di ROMANO BRACALINI
Era regola che anche nella sconfitta l’Italia ci guadagnasse sempre. Nel 1866, nella terza guerra d’indipendenza, l’Italia venne sconfitta due volte dall’Austria, a Custoza e Lissa, ed ugualmente, grazie all’alleata Prussia, ebbe “en cadeau” il Veneto. Il 21 ottobre dello stesso anno, dopo il trattato di pace di agosto tra Austria e Prussia, al quale con atto di supremo disprezzo l’Italia non venne nemmeno invitata, si svolse il plebiscito per dare all’annessione del nuovo territorio al regno d’Italia una parvenza di legittimità popolare. Secondo i dati ufficiali su 647.426 votanti (su una popolazione di 2.603.009 abitanti) i voti contrari sarebbero stati soltanto 69. La falsità di quel risultato era palese. Esso non si accordava con lo stato d’animo dei veneti che non s’erano mai segnalati per “patriottismo italiano” ed avevano anzi combattuto fedelmente sotto le insegne dell’Austria, anche nella campagna del 1866. Delle due sconfitte italiane, la più clamorosa era quella di Lissa proprio perché la flotta italiana vantava una superiorità schiacciante su quella austriaca.
Persano aveva tutto per prevalere sul nemico: una flotta numerosa e potente con navi di ferro all’avanguardia.Viceversa il suo rivale, il giovane ammiraglio Tegetthoff, comandava una flotta composta di navi di legno. Ma dalla sua aveva equipaggi composti da abili marinai veneti, triestini, dalmati, affiatati tra loro e che parlavano lo stesso dialetto. Gli equipaggi italiani erano formati prevalentemente da marinai napoletani, con qualche elemento toscano e sardo, impreparati, divisi dal dialetto e dalle rivalità regionali. Gli ammiragli in seconda Albini, sardo, e Vacca, napoletano, non stimavano il loro comandante e tramavano contro di lui: la perfetta metafora dello spirito di divisione italiano; un quadro che preannunciava il disastro imminente. Forse Persano non ignorava il detto di Nelson: ”Gli uomini combattono, non le navi”. Ed è per questo che era preoccupato. Tegetthoff, invece, poteva contare sulla fedeltà e sulla concordia dei suoi uomini. In un certo senso, Lissa diventerà il simbolo del fallimento unitario italiano. Lissa nei calcoli del ministro della Marina, Agostino Depretis, avrebbe dovuto pareggiare il conto con Custoza. A questo scopo tempestava l’ammiraglio Persano di telegrammi ingiungendogli di uscire dal porto di Ancona e di occupare Lissa, una piccola isola fortificata in prossimità della costa dalmata. Ma Persano covava parecchi dubbi; e trovava ogni scusa per rinviare la partenza. Anche il generale Lamarmora inviò un ultimatum a Persano deplorando il fatto che la flotta non avesse ancora trovato l’occasione di agire energicamente contro il nemico. Così il 16 luglio Persano fu quasi costretto a uscire da Ancona. Il 18 cominciò il bombardamento di Lissa. Tegetthoff, avvertito telegraficamente, lasciò la base di Pola e si presentà nelle acque di Lissa il 20 luglio su linea di fronte ”avvolto in una burrasca di maestrale”. Persano disponeva di dodici corazzate su ventotto unità in parte di legno, Tegetthoff soltanto di sette. All’apparizione della flotta nemica, Persano ordinò la linea di fronte per giovarsi della sua superiorità di fuoco. Manovra che Tegetthoff neutralizzò schierandosi a triplo cuneo.
All’improvviso Persano lascia la Re d’Italia, nave ammiraglia, e sale sull’Affondatore, nuovissima unità dotata di sperone d’acciaio. La scomparsa dell’insegna di comando provoca lo scompiglio nella flotta italiana. La Re d’Italia dovette fermarsi per consentire a Persano di trasbordare. La linea si spezzò e Tegetthoff si inserì a cuneo nel varco facendo contemporaneamente fuoco sui due tronconi. Vacca, comandante la seconda squadra, perse i contatti e si allontanò. Albini, al comando di sette fregate e cinque cannoniere, con quattrocento cannoni a disposizione, fu per tutta la battaglia “ozioso spettatore”. La Re d’Italia, attaccata dall’Erzherzog Ferdinand Max, colò a picco. La Palestro saltò in aria con tutto il suo equipaggio. La Kaiser attaccata dall’Affondatore si allontanò malconcia.
A Lissa gli italiani si mostrarono, al solito, deboli, e non mancarono episodi di bassezza e viltà. Non era stata una sconfitta rovinosa; da parte sua Tegetthoff parlò di grande vittoria solo quando vide che tale era ritenuta in Italia. Persano si ritirò quando avrebbe potuto contrattaccare. Il 31 luglio di fronte all’Alta Corte di Giustizia fu accusato di viltà, imperizia, negligenza.Privato del grado e della pensione. Gli austriaci avevano vinto una battaglia ardua e difficile. I veneti avevano combattuto nel segno di San Marco per poi diventare sudditi degli sconfitti. L’epitaffio della battaglia l’aveva dettato lo stesso Tegetthoff: ”Uomini di ferro su navi di legno hanno sconfitto uomini di legno su navi di ferro”.