Torino nella seconda metà del XIX Secolo
di Angela
Pellicciari
tratto da La
Padania - 18 agosto 2001
La città incarna le
ragioni del laicismo contro quelle della chiesa
Dopo la fine del sogno
rivoluzionario quarantottino, a decine di migliaia gli esuli della libertà vanno
a Torino, nuova e impensabile capitale italiana. Impensabile è la parola giusta:
da sempre la classe dirigente torinese ha avuto il francese come eloquio
privilegiato, esclusivo per le buone occasioni. Non è un caso che Cavour abbia
fatto esercitazioni di italiano prima di affrontare i dibattiti in
Parlamento.
Torino diventa la
capitale morale d’Italia facendo proprie le ragioni del mondo civile contro
quelle della barbarie medioevale, incarnate dalla Chiesa cattolica. Non solo:
Torino diventa Gerusalemme. Il Paragone non sembra ardito a Roberto Sacchetti:
"Torino saliva allora al colmo del suo splendore. Era stata forte e diventava
grande - bella, balda di una gioia viva e seria come una sposa a cui preparano
le nozze. La Mecca d’Italia diventava la Gerusalemme".
A Torino, nuova
capitale morale e religiosa d’Italia, si trasferiscono, e non può che essere
così, tutti i liberal-massoni (Free-Mason, Franc-Maçon, Libero-Muratore,
liberalismo e Massoneria sono nell’Ottocento praticamente sinonimi) del resto
d’Italia. I regnanti sardi offrono ai "fratelli" italiani un’accoglienza tanto
calorosa da riservare loro (a tutto discapito dei locali) alcuni dei posti più
prestigiosi nelle università, nei giornali, nella diplomazia, nello stesso
Parlamento. Ecco come il siciliano Giuseppe La Farina, una delle più eminenti
personalità massoniche emigrate a Torino, racconta l’accoglienza riservata agli
esuli in una lettera alla "carissima amica" Ernesta Fumagalli Torti, spedita il
2 giugno 1848. "Arrivati appena a Torino - scrive - stavamo spogliandoci,
quand’ecco il popolo preceduto da bandiere venire sotto le nostre dinestre, e
farci una dimostrazione veramente magnifica. Mi affacciai alla finestra,
ringraziai; fui salutato con mille prove ed espressioni d’affetto. La mattina
seguente, dopo essere stati da’ ministri, ritorniamo a casa; e dopo un momento,
chi viene a visitarci? Tutta la Camera de’ Deputati col presidente. Onore
insigne, che i parlamentari non sogliono concedere né anco ai propri
re".
L’accoglienza "regale"
offerta alla generosa emigrazione italiana, permette ai Savoia di incassare un
importante obiettivo politico: li rende preziosi e credibili alleati degli stati
che contano. Offre garanzie ai liberali - protestanti e massoni di tutto il
mondo - che sono intenzionati a fare sul serio. Che hanno davvero deciso di
rompere con la tradizione cattolica del proprio stato e della nazione cui quello
stato appartiene.
I Savoia per amore di
regno e quindi per furto - come scrive D’Azeglio nei suoi ricordi - diventano
fautori dell’ideologia massonica e della religione protestante che apertamente
combattono la cultura e la religione nazionali. Grazie a questa scelta
strategica che rende il Piemonte docile feudo della cultura inglese, americana,
tedesca, di parte del Belgio e dell’imperatore Napoleone III, i Savoia godono
dell’appoggio incondizionato dell’una o l’altra di queste potenze e realizzano
l’unità d’Italia sfruttando fino in fondo e con grande spregiudicatezza l’unico
elemento in proprio favore: la radicale disomogeneità culturale e religiosa con
il resto della penisola.
L’anima massonica del
regno sardo, e in particolare del Parlamento subalpino, viene mai apertamente
alla luce? No, perché l’associazione è pluri-scomunicata e perché il primo
articolo dello Statuto vincola i parlamentari all’ossequio della fede cattolica
definita religione di stato. L’11 novembre 1848, però, un brillante intervento
del deputato Cavallera rende palpabile la "fraternità" quasi come l’aria che si
respira. Si sta discutendo di sollevare le finanze dello stato, esauste per la
campagna militare, ricorrendo all’esproprio e alla vendita dei beni delle
corporazioni religiose. Contrario alla proposta Cavallera fa un discorso
brevissimo, allusivo, singolare e sintomatico insieme, che dopo un primo momento
di sconcerto suscita la generale ilarità.
Ecco le poche battute
del curioso intervento. Gli ordini religiosi - osserva il deputato - sono nati
in Italia dove esistono da "più di dodici secoli". Bisogna dedurne che
"necessariamente corrispondono ad un bisogno reale della società (rumori)
[chiosa degli Atti del Parlamento subalpino]; e per conseguenza se si volessero
abolire, altre se ne dovrebbero sostituire; infatti i moderni che vollero
abolire i frati, vi sostituirono un’altra specie di frati: e cosa sono i circoli
politici, se non vere fraterie? (Sorpresa e scoppio generale di risa
prolungate). Perciò posto che non si sa stare senza frati, ai moderni preferisco
gli antichi (Segue ilarità e mormorio di voci diverse)".