del Monrealese, e la Parrocchia latina per una magnifica scalinata; la Piana de' Greci contiene circa 8000 abitanti la maggior parte coltivatori di quelle terre feraci.
Mentre la truppa accampava in un prato, e si disponevano gli avamposti, io volli fare un giro entro il paese. Restai meravigliato di non vedere un'anima vivente. Tutte le aperture erano ermeticamente chiuse, e quel paese senza abitanti facea sgomento. Dopo essermi aggirato non poco, mi corse l'occhio alla finestra di una piccola casa che si chiudeva lentamente, ma non vidi alcuno. Non mi convenne penar molto per trovare la porta di quell'abitazione; salì pochi scalini, e picchiai la prima, la seconda, la terza volta: e nessuno rispose. Allora sospettai il vero, cioè che gli abitanti della Piana dei Greci temessero i soldati. Non volendo bussare, dissi dietro la porta: non temete delle truppa ch'è arrivata, essa non fa male ad alcuno, anzi è qui per proteggere la buona gente. Io sono un prete, cappellano de' soldati, e vi assicuro che potete uscire senza timore alcuno per ripigliare le vostre abituali occupazioni.
Non avea finite queste ultime parole, che la porta di aperse bruscamente, ed ecco sulla soglia una fanciulla diciottenne, scarmigliata, spaventata, abbattuta. Si teneva, con una mano stretta al seno, una figura dell'Addolorata: piega le ginocchia a terra e dice: eccomi qui: uccidetemi se vi dà cuore. Io non ho fatto male ad alcuno, non ho fuggito con gli altri perché carità mi strinse di non abbandonare la povera vecchia di mia nonna ammalata. Eccomi qui: uccidetemi...! Io morrò con questa madre Addolorata sul mio cuore.
Quella fanciulla avea le chiome nere, lunghissime e crespe, come se fossero state fatte dal ferro del parrucchiere. Gli occhi avea nerissimi, eloquenti, allora nuotanti nelle lacrime: la bocca designata al sorriso anche nel dolore: naso profilato alla greca: il colorito piuttosto pallidetto: insomma tutte le sue fattezze, e movimenti erano degni del pennello del grande Urbinate. Questo tipo di bellezza s'incontra ad ogni piè sospinto ne' paesi montuosi della Sicilia.
La vista di quella derelitta, e più di tutto la sua fede nella gran Madre de' dolori, mi commossero alle lagrime. Io non valsi ad articolare le prime parole, con difficoltà esclamai: ma alzatevi, ve ne prego, per quella fede che avete in questa bella Madre Addolorata che vi stringete al seno. Io uccidervi! e perché? io, che mi sottometterei a qualunque prova per vedervi tranquilla! Io son venuto per darvi coraggio, per assicurarvi che i soldati non fanno male ad alcuno, per dirvi che vi proteggerò se occorresse. E quella dolente, confortata dalla mie parole si alzò e mi disse: giacchè sentite tanta pietà della povera gente, entrate venite, ve ne supplico, a consolare la povera vecchia di mia nonna, l'unico essere affettuoso che mi resta sulla terra: ella è per morire della paura. La sentite? già mi chiama! Di fatti si sentiva una voce sepolcrale, che chiamava: Annetta, Annetta.
Entrai in quella casa. In una cameretta appresso la sala, vidi sopra un letto una donna che sembrava ottuagenaria, con viso lungo e scarno che mi guardava con occhio di idiota. Mi avvicinai al letto, vi fu un momento di silenzio; ci osservavamo l'un l'altro. La vecchia rompe il silenzio e dice: è vero, che verranno i turchi per ammazzarci tutti? Dovetti fare un grande sforzo in me stesso per contenermi da uno scoppio di risa a quella fatua ed ingenua domanda. Chi vi ha detto, buona donna, che verranno i turchi per ammazzarvi tutti? essa rispose: me l'ha detto una mia vicina, che l'ha inteso da' soldati vestiti di rosso che son passati di qui. La mia indignazione fu estrema, vedendo che si abusava dell'ignoranza e della credulità della povera gente per ispaventarla, mettere in odio la truppa, e farla fuggire. Non temete, buona donna, le dissi, non è tempo più di turchi: quelli che sono ora giunti alla Piana, son soldati di un Re religiosissimo che è figlio di una santa... È vero, è vero, disse, interrompendomi la vecchia, l'ho pure inteso dire tante volte. I soldati che son qui, le dissi, si sentono la santa Messa, si confessano, la sera recitano il santo Rosario, la Domenica ascoltano la predica, in somma sono buoni cattolici, e quindi buona gente. Vi prego dunque di non temere né per voi né per vostra nipote: io vi dò la mia parola di onore, che i soldati non faranno male alla gente pacifica, come voi siete. A queste parole la vecchia volle a forza la mia mano per baciarla e ribaciarla.
Mi rivolsi ad Annetta, e le dissi, suppongo che vi sia qui vicino della gente chiusa in casa, e spaventata come eravate voi poco prima. Vi prego, uscite, chiamate tutti, assicurateli delle buone intenzioni de' soldati, e direte, che se hanno de' viveri da vendere li portino nel campo, che i soldati li pagheranno ben cari. Annetta non se lo lasciò dire: in due salti uscì di casa, e cominciò a chiamare e parlare in quella lingua loro, della quale io non capiva una parola. Dopo cinque minuti mi trovai in mezzo alla strada, circondato da più di cento persone, tra vecchi, donne, e fanciulli, e tutti mi voleano baciar la mano. Povera gente! piangeva di consolazione e di allegrezza. Dimandai se nel paese si trovasse un Prete: mi additarono una casa vicina, e mi dissero che ivi forse si troverebbe Papa Ignazio occultato. Io mi diressi a quella volta. Il prete era alle vedette, venne ad incontrarmi, e mi disse: non posso mai credere che i soldati di un Re religiosissimo, diretti da' cappellani curati, ci vogliano fare del male. Io gli risposi, il vostro semplice sospetto non vi fa onore. Egli cercò giustificarsi, raccontandomi tante calunnie sparse dai garibaldini, i quali furbescamente spacciavano azioni di cannibali perpetrate dalla truppa in tutti i paesi per cui era passata. Io lo pregai di venire con me, che l'avrei condotto dal Generale, cui mi premea di mettere in relazione con una persona influente nel paese, la quale facesse rientrare la popolazione nelle proprie case, e lo mettesse in grado di fornirgli i viveri per la truppa, assicurandolo che tutto sarebbe pagato a pronti contanti. In effetti lo condussi dal colonnello Meckel, e dopo un breve colloquio, il prete uscì tutto allegro, e spedì in diverse direzioni molte donne, che accettarono con piacere la missione ricevuta.
Dopo un'ora, era un piacere a guardare quei prati e quelle collinette gremite
di gente che ritornava al paese, conducendo seco masserizie, animali domestici, e sventolando bianchi lini.
La sera le strade principali della Piana, e l'accampamento de' soldati erano divenuti un abbondante mercato, ove si vendeva, pane, vino, formaggi d'ogni qualità, agnelli, galline, conigli domestici in Sicilia sono anche i conigli selvaggi che vivono ne' boschi frutti secchi ed altro. I soldati non solo pagavano, ma generosamente: e que' poveretti si compensarono della paura avuta.
Siccome si dovea partire la mattina del giorno seguente, io volli ritornare alla casa di Annetta accompagnato da un chirurgo, mio ottimo amico. Trovai la ragazza in miglior toletta: gaia e sorridente, ma sempre modestissima. Il chirurgo osservò la vecchia e le prescrisse alcuni conforti. La nonna e la nipote voleano a forza regalarci due belli capponi, ma noi ricusammo cortesemente, dicendo loro, che non avevamo né il tempo, né gli utensili di apparecchiarli. In cambio accettammo volentieri un canestro di bellissime ciriege e nespole del Giappone.
Quella sera, Annetta mi raccontò con molta grazia, che la mattina io ero stato veduto dai suoi vicini ed amici, quando giravo in cerca di un'anima vivente. Siccome non aveano mai veduto cappellani militari, neppure sospettarono che io fossi un Prete; invece facevano tante supposizioni curiose e strane sul mio vestire, e sulla nazionalità della truppa. Annetta non volle dirmelo, ma io sospetto che mi presero per un turco che andava in cerca di persone per ammazzarle tutte.
La mattina seguente, Annetta accompagnata da una sua zia, e da una vispa ragazzina, venne al campo, per baciarmi, come essa dicea, la mano per l'ultima volta. Era abbigliata con le vesti della domenica: e quel costume mezzo greco, mezzo siciliano, aggiungeva infinite grazie a quella graziosissima giovanetta. Io desiderava lasciarle un religioso ricordo, e per quanto pensai non trovavo un oggetto ben degno di lei. Profittando che Annetta parlava col chirurgo, mi rivolsi alla mia ordinanza, e gli spiegai il mio desiderio. Questi, dopo avervi un poco sopra meditato, mi disse: potresti darle era un ottimo giovane del Barese, che dava a tutti del tu potresti darle, se non ti dispiacesse, quel reliquiario che ti porti sempre con te, è lì nel sacchetto di pelle. Ah! bellissima idea, esclamai: bravo Giuseppe, tu sei la mia piccola Provvidenza: io te ne sarò gratissimo. Quel piccolo reliquiario, in forma di croce, l'ebbi in Roma nel 1851: vi erano le reliquie de' dodici Apostoli, col nome del'apostolo scritto ad ogni reliquia: era lungo circa otto centimetri, e di argento detto Christofle. Era stato benedetto e toccato dalle mani del Santo Padre Pio IX. Io lo portava sempre con me per tante ragioni, specialmente perché avrebbe potuto servire di lapide, dovendo dir la Messa sopra un altare provvisorio, come spesso accadeva trovandoci in campagna con la truppa. Quel reliquiario, senza esagerazione, non l'avrei regalato ad una regina, ma con sommo piacere il diedi ad Annetta. Questa buona e pia fanciulla, quando glielo diedi, divenne muta per la gioia, e per la riconoscenza: di che la zia la riprese. Però i suoi sguardi, il suo atteggiarsi erano il più eloquente e sincero ringraziamento ch'io avessi ricevuto in vita mia. Mi disse solamente: Vi prometto, sinchè durerà la guerra, di recitare ogni sera il S. Rosario alla vostra intenzione,
e pregherò i SS. Apostoli di liberarvi da ogni male. Son sicuro che quella pia adempì la promessa.
Già la truppa avea sfilato alla volta di Corleone, e ci dividemmo inteneriti come se fossimo stati de' vecchi amici.
Quella popolazione della Piana de' Greci, quanto di spavento avea provato all'arrivo de' soldati, tanto dispiacere mostrò nel vederli partire. Moltissimi uomini, donne, e ragazzi ci accompagnavano per più di un miglio, gridando: Viva il Re, viva la truppa.
I ragazzi già fatti amici de' soldati, voleano portar loro il fucile o il sacco, e quelli che ottenevano tanto favore, si pavoneggiavano col fucile in spalla, e il sacco sul dorso. Di Annetta non ebbi più notizia. Nel 1864, dopo più di quattro anni, trovandomi in Roma, nel mese di ottobre di quell'anno, m'incontrai in un avvocato monrealese di mia antica conoscenza, il quale bazzicava spesso alla Piana de' Greci, ove avea non poche proprietà, e molta clientela. Appena gli domandai di una certa Annetta orfana, che conviveva con la nonna, l'avvocato esclamò: ah! siete voi che avete regalato un reliquiario a quella ragazza! io l'avea indovinato! come voi sapete? gli dissi, voi la conoscete? Se la conosco! rispose: suo marito e suo suocero sono miei clienti - Suocero, marito! esclamai, dunque Annetta è maritata? Di grazia, ditemi ciò che sapete di quella buona fanciulla. Il mio amico mi raccontò che nel 1862 Annetta si era maritata con un bel giovanotto, figlio unico di un mugnaio, possessore di un molino, ed una masseria: quindi un ricco di quel paese. Che nel 1863 avea perduta la nonna, la quale abitava sempre con lei; che Annetta avea un bambino; che il reliquiario che io le avea dato fu un vero avvenimento per quel paese, che tutti gli amici, vicini, e conoscenti, vollero vederlo e baciarlo: anche per la grande ragione ch'era stato benedetto e toccato dalle mani del Santo Padre Pio IX. Quella pia e cara fanciulla si teneva per persona di grande importanza, e specialmente perché posseditrice di quel reliquiario. L'avvocato conchiuse con dirmi: Siccome Annetta fu il modello delle fanciulle, oggi è il modello delle spose e delle madri. Ed io esclamai, che Iddio la benedica, e la faccia santa.
(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).