La Sacra Scrittura ci presenta una numerosa serie di miracoli grandiosi, detti anche “miracoli biblici”; noi distinguiamo questi fatti certi narrati nella Scrittura, da quelli che vengono definiti “miracoli ecclesiastici” e che seguono un iter di verifica e ratifica differente.
Numerosi sono gli episodi di morti resuscitati, i quali vengono prodigiosamente riportati in vita da Dio, “per il tramite” di Suoi fedeli servitori; è naturalmente ovvio che c’è differenza fra la resurrezione dei defunti e la Resurrezione della carne. Nel primo caso abbiamo delle persone che vengono riportate in vita, su questa terra e non in eterno, i quali comunque dovranno “pagare il debito con la morte” che è stato temporaneamente rinviato per ragioni di Dio; nel secondo caso stiamo parlando della Resurrezione della carne che avverrà solo il Giorno del Giudizio, ed è dogma di fede rivelata. Escludiamo dallo studio la dormizione e assunzione della Vergine Maria poiché ne abbiamo già parlato.
I cosiddetti “miracoli biblici” sono certamente di livello superiore rispetto ai “miracoli ecclesiastici” poiché sono caratterizzati da vari elementi: – abbiamo anzitutto la veridicità totale poiché il testo è inerrante, poi c’è l’elemento di storicità garantita, ed infine, ma non meno importante, abbiamo la Tradizione, ovvero “ciò che si è sempre creduto” e che i Padri “hanno ritenuto”; – questi miracoli sono caratterizzati dalla loro “grandiosità, risolutezza e azione vigorosa” (per usare le parole del card. Newman). E’ certo che anche gli storici non cristiani, comunque hanno narrato di episodi inspiegabili e di risurrezioni di morti operate per il tramite di Profeti, Apostoli o direttamente da Gesù Cristo; è quindi un fatto certo che le risurrezioni sono realtà. (cf. Leone XIII, Providentissimus Deus, Lettera enciclica “sullo studio delle Sacre Scritture”, 18 novembre 1893).
***
Il Profeta Elia è noto per un episodio di risurrezione che ritroviamo in 1Re, 17: “… 17 In seguito il figlio della padrona di casa si ammalò. La sua malattia era molto grave, tanto che rimase senza respiro. 18 Essa allora disse a Elia: «Che c’è fra me e te, o uomo di Dio? Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia iniquità e per uccidermi il figlio?». 19 Elia le disse: «Dammi tuo figlio». Glielo prese dal seno, lo portò al piano di sopra, dove abitava, e lo stese sul letto. 20 Quindi invocò il Signore: «Signore mio Dio, forse farai del male a questa vedova che mi ospita, tanto da farle morire il figlio?». 21 Si distese tre volte sul bambino e invocò il Signore: «Signore Dio mio, l’anima del fanciullo torni nel suo corpo». 22 Il Signore ascoltò il grido di Elia; l’anima del bambino tornò nel suo corpo e quegli riprese a vivere. 23 Elia prese il bambino, lo portò al piano terreno e lo consegnò alla madre. Elia disse: «Guarda! Tuo figlio vive». 24 La donna disse a Elia: «Ora so che tu sei uomo di Dio e che la vera parola del Signore è sulla tua bocca».”
***
Anche Eliseo viene ricordato per un episodio di risurrezione in 2Re, 4: “… 32 Eliseo entrò in casa. Il ragazzo era morto, steso sul letto. 33 Egli entrò, chiuse la porta dietro a loro due e pregò il Signore. 34 Quindi salì, si distese sul ragazzo; pose la bocca sulla bocca di lui, gli occhi sugli occhi di lui, le mani nelle mani di lui e si curvò su di lui. Il corpo del bambino riprese calore. 35 Quindi si alzò e girò qua e là per la casa; tornò a curvarsi su di lui; il ragazzo starnutì sette volte, poi aprì gli occhi. 36 Eliseo chiamò Ghecazi e gli disse: «Chiama questa Sunammita!». La chiamò e, quando essa gli giunse vicino, le disse: «Prendi tuo figlio!». 37 Quella entrò, cadde ai piedi di lui, gli si prostrò davanti, prese il figlio e uscì.”
Eliseo nuovamente è collegato alla risurrezione di un morto e ne abbiamo testimonianza in 2Re, 13: “20 Eliseo morì; lo seppellirono. All’inizio dell’anno nuovo irruppero nel paese alcune bande di Moab. 21 Mentre seppellivano un uomo, alcuni, visto un gruppo di razziatori, gettarono il cadavere sul sepolcro di Eliseo e se ne andarono. L’uomo, venuto a contatto con le ossa di Eliseo, risuscitò e si alzò in piedi.”
***
Gesù risuscita il figlio della vedova, la figlia di Giairo e Lazzaro:
- Il primo caso di risurrezione nel Nuovo Testamento è, come per il Vecchio, riguardante il figlio di una vedova. Luca 7 ci dice: “11 In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. 12 Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. 13 Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». 14 E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». 15 Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. 16 Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo». 17 La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione.”
- La prima donna ad essere riportata in vita è la figlia di Giairo. Marco 5 ci descrive l’episodio storico: “21 Essendo passato di nuovo Gesù all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. 22 Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi 23 e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva». 24 Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. … 39 Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40 Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. 41 Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!». 42 Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore.”
- In Giovanni 11 si legge di Lazzaro: “38 Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. 39 Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». 40 Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». 41 Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. 42 Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43 E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44 Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare».”
***
San Pietro è “strumento” di Dio nella risurrezione di Tabita, in greco Dorca o “gazzella”. Atti 9 ci narra la vicenda: “36 A Giaffa c’era una discepola chiamata Tabità, nome che significa «Gazzella», la quale abbondava in opere buone e faceva molte elemosine. 37 Proprio in quei giorni si ammalò e morì. La lavarono e la deposero in una stanza al piano superiore. 38 E poiché Lidda era vicina a Giaffa i discepoli, udito che Pietro si trovava là, mandarono due uomini ad invitarlo: «Vieni subito da noi!». 39 E Pietro subito andò con loro. Appena arrivato lo condussero al piano superiore e gli si fecero incontro tutte le vedove in pianto che gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era fra loro. 40 Pietro fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi rivolto alla salma disse: «Tabità, alzati!». Ed essa aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere. 41 Egli le diede la mano e la fece alzare, poi chiamò i credenti e le vedove, e la presentò loro viva.”
***
Per il “tramite” di San Paolo, Dio risuscita Eutico. In Atti 20 si legge: “… 9 un ragazzo chiamato Eutico, che stava seduto sulla finestra, fu preso da un sonno profondo mentre Paolo continuava a conversare e, sopraffatto dal sonno, cadde dal terzo piano e venne raccolto morto. 10 Paolo allora scese giù, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse: «Non vi turbate; è ancora in vita!». 11 Poi risalì, spezzò il pane e ne mangiò e dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì. 12 Intanto avevano ricondotto il ragazzo vivo, e si sentirono molto consolati.”
Il mandato missionario che Cristo conferì agli Apostoli ed ai Discepoli fu moto esplicativo: “… 7 E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. 8 Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.” (Mt. 10); così, nell’arco dei secoli nella vita della Chiesa, ritroviamo centinaia di casi, tanto inspiegabili per la scienza quanto accertati, di risurrezioni dai morti, episodi che testimoniano vivamente l’unicità del Dio vero, Uno e Trino e l’autenticità della vera Chiesa, ove la verità è accompagnata da segni prodigiosi ed inspiegabili.
***
Alcuni episodi tratti dal testo: “400 MORTI RESUSCITATI NELLA STORIA DEL CATTOLICESIMO” – di Padre Albert J. Herbert, S. M. (Società di Maria – Maristi) – Edizioni Segno, Tavagnacco (Udine)
***
S. Domenico di Guzman (1170 – 1221) fu il fondatore dell’Ordine dei Predicatori, comunemente noti come Domenicani. Questo ordine religioso ebbe grandi menti illuminate quali S. Alberto Magno e S. Tommaso dAquino, ed eccezionali missionari come S. Giacinto e S. Vincenzo Ferreri. Mentre Domenico stava fondando S. Sisto, il suo primo convento a Roma, una nobildonna romana, Guatenia o Tuta di Bulvaschi, perse il figlio. Guatenia era una devota seguace di S. Domenico e aveva lasciato a casa il figlio, gravemente malato, per andare a sentire S. Domenico predicare a S. Marco. Quando fece ritorno a casa il ragazzo era morto. Possiamo immaginarci il dolore della madre, quanto si rimproverasse e piangesse. Dopo un primo momento di afflizione, fu presa dalla forte speranza nella misericordia divina e nel potere d’intercessione di Domenico, un santo e amico di Dio. Guatenia si incamminò a piedi, e dietro di lei le ancelle che portavano il corpo freddo e privo di vita del ragazzo.
Siccome al tempo il monastero era in costruzione, non vigevano ancora regole di clausura, perciò Tuta entrò direttamente nel terreno. Trovando Domenico davanti alla sala capitolare, si inginocchiò ai suoi piedi e pose il figlio davanti a lui. Lacrime e gemiti d’angoscia furono le sue uniche parole.
Domenico si voltò e pregò per alcuni istanti. Poi ritornò e fece il segno della croce sul ragazzino. Prese il giovane per mano e lo tirò su vivo. Lo porse alla madre.
Ma Domenico non risuscitò il ragazzino esattamente come era arrivato ammalato; piuttosto il ragazzino pure guarì. Questa sorta di “doppio miracolo” avveniva spesso quando i morti erano prodigiosamente restituiti alla vita. Non solo si salvavano dalla morte, ma anche dalle infermità, dai malanni e dalle ferite che l’avevano causata.
Alcuni frati domenicani assistettero al miracolo di Domenico e testimoniarono al processo di canonizzazione della Chiesa. (Tali investigazioni sono condotte con attenta cura e scrupolosità). Papa Onorio ordinò che il miracolo fosse reso pubblico dai pulpiti di Roma.
Quando Domenico venne a sapere dell’ordine del Papa, si precipitò da lui e lo pregò di revocarlo; temeva che una fiumana di gente lo costringesse a fuggire. Il Papa ascoltò, ma non revocò l’ordine. I timori di Domenico erano giustificati: a tal punto i romani lo veneravano come potente intercessore e amico di Dio che di nascosto (o anche impudentemente) gli tagliavano pezzi del saio mentre camminava per le strade.
S. Domenico risuscitò altri morti proprio a Roma, il centro della cristianità. Quando i Domenicani erano impegnati nell’opera di costruzione del loro primo convento di S. Sisto a Roma, il sottosuolo nascondeva una gran quantità di antichi lavori murari e di cavità insospettabili. Avvenne un pericoloso smottamento che lasciò un architetto, che era stato assunto dai fratelli, sepolto sotto un cumulo di macerie nei sotterranei. Quando venne estratto era ormai già morto.
I Domenicani erano molto angosciati, non solo perché era morto senza sacramento, ma anche per via degli strani racconti che si erano diffusi tra la gente riguardo all’ordine da poco formatosi. Temevano che la disgrazia fosse interpretata come un segno del malcontento di Dio riguardo la nuova impresa religiosa.
Domenico si accorse della preoccupazione dei suoi discepoli. Portarono il corpo da lui e “con il potere delle sue preghiere lo risuscitò“.
Questo era soltanto uno dei miracoli messi per iscritto durante il processo di canonizzazione di Domenico.
Un altro simile miracolo avvenne durante una cerimonia di ordinazione in cui le suore prendevano appunto i voti a S. Sisto; c’era molta agitazione fuori e S. Domenico fu chiamato. Nel piazzale vicino a S. Sisto giaceva il corpo straziato di un giovane di nome Napoleone, nipote di un vescovo, il cardinale Stefano di Fossonova (che in quel momento pare fosse in chiesa).
Il giovane si era divertito sconsideratamente lasciandosi trascinare dal cavallo in una folle corsa, ed era stato disarcionato in malo modo. Padre Tancredi, a quel tempo priore, lo disse in seguito al beato Giordano, il secondo generale dell’ordine, che aveva esortato Domenico affinché implorasse fiduciosamente Dio per il giovane Napoleone. Domenico, motivato dalla sua stessa compassione e dall’esortazione di padre Tancredi, fece portare il corpo straziato del giovane in una stanza dove potesse essere chiuso a chiave. Poi disse messa, durante la quale alcune persone testimoniarono di averlo visto alzarsi da terra in estasi.
Poi Domenico pregò per il giovane. All’ordine del santo – “Ragazzo, nel Nome di Gesù Cristo ti dico, alzati !” – il cavaliere fu restituito sano e salvo al calore della vita.
I primi biografi di S. Domenico ritenevano che questa fosse una risurrezione miracolosa. Questo miracolo servì a portare nell’ordine domenicano due tra i suoi membri più noti, S. Giacinto e Ceslao, apostoli del nord, che erano allora in visita a Roma come canonici di Cracovia con il vescovo loro zio Ira di Cracovia.
Al tempo della miracolosa risurrezione dell’architetto da parte di S. Domenico, fra’ Giacomo de Bella, romano di nascita, ben noto procuratore di S. Sisto, si rimise in salute quando sembrava in punto di morte, mentre giaceva in agonìa dopo aver ricevuto gli ultimi sacramenti. Domenico fece uscire dalla stanza tutti e poi, come Eliseo, si distese sul corpo dell’uomo trattenendo così, grazie alla “violenza” delle sue preghiere, l’anima dell’uomo, che lo stava abbandonando.
Fra’ Giacomo si rimise nuovamente in salute e fu riabilitato alla sua carica di procuratore. Egli stesso raccontò questo miracolo al capitolo provinciale di Roma nel 1243 o 1244.
***
Fondatore e primo generale di un diverso ordine religioso, fu un altro spagnolo, S. Ignazio di Loyola (1491-1556), che dette al mondo l’originale Compagnia di Gesù, o i Gesuiti. Ignazio aveva molti doni soprannaturali ed era abile a distinguere gli spiriti e lottare contro il demonio. È famoso per i suoi Esercizi Spirituali che per secoli hanno influenzato innumerevoli persone. La biografia di Bartoli su Ignazio presenta la storia di cento miracoli attribuiti al santo. Una volta a Barcellona, intorno al 1524 circa, Ignazio stava tornando da un convento di suore domenicane. Passando per la via di Belloc udì forti grida e lamenti. Un uomo di nome Lessani (Lasano), in un accesso di disperazione per aver perso una causa contro il fratello, si era impiccato. Ignazio, uomo pratico, attivo ed energico, velocemente gli tagliò il cappio. Tentarono di rianimarlo, ma invano. Ignazio pregava in lacrime, lamentandosi addolorato del fatto che un uomo dovesse morire in quel modo.
Gli astanti si unirono a lui. Allora Ignazio si alzò e pronunciò il Sacro Nome di Gesù sul corpo di Lessani. Questi aprì immediatamente gli occhi, ritornò in sé, esprimendo rammarico per ciò che aveva fatto. Poi si confessò, prese i sacramenti, e subito dopo morì.
Questo resoconto è tratto dagli atti ufficiali di canonizzazione di S. Ignazio di Loyola. Gli astanti e Giovanni Pasquale confermarono che Lessani si era davvero suicidato. Il miracolo causò gran fermento nella zona.
***
Contemporaneo di Ignazio fu S. Filippo Neri (1515-1595), “Apostolo di Roma” e fondatore dell’Oratorio e dei Padri Oratoriani. Secoli dopo, il cardinale Newman sarebbe diventato uno dei più celebri oratoriani. Filippo guarì molti toccandoli solamente con la propria mano, e gli sono state attribuite delle risurrezioni sia quand’era in vita che dopo la morte.
Alcuni di questi miracoli furono compiuti per rianimare delle persone in fin di vita. Giovanni Francesco, quattordicenne, aveva una febbre pestilenziale e i medici lo dettero per spacciato. Per diciassette giorni stette disteso come un cadavere, senza mai parlare, senza nutrirsi, senza accennare ad alcun movimento; gli unici segni di vita erano un certo calore nel corpo e la respirazione appena percettibile. Giunse Filippo e si mise a scherzare con la madre: “Proprio una bella cosa, lasciare morire di fame questo poveraccio – portate del vino, per cortesia! “, Filippo dette al ragazzo alcune gocce attraverso le labbra, ed egli si riprese in pochi giorni. Certamente non fu il vino, ma il tocco della mano di Filippo.
In modo simile, come nel 1560, toccandolo con la sua mano, guarì Pietro Vittrici di Parma, al sevizio del cardinale Boncompagni (in seguito Gregorio XIII), che i dottori in teoria davano per spacciato. Filippo fece la stessa cosa per Maurizio Anerio, che ormai non parlava più, quasi non aveva più polso, e i cui medici ritenevano che non potesse assolutamente sopravvivere. Rianimò anche la signora Ersilia Bucca mentre giaceva in punto di morte.
Fabrizio de’ Massimi era un caro amico di Filippo, e un giorno gli domandò che pregasse per sua moglie, Lavinia de’ Rustici, che era incinta. Aveva già cinque figlie; Filippo predisse che sarebbe stato un maschio e gli diede il nome Paolo. Anni dopo, successivamente alla morte di Lavinia, Paolo, allora quattordicenne, si ammalò il primo gennaio 1583 di una febbre durata sessantacinque giorni.
Filippo andava ogni giorno a trovare il ragazzo, che pazientemente e coraggiosamente sopportava la sua lunga malattia.
Il 16 marzo, un messaggero fu inviato di fretta a S. Girolamo ad informare Filippo che Paolo stava morendo e a dirgli di sbrigarsi se voleva vederlo ancora vivo. (Il prete della parrocchia aveva dato al ragazzo l’Estrema Unzione e poi se ne era andato). Il messaggero, però, trovò Filippo che stava dicendo messa e perciò non potè informarlo. Prima che finisse, Paolo morì. Il padre chiuse gli occhi del ragazzo, e preparò l’acqua per lavare il cadavere e i panni di lino per avvolgerlo.
In mezz’ora Filippo arrivò. Fabrizio gli andò incontro in cima alle scale, piangendo, dicendogli: “Paolo è morto“.
“E perché non mi hai chiamato prima! “, “Lo abbiamo fatto, ma vostra Reverenza stava dicendo messa“.
Filippo entrò nella stanza. Si gettò all’estremità del letto. Pregò per sette o otto minuti e le sue preghiere erano accompagnate dalle sue consuete palpitazioni del cuore e tremore del corpo. Prese poi l’acqua santa e cosparse il volto del ragazzo; gliene mise un po’ in bocca. Dopo di che, Filippo soffiò sul volto del ragazzo, gli mise la mano sulla fronte, e lo chiamò forte, con voce risonante: “Paolo! Paolo! “.
Al che, il ragazzo, come se si fosse svegliato da un sonno profondo, aprì gli occhi e disse: “Padre, ho dimenticato di riferire un peccato, perciò vorrei confessarmi“. Filippo allora fece allontanare un po’ quelli che stavano attorno al letto, e, messo un crocifisso nella mano di Paolo, ascoltò la sua confessione e lo assolse.
Quando gli altri tornarono, Filippo parlò a Paolo per circa mezz’ora di sua madre e di sua sorella, ormai defunte. Il giovane rispondeva con voce chiara e distinta come se fosse stato in perfetta salute. Gli ritornò il colorito tanto che chi gli stava attorno poteva quasi convincersi che tutto era a posto. Alla fine, Filippo domandò a Paolo se a quel punto poteva morire di buon grado; Paolo disse di sì. Filippo glielo domandò una seconda volta, e Paolo disse: “Sì, volentieri – specialmente per vedere mia madre e mia sorella in paradiso“. “Va’, e che tu sia benedetto, e prega Dio per me“, disse Filippo, mentre benediceva Paolo.
Subito dopo, con aria serena e senza il minimo sussulto, Paolo spirò tranquillamente tra le braccia di S. Filippo.
Durante tutta questa straziante prova Fabrizio, il padre di Paolo, era stato presente, assieme alle sue due figlie (divenute, in seguito, monache a Santa Marta), alla seconda moglie Violante Santa Croce, alla serva Francesca, che aveva assistito Paolo durante la malattia, e a diversi altri. Per commemorare questo miracolo, si celebra una festa speciale, la Festa del Miracolo, nella cappella di Palazzo Massimo il 16 marzo, con una messa speciale concessa da papa Pio IX attraverso un decreto della Sacra Congregazione dei Riti il 1° marzo 1855.
Se Filippo aveva la capacità, attraverso il potere conferitogli da Dio, di riportare i morti in vita, poteva anche far morire una persona viva. Visitò più volte una delle più importanti signore di Roma, che si era ammalata da un mese. Un giorno, mentre era agonizzante e psicologicamente molto provata, stette per un po’ a confortarla, poi se ne andò perché doveva tornare a Vallicella. Ma dopo aver percorso parte del tragitto si fermò e disse a coloro che lo accompagnavano: “Mi sento obbligato a ritornare da quella signora in punto di morte“.
La trovò nella stessa condizione di prima, ma pensavano che potesse resistere sino al giorno successivo. Mandò via alcune persone, pose le mani sul suo capo e soffiò una o due volte sul suo volto. Pregò con zelo per lei, proferendo parole con notevole fervore.
Poi fissò lo sguardo su di lei e disse ad alta voce, cosicché diverse persone sentirono: “Anima, ti ordino, nel Nome di Dio, di allontanarti da questo corpo“; in quel momento ella morì. Filippo allora disse ai presenti che se la signora fosse rimasta in quell’agonìa più a lungo, avrebbe corso il rischio di cedere a certe tentazioni. Per tal motivo aveva pregato Dio affinché ne accelerasse la morte.
Vi è anche il caso di Giovanni Manzoli, di circa settant’anni, che quando il dottore gli disse che sarebbe morto entro un’ora, ordinò a un nipote di domandare a padre Filippo di inviare un prete. Giovanni ordinò di essere sepolto dove avrebbe indicato padre Filippo. La famiglia preparò gli abiti da lutto e mandò a dire alla Compagnia della Misericordia di essere pronti il giorno dopo ad accompagnare il corpo di Giovanni alla tomba.
Il mattino seguente, mentre diversi membri dell’Oratorio dissero a Filippo che Giovanni era morto, egli rispose loro: “Non esattamente, non è morto, e non morirà neppure a causa di questa malattia“. Chiamò padre Maffei (il prete che aveva inviato alla famiglia), che disse: “Sono andato da loro questa mattina, e ho appreso che era morto“. Filippo rispose: “No, Manzoli è vivo. Torna da lui e va’ a vedere come sta con i tuoi occhi“. Così fece padre Maffei – trovò l’uomo vivo e piuttosto in salute. Evidentemente padre Filippo usava le sue maniere scherzose per nascondere i propri miracoli. Filippo predisse anche che questo anziano sarebbe sopravvissuto a Filippo – e difatti gli sopravvisse di alcuni anni.
Dopo la morte di Filippo, diversi miracoli furono compiuti da varie sue reliquie – capelli, rosari, un bavero, un’immagine ecc. Caterina Lozia, moglie di Girolamo Martignone, un milanese, all’ottavo mese di gravidanza partorì un bambino prematuro morto, con il volto bluastro. La levatrice, una donna di gran esperienza, fece in tutti i modi possibili per accertarsi che il bambino fosse effettivamente morto, ma non dava proprio alcun segno di vita. Si rammaricava che non fosse possibile fare il battesimo.
Prima protestò forte alla Madonna richiedendo aiuto. Poi, ricordandosi che aveva dei capelli di Filippo, li pose sul cadavere, e pregò: “O S. Filippo, chiedi alla Madonna di riportare in vita il mio figlioletto, in modo che io possa dargli il sacro battesimo“. Il bambino subito si dimenò e tornò in vita. Fu battezzato Giovanni Pietro e visse solo venti giorni. Cinque giorni dopo morì anche la madre.
Annibaie, il figlio di due anni di Angelo Gerioni di Tivoli, si ammalò gravemente. Alla fine non dava più segni di vita; era freddo e inanimato. Mentre la famiglia si stava preparando per il funerale, un’amica suggerì al padre di andare dalla zia di lei a prendere le reliquie di S. Filippo. Ella le mise sul collo del bambino. Questi aprì gli occhi, che erano rimasti chiusi per due giorni interi, e fu riportato in vita.
***
Molti avranno sentito dei Padri Passionisti, o al limite saranno intervenuti a qualche emozionante missione organizzata da loro. S. Paolo della Croce (1694-1775) fu il prete fondatore. Paolo era una delle grandi anime mistiche di riparazione. Sopportò terribili sofferenze e prove spirituali, ma fu anche sorretto dalle consolanti visioni di Nostro Signore e di Nostra Signora. Ebbe visioni di anime in purgatorio, cui fu permesso di entrare nella sua cella e raccontare le loro pene. Talora si vedevano raggi splendere attorno alla testa di Paolo. Una volta S. Paolo si stava occupando di alcuni soldati a Portercole nel tentativo di rimetterli sulla corretta via. Uno di essi non solo si opponeva alla conversione, ma fece anche delle considerazioni blasfeme e oscene sulla questione. Questo soldato era seduto fuori su una pietra e aveva cercato di trascinare una sentinella nella conversazione e nel gioco delle carte. Gli altri protestarono, ricordandogli che Paolo, il pio padre, sarebbe potuto passare in qualsiasi momento.
L’altro soldato reagì duramente: “Mi convertirò non appena quel bue ritornerà in vita!“, si stava riferendo alla carcassa di un bue macellato che giaceva poco più in là.
Il macellaio l’aveva già parzialmente scuoiato. Ma all’affermazione irriverente e sciocca del soldato, il bue si alzò vivo e corse con furia selvaggia contro il soldato seduto sulla pietra. Riuscì a scappare, e il bue sbattè la testa sulla pietra dove il soldato era seduto solamente poco prima. La pietra si inzuppò di sangue e il bue “morì” in quel punto di nuovo.
Alla chiusura di una missione tenutasi ad Orbetello nel settembre del 1741, un bambino stava guardando fuori della finestra la gente mentre usciva da messa. Cadde sul lastricato e rimase ucciso all’istante. Fu richiesta assistenza medica, ma venne dichiarato morto.
In quel momento S. Paolo della Croce stava per salire su un’imbarcazione per dirigersi altrove. I genitori del defunto si precipitarono verso la costa e gli raccontarono della tragedia. Tornò indietro con loro e contemplò il cadavere del bimbo innocente. Paolo rimase in silenzio per un po’ e poi stese le mani sul corpicino. La folla astante stava in silenzio. In pochi secondi il bambino ritornò in vita, e Paolo lo restituì all’abbraccio dei parenti.
Un’altra volta il santo era ospite in casa dei signori Goffredi, dove una gallina fu servita per cena.
S. Paolo disse: “Avete fatto male ad uccidere questo povero animale, perché le sue uova erano l’unico sostentamento della povera donna a cui apparteneva. Facciamo un atto di carità. Aprite quella finestra“.
Poi benedisse la gallina già cucinata, così com’era nel Nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo. Aveva appena pronunciato queste parole che la gallina tornò in vita, si coprì di piume, prese il volo e starnazzando se ne andò dalla finestra verso la casa della povera donna a cui era stata rubata dall’uomo che gliel’aveva venduta.
Il miracolo fu messo per iscritto sotto giuramento da un testimone oculare. S. Paolo della Croce fece un simile miracolo a Fianello di Sabina.
Quando S. Paolo della Croce predicava da un palco, talora, si indeboliva a tal punto da non poter continuare, così il suo angelo custode parlava per lui. Una volta l’angelo, sotto le sembianze di Paolo, andò perfino a minacciare con una spada scintillante un cinquantenne, peccatore impenitente e sacrilego. L’uomo si affrettò a confessarsi.
S. Paolo della Croce era stupendo da morto, e in seguito un bambino nato orribilmente deforme fu curato con una semplice immagine di lui e certamente, anche in virtù della fede assolutamente importante dei supplicanti, guarì.
***
In tempi più recenti, è stata attribuita la risurrezione di almeno due ragazzi a S. Giovanni Bosco (1815-1888), fondatore dei Salesiani. Oltre ai sogni premonitori, cosi tanti eventi miracolosi avvennero nella vita di don Bosco e attorno a lui, che papa Pio XI disse della sua esistenza: “Il soprannaturale divenne quasi naturale, e ciò che era straordinario divenne ordinario“. Quando ci si rende conto di quanti miracoli sono stati compiuti da anime sante in tempi recenti – come da S. Giovanni Bosco, da S. Giovanni Vianney (il Curato di Ars) e da padre Pio (che morì nel 1968), risulta più semplice accettare anche i racconti di miracoli che risalgono ad epoche precedenti. Nel 1866, quando don Bosco si trovava nell’area di Firenze, morì un ragazzino. Don Bosco pregò Maria Ausiliatrice (Maria, Aiuto dei Cristiani), si unirono a lui gli altri preti, e il ragazzino iniziò a respirare. Un caso più famoso ebbe luogo in precedenza, nel 1849. Un quindicenne di nome Carlo, che frequentava l’Oratorio di don Bosco, stava morendo. Chiamò don Bosco, ma il prete non c’era. Così i genitori chiamarono un altro sacerdote, che ascoltò la confessione del ragazzo. Ma il ragazzo chiamò ancora don Bosco prima di morire.
Quando il santo tornò da Torino e venne a sapere della morte, si affrettò alla casa del ragazzo, e chiese: “Come sta?“. Il servitore interrogato rispose chiaramente: “È morto da dieci o undici ore!“. (Un resoconto dice ventiquattro ore; probabilmente si intendeva la durata del giorno). Ma don Bosco disse che il ragazzo “si era solo addormentato“; le stesse parole che Nostro Signore aveva usato a proposito di Lazzaro e della figlia di Giairo. Il servitore rispose che tutti in quella casa sapevano della morte del ragazzo, e che il dottore aveva già firmato il certificato di morte.
Il servitore condusse don Bosco in salotto dai genitori affranti. La madre gli raccontò di come Carlo avesse continuato a chiamarlo prima di morire. Nella stanza dell’ammalato don Bosco mandò via tutti, ad eccezione della madre e di una zia. Il corpo giaceva avvolto, cucito in un lenzuolo, un velo bianco sopra la testa, pronto per la sepoltura. Don Bosco chiuse la porta, pregò per un po’ e poi disse forte: “Carlo ! Alzati !“.
Il corpo del ragazzino iniziò a muoversi sotto il lenzuolo. La madre e la zia in lacrime guardavano sgomente.
Il prete strappò il lenzuolo dal corpo e tolse il velo bianco che copriva il volto. Carlo sospirò, si mosse ed aprì gli occhi. Fissò la madre e le domandò perché era vestito con il lenzuolo funebre appena strappato. Poi notò don Bosco e lo salutò contento ringraziandolo.
Il ragazzo raccontò al prete di quanto aveva avuto bisogno di lui, che per paura non aveva detto tutto durante la sua ultima confessione e che ora avrebbe dovuto essere all’inferno. Carlo raccontò a don Bosco che aveva sognato di essere circondato da una banda di demoni che stavano per buttarlo tra le fiamme di un’enorme fornace, quando una bella Signora intervenne. Ella gli disse: “C’è ancora speranza per te, Carlo! Non sei ancora stato giudicato“.
In quel momento aveva sentito don Bosco ordinargli di alzarsi. La madre e la zia lasciarono la stanza perché il ragazzo chiese di confessarsi. Poi, dopo essersi confessato, Carlo gridò forte perché tutti sentissero: “Don Bosco mi ha salvato!“. Tutti i partecipanti al funerale accorsero nella stanza per vedere e sentire la storia. Pochi notarono che, nonostante la vitalità del ragazzo, il suo corpo restava freddo, come fosse morto.
In quel momento andava presa un’importante decisione. Il Santo fece delle considerazioni sulla saggezza di Dio nel mostrare il valore di una buona confessione; Ma domandò anche a Carlo se, adesso che era pronto per il Cielo, preferiva andare in quel luogo o rimanere sulla terra.
Il ragazzo, in presenza della madre e dei suoi cari, volse altrove lo sguardo. Lacrime inumidirono i suoi occhi. C’era un’aria di tranquilla attesa. Ci possiamo immaginare la commozione dei presenti.
“Don Bosco, preferisco andare in Cielo“. (A volte la saggezza di un santo si trasmette ad un comune mortale!). Allora, Carlo si appoggiò indietro, chiuse gli occhi, e tranquillo morì ancora una volta.
Don Bosco stesso raccontò questo evento diverse volte nel corso della sua esistenza. Di solito parlava del prete coinvolto in terza persona, usando la parola “egli“. Ma nel 1882, senza accorgersene, raccontò la storia usando la prima persona: “io“.
Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro (clicca qui per leggere altri studi pubblicati)
Fonte: