Antonio Francesco Davide Ambrogio Rosmini Serbati (Rovereto, 24 marzo 1797 – Stresa, 1º luglio 1855)
La Civiltà Cattolica, serie XIII vol. IV (fasc. 872, 9 ottobre 1886) Firenze 1886 pag. 224-231
Rivista della stampa italiana
II.
Sulla dottrina ideologica dell'Angelico Dottore S. Tommaso in confronto a quella dell'Ab. Rosmini.
Lettera Pastorale dell'Ill.mo e Rev.mo Mons. Vescovo di Concordia. Portogruaro, 1886.
Tip. Castion, p. 51 in 8.
Da qualche tempo noi, in questo periodico, non ci siamo occupati delle dottrine rosminiane, sia perchè riputiamo la questione rosminiana essere una questione, nel campo filosofico, oggimai finita; sia perchè gli ultimi scritterelli che alcuni seguaci del Roveretano hanno pubblicati, invece di nuove prove o nuove difese, non contenevano che nuove insolenze, alle quali meglio è rispondere col silenzio che con la penna. Tuttavia non possiamo non commendare altamente que' Vescovi, i quali per soddisfare all'alto dovere, onde sono stretti, di tutelare la fede cattolica nelle loro diocesi, alzano la voce per condannare le dottrine pericolose che vi spargono i rosminiani. Tra questi merita speciale lode l'illustre Vescovo di Concordia fra Domenico Pio Rossi del grande Ordine dei Predicatori. [*]
Questi dopo avere con opportuni passi, tolti alle lettere dell'apostolo Paolo, dimostrato che il Vescovo ha dovere d'invigilare con gran diligenza, affinchè tra le sue pecorelle non si spargano dottrine cattive o pericolose riguardo alla fede, viene a parlare di un opuscolo pubblicato nella sua diocesi di Concordia (dell'autore dell'opuscolo tace il nome) [**] del quale opuscolo dice così: «Voi già capite o venerabili fratelli che io accenno ad un opuscolo pubblicato non ha guari e diramato per la diocesi. In questo opuscolo che non porta il visto e l'approvazione dell'autorità ecclesiastica, in onta al nostro Sinodo, si difende una dottrina che sta in opposizione alla sana dottrina cattolica. Non è a dirsi, o miei Venerabili fratelli, di quanto rammarico sia stato per me questo opuscolo, per me, che la Dio mercè sono tanto attaccato al verace insegnamento della Chiesa, tanto ossequioso alla parola ed all'autorità del Sommo Pontefice Vicario di Gesù Cristo, e tanto divoto alla vera dottrina dell'Angelico Dottore S. Tommaso.»
Le quali tre ragioni, sebbene muovano, a nostro giudizio, tutti o quasi tutti i vescovi d'Italia ad avversare la dottrina del Rosmini, tornano nondimeno in commendazione del Vescovo di Concordia, mercecchè le virtù non cessano di essere tali perchè comuni. Di più il Vescovo di Concordia ha il pregio di avere pubblicamente e con una circolare diretta al suo clero manifestata la propria opposizione alle predette dottrine e le ha solennemente condannate.
Il sapiente Vescovo alla leggerezza dell'autore dell'Opuscolo, il quale, pur confessando che tra il Rosmini e l'Angelico Dottore v'è discrepanza, elegge la sequela del primo a preferenza di quella del secondo, oppone questo prudentissimo avviso: «Egli doveva ben avvertire che un errore in filosofia, benchè abbia parvenza di poca entità, trasportato nel campo teologico può produrre delle gravi e fatali conseguenze.» Esemplifica in una nota cotesta asserzione così. «Se in metafisica si ammettesse che gli accidenti non si possono assolutamente separare dalla sostanza, sembrerebbe un errore di poco rilievo in filosofia: ma portato questo errore nel campo teologico, toglie e distrugge il Mistero della Santissima Eucaristia.» Egregio avviso! Ond'è che la massima moderna, che la filosofia dev'essere libera nel suo campo, facendo totale astrazione dalla teologia, come lo Stato dev'essere libero prescindendo affatto dalla Chiesa, è una massima assurda, siccome quella che sostiene una mutua totale indipendenza che non ha luogo nè può assolutamente aver luogo. Imperocchè come tra Chiesa e Stato corrono moltissime relazioni, così ancora tra filosofia e teologia.
Dopo che Mons. Rossi ha descritta in brevi cenni la dottrina di S. Tommaso intorno all'origine delle idee, viene a considerare quella dell'abate di Rovereto e discorre così: «Esposta la dottrina di S. Tommaso intorno all'origine delle idee, vengo ad esporre quella dell'Ab. Rosmini. Egli esclude dall'anima nostra l'intelletto agente, ma sibbene ammette l'idea universale dell'ente comunicata immediatamente da Dio all'anima nostra. Ed ecco in qual modo. Egli considera l'ente universale in sè, ed in ordine alla nostra mente. Considerato in sè contiene virtualmente tutte le altre entità esistenti e possibili, alle quali è comune; inoltre l'ente in universale è qualche cosa dell'ente necessario, cioè di Dio, anzi ha la stessa essenza con l'essere divino. Perciò l'ente rosminiano non è qualche cosa creata, avendo la natura divina, benchè non si riguardi da noi sotto il formale concetto di Dio. Però l'ente del Rosmini se non formalmente, è però realmente Dio. Questo ente poi universale secondo il Rosmini è l'elemento propriamente intrinseco degli enti contingenti, è univoco a Dio e alle creature. Basta questo poco per capire che l'Ab. Rosmini, senza avvedersene è incorso in un gravissimo errore, malgrado però le sue buone intenzioni, ch'erano di combattere il sensismo tedesco: ma egli è caduto nell'altro estremo, voglio dire nel panteismo.»
Non v'è dubbio: la censura è grave, anzi è gravissima, quantunque sia corretta dal supporre le buone intenzioni nel Roveretano. Nè questa supposizione è ironica perchè non è nuovo il caso che uomini di alto ingegno e di rara virtù precipitino in gravissimi errori con tutte le buone intenzioni. I fatti son fatti nè vuolsi negare la loro esistenza quando esistono. Prosegue il Vescovo di Concordia: «La cosa è ben chiara; per Rosmini l'ente è realmente Dio, ed è l'elemento della creatura; dunque la creatura ha il medesimo essere di Dio, il che vorrebbe dire che l'essere possibile è lo stesso con l'essere ch'è atto purissimo; l'essere contingente, coll'essere necessario; l'essere creato, coll'essere increato, la quale proposizione è prettamente panteistica. Questo errore venne già confutato dall'Angelico dottore ecc... »
Ecco come l'illustre Vescovo con noi si accordi, brevemente restringendo, come richiede l'indole di una pastorale, quello che noi abbiamo nel nostro periodico diffusamente esposto e dimostrato. I nostri lettori per le testimonianze da noi allegate del Rosmini, già si sono resi capaci che nel costui sistema l'ente contingente è composto di due elementi 1° essere, 2° limite che restringe l'essere ad una specie o ad un individuo. Il Rosmini adduce la similitudine di una vasta, anzi indefinita candida tela, sopra la quale sia distesa una rete di tanti e tanti piccoli fori. È chiaro, che tutta la tela latius patet di quella tela che ai nostri occhi sembra limitata dai singoli contorni dei forellini della rete. Così latius patet l'essere preciso da' limiti, dell'essere stesso in quanto è ristretto da questo o quel limite, che costituisce in certa specie o in certo individuo. Laonde non si può affermare che per esempio la pietra è l'essere: comechè si possa dire che la pietra è essere, mercecchè se dalla pietra si toglie tutto ciò che ha la ragione di essere, resta il niente. Così non si può dire che la tela in quanto è designata dai limiti dei forellini sia tutta la tela o simpliciter la tela, quantunque si debba dire ch'essa è tela. Come la tela o tutta la tela è presupposta alla limitazione posteriore a cagione dei forellini, così l'essere o tutto l'essere è presupposto ai limiti che riceve. L'essere o tutto l'essere è uno, improdotto, increato, necessario; i limiti sono contingenti, prodotti, e sono essi il termine della creazione.
Ciò è contrario a san Tommaso ed è panteismo. Imperocchè sempre insegna san Tommaso che il termine della creazione è l'essere delle cose contingenti, e non già i loro limiti soli, i quali, così considerati, sono l'elemento negativo e non il positivo dei contingenti. Se i Rosminiani propugnassero una partecipazione dell'essere divino per imitazione, nulla ci sarebbe a ridire. In tale sentenza, tutt'altro che panteistica, si direbbe con san Tommaso che l'essere divino è causa efficiente ed esemplare dell'essere delle creature. Ma nel loro sistema l'essere delle cose non è prodotto o creato ad imitazione del divino; bensì è l'unico essere improdotto affetto dai limiti, i quali sono prodotti.
È vero che per difendersi dicono che la partecipazione prefata è dell'essere divino ideale e non dell'essere divino reale, ma questa è una scappatoia inconcludentissima. Infatti tra l'essere divino reale e l'essere divino ideale, secondo il Rosmini, non c'è distinzione reale ma, tutt'al più, di ragione; quindi hoc ipso che si fa la partecipazione dell'essere ideale divino per identità, deve farsi la partecipazione dell'essere reale divino egualmente per identità. Esemplifichiamo questo concetto.
Per quale ragione l'Incarnazione del Verbo non trae seco necessariamente la Incarnazione dello Spirito Santo o del Padre? Rispondiamo: perchè tra le persone vi è distinzione reale. Se fosse soltanto di ragione tutte e tre le persone dovrebbonsi dire incarnate hoc ipso che si è incarnato il Verbo. Similmente, se vi fosse distinzione reale tra l'essere divino reale e l'essere divino ideale, potrebbe farsi la partecipazione, per identità, di questo, senza che vi fosse necessità della partecipazione, per identità, di quello: ma il contrario vuolsi dire se v'è sola distinzione di ragione: e il Rosmini sostiene che è solo di ragione, nè potè dire altrimenti.
Che veramente il ch. Vescovo abbia colto nel segno si rileva anche dall'accusa che ci hanno fatta i rosminiani quando dicevamo che ciascuna cosa ha il proprio essere. Per esempio, dicevamo: il cane ha il proprio essere, la pietra ha il proprio essere, cotalchè quello potrebbe essere annichilato senza che questo lo sia. Ci si opponeva, ch'era assurda questa dottrina, perchè l'essere non si può sbocconcellare, l'essere non si può ridurre in frantumi, ed è cosa ridevole, ci dicevano, l'affermare che ciascuna cosa si porti sulle spalle il proprio essere. Infatti, dicevano, l'essere è uno, necessario, indivisibile, increabile comechè sieno contingenti e prodotti i limiti dei quali l'essere può divenire soggetto. La quale risposta non può essere data se non da chi professa il panteismo.
Il ch. Monsignore ben sapeva che una volta ammesso il panteismo, ancor l'anima razionale sarebbe Dio, tuttavolta mostra come la dottrina rosminiana conduca direttamente al panteismo psicologico. Egli così discorre: «In ordine poi alla nostra mente insegna Rosmini che l'ente in universale è non solo il termine e l'oggetto immediato della naturale intuizione della nostra mente, ma è il principio formativo e costitutivo della mente medesima. Egli si spiega in questa maniera: suppone che l'anima nostra sia da principio sensitiva, fornita soltanto delle facoltà sensitive. Quando poi l'ente ch'è intelligibile si presenta all'atto della sensazione, termina l'atto sensitivo, il quale essendo sostanzialmente e soggettivamente sensitivo, nel momento stesso addiviene intellettivo, in quanto è terminato ed ordinato all'intelligibile. E però dell'intuizione dell'ente si forma in noi la mente, e questa nostra mente è qualche cosa di soggettivo –– oggettivo, ma più oggettivo che soggettivo. Da questa dottrina rosminiana, se pur si può chiamar dottrina, ne risulta un pretto panteismo psicologico.» Nè ha torto, giacchè l'essere l'anima intellettiva spetta alla sua essenza; però l'ente, divino elemento che costituisce l'anima umana intelligente non può soltanto dirsi estrinseco termine dell'atto sensitivo, ma intrinseco principio dell'intendere. E per verità l'anima sensitiva finchè resta tale, assolutamente non può intuire l'essere ideale, altramente ogni anima dei bruti lo intuirebbe, perch'esso a tutto è presente. Laonde è mestieri dire che Dio, in quanto è l'essere ideale, unendosi all'anima sensitiva umana e formando con essa un quid unnum in atto primo, la rende possente a passare all'atto secondo, ch'è l'intuizione dell'essere ideale. Se Dio si unisse al corpo umano in guisa da costituirlo corpo umano (cosa assurda!) Dio sarebbe forma sostanziale del corpo stesso, e l'individuo dovrebbesi dire, senza fallo, Iddio. Similmente se quello che l'Aquinate dice intelletto agente (potentia animae, aliquid animae), fosse Dio stesso, l'anima umana sarebbe immedesimata con lo stesso Iddio.
Altre accuse vengono date da Monsignor Rossi al sistema di Rosmini: «Se non che il sistema ideologico rosminiano esclude ancora l'ordine soprannaturale» e poi «da ultimo aggiungerò che un tale sistema non è affatto conforme alle divine scritture.» Ma per brevità ci basti aver dato un saggio della critica giustamente severa, fatta dall'illustre domenicano.
Nella seconda parte della sua pastorale l'illustre vescovo rimprovera severamente all'autor dell'opuscolo l'aver preteso di trarre a sua difesa l'autorità di Leone XIII. «L'autore è fermo nella difesa della dottrina rosminiana, e siccome, in appoggio alle sue asserzioni, sarebbe inutile cercare un qualche argomento di ragione (e qui bisogna scusarlo, perchè in realtà non ne aveva nessuno) così trova l'espediente di ricoverarsi all'ombra della veneranda e sapientissima Enciclica –– Aeterni patris –– del sommo Pontefice Leone XIII. L'autorità a cui si appella è veramente augusta e sublime, alla quale noi chiniamo la fronte e ci prostriamo a terra: e lo facciamo con un animo ben leale e sincero. Ma l'autore dell'opuscolo, cita poi a proposito la venerata Enciclica? Egli pretende che il sommo Pontefice in questo capolavoro di sapienza si mostri favorevole alle dottrine rosminiane; non basta: ma che di più il sommo Pontefice dica chiaro che non tutto quello che trovasi nelle dottrine dell'Aquinate è oggi da accettarsi. Non posso a meno fin d'adesso di segnalare l'aperta menzogna e spudorata calunnia.» Quindi Monsignor Vescovo si dà ad esaminare l'Enciclica e a dimostrare le verità della sua asserzione.
Inoltre egli adduce più discorsi privati di Leone XIII, nei quali il sapientissimo Pontefice si dimostrò apertamente contrario alla dottrina Rosminiana, e divietò che la si insegnasse nei seminarii.
Finalmente dimostra che il famoso dimittantur al quale pertinacemente ricorrono i rosminiani non può confortare la loro causa oggimai perduta. La ci sembra una vera cecità l'appigliarsi al dimittantur dopo che dalla Congregazione dell'Indice, che lo proferì, fu sentenziato che soltanto significa non prohiberi, e che l'opera dimessa può contenere errori in fide et moribus, i quali errori possono con pieno diritto essere indicati e combattuti dai cattolici dottori.
L'opuscolo del Vescovo di Concordia diretto a guisa di pastorale al clero della sua diocesi e lodevolissimo, ed utinam! avessero avuto in passato tutti i Vescovi il coraggio di combattere e condannare gli errori che pullulavano nelle loro diocesi, o nel campo della morale, o nel campo dommatico o nel campo filosofico, quando le dottrine filosofiche riguardavano le teologiche! Essi ne hanno il diritto, e l'apostolo Paolo ne fa loro precetto, come osservò l'illustre Monsignore. La causa rosminiana scientificamente considerata è decisa. V'è qualche testa un po' leggera che si dà a credere la causa rosminiana non essere ancora perduta, perchè un chiaro prelato lasciò un'opera in difesa della medesima in dieci volumi. Questo è giudicare che la verità o l'errore debbansi determinare coi chilogrammi del peso della carta o col metro che ne misura le dimensioni. In tanti volumi nulla s'è dimostrato che dia probabilità non che certezza alla dottrina rosminiana. Anzi nella massima parte altro non v'è che un friggere e rifriggere le stesse cose, e, tolte le ripetizioni, tutto potrebbe raccogliersi in un volume solo. Un cotal letterato inviò ad un suo amico molto semplice, una sua opera che era scritta in due volumi: ma, senza addarsene, gl'inviò invece dei due volumi, due copie del primo volume. L'amico dopo di avere letto per due volte lo stesso volume scrisse al donatore; avere trovata l'opera stupenda, quantunque fosse lunghetta. Ci pare che un giudizio di egual senno proferiscano i lodatori dei dieci volumi dell'opera sopradetta.
NOTE:
[*] 1885 (21, 22, 23 Aprile) Mons. Domenico Pio Rossi dei Predicatori tiene il Sinodo Diocesano nella Chiesa di S. Andrea Apostolo.Di questo grande Vescovo (m. il 29 Ottobre del 1892) è celebre l’illuminata carità e il profondo sapere teologico e filosofico. La sua Pastorale “Sulla dottrina ideologica dell’Angelico Dottore S. Tommaso in contrasto a quella dell’Abate Rosmini” fu tradotta in più lingue.
Iniziò i lavori di restauro della Cattedrale di Concordia spendendovi del suo più di 18,000 lire (V. l’Elogio funebre da noi letto nella Chiesa di S. Luigi – Portogruaro – Ditta Castion, 1893).
[Cfr. Zambaldi A. - Belli M., Annali di Portogruaro (1140-1797) del Dott. A. Zambaldi, ripubbl. da Mons. M. Belli con ill. ed aggiunte fino ai giorni nostri, Portogruaro 1923, N.d.R.]
[**] Si tratta verosimilmente del famigerato prete liberale don Antonio Cicuto, pievano di Bagnarola, che era stato opportunamente allontanato dall'insegnamento in Seminario a Portogruaro, noto apologeta del Rosmini [N.d.R.].