Pubblichiamo un estratto della conferenza del prof. Matteo D’Amico “Sinite parvulos venire ad me”. Famiglia: educazione e santificazione (Atti del XVI Convegno di Studi Cattolici, Rimini, ottobre 2008, pp. 147-148)
Il cuore di una buona educazione dei figli è celato nel segreto della vita matrimoniale. I figli – prima e oltre ogni azione positiva, ogni parola, ogni insegnamento, ogni esperienza – sono formati dall’aria che respirano in famiglia, dalla particolare atmosfera, dal clima emotivo che regna fra i due genitori.
Quanto più è profonda e dolce l’intesa spirituale ed emotiva fra marito e moglie, quanto più è favorita l’azione educativa. Infatti, un’unione profonda e serena è la base ideale affinché i genitori condividano le diverse scelte educative, siano capaci di fronteggiare le tante emergenze o difficoltà della vita quotidiana, manifestino ai figli una visione unitaria e non contraddittoria di principi e valori. (…)
Cosa significa e in che modo è possibile ottenere un’unione luminosa e profonda fra i coniugi? Uno degli elementi che può concorrere a questo fine è la ricerca di una crescente castità nel matrimonio, ovvero la ricerca di una vita e di scambi affettivi vissuti dai coniugi in modo da favorire la crescita della carità e di un’unione sempre più profonda con Dio nell’altro e in sé. Non si può essere buoni educatori se non si diventa uomini spirituali, ma non c’è cammino spirituale che possa darsi senza accompagnarsi a una crescente castità.
Non si tratta qui di declinare moralisticamente il matrimonio, di svilupparne una visione segretamente giansenista, semmai si tratta di afferrare fino in fondo il valore spirituale ultimo della castità che, nella nostra prospettiva, deve avvolgere come un velo di luce tutta la vita coniugale, non solo l’atto coniugale in quanto tale, ma bensì ogni gesto, parola, azione.
San Paolo (in Galati 5, 22) ci dà i caratteri che devono distinguere i cristiani, che essi debbono avere nell’anima. Vale la pena di rammentarli: carità, gioia, pace, pazienza, benignità, bontà, longanimità, mansuetudine, confidenza. Come questi caratteri potranno radicarsi nel cuore dei due coniugi che non siano mossi anche da un profondo desiderio di castità?
Come, però, identificare il significato di questa parola: castità? (…) In primo luogo, come in ogni altro caso di rapporto con i beni terreni e i piaceri, vi è la via maestra della mortificazione, che qui si tradurrà nella rinuncia, almeno parziale, anche a ciò che è lecito.
In secondo luogo, soprattutto attraverso la vita di preghiera e chiedendo a Dio quella che rimane una grande grazia, vivendo in un luminoso oblio, in una voluta innocenza quanto a tutto ciò che è relativo alla relazione coniugale nella sua dimensione affettiva e carnale, educandosi ad un vero ascolto di sé, evitando di assecondare quello che spesso si presenta come desiderio, senza esserlo in modo autentico e originario.
E’, in questo senso, autentico, buono, antropogeno, solo il desiderio che si presenta con i caratteri della più intensa necessità e che non sorge da un mio progetto o da un mio calcolo, ma che mi travolge in modo imprevisto, come un destino luminoso e irresistibile, che non mi aspettavo, che non cercavo.
La castità implica questa innocenza del mio sguardo sull’altro, questa rinuncia a ogni sovranità o strategia di possesso, e una sincera contemplazione del mistero dato dal legame fra atto coniugale e nascita di una nuova vita, implica, in una parola, un vero spirito di povertà.
Poiché… l’attacco del mondo alla nostra gioventù passa soprattutto attraverso la distruzione della purezza e della castità, si pensi ai frutti spirituali che una relazione fra i genitori casta, pura, profonda, piena di mutuo affetto e delicatezza potrà avere.
Ma, si badi, il discorso fatto non va inteso come un invito a una qualche forma di repressione o autorepressione, come in una forma di gnosi encratita. Non si tratta qui di rinunciare a qualcosa, se non a una falsa rappresentazione, del tutto ideologica e secolarizzata, di quale sia l’essenza della vita coniugale e anche del desiderio. Si tratta non di rinunciare alla propria legittima affettività, ma di imparare a desiderare davvero, liberandosi dagli automatismi che le reliquia peccati lasciano in noi, opacizzando la nostra capacità di sentire, e costringendoci a confondere “memoria e desiderio”.
E’ chiaro che coniugi giunti a una grande purezza e carità nella loro relazione, che compiono l’atto coniugale in uno spirito di vera obbedienza a Dio, come servi che assolvono con gioia un dovere loro imposto, e pieni di un sincero e ardente desiderio di figliolanza, due genitori, in poche parole, casti, non mancheranno di offrire ai figli sia un esempio buono, sia un ideale terreno affettivo in cui crescere e vivere la pienezza della comunione familiare.
(a cura di Marco Massignan)
Fonte: