Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura
Rimasto libero il Volturno a' garibaldini, costoro rifecero il ponte di Formicola e lo passarono il 25 ottobre.
Il primo a traversarlo fu Medici con la sua divisione, poi quella di Bixio, ed in seguito le altre di Eber, Rustow, e la legione inglese; e siccome il ponte fu malamente ricostruito non vi poterono passare i carri e l'artiglieria. I garibaldini che passarono sulla diritta sponda del Volturno non oltrepassavano i cinquemila con cento cavalieri; ed era quella la migliore gente che avea Garibaldi composta tutta di stranieri!
Quelle Divisioni passarono le strette vie di Bellona e Vitolaccio, ed ivi fecero prigionieri un centinaio di soldati ammalati e qualche soldato svizzero rimasto volontariamente indietro.
Bixio, vicino Bellona, cadde dal cavallo in una pozzanghera, e si ruppe una gamba: fu condotto a Napoli nel Palazzo del Principe d'Angri; gli altri la sera accamparono a Caianello, ma i cento cavalieri spinti avanti, fecero quella bravura co' cacciatori a cavallo!....
Cavour avea scritto a Persano che consigliasse Garibaldi a farsi incontro al Re Vittorio Emmanuele per rendergli omaggio; ed anche il Ministro Farini spiccò un telegramma al Dittatore e davagli lo stesso consiglio; perciò costui si mosse co' suoi fidi alla volta di Venafro donde veniva il Re.
Garibaldi, la mattina del 26, incontrò Cialdini presso Vairano, e da Missore che avea mandato avanti, seppe che il Re era poco discosto; allora lasciò la sua gente, ed avanzatosi sulla via consolare che mena da Vairano a Marzenello incontrò V. Emmanuele; al quale disse: Saluto il Re d'Italia; e il Re gli rispose un secco: grazie!Il Re volle essere accompagnato a Teano dallo stesso Garibaldi, e da una scorta di garibaldini. I soldati piemontesi al vedere le camicie rosse cominciarono a mormorare; il Dittatore accorgendosene diede ordine alla sua scorta di retrocedere a Calvi.
Garibaldi rivide e guardò in cagnesco i suoi vecchi amici, cioè Cialdini e Farini, e capì che costoro venivano a detronizzarlo. La stessa sera volle ritornare a Calvi, ed è da supporsi col cuore affranto, prevedendo la sua non lontana esautorazione.
Quella sera il Re dormì a Teano.
Rustow racconta che in quella spedizione garibaldesca, furono accompagnati da due famose Frini, una inglese, l'altra italiana, le quali cordialmente si odiavano, a causa che la straniera era più accetta a Garibaldi; epperò l'altra avea titolo di
Contessa ed intendeva ottener preferenza. Al ritorno di quella spedizione, il poco previdente Dittatore permise che quelle due donne fossero messe insieme in una stessa carrozza, nella quale avvennero scene buffe. Le due donne, dalle parole passarono alle vie di fatto: si tirarono i capelli, si diedero pugni, calci, e pure qualche morso; bisognò dividerle, dando agli stessi garibaldini argomento da ridere sgangheratamente. Per ordine del Dittatore una fu lasciata nella carrozza, e l'altra messa accanto al cocchiere. Indovinate chi andò in serpa? la Contessa, l'italiana! Oh Garibaldi! anche in queste inezie preferisti gli stranieri!
V. Emmanuele dopo il fatto d'armi di S. Maria la Piana e S. Giuliano, che appresso racconterò, si era avanzato sino a Sessa, e mentre ivi riordinavasi l'esercito, egli retrocesse verso Capua, ov'era il resto de' soldati piemontesi. Tra Sparanisi e Calvi trovavasi la legione inglese, tutta composta di gente voracissima e di beoni, che saccheggiavano polli, pecore, porci, ed andavan pure a caccia di gatti per ucciderli e mangiarseli! né il loro comandante Peard potea frenarli, dicendo, scioccamente, che lo vietavano le leggi inglesi. Il 27 passando il re presso Calvi con seguito di soldati piemontesi, gli Inglesi presero questi per truppa borbonica, e lor fecero addosso una scarica di fucilate, le quali, per fortuna, perché tratte sbadatamente e da gente ubbriaca, andarono fallite. Garibaldi si vergognò del disordine de' suoi, egli che ne volea fare bella mostra innanzi al re: incollerì, tanto che fece condannare a morte due Inglesi, ad onta che Peard citasse a sproposito le leggi del suo paese.
Il Dittatore alla fine si placò (se si fosse trattato della sua pelle, chi sa, li avrebbe fatto gettare da qualche precipizio per far loro rompere il collo), fece grazia a que' due condannati a morte.
Il re passò il fiume sulla via di S. Angelo, giunse sino al quadrivio, ove vide la sua gente schierata, e la medesima sera ritornò a Sessa. Ivi firmò il decreto col quale nominò Garibaldi generale di armata, e gli diede la gran croce dell'Annunziata. Garibaldi ricusò tutto; i suoi amici lodarono tanta modestia: alcuni però dissero che fu superbia, perché avrebbe voluto fare da Dittatore perpetuo, per impartire onori e gradi, sdegnando riceverli da' Sovrani.
Capua fu cinta di assedio; il generale La Rocca, sin dal 22 ottobre avea preso il comando dell'esercito assediante, e il generale Menabrea il comando degli uomini pei lavori del genio. Erano in quella Piazza forte più di novemila uomini di guarnigione, tre squadroni di carabinieri, quattro pezzi di campo, cinquecento artiglieri, ed alcune compagnie di zappatori. In batteria vi erano 210 cannoni, ma roba da Medio-evo; un pezzo da 80, due da 60, e molti cannoni da 24. Mancando il danaro fu necessità imporre agli abitanti un semestre di fondiaria anticipato. Le vettovaglie erano bastanti per 50 giorni; vi era poca polvere e mal custodita, perché senza casematte. Dopo che Salzano fu chiamato a comandare l'esercito sulla linea del Garigliano, il brigadiere de Corné fu destinato a Governatore di Capua.
Il 25 ottobre, La Rocca ebbe da Napoli tutto quello che abbisognasse per l'assedio, cannoni, ordegni di guerra, una colonna comandata da Pernot, e la Divisione de' volontarii calabresi condotta dall'Avezzana, venuta da Maddaloni che occupò S. Angelo.
Il 28 La Rocca intimò la resa di Capua al generale de Corné e l'avvertiva che, ove mai l'artiglieria sarda facesse male all'innocua popolazione, il de Corné ne sarebbe stato responsabile, come s'egli stesso la bombardasse, e che non gli concederebbe condizione alcuna al tempo della resa della piazza.
Tanta impudenza di un Generale straniero, entrato nel Regno senza dichiarazione di guerra, al certo i nostri posteri non crederanno. La Rocca venuto a braveggiare impunemente nel Reame di Napoli, chiamava responsabile de' danni ch'egli stesso avrebbe fatto ad una innocua popolazione, il Generale che difendeva una Piazza che eragli stata affidata dal proprio legittimo Re! Egli bombardava una città italiana, ed i soldati napoletani bombardati erano chiamati bombardatori! Logica nuova
di liberali annessionisti Io non desidero male ad alcuno, dico solamente il
comune adagio: Iddio non paga il sabato, ma paga. I Generali francesi commisero in Europa tante prepotenze, ma giunse il giorno in cui un'altra Potenza tanto maltrattata sotto il primo impero napoleonico, fece provar loro tutte le umiliazioni e le pene che s'infliggono a' vinti! Pare che questo modo di far la guerra era comune a' Generali sardi nel 1860. Anche Cialdini chiamava responsabile il generale Fergola comandante la Cittadella di Messina, quando gli scriveva: «che se avesse fatto danno a' nemici nel difendere quella Piazza, egli lo avrebbe consegnato poi al furore popolare qual vile assassino.
né si potrebbe qui ammettere la ragione che i Generali napoletani non avessero alcuna speranza di vincere difendendo le piazze a loro affidate, attese le condizioni in cui trovavasi il Reame. Conciosiachè è massima di guerra che un Generale assediato in una Piazza, altro non deve sapere e vedere che la portata de' suoi cannoni. Pietro Colletta nella sua storia elogia il generale napoletano Begani, comandante la fortezza di Gaeta nel 1815, il quale combattea per Murat, malgrado che costui avesse abbandonato il Regno e fosse ritornato in Francia. Begani cedette Gaeta dopo la battaglia di Vaterloo, quando in tutta Europa i tre colori erano stati abbassati; e vedete, caso strano, sventolavano solamente sopra i nudi sassi di Torre Orlando in Gaeta! Il Colletta soggiunge, che Begani fu punito da Ferdinando I per quella inutile resistenza, ma che fu premiato dalla fama. Quello che si loda in un Generale, così detto liberale, sebbene Murat non fu Re liberale, è poi un delitto in un altro al servizio di un re legittimo. Però lo storico Colletta, il girella politico, mentisce sfacciatamente quando afferma che Ferdinando I avesse punito il murattiano generale Begani. Si sa che quel sovrano diede al Begani una pensione, e quando costui morì, onorò la vedova, e diede a' suoi figli cinquanta ducati mensili. Si sà pure che Colletta si fece scrivere la storia-libello da Pietro Giordano per calunniare i Borboni, in compenso di averlo perdonato per ben tre volte, dandogli gradi e potere, malgrado ch'egli si fosse ribellato al proprio Sovrano nella repubblica partenopea del 1798, sotto il primo impero al 1806, e finalmente nella rivoluzione militare del 1820! Pietro Colletta, tanto celebrato da' rivoluzionarii, fu lo schiavo de' francesi, e con costoro combattea contro i napoletani suoi compatriotti! I rivoluzionari che hanno per decoro e per patria il proprio tornaconto, alzarono una statua a quello storico prestanome.
Leggete quello che scrisse il Principe di Canosa sul conto di Pietro Colletta, ma Canosa era borbonico, e quindi ignorante e bugiardo, secondo i liberali.
Dopo le minacce del La Rocca, de Corné tenne consiglio, e sulle nobili, sagaci, e ferme riflessioni del generale, Gaetano d'Ambrosio, si decise di difendere Capua. Si ordinarono tre sortite dalla Piazza; il 28, 29 e 30 ottobre vi furono diverse scaramucce, massimamente dalla parte di S. Angelo.
In quelle sortite, dirette dal capitano Tommaso Cava dello Stato Maggiore, molti uffiziali e soldati si distinsero per bravura ed intelligenza, e più di tutti il suddetto Capitano Cava, e il 1° tenente Giuseppe Taleschi comandante tre plotoni di Carabinieri a cavallo; questo prode e fedele uffiziale, che si era sempre distinto, diede una brillante carica al nemico, ed appoggiò la fanteria dei foraggiatori. Si distinsero pure l'alfiere Spetrini anche de' carabinieri, ed ebbe il cavallo ferito; il tenente Acerbo dello Stato Maggiore, ed il tenente Mevi della frazione del 4° di linea. I sopra nominati uffiziali li trovo molto lodati in un documento scritto dal Governatore di Capua generale de Corné, e con la determinazione di darne conoscenza al Re.
Il sergente del 2° squadrone de' carabinieri a cavallo, Angelo Sabia, il 1° novembre ritornava da Piedimonte ove era andato con 25 cavalieri per iscortare due carri d'armi: al ritorno, nel Poligono di Capua, fu assalito e caricato dalla cavalleria piemontese; ma quel sergente, da prode tenne fermo contro nemici di gran lunga superiori in numero; si aprì il passo con la forza, ed entrò in Capua assieme a' suoi dipendenti!
I rivoluzionarii che erano dentro Capua, udendo che de Corné si era deciso alla resistenza contro gli assedianti, cominciarono a sobillare i soldati, mettendoli in sospetto contro gli uffiziali acciò ne avvenisse una rivolta militare; ma i soldati e gli uffiziali sprezzarono quelle male arti degne di satanici liberatori; dappoichè una rivolta militare dentro Capua sarebbe stata anche fatale ai rivoluzionarii.
Il Sindaco di quella Città protestò che non avea farina per isfamare la popolazione, quantunque vi fosse molto grano. De Corné ordinò al colonnello di artiglieria campanella, che trovasse il modo di molire il grano, e costui lo trovò a dispetto dello zelo importuno di quel Sindaco modello.
Il generale La Rocca fece costruire sei batterie alla distanza di tremila metri, con terrapieni e spalleggiamenti, e dagli stessi uffiziali napoletani disertori. Quelle batterie erano divise sulle due sponde del fiume. Quando tutto fu pronto si diede il segnale del bombardamento, issando la bandiera rossa. Garibaldi non volle trovarsi presente al bombardamento di Capua, così dissero i suoi ammiratori, per non vedere lo scempio di una città italiana.
Quell'attacco era ineguale alla difesa, perché i borbonici non aveano cannoni rigati, e tiravano a colpi divergenti, i sardi a colpi convergenti. Nonpertanto i napoletani miravano meglio al segno; tanto che il Re Vittorio Emmanuele sgridò i suoi di mostrarsi inferiori al nemico nell'arte della guerra; e quindi giudicando difficile e lungo l'accostarsi alla città, ordinò si bombardasse da lontano.
In Capua le bombe cadeano a centinaia, quella città era avvolta in un turbine di fumo e di fuoco; i palazzi, le chiese, i monasteri e gli ospedali soffrivano molto, e con essi gli innocui cittadini; al contrario i difensori che si trovavano sopra le batterie soffrivano pochissimi danni.
In quella città bombardata erano molte famiglie di uffiziali disertori, che dirigevano il bombardamento; quelle famiglie furono soccorse e salvate dagli stessi soldati bombardati. Di tanto eroismo de' soldati napoletani neppure se ne disse una parola dai giornali di que' tempi. L'uffiziale disertore Iovine che dirigeva una batteria contro Capua, avea ivi giovane moglie e due fanciulletti, che furono tutti e tre soccorsi e messi in salvo da' soldati; intanto quegli uffiziali disertori, secondo i giornali rivoluzionarii di que' tempi erano celebrati come tanti eroi, e difensori di Capua proclamati infami, cannibali e peggio!
Molti cittadini e donne si recarono dall'Arcivescovo Cardinale Cosenza, buon vecchio affievolito di spirito come lo era di corpo. Costui scrisse al Governatore de Corné, e dopo avergli fatto un quadro desolante de' danni che arrecava il bombardamento alla città, alle chiese, a' monasteri, agli uomini, alle donne ed a' fanciulli, conchiudeva: «Io come padre comune del gregge a me affidato da Dio, vengo a supplicarla di provvedere sollecitamente a questi urgenti bisogni, con liberarci sotto qualunque condizione dall'imminente pericolo, rendendomi io responsabile innanzi a Dio, innanzi al sovrano, ed innanzi a qualunque autorità. Capua 2 novembre 1860.
Parecchie autorità militari si riunirono e si recarono da de Corné, e gli dissero le solite ragioni che si sogliono addurre in simili circostanze volendosi cedere una Piazza al nemico; quelle autorità militari formavano il consiglio di difesa! Però il Governatore de Corné, e tra gli altri i generali d'Ambrosio e de Liguori pensavano diversamente e da militari di onore e di cuore. Essi diceano: l'onor militare non essere ancora salvo, perché i bastioni erano intatti, i soldati animosi, i viveri e le munizioni sarebbero bastati per prolungare la resistenza; e che il non cedere subito Capua arrecherebbe gran vantaggio all'esercito pugnante sul Garigliano. Prevalse però la pietà che destava la popolazione e le insistenze del Cardinal Cosenza. I soldati abborrivano di arrendersi, era arduo far loro intendere ragione, ma si fece di tutto per persuaderli a cedere all'imperiosa necessità.
La stessa mattina del 2 novembre, il de Corné fece alzare bandiera bianca, e mandò il maggiore Negri a S. Maria presso il general La Rocca. Il Negri disse a costui che gli desse il tempo di avvertire Francesco II prima di cedere Capua: ma quel Generale non volle accordarglielo, anzi minacciò bombardare con più furia ed accanimento. Dettoglisi che non uccideva soldati, ma innocui cittadini, donne, e fanciulli e che noterebbe la storia tanta inumanità e ferocia, La Rocca rispose: non importargli della storia e d'innocenti, e che distruggerebbe Capua se non si fosse arresa subito: ed in effetti proseguì a bombardare con più vigore.
Per evitare ulteriori mali alla popolazione, quel giorno stesso si convenne la resa di Capua, ed eccone le condizioni. La piazza con tutte le armi, munizioni, vettovaglie ed arnesi di guerra da consegnarsi a' Piemontesi tra ventiquattro ore; le porte e
i bastioni da consegnarsi immediatamente; la guarnigione con armi e bagagli dovere uscire dalla piazza a due mila per volta, ad eccezione degli uffiziali, depositasse le armi a più dello spalto; andrebbe a Napoli per essere mandata prigioniera ne' porti del Piemonte.
Gli uffiziali napoletani disertori vollero godere dell'infortunio de' proprii connazionali e compagni d'armi, sfilanti inermi in mezzo a' Piemontesi, e si gloriavano della loro posizione! Gli uffiziali più noti che assistevano con piacere a quel trionfo piemontese erano: de Benedictis, Adraga, Zaini, Jovine, Ferrarelli, Lo Cascio, Cosentino, ed altri, tutti beneficati, o mantenuti gratis da' Borboni nei collegi militari.
Capua essendo un vasto deposito di attrezzi, carriaggi, e giuochi d'armi, i Piemontesi trovarono moltissimi affusti, macchine, carri, e munizioni. Nella sala d'armi era 23093 armi da fuoco e da taglio. Trovarono 325 tra cannoni di ferro e di bronzo, ed un sol pezzo rigato.
Assieme alla truppa piemontese, entravano in Capua non pochi garibaldini impossessandosi di tutto quello che apparteneva alla Piazza, non escluse le valigie degli uffiziali pugnanti sul Garigliano, e tra le altre la mia, con quella roba che avea comprata a Castellammare e a Napoli, e così rimasi per la terza volta co' panni che avea addosso. Alcuni uffiziali, scioccamente, aveano lasciato danaro e fedi di credito in quelle valigie, credendole sicure ne' magazzini militari. Dopo la capitolazione di Gaeta alcuni uffiziali ebbero restituite le valigie, ma scassinate, guaste e vuote. A chi dare la colpa? al progresso delle annessioni!
La sera del 2 novembre, saputasi in Napoli la resa di Capua, ebbero luogo i soliti lumi e le consuete grida: i camorristi con la solita minaccia di rompere i vetri fecero illuminare molti balconi, la maggior parte di borbonici perché più vessati. Si spararono bombe di carta che servivano di maggior cordoglio all'onesta cittadinanza.
I soldati capitolati di Capua entrarono in Napoli il 4 novembre, e furono vilipesi ed insultati dai camorristi; poi furono mandati a Genova, ove si ammutinarono, perché non vollero far parte de' Reggimenti sardi, e furono sedati con la baionetta da coloro co' quali doveano divenire compagni d'armi!
Gli uffiziali di Capua ebbero assegnati due lire al giorno, ed era una pena vedere quei poveri, ma onorati e prodi uffiziali, smunti dalle fatiche e mal vestiti, aspettare innanzi la Piazza d'armi quel modico soccorso; mentre gli antichi compagni disertori lor passeggiavano dappresso ben vestiti e meglio nudriti, inargentati con nuovi ed improvvisati gradi militari, sprezzanti la miseria e l'ingiusta umiliazione di que' fedeli uffiziali! Ma chi de' miei benevoli lettori preferirebbe la virtù disgraziata al disonore in apparenza trionfante?
(Estratto dal libro di Giuseppe
Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).